Copertina
Autore Gregory Benford
CoautoreDavid Brin
Titolo Nel cuore della cometa
EdizioneNord, Milano, 1992 [1987], Tascabili
OriginaleHeart of the Comet [1986]
TraduttoreGiampaolo Cossato, Sandro Sandrelli
LettoreRenato di Stefano, 1992
Classe fantascienza
PrimaPagina


al sito dell'editore








 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 17 [ simbionte ]

Ancora una volta, buone notizie. Il secondo test dimostrava che il cianuto era del tutto avverso a considerare commestibili le cellule umane.

"Questo per i punti fondamentali". C'erano innumerevoli altre cose da controllare. Saul fece scorrere mentalmente una lista, mentre attivava il sequenziometro per iniziare la fase automatica dei test in programma.

... riproduzione autolimitante, benevola accettazione da parte del sistema immunitario umano, sensibilità al pH, un vorace appetito per altre potenziali tossine cometarie...

Non era tanto un catalogo di attributi quanto una litania di sfide affrontate e vinte. Saul non poteva fare a meno di sentirsi orgoglioso per la sua piccola compagine, là sulla Terra, che aveva dovuto superare pregiudizi, burocrazia, e aperte superstizioni, per riuscire a svolgere il proprio lavoro. Alla fine, però, aveva creato una meraviglia: un nuovo simbionte umano.

I cianuti sarebbero stati una parte permanente e benigna di ogni uomo e donna dell'equipaggio per il resto della loro vita... e forse, osava immaginare, parte dell'animale umano, d'ora in avanti, come la flora intestinale che l'aveva sempre aiutato a digerire il cibo, e i mitocondri all'interno delle sue cellule che bruciavano lo zucchero per lui, convertendolo in energia utilizzabile.

- Chi può paragonarsi a te, o Signore... - bisbigliò amaramente, stuzzicando se stesso per il suo inestirpabile angolino di orgoglio. Saul aveva concluso molto tempo addietro che lui e Dio avrebbero dovuto essere pazienti l'uno verso l'altro. Forse l'universo non era costruito in maniera conveniente per nessuno di loro due. Saul osservò i risultati del test scorrere sullo schermo: tutti in chiaro, quasi perfetti, fino a quando un sommesso squittio gli annunciò l'apertura del bio-lab dietro di lui.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 22 [ individui, simbiosi, ingegneria genetica ]

Saul annuì. Di quei tempi. metà del lavoro di un medico comportava proprio l'uso attento di quegli stessi orrori, che andavano elargiti con giudizio per creare delle "sfide".

- Tieni in esercizio il sistema immunitario del paziente e lascia che sia lui a fare il resto - disse Saul, annuendo. - È il sistema migliore, Akio. Vorrei soltanto che tu capissi che i miei cianuti fanno parte della stessa progressione.

Matsudo roteò gli occhi. Lui e Saul avevano discusso di questo moltissime volte.

- Ancora una volta mi rincresce di non poter essere d'accordo con te. Nell'un caso noi insegnamo al corpo a rafforzarsi e a respingere ciò che è estraneo. Ma tu lo persuadi ad accettare un intruso, per sempre!

- Forse una buona metà delle cellule del corpo umano sono forme di vita ospiti, Akio... batteri dello stomaco, pulitori dei follicoli, loro aiutano noi; noi aiutiamo loro.

Matsudo agitò la mano. - Sì, sì. «La maggior parte di ciò che definisci te stesso, non lo è!» L'ho sentito altre volte. So che non ci vedi come individui, Saul, ma come grandi alveari sinergici di specie cooperanti. - C'era una nota tagliente nella voce di Matsudo che Saul non ricordava di aver mai sentito prima. L'esagerazione non faceva parte dello stile abituale di Matsudo.

- Akio...

Matsudo si affrettò a proseguire: - E se anche tu avessi ragione, Saul? Tutti questi organismi che condividono i nostri corpi con noi sono cresciuti in simbiosi con noi nell'arco di «milioni di anni». Ciò è completamente diverso dall'iniettare di proposito dei mostri con i geni tagliati su misura in un tale delicato equilibrio!

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 72 [ mappa/territorio ]

- Non è la stessa cosa. Sotto il microscopio le cellule non sono uno schieramento compatto di cilindri quasi regolari, sai, sono deformi, «meshugenuh», piccole cose torturate. I tessuti connettivi del paziente s'intasano, le giunture si gonfiano, le infezioni si ripetono. Danni al fegato, morte prematura. C'erano dei buoni rilevatori per avvertire i genitori se un bambino ce l'aveva, certo, ma nessuno aveva toccato il vero aspetto: l'assetto genetico... fino a quando non l'abbiamo fatto noi. Scusa, fino a quando non l'ha fatto Simon Percell.

