|
|
| << | < | > | >> |Pagina 31Il nuovo libraioUn mazzo di chiavi logore e rossastre, di cui una colpiva per l'anacronistica mole e vetustà. Una chiave coperta di calcare ferrigno, come recuperata dal fondo dell'oceano, con un'impugnatura ovale attraversata da arabeschi metallici, minuscolo cancello di un giardino di fate. Il collo della chiave è esageratamente lungo e termina in un profilo di mostro dentato, scanalato, in una merlatura tormentatissima come se suo compito non fosse aprire una serratura, ma confrontarsi con lei in una partita di astuzie, mosse e contromosse, dente contro anfratto, pieno contro vuoto, artiglio contro fauce. Come se, una volta entrata nella porta, dovesse rimanere prigioniera per sempre, saldata nell'incastro amoroso. Una chiave non per aprire, ma per sigillare in eterno. ...
Eccolo lì sul muro il ritratto
del vecchio proprietario: piccolo,
barbuto, con un caschetto bianco di
capelli da fratacchione.
Settant'anni ma ne dimostra
trecento, come alcuni dei suoi
volumi. Leggendarie le sue manie e
bambinaggini: ad alcuni clienti non
voleva vendere, ad altri parlava in
latino, ad altri ancora metteva in
mano i libri per vedere (così
diceva) se si creava tra loro "una
corrente di simpatia". Molti libri
li conservava addirittura nascosti
in scansie segrete. Spesso, per
simpatia, vendeva libri rari a
prezzi irrisori. Molti li spediva,
dentro pacchettini di maniacale
precisione, a università giapponesi
e americane. E portando questi
pacchi alla posta, l'andatura
ciondolante, a capo scoperto anche
d'inverno, parlava tra sè. Si
diceva che spiegasse ai libri quale
viaggio stavano per intrapendere,
che li consolasse della partenza,
che li avvertisse degli usi e dei
costumi del paese ove avrebbero
vissuto, e degli eventuali
pericoli. Al momento di consegnarli
in posta, carezzava i pacchetti a
uno a uno, e formulava a bassa voce
auguri di buon viaggio. Talvolta,
tra gli sguardi comprensivi degli
spedizionieri, si abbandonava al
pianto.
|