Autore Franco Berardi Bifo
Titolo Quarant'anni contro il lavoro
EdizioneDeriveApprodi, Roma, 2017, n. 132 , pag. 384, cop.fle., dim. 14x23x2,2 cm , Isbn 978-88-6548-197-4
CuratoreFederico Campagna
LettoreFlo Bertelli, 2017
Classe sociologia , lavoro , politica , movimenti , paesi: Italia: 1970 , paesi: Italia: 1980 , paesi: Italia: 1990 , paesi: Italia: 2000 , scienze sociali












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Prefazione                                                5
Federico Campagna

Canone bifido                                             9


                            1970s

Settanta ancora                                          15
Nanni Balestrini

FINALMENTE IL CIELO CADUTO SULLA TERRA

La rivoluzione è giusta necessaria possibile             17
Nelle assemblee di massa dell'università
    emerge il nuovo soggetto proletario                  19
Dal lirico all'epico (evitando il tragico)               20
Costruire il movimento di liberazione del lavoro         22
Grande disordine sotto il cielo                          25
Autonomia-potere; rifiuto del lavoro                     26

PER L'AUTONOMIA

Proletariato giovanile                                   28
Per l'autonomia                                          30
Dialettica del rimosso                                   32
Registrazione (quasi) teorica
    di frammenti di una storia personale                 36

CON TUTTA LA NOSTRA INTELLIGENZA

Scrittura e movimento                                    47
Chi ha ucciso Majakovskij?                               56
Alice: simpatia e ipocrisia                              63
Non sarà la paura della follia                           65
Con tutta la nostra intelligenza                         66

IRONICO FELICE                                           69


                            1980s

New York                                                 77
Maurizio Torrealta

LA TRAVERSATA DEL DESERTO

California Dreamin': introduzione                        80
Dell'innocenza: introduzione                             95
Movimento creativo e lavoro produttivo                   98
La traversata del deserto                               102
Game over, poema videoelettronico
    (con Enzo Crosio)                                   105
Movimento sperimentazione arte                          107

PER UN PENSIERO INNOCENTE

Per un pensiero innocente                               11O
La verità come libertà dal conosciuto                   114
Senso e deriva                                          119
Perdere tempo                                           123

PENSIERO, COMUNICAZIONE, TERAPIA

Pensiero, comunicazione, terapia                        132
Antropologia e trasformazione                           135
Tribù videoelettroniche                                 142

SULLA QUESTIONE DELLA TECNICA

La rivoluzione è finita, abbiamo vinto                  145
Sulla questione della tecnica                           149
Il lavoro come categoria antropologica                  154

GAME OVER                                               164


                            1990s

Cybercultura e semio-capitalismo                        171
Marco Jacquemet

ATTRAVERSO L'IMPERO DEL PEGGIO

Attraverso l'impero del peggio                          178
Bisogna resistere alla mutazione?                       182
Cyberpunk (sintesi finale)                              185

INFOSFERA, CYBERSPAZIO, PSICOCHIMICA

Infosfera, cyberspazio, psicochimica                    188
Reale è il senza tempo                                  192
L'ispessimento della crosta infosferica                 195
La transizione tecnocomunicativa                        196
Produzione di senso in transizione                      197
Semiosi ermetica e transizione paradigmatica            198
Linguaggio e mutazione                                  201
Esplorazioni ermetiche                                  203
Il mondo come proiezione                                204
La sorpresa                                             206

TRAPPOLE DELL'IDENTITÀ

Trappole dell'identità                                  209
Una regressione spaventosa                              212
Il nucleo dell'identità                                 214
Albanesi                                                217
Nella deriva dell'identità                              219
Soggettivismo e scismogenesi                            222
Comunità radicata e comunità secessiva                  225
La libertà                                              227

PSICOPATIE

Epidemia mentale contemporanea                          229
Rumore, silenzio, bellezza                              234
Psicopatologia della comunicazione                      238
Psico-nazi                                              253
Della rudezza                                           258
Terapie                                                 259

CIBERNAUTI MEDIATTIVI                                   265


                            2000s

Run Morphogenesis                                       269
Alessandro Sarti

L'ANOMALIA ITALIANA

Nel dominio dell'aleatorietà                            274
L'anomalia italiana                                     277
La controriforma e la specificità italiana              278
Lazzaroni                                               280
Deregulation liberista e lumpen-bourgeoisie             281
Conclusione                                             284

SKIZO-ECONOMIA

Skizo-economia                                          287
Semiotica della schizofrenia                            297
Il contesto sociale dell'epidemia depressiva            298

DEI PONTI SULL'ABISSO

McLeod Ganj, 26 luglio 2001                             302
Il caos e l'amicizia                                    306
La caosmosi                                             308
Nomadismo linguistico                                   313
Dei ponti sull'abisso                                   318
Conjunction/connection                                  320

CHE SIGNIFICA OGGI AUTONOMIA?

Che significa oggi autonomia                            324
Il comunismo è tornato, ma dovremmo
    chiamarlo terapia di singolarizzazione              329
Il sapiente il mercante il guerriero                    340
Intellettuali e cognitariato                            345
La ragione e la forza                                   348

MANIFESTO DEL DOPOFUTURISMO

Il secolo che credeva nel futuro                        352
Attivismo                                               354
La depressione di Lenin                                 355
Psicosfera Fragile                                      358
Manifesto del dopofuturismo                             366


SCEPTICAMENTE                                           368

INFORMAZIONI SUI TESTI RACCOLTI                         371

BIBLIOGRAFIA                                            375


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 5

Prefazione
Federico Campagna



                    È grigia, caro amico, qualunque teoria.
                    Verde è l'albero d'oro della vita.
                                              Goethe, Faust



Ragionando sulle infinite forme imprigionate dentro un blocco di marmo, Michelangelo Buonarroti descriveva la scultura come quell'arte che si produce «per forza di levare». Così anche il Vasari, secondo cui la specificità della scultura consiste proprio nel levare il superfluo dalla materia, per ridurre a forma di corpo ciò che nella mente dell'artista è già disegnato. Di fronte alla mole di scritti prodotti da Franco Berardi Bifo nel corso di oltre quarant'anni di (anti) lavoro intellettuale, le parole dei maestri rinascimentali non possono che tornare alla mente.