- Ma grande parte del merito può andare anche a te.

Lui rise. - Mia cara, la mia carriera negli ultimi decenni è dipesa dal «non» attribuirmi certo meriti.

- Con noi percell... è diverso.

Lui esibì uno stanco sorriso. Stanco e «circospetto». - Tu, Virginia, sei la chiara espressione di come una mappa sia diversa dal vero territorio.

La donna corrugò la fronte.

- Scusa, non sono chiaro. È una mia abitudine. Abbiamo tracciato una mappa di tutti i nucleotidi del DNA già molto tempo fa. Sapevamo dove si trovava ogni cosa: una grande mappa. Soltanto, non sapevamo qual era il suo «significato».

- I miei geni non portano il lupus, voi sapevate come farlo. E i miglioramenti percell sono efficaci.

- Ovviamente. - Un sorriso.

Si sentì arrossire a quel complimento.

...

Saul sospirò. - Ma non è abbastanza vero. Sicuro, abbiamo messo sotto controllo i disordini dell'emoglobina, la malattia di Huntington, tutti i bersagli facili. Stacca via qualche molecola. Spunta, pota. Cambia il criptogramma e... presto fatto.

- Ho letto che ci sono più di due milioni di persone che vi devono questo.

- Hai messo le mani sul giornale clandestino proibito dei percell? - chiese lui, con finta serietà. - Sì, giusto. Tu sei delle Hawaii. Là abbondano ancora i sentimenti pro-percell, no? Chi ha indotto i servizi di sicurezza ad approvare il tuo arruolamento?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 85 [ università, successo, costanza, stimolo ]

S'immerse nella dolce grazia planetare di Beethoven. Spostandosi attraverso le ombre color inchiostro e la gialla luce abbagliante dei fari, spingendo e rimorchiando, annusando l'odore acido della tuta, sentendo il rrrrtttttt delle controversioni vibrargli lungo il braccio, il pizzicare della tuta sulle sue spalle e alle ginocchia a causa del sudore... A Carl venne fatto di pensare alla California.

I suoi genitori lo stavano conducendo in macchina lungo la costa, quando lui gliel'aveva detto.

I quattro anni passati al Caltech erano trascorsi in un lampo di luce dorata e di notti di studio, scherzi di fine settimana e interminabili serie di problemi, laboratori, lezioni, e assai poco amore. Non ne aveva avuto il tempo. Sergeov era così sicuro che i percell erano speciali... be' da'accordo, sì, era magari anche logico che Sergeov dovesse pensarlo, per compensare ciò che non aveva mai avuto. Ma Carl sapeva che le cose stavano diversamente.

Lui se l'era cavata bene perché aveva «lavorato», dannazione, non perché fosse più intelligente. Al Caltech aveva sentito una crescente fratellanza con tutti gli uomini e le donne che passavano lunghe ore in stanze solitarie. A differenza degli sgobboni inaciditi o dei ragazzi inesperti, non aveva mai creduto neppure per un momento che gli individui creativi sprecassero il proprio tempo oziando e poi, quand'erano mossi dallo spirito mistico, snocciolassero brillanti idee in preda ad attacchi di furiose e febbricitanti raffiche di tracolgente ispirazione.

Per far bene qualcosa ci volevano sopportazione, costanza e uno stimolo continuo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 92 [ diverso ]

Eppure, perfino in quel momento Saul poteva vedere le divisioni. Gli spaziali veramente esperti, ad esempio, si erano raccolti per la maggior parte sulla sinistra. Gli scienzati specialisti della divisione di Bethany Oakes tendevano a rimanere sul davanti del gruppo. Dietro di loro c'era la distesa dei tecnici e degli ingegneri di più di due dozzine di nazioni.

C'erano molti piccoli grappoli a seconda della geografia o della lingua nativa. E quasi ovunque c'era la sottile ma chiara separazione fra la maggioranza degli «ortho», e gli altri, i giovani e aitanti percell.

...

- Perché siamo venuti qui? - chiese Cruz, con i pugni sui fianchi, le gambe divaricate. Adesso che li aveva scaldati, stava passando a un tono più alto. - Molte sono le ragioni offerte. I filosofi parlano di ricerca scientifica pura, delle grandi domande relative alle origini del sistema solare che potrebbero essere risolte con la comprensione delle più fondamentali questioni dello spazio.

«Altri credono che noi ora siamo sulla cometa di Halley perché si trovava là... o meglio, "qui"!» Sorrise. «E perché "non" andarci soltanto perché è affascinante farlo? Questo iceberg volante è sfrecciato sopra le teste di noi terrestri per migliaia di anni, incantando tanti dei nostri antenati...» Cruz sollevò un sopracciglio, «e spaventando a morte non pochi di loro.

...

- ... cercare nuovi composti chimici, o forse per venir usati nella terraformazione di mondi, donando la vita ai pianeti nostri fratelli che sono stati meno abbondantemente dotati rispetto alla nostra amata Terra.

«Forse qualcuno di voi si è offerto volontario per tutta la paga promessa in cambio del servizio richiesto, per la maggior parte settantacinque anni passati a dormire sul lavoro.

Applausi ed evviva, stavolta. Fischi di approvazione.

Cruz allargò le mani.

- Ma ci sono due ragioni speciali, per cui dovevamo venire qua, così lontani da casa, per una missione che separerà la maggior parte di noi in maniera permanente dalle nostre famiglie e dai nostri conoscenti tutti.

«Per prima cosa, e sarò franco con voi, molti sulla Terra guardano a questa missione, con i suoi molti membri di estrazione genetica alterata, come una prova della capacità dell'umanità di elevarsi al di sopra della superstizione e dei pregiudizi. Per cento anni la gente di buona volontà ha combattuto per svezzare la nostra specie dalle reazioni tribali più radicate, da quella paura dell' "altro", del "diverso", che ha causato un tale odio e orrore da tempi immemorabili...

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 227 [ computer, programma, simulazione, sento/penso, macchine al silicio ]

TU MI HAI FATTO... Virginia notò sorpresa che c'era un'autentica esitazione in uqella trasmissione. Non faceva parte della simulazione, ma era una vera incertezza... PERCEPIRE IL SIGNIFICATO AMBIGUO DI SIMILI STROFE. LA VIRTU` DELL'INDEFINITO.

Immaginò che il programma fosse riluttante a utilizzare il termine "sentire" e avesse scelto "percepire" soltanto dopo una lunga ricerca per confronto, e una disputa interiore. Le macchine non condividevano la casualità confusa dei sensi e dei pensieri umani, dal momento che i canali dei loro input erano enormemente diversi, Jon Von, però, poteva trarre in inganno i profani facendo loro credere di essere una persona vera, usando le parole nella usuale maniera evasiva degli esseri umani. Di solito la gente diceva "io sento" per "io penso", mentre invece le macchine, di solito, mantenevano delle pareti stagne fra i due significati.

Ed era anche questa una delle ragioni per cui stava facendo tutto ciò. Gettate un sasso a una donna, e lei potrà rapidamente digerire tutte le informazioni che arrivano dai canali sensoriali, elaborarle sotto forma di vettori intuitivi, velocità e angoli, per poi precipitarsi avanti, di lato, trovando soluzioni approssimate, tutto per scoprire da quale parte dovrà lanciarsi per schivarlo.

Le macchine basate sul silicio potevano farlo ugualmente, ma in maniera molto diversa. Preferivano (intendendo che gli umani erano di gran lunga migliori nel programmarli) assumerlo come un problema di meccanica, stabilendo le condizioni iniziali in maniera del tutto chiara e pulita, per poi integrare le equazioni del movimento in avanti per vedere l'esatto risultato. "Bene. Soltanto che a questo punto sei morta".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 231 [ ricordi, memoria ]

Così lei aveva deciso di tentare uno dei suoi sogni esoterici, a bassa probabilità: lasciare che Jon Von leggesse le "sue" capacità. I suoi riflessi erano egualmente stocastici e olografici. "Lui" li avrebbe sen'altro capiti.

La tecnologia era disponibile, se si sapeva dove cercarla. Il cervello immagazzinava i ricordi secondo l'orientamento degli elettroni, nel profondo delle cellule e delle sinapsi. In teoria era possibile leggere le direzioni verso cui puntavano questi elettroni. Tutto quello sciame di spin immagazzinava informazioni. Le complicate rotazioni e trazioni necessarie per ruotare un polso, per puntare un dito... Virginia disponeva già di buoni programmi che traducevano i movimenti umani nei movimenti dei mech. Se Jon Von avesse potuto immagazzinare le sue stesse capacità motorie, avrebbe potuto prendere, per così dire, in mano buona parte della direzione dei mech.

| << |  <  |