Il lavoro di un curatore, quasi come quello di uno scultore, si svolge per «forza di levare», sottraendo, selezionando, sacrificando testi e linee di fuga, in favore di una – e una sola – immagine completa. E tuttavia, nel caso della produzione di Bifo, l'immagine finale che si ottiene dopo un lungo scolpire stenta a trovare una sua forma conclusa, una forma che sia una e una sola.

Dagli anni Settanta fino al secondo decennio del Duemila, il pensiero di Bifo si è sviluppato secondo una traiettoria che è difficile definire come linearmente evolutiva. Con una fluidità che certo sarebbe stata vicina alla filosofia del suo vecchio amico Felix Guattari, il pensiero di Bifo si sviluppa per espansione, sprofondamento, riemersione, mulinello ed esplosione. Dall'autonomia al punk, all'innocenza, al cyber, e di nuovo al punk, all'autonomia, all'ecologia della mente, e nuovamente al cyber, alla psicopatia, al nazismo, alla tecnologia, all'autonomia... Come il sangue che fluisce nelle vene, lo sguardo di Bifo scorre più volte lungo gli stessi percorsi e ogni volta ritorna diverso, arricchito di nuove materie e di nuovi flussi. Si concentra nel cuore, riposa un attimo prima del battito, poi riesplode.

Si sarebbe tentati di dire che nessun'altra dinamica intellettuale sarebbe stata possibile — o plausibile — per un pensatore che ha attraversato nell'arco di qualche decennio il ponte tra modernismo, postmodernismo e contemporaneo. Sfidando sin da giovanissimo il dogma istituzionale delle grandi narrazioni, Bifo ha proseguito a ogni passo un'esplorazione veramente rizomatica tanto delle possibilità della composizione sociale, quanto di quelle dell'immaginazione e quelle della narrazione.

E tuttavia, questa osservazione non è sufficiente a spiegare il carattere del pensiero «bifiano». Il fatto è che la produzione letteraria di Bifo non è uno dei tanti residui cartacei che le varie atmosfere culturali scaricano nel loro transito sugli scaffali delle biblioteche. I testi di Bifo sono carichi di citazioni, riferimenti, rimandi ad altri testi — e tuttavia l'origine di ogni suo scritto non è mai da ritrovarsi sui ripiani polverosi dell'accademia, ma sempre e infallibilmente, nel corpo stesso del pensatore. Prima che nella penna, o nella tastiera, l'origine dei testi che compongono questo volume è nel corpo dell'autore, e in nessun altro luogo se non nel suo corpo. Un corpo, come tutti i corpi (inclusi quelli sociali), che è fatto tanto di carne desiderante quanto di pensiero desiderante, tanto di infosfera neuronale quanto di ossatura comunicativa. Un corpo che, come tutti i corpi, è già di per sé Storia, senza il bisogno di chinare il capo alle speculazioni astratte delle narrazioni storiografiche.

Seguendo il filo del respiro, i testi racchiusi in questo volume si dipanano con un ritmo di alte e basse maree, aprendosi e chiudendosi, tra entusiasmo e disperazione, partecipazione ed esilio, solitudine e condivisione. Soprattutto, condivisione: «dividere insieme». Dividersi, insieme. Essere «dividui», piuttosto che individui. E nel dividersi, ricomporsi.

È così che i brani di questo volume si alternano tra i testi scritti da Bifo e testi scritti da altri «dividui», altri frammenti in ricomposizione. Nanni Balestrini, Maurizio Torrealta, Marco Jacquemet, Alessandro Sarti sono solo alcuni tra i tanti in cui la vita e il pensiero di Bifo hanno trovato risonanza nel corso del tempo, e che nel corso del tempo, a loro volta, hanno aperto risonanze nella vita e nel pensiero di Bifo. Come ci insegna Bifo stesso, il corpo sociale è una composizione di corpi fisici, e i corpi fisici esistono a loro volta in quanto corpi sociali — punti di intersezione, biforcazioni, superfici di contatto e di trasferimento di flussi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 154

IL LAVORO COME CATEGORIA ANTROPOLOGICA [1987]


La questione del lavoro è centrale nel pensiero filosofico e politico degli anni Sessanta e Settanta. Ma il '77 rappresenta il momento in cui la consapevolezza del carattere alienato del lavoro sociale giunge a una svolta, attraverso un'espressione esplicita del rifiuto del lavoro.

Occorre anzitutto tener conto di alcune precisazioni concettuali: la nozione di lavoro è da intendersi nel senso di lavoro salariato, lavoro alienato, cioè attività che non è padrona di se stessa, che non conosce la sua finalità, che non appartiene al soggetto che la svolge, e i cui prodotti sono espropriati, sottratti, contrapposti al lavorato.

Non è giusto dire che il lavoro è la relazione fra uomo e natura, che permette all'uomo di trasformare la natura facendone ambiente, mondo umano, mondo culturale. O meglio è giusto solo a metà, perché così facendo si ipostatizza il concetto di lavoro, lo si naturalizza. Il lavoro è una forma particolare del rapporto fra uomo e natura.

L'attività si trasforma in lavoro quando l'uomo si appropria del tempo dell'altro uomo; quando il conquistatore risparmia la vita dello sconfitto, e dunque sospende la sua morte sottomettendone l'attività.

Il lavoro è morte sospesa. Non tutte le forme di attività e di trasformazione manuale, conoscitiva e tecnica assumono la forma sociale del lavoro. Il lavoro è quella forma di attività di trasformazione della natura che è espropriata, alienata, e piegata al dominio dell'uomo sulla natura e dell'uomo sull'uomo.

Questo carattere alienato dell'attività ha profondamente segnato la storia dell'umanità civilizzata, ma in particolare ha avuto una diffusione universale nell'epoca industriale.

La trasformazione industriale del mondo, la sottomissione della natura alla misura del dominio del mondo (che non è necessariamente una misura umana) è avvenuta grazie alla sottomissione del tempo di vita umano a ritmi di lavoro e a relazioni interpersonali che si possono sintetizzare soltanto col termine di infernali.

Ma oggi, mentre declina la forma industriale e si disgrega il sistema produttivo dominato dalle tecnologie ferrose, possiamo forse dire che con la tendenziale estinzione del lavoro manuale e con la progressiva intellettualizzazione del lavoro (o almeno di una parte considerevole di esso) questo carattere alienato dell'attività-lavoro si possa considerare superata? Niente affatto. Il paradigma relazionale che ha strutturato la prestazione di tempo nell'epoca dell'industrializzazione filtra attraverso le pieghe della transizione post-industriale, si riproduce entro i mutati contesti tecnologici, si sovrappone alle nuove forme di attività. È l'attività mentale stessa a trasformarsi in lavoro alienato, il funzionamento stesso della mente a sottoporsi al dominio e all'espropriazione.

Questo processo si manifesta in maniera duplice, contraddittoria: da un lato è vero che l'attività mentale appare potenziata, moltiplicata, quando si entra nell'era della tecnica; ma dal punto di vista della conoscenza concreta, dal punto di vista del singolo che conosce, si determina un effetto di impoverimento, di frantumazione e di spossessamento, che non costituisce una semplice sensazione psicologica, ma la sostanza del processo di sussunzione dell'attività mentale al processo di produzione di valore, al modello astratto del lavoro.

L'attività mentale è sempre più incapace di far fronte alla complessità del suo prodotto, perciò posta di fronte a un'alternativa mortale: o subire una frantumazione specialistica, oppure votarsi all'ineffettualità, alla perdita di ogni concretezza. Perdere l'intero o perdere il concreto.

Nel primo caso, l'intelligenza si fa performativa e determina effetti di settore, trasformazioni nel sistema di sapere tecnico. Ma perde consapevolezza delle conseguenze ambientali che la tecnica produce, e in particolare delle conseguenze che essa produce nell'ambiente-mente, nell'attività mentale umana stessa.

Nel secondo caso, essa allarga la sua consapevolezza alla complessa interazione fra il singolo processo e l'intero movimento uomo-natura, alla complessa interazione mente-mondo, ma non può agire in essa efficacemente, non «vince», non lascia segni nel mondo tecnico-economico in cui all'attività ragionante è chiesto il massimo di produttività settoriale.

[...]


L'attenzione deve spostarsi dalla dimensione economica a quella antropologica, se si vuole comprendere per intero la questione del lavoro. L'analisi critica del capitalismo deve farsi analisi critica del moderno in quanto dimensione epocale definita dal predominio dell'economia sulla tecnica.

Questa messa in questione della dimensione antropologica su cui il capitalismo si fonda è uno dei caratteri peculiari dei movimenti culminati nel '77, a partire dal movimento femminista, che proprio su questo spostamento dell'attenzione dalla struttura economico-politica alle categorie antropologiche del patriarcato e del familiarismo ha il suo punto di origine.

Il dominio è la condizione antropologica di possibilità del rapporto di produzione capitalistico. Il dominio è la sussunzione della vita e dell'attività umana entro il modello di funzionamento economico (entro la legge del valore) e di conseguenza è la sottomissione del mondo naturale e umano da parte della tecnica.

Entro questo contesto categoriale viene a emergere la questione del tempo di vita, della qualità della vita quotidiana. Il terreno sul quale il processo di sottomissione della vita umana al rapporto di produzione si svolge è questo: il depauperamento del mondo esperienziale.

Quanto più povera è la vita quotidiana, quanto più essa è infelice, tanto più può affermarsi il dominio capitalistico sul tempo di vita. Quanto più misera è la relazione sociale, tanto più facilmente e completamente può venir sottomessa alla produzione di valore. Insomma, il predominio dell'economia sulla vita presuppone una condizione antropologica che si realizza attraverso lo svuotamento e la colonizzazione del tempo di vita.

[...]


La nevrosi, oggetto dell'attenzione analitica freudiana, costituisce la condizione della sofferenza che si sottomette al giudizio disciplinante della norma. Spostando il fuoco dell'attenzione analitica dalle nevrosi alla schizofrenia si rovescia il rapporto fra normalità e follia. Come già aveva affermato l'«antipsichiatria» di Ronald Laing e David Cooper, la follia non è comprensibile sulla base della norma che essa disconosce.

Allo stesso modo, il sistema capitalistico può venir giudicato da quella follia che si incarna nel tempo di vita liberato dal lavoro. Non parliamo allora di disoccupazione, ma di tempo liberato perché abbiamo cambiato punto di osservazione, spostandoci dal modello dominante ai suoi margini.

L'esperienza sociale di comunità (che nel '77 si definirono come piccoli gruppi), quella rete di relazioni alternative che costituiscono la base delle culture giovanili degli anni Sessanta e Settanta, viene investita della funzione di innescare il processo di liberazione. Liberazione del tempo di vita e dell'attività dal lavoro, ma anche liberazione dell'immaginario dal predominio della norma.

Il proletariato in liberazione (portatore del tempo di vita liberato) non costituisce dunque il soggetto politico o il motore sociale di un movimento di liberazione dal lavoro salariato – ma ne costituisce la condizione antropologica, la condizione immaginaria.

La cultura dei movimenti desideranti venne però assorbita e distrutta dalla transizione post-industriale, perché questa sfuggiva nella sua essenza al pensiero critico.

Il processo che in Italia si mette in moto negli anni successivi al '77, è in effetti descrivibile come la sussunzione del ceto produttivo e creativo formatosi nella cultura dei movimenti, e l'espropriazione della sua cultura da parte dei nuovi cicli produttivi legati alla telecomunicazione, alla moda, alla pubblicità, all'informazione.

Il processo di liberazione del tempo di vita dal lavoro di fabbrica si realizza, in parte, con l'eliminazione tendenziale del lavoro operaio – ma questo non si svolge affatto nei termini di una liberazione collettivamente organizzata, bensì nella forma di una sottomissione dell'attività creativa, intellettuale, scientifica, trasformandola in lavoro, costringendola a subire quel processo di svuotamento e omologazione che aveva contrassegnato l'alienazione del lavoro manuale. Il lavoro della mente viene assunto nella categoria generale del lavoro astratto.

I movimenti creativi degli anni Settanta — che si proponevano di creare le condizioni antropologiche per la liberazione del tempo di vita del lavoro manuale – hanno in effetti realizzato la condizione antropologica per la sottomissione dell'attività mentale alla forma del lavoro astratto.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 185

CYBERPUNK (SINTESI FINALE) [1990]


Cyberpunk è un modo per riflettere sulla turbinosa mutazione della sensibilità che investe l'organismo cosciente nell'epoca delle tecnologie di simulazione. Cyberpunk è una interrogazione radicale sulle tecnologie virtuali all'opera nella società contemporanea.

Con cyberpunk si intende propriamente una tendenza della letteratura di fantascienza ( William Gibson , autore di Neuromance, di Burning Chrome, Count Zero e Monalisa overdrive, Bruce Sterling , autore di Scismatrix, e qualche altro scrittore californiano). Ma si può estendere questo concetto a una tribù poetico-elettronica molto più vasta: la tribù portatrice della mutazione psicocognitiva correlata all'invasione del nostro sistema psicochimico da parte di un'infosfera non più simbolico-persuasiva, ma piuttosto configurazionale e pervasiva.

La vibrazione fredda ed elettronica del «cyber» interferisce con la vibrazione rabbiosa della distopia punk. Il cyberpunk sposta il campo della battaglia e dell'avventura dentro la mente, o piuttosto verso il cyberspace, luogo dell'intersezione delle proiezioni psicodinamiche e telematiche. Flussi di mutazione, di alterazione tecnologica e chimica.

Tecnologie comunicative e droghe: questi sono i temi collegati alla mentalizzazione. L'analisi dei processi sociali diviene sempre di più psicochimica, analisi della miscelazione, contaminazione tra regimi tecno-comunicativi differenti e integrati, e anche tra regimi di alterazione chimica e psicotropica. Il cyberpunk esce definitivamente dall'universo della sensibilità moderna, storicista e romantica. Il mondo non è più la sfera del divenire storico ma lo spazio di intersezione tra derive cyber.

Il concetto centrale del sistema fantastico di William Gibson è quello di sim/stim (stimulated stimulation), cioè la riproduzione e la simulazione del sistema sensorio.

Il sensorio umano viene amplificato ed esteso dalle tecnologie tele-fono-visive; si può ipotizzare un sistema tecnico di teletrasmissione dell'esperienza vissuta. Vai dal rivenditore e ti compri una cassetta che contiene la memoria preregistrata di un esperienza vissuta da qualcun altro: un viaggio in Marocco o una serata erotica. Poi torni a casa e ti sintonizzi su quella frequenza cerebrale.

La fantasia letteraria di Gibson e degli altri cyberpunks può essere collegata a una concezione tecnologica denominata Virtual Reality, di cui Jaron Lanier è il profeta e lo sperimentatore. Cosa significa realtà virtuale? Significa simulazione di scenari percettivi a cui viene esposto l'organismo umano, e stimolazione diretta dei circuiti neuronici per realizzare reazioni psicopercettive programmabili nel sistema psicofisico del soggetto immerso in realtà virtuale.

Il congegno tecnico che sintetizza il significato della virtual reality si chiama Data Glove ed è in corso di realizzazione nei laboratori finanziati dalla Nasa presso i quali Lanier si trova a lavorare.

Le ricerche di Jaron Lanier a proposito della realtà virtuale si muovono nella direzione delle fantasie letterarie di William Gibson. In entrambi i casi, si tratta di mettere a disposizione di chi lo voglia dei programmi contenenti memorie di esperienze preregistrate. Ma in un certo senso questa possibilità era stata prevista da Steven Spielberg in una sua intervista del 1979, nel corso della quale aveva affermato che il cinema e la televisione non sono che tecnologie di prova della tecnologia del futuro la quale consisterà in un sistema di invio diretto di stimolazioni neuronali che dai satelliti raggiungeranno direttamente il cervello degli individui che vogliano sintonizzarsi. La stimolazione provocherà stati di umore, sensazioni, impressioni visive, tattili e auditive, insomma vere e proprie esperienze registrate, codificate e teletrasmesse.

Queste ricerche, e queste esplorazioni fantastiche o tecnologiche, sono probabilmente un campo sul quale è destinata a muoversi la pubblicità nel futuro non tanto lontano. Consideriamo la pubblicità come un linguaggio di tipo pervasivo, performativo, e configurazionale che si sovrappone e parzialmente si sostituisce al linguaggio persuasivo, logico e discorsivo della comunicazione verbale che fino a oggi è apparsa predominate. In un certo senso la pubblicità recupera e riattualizza a livello di alte tecnologie comunicative le tecniche comunicative proprie del mito.

Come il mito, la pubblicità deve costruire un ambiente sinestetico nel quale il destinatario viene immerso, assorbito. Ma la pubblicità deve oggi cercare nuove strade; la sua storia, fino a oggi, è legata a supporti (la carta o la televisione) che si stanno evolvendo. Il punto di arrivo di questa evoluzione potrebbe essere un supporto analogo a quello del Data Glove. La pubblicità in questo caso, però, giunge quasi a confondere con l'esperienza stessa del consumo. Dobbiamo ipotizzare un futuro in cui la pubblicità non è più tanto la sollecitazione ad acquistare qualcosa, ma piuttosto una sollecitazione sinestetica e avvolgente che esaurisce il processo stesso del consumo. Insomma invece che sollecitarti ad acquistare un viaggio in Marocco la post-pubblicità dovrebbe offrire la sostituzione sintetica dell'esperienza vissuta, con possibilità di scelta, di mutamento, di replay ecc.

Tutti questi discorsi evidentemente prescindono del tutto da una considerazione di tipo etico, politico, ed estetico sulla mutazione che ci sta investendo. Il cyberpunk è una sorta di presagio di questa mutazione, non una critica.

Cyberpunk è, in questo senso, una riflessione disincantata e allucinata sull'universo delle tecnologie di simulazione e un sistema di puntamento delle antenne della sensibilità letteraria sulla lunghezza d'onda dell'infosfera elettronizzata.

Niente di più per il momento, ma si tratta di una svolta decisiva che non coinvolge soltanto la letteratura fantastica, ma l'interezza delle nostre attese di mondo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 188

Infosfera, cyberspazio, psicochimica





INFOSFERA, CYBERSPAZIO, PSICOCHIMICA [1994]


La nozione di esperienza deve essere ripensata.

Quando il sistema tecnologico di trasmissione dei segnali si trasforma, mutano anche i segnali stessi, e il messaggio che essi veicolano.

Diciamo allora che muta l'infosfera, ecosfera tecno-comunicativa.

Ma quando muta l'infosfera, tende a mutare anche il ricevitore umano, il terminale cosciente, l'organismo biostorico intelligente (la psicochimica).

Con il termine infosfera intendiamo 1'ecosfera mentale, cioè l'ambiente nel quale la nostra mente si trova immersa e dal quale riceve stimoli cognitivi di ogni genere, la sfera in cui circolano i segni portatori di significato, di intenzione, di informazione; l'universo delle sollecitazioni informative che circondano il terminale umano.

Con la parola psicochimica intendo invece l'effetto psichico dell'esposizione della mente all'infosfera, il sistema mutante dell'attività cognitiva e immaginaria, cioè il risultato psichico della mescolanza particolare di sostanze informative che investono l'organismo cosciente in provenienza dall'infosfera. Con la parola cyberspazio, di derivazione letteraria e fantascientifica, intendiamo l'universo come spazio di interconnessione dell'attività mentale di infiniti agenti di senso dotati di strumenti per la trasmissione e la ricezione di segni. Cyberspazio è la sfera di relazione tra organismi bioinformatici.

Il mondo è la totalità delle proiezioni di stati cognitivi attuali (esperienze esperite) e degli stati cognitivi possibili (esperienze virtuali).

La frenetica trasformazione quantitativa e qualitativa dell'ambiente infosferico produce una mutazione dell'organismo cosciente.

La trasformazione dell'ambiente tecno-comunicativo agisce su vari piani: in primo luogo, determina un mutamento delle fonti di emissione, delle fonti dalle quali il messaggio promana e degli strumenti attraverso i quali il messaggio viene portato a destinazione. In secondo luogo, però, determina anche un mutamento delle modalità di ricezione e della disposizione stessa del destinatario.

Per studiare il modo in cui cambia la disposizione del destinatario, e il modo in cui la trasformazione tecnocomunicativa agisce sul terminale umano della comunicazione dobbiamo affrontare non solo l'aspetto tecnologico, ma anche quello culturale, sociale, e infine l'aspetto cognitivo implicato dal processo di trasmissione comunicativa.

Pierre Lévy parla a questo proposito di «ecologia cognitiva». L'ecologia cognitiva è una disciplina che studia il divenire del pensiero in funzione delle condizioni ambientali che lo determinano. L'ambiente dell'attività cognitiva è, in primo luogo, costituito dalle tecnologie di comunicazione, dai sistemi che rendono possibile lo scambio e l'intersezione.

La nozione di ecologia cognitiva ribalta completamente la prospettiva kantiana. La teoria kantiana della conoscenza ruota intorno al soggetto trascendentale, all'«io penso» che costituisce le condizioni di pensabilità del reale, e di conseguenza istituisce il reale in quanto pensabile. È inutile dire che l'impostazione kantiana ispira in maniera diretta il filone principale del pensiero cognitivista degli ultimi decenni, che considera il processo di conoscenza come l'esecuzione di un programma generativo innato e – nel senso kantiano – trascendentale.

«Ogni ecologia cognitiva» osserva Pierre Lévy «a causa del suo interesse per i mescolamenti e per gli inscatolamenti frattali di soggettività e di oggettività, si presenta come una antitesi dell'approccio kantiano della conoscenza, così preoccupato di distinguere quel che riguarda il soggetto e quel che attiene all'oggetto».

La concezione kantiana ipostatizza un soggetto trascendentale sottraendolo al processo storico, e in generale a ogni processo di trasformazione dell'ambiente in cui l'attività del pensiero si svolge. La domanda «chi pensa?» non si pone in ambito kantiano, perché la risposta viene formulata una volta per tutte attraverso l'analitica trascendentale.

A questa ipostasi del soggetto pensante dobbiamo rispondere che il processo di pensiero è un processo che non si può soggettivizzare né ipostatizzare, perché coinvolge l'insieme delle condizioni ambientali e oggettuali entro il quale si svolge.

Riferendosi a questa rete di condizioni ambientali e oggettuali che rendono possibile lo svolgersi dell'attività cognitiva, Pierre Lévy usa l'espressione: «ça pense». Cioè il pensiero si svolge «in una rete in cui dei neuroni, dei moduli cognitivi, degli uomini, delle istituzioni di insegnamento, delle lingue, dei sistemi di scrittura, dei libri e dei calcolatori si interconnettono, trasformano e traducono delle rappresentazioni».

Non uso casualmente né con leggerezza l'espressione «mutazione».

Essa richiama alla mente un certo processo di irreversibile mutamento biologico e genetico dell'organismo. La mia tesi è proprio questa: le trasformazioni che investono l'ambiente tecno-comunicativo, e che si trasferiscono sul mondo dei segni e degli oggetti che circondano l'organismo umano, alterando la sua percezione, i tempi e le modalità delle sue reazioni, finiscono per produrre un mutamento delle stesse modalità di elaborazione che la mente compie su questi materiali. Poniamo che l'esposizione a una certa sostanza provochi una reazione dell'organismo, e che poi, poco alla volta, l'organismo si abitui a riconoscere quella sostanza modificando parzialmente o del tutto il suo comportamento o addirittura le sue caratteristiche morfologiche. Supponiamo che questo mutamento dell'organismo si trasmetta in qualche modo (per via genetica, o per via di informazione) agli altri organismi dello stesso genere. Ecco che abbiamo una mutazione.

Ebbene proprio questo accade nell'epoca di transizione tecno-comunicativa nella quale noi siamo immersi. L'ambiente tecno-comunicativo da cui la mente umana è sollecitata muta drammaticamente: mutano la velocità di trasmissione dei segnali, il supporto della trasmissione, il rapporto tra segni e referenti virtuali, la quantità complessiva di informazione... L'organismo cosciente è esposto a un ambiente al quale deve adeguarsi. Il processo di riorientamento non è certamente né lineare né consapevole, ma segue percorsi difficili da comprendere, anche perché chi cerca di analizzare questo processo è coinvolto a sua volta. Si sviluppano nuove competenze, e queste nuove competenze si trasmettono da un organismo a un altro come per via di un contagio virale.

In questo senso parliamo di mutazione.




L'erotismo e l'estetica nell'orizzonte della mutazione


Per analizzare le linee generali di questa mutazione mi propongo di concentrare l'attenzione su due dimensioni dell'esperienza: quella erotica e quella estetica, che vivono in simbiosi e in contraddizione.

Cosa significa esperienza erotica, e in che senso possiamo contrapporla all'esperienza estetica?

L'erotismo è definito da Bataille come «amare la vita fin dentro la morte».

L'erotismo è la percezione della bellezza come venir meno, come decomposizione e sfiorire, come godimento dell'essere nel tempo.

L'estetica è la sfera entro cui la bellezza è percepita come intemporalità, come godimento dell'artificio.

La modernità mette in atto un progetto di totale dominazione della natura da parte dell'artificio. In questo senso possiamo parlare di estetizzazione del mondo e dell'esperienza.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 274

L'anomalia italiana





NEL DOMINIO DELL'ALEATORIETÀ [2009]


Una sera dell'ottobre del 1977, mentre i fuochi delle rivolte studentesche si stavano spegnendo, Silvio Berlusconi incontrò Mike Buongiorno, l'uomo che ha accompagnato, con la sua presenza sullo schermo, tutta la storia della televisione italiana. Cenarono insieme in un ristorante milanese, e dalle loro intelligenze semplici nacque una macchina di linguaggio straordinaria, capace di penetrazione biopolitica mutagena nel cervello italiano. Fin da allora il capitale berlusconiano si muove in maniera perfettamente ricombinante: dopo aver costruito la sua base finanziaria sull'immobiliare, investe nella pubblicità, nelle assicurazioni, nel calcio e nella televisione.

Per mettere in moto questo enorme conglomerato, Silvio Berlusconi, iscritto alla loggia segreta P2 e amico di personaggi in odore di mafia come Marcello Dell'Utri, viola molte delle leggi della Repubblica italiana: falso in bilancio, corruzione di magistrati, conflitti di interessi. Per vent'anni si destreggia tra magistrati, giornalisti e istituzioni che lo accusano di non rispettare la legge. Ma che cos'è la legge? Effetto di linguaggio che si dissolve quando cambia il senso comune. E nell'arco di tre decenni il senso comune è cambiato perché la macchina mediatica berlusconiana per trent'anni vi ha inoculato sostanze linguistiche perfettamente dosate per produrre il rumore bianco.

Lungi dall'essere un fenomeno di ritardo o un'anomalia transitoria, il fenomeno Berlusconi è stato, fin dagli anni Ottanta e Novanta, un segnale dell'epoca che viene, anzi è ormai qui. In questa epoca si è costituita una infrastruttura di ingegneria della psicosfera, capace di modulare gli umori e di produrre l'opinione, ma soprattutto capace di distruggere la sensibilità psichica e la socialità empatica nelle nuove generazioni, indotte a scambiare il flusso televisivo ininterrotto per «il mondo».

Il capitalismo contemporaneo può essere definito come semio-capitalismo; perché la forma generale della merce ha carattere semiotico, e perché il processo di produzione è sempre più interamente elaborazione di segniinformazione. Nella sfera del semio-capitale, la produzione economica è sempre più strettamente intrecciata con processi di scambio linguistico, come nei loro libri spiegano con chiarezza Christian Marazzi e Paolo Virno.

Grazie al linguaggio possiamo creare mondi condivisi, formulare enunciati ambigui, elaborare metafore, simulare eventi o semplicemente mentire. La semio-economia è creazione di mondi, castelli di metafore, di immaginazioni, di previsioni, di simulazioni e menzogne. Quale paese meglio di questo che è stato il paese della commedia dell'arte, può inserirsi in un sistema produttivo fondato sulla chiacchiera, lo spettacolo, l'esibizione?

L'economia industriale fordista si fondava sulla produzione di valore oggettivamente misurabile e quantificabile in base al tempo di lavoro socialmente necessario. L'economia post-industriale si fonda sullo scambio linguistico, sul valore della simulazione. La simulazione diviene elemento decisivo nella determinazione del valore. E quando la simulazione diviene centrale nei processi produttivi, la menzogna, l'inganno, la truffa entrano a far parte della vita economica non come eccezionali trasgressioni della norma, ma come la regola fondante della produzione e dello scambio.

Nella sfera del semiocapitale vigono leggi che non assomigliano alle leggi dell'epoca gloriosa dell'industria, relazioni che non assomigliano alla disciplina produttiva, all'etica del lavoro e dell'impresa, che dominavano il mondo del capitalismo industriale classico, quel capitalismo protestante che Michel Albert definisce «renano». Una trasformazione profonda si è determinata negli ultimi decenni, a partire dalla separazione del circuito finanziario dall'economia reale.

L'atto fondativo di questo processo di separazione fu l'arbitraria decisione presa da Nixon di abbandonare il sistema stabilito a Bretton Woods. Nel 1971, il Presidente americano decise di rescindere la regola della convertibilità del dollaro in oro e di affermare quindi l'autoreferenzialità della divisa americana. Nonostante i rovesci vietnamiti a quell'epoca la potenza americana aveva ancora la credibilità e la forza per imporre le sue decisioni come se fossero oggettive e inoppugnabili. Oggi quella forza e quella credibilità si stanno dissolvendo, il valore del dollaro precipita, e l'economia della simulazione entra per questo in una fase di instabilità.

Dal momento in cui Nixon comunicò al mondo la decisione di sganciare il dollaro da ogni vincolo di oggettività, il danaro divenne compiutamente quel che già era in essenza: puro atto di linguaggio. Non più un segno referenziale che rimanda a una massa di merci, a un quantitativo di metallo aureo, o a qualche altro dato oggettivo, ma un fattore di simulazione, un agente capace di mettere in moto processi arbitrari e indipendenti dall'economia reale. Perciò il semiocapitale è il sistema dell'indeterminatezza piena: la finanziarizzazione e l'immaterializzazione hanno portato, nei rapporti fra gli attori sociali, imprevedibilità e aleatorietà come non si era mai verificato nella storia precedente dell'economia industriale.

Nella sfera della produzione industriale fordista la determinazione del valore di una merce si poteva basare su un elemento certo: il tempo di lavoro socialmente necessario per produrre quella merce. Ma nella sfera del semiocapitale questo non è più vero. Quando il fattore principale della produzione di merci è il lavoro cognitivo, il lavoro dell'attenzione, della memoria, del linguaggio e dell'immaginazione, il criterio di valutazione non è più oggettivo, non può più essere quantificato sulla base di un referente fisso. Il tempo di lavoro ha smesso di valere come pietra di paragone assoluta.

In condizioni di aleatorietà dei referenti l'arbitrario diviene la legge: la menzogna, la violenza, la corruzione non sono più marginali escrescenze della vita economica, ma tendono a divenire l'alfa e l'omega della gestione quotidiana degli affari. Bande di criminali prendono decisamente il posto di comando. Il potere economico appartiene a coloro che posseggono macchine di linguaggio più potenti. Il governo del mediascape, il predominio nella produzione di software, il controllo sull'informazione finanziaria, queste sono le fonti del potere economico. E il dominio di queste fonti di potere non si stabilisce con la vecchia buona concorrenza in cui vince chi gestisce meglio le risorse disponibili, ma con la menzogna, l'inganno, la guerra. Non vi è più alcun potere economico che non sia criminale, che non violi i diritti umani fondamentali, primo fra tutti il diritto all'educazione, all'istruzione, all'autoconoscenza, il diritto a un'infosfera non inquinata.




L'ANOMALIA ITALIANA [2009]


Definire il regime che si è instaurato in Italia a partire dal 1994 (anno della prima vittoria di Forza Italia, il partito televisivo-calcistico) non è soltanto una questione nominalistica. Come già era accaduto in altri momenti della storia italiana del Novecento, negli anni di Berlusconi si manifesta un'anomalia italiana. E questa anomalia funziona come laboratorio, come sperimentazione di tendenze sociali. In altre occasioni della storia l'Italia è stata il laboratorio delle nuove tendenze. È accaduto nel 1922, quando l'Italia funzionò da laboratorio di sperimentazione delle tecniche di gestione populista e totalitaria, che presero nome di fascismo.

Anche negli anni Settanta si verificò una situazione anomala eppure esemplare: il '68 studentesco diede origine a una lunga fase di insubordinazione sociale e di autonomia dal lavoro che trasformò l'intera società. E a quell'autonomia sociale il potere rispose con la formazione di un sistema autoritario e chiuso fondato sull'alleanza delle due principali chiese del paese, la Chiesa cattolica e quella stalinista. Fu l'epoca del compromesso storico, della repressione giudiziaria contro i dissidenti. La chiusura politica del regime, la repressione dei movimenti di base provocò il rafforzamento delle formazioni armate e alimentò un'ondata di terrorismo culminata nel rapimento e nell'uccisione di Aldo Moro.

Ma in cosa consiste oggi l'anomalia italiana, in che senso l'Italia è laboratorio di nuove forme di potere? Abbiamo a che fare con una riedizione del regime mussoliniano, come suggeriscono molti segnali della vita politica italiana? No, non si tratta di un regime fascista. Questo regime non si fonda sulla repressione del dissenso, non si fonda sull'obbligo del silenzio, ma tutto al contrario, si fonda sulla proliferazione della chiacchiera, sull'irrilevanza dell'opinione e del discorso, sulla banalizzazione e la ridicolizzazione del pensiero, del dissenso e della critica. È vero che ci sono stati (e sempre più spesso ci saranno) casi di censura, di repressione diretta della critica e del libero pensiero, ma questi sono fenomeni tutto sommato marginali, rispetto al fenomeno essenziale, che è quello di un immenso sovraccarico informativo e di un vero e proprio assedio all'attenzione, accompagnata naturalmente dalla occupazione delle fonti di informazione da parte dell'azienda del capo.

Non si può in alcun modo assimilare l'attuale composizione sociale del paese con la composizione sociale, prevalentemente contadina e strapaesana dell'Italia degli anni Venti. Nei primi decenni del secolo Ventesimo, il modernismo futurista dei fascisti introduceva un elemento di innovazione e di progresso sociale, mentre oggi il regime forzitaliota non porta dentro di sé alcun germe di progresso, e la sua politica economica si fonda sulla dilapidazione del patrimonio accumulato nel passato. Mentre il fascismo avviò un processo di modernizzazione produttiva del paese, il regime forzitaliota ha dissipato le risorse accumulate dal paese negli anni dello sviluppo industriale, come aveva fatto Carlos Menem in Argentina nel decennio che ha preceduto il crollo di quell'economia e di quella società. Ma questo carattere dissipativo è perfettamente coerente con la tendenza principale che si manifesta nel pianeta nell'epoca dell'aleatorietà neoliberista.

Per cogliere il carattere specifico della situazione italiana di questi anni occorre insieme cercare ciò che differenzia l'Italia dal contesto europeo durante tutta l'epoca moderna, ma anche cogliere la particolarità postmoderna della mutazione italiana, nel contesto di una trasformazione che coinvolge il sistema produttivo e l'infosfera planetaria. Per cogliere la differenza specifica italiana partiremo dalla Controriforma, che sancisce le differenti velocità del mondo cristiano che si avvia verso la colonizzazione del mondo e verso la costruzione del capitalismo borghese moderno.

La temporalità dei paesi controriformati (l'Italia, la Spagna, l'Austria e la Polonia) è una temporalità diversa rispetto a quella dei paesi protestanti.

[...]




CONCLUSIONE [2009]


Ci siamo avvicinati a una definizione del regime che governa l'Italia dal 1994? Credo di sì. Questo regime incorpora comportamenti del fascismo (la brutalità poliziesca, che abbiamo visto a Genova nel 2001, l'irresponsabilità che portò l'Italia di Mussolini alla guerra catastrofica del 1940-45, il servilismo che ha sempre caratterizzato la vita intellettuale italiana). Incorpora caratteristiche proprie della mafia (il disprezzo per il bene pubblico, la tolleranza per l'illegalità economica).

Ma non è essenzialmente definibile come una riedizione del regime fascista né come un sistema di mafia. Neoliberismo aggressivo e media-populismo sono i suoi ingredienti decisivi, ed esso funziona obiettivamente come laboratorio delle forme culturali e politiche che accompagnano la formazione del semio-capitale.

Si dovrebbe scrivere una storia dell'Italia moderna che prenda un po' meno sul serio i proclami farseschi del Risorgimento o del fascismo o della democrazia repubblicana. Si dovrebbe scrivere una storia che parta dall'opera di Lorenzo Valla , dal suo elogio della viltà e dell'edonismo, non meno che da Niccolò Machiavelli e la sua affermazione dell'incompatibilità di morale e politica. Dovrebbe mettere al centro il don Abbondio manzoniano, Gassmann e Sordi che ne La grande guerra interpretano la saggezza popolare che da sempre rifiuta di credere che la patria sia più importante della vita. E dovrebbe tenere in conto il culto mediterraneo della femminilità, l'edonismo e la tenerezza.

Il rifiuto della severità protestante e del sacrificio di sé è il sale dell'avventura italiana, l'elasticità e l'intelligenza di un popolo che non ha mai creduto nella patria o nell'interesse generale, e proprio per questo è rimasto irriducibile alla logica del capitalismo, che identifica l'interesse generale con il profitto e la crescita.

Ma questa «viltà» non ha avuto il coraggio di assumersi e rivendicarsi, ed è rimasta appannaggio marginale dei ceti popolari, esclusi dalla storia. Il linguaggio ufficiale si è invece identificato con la retorica della memoria imperiale romana, creando così le condizioni dell'autodisprezzo che domina il discorso pubblico italiano, e del suo rovescio, che è l'affermazione boriosa e vuota del nazionalismo italiano e del fascismo che ne è la naturale espressione.

Il filo conduttore della storia di questo paese, e della percezione di sé del popolo italiano, è la commistione di viltà inconfessata e di autodisprezzo e da qui discendono gli esiti aggressivi che prendono forma piena nel fascismo. Tragico e farsesco è il culto latino della virilità, che si sovrappone aggressivamente alla tenerezza e alla femminilità della cultura mediterranea.

La codardia è ambivalente. Nella sua immediatezza essa segnala la coscienza edonista di una superiorità del piacere rispetto al dovere storico. Ma questa consapevolezza mal si concilia con le mitologie imperialiste e machiste che si incarnano nella tragica farsa fascista.

Incapace di accettare la «viltà» come tenerezza, incapace di accettare la predominanza del femminile nella cultura mediterranea, la storia italiana è piena di personaggi farseschi che si assumono un compito eroico e inevitabilmente provocano tragedie di cui non si può mai nascondere il risvolto ridicolo. La figura di Salandra, che si mette a piangere durante una seduta del Congresso di Versailles, perché gli inglesi non prendono in considerazione le richieste italiane, ha il suo risvolto nella figura di Mussolini, che vuol vendicare la vittoria mutilata, esalta le masse maschili con la promessa di avventure militari spacca-tutto, e alla fine porta il paese a una guerra catastrofica.

Comparando il presente edonismo e la presente subalternità a un passato mitologico di superiorità imperiale, la cultura italiana si crogiola nell'autodisprezzo perché non accetta il suo lato femminile. Quando tenta di reagire all'autodisprezzo affermando un'improbabile virilità, si imbarca in avventure infami e davvero spregevoli, come l'aggressione vilissima alla Francia già sconfitta da Hitler, nella tarda primavera del 1940, come l'abitudine di correre in soccorso ai vincitori per poi scoprire che invece, soccorsi da noi, finiscono per perdere.

Solo in alcuni momenti l'autodisprezzo si trasforma in valorizzazione positiva della tenerezza, dell'abbandono e della pigrizia: sono gli unici momenti in cui la cultura italiana produce qualcosa di originale, e in cui la femminilità mediterranea si placa in un godimento collettivo delle potenzialità già maturate dall'intelligenza produttiva collettiva. Sono gli anni Sessanta e Settanta, quando il movimento prevalente della società andò verso l'abbandono di ogni pretesa imperialista e verso una qualità felice dell'esistenza, svincolata dall'urgenza della produttività economica.

Da qui adesso il movimento potrà ripartire, in Italia: da una dichiarazione di assoluta debolezza, di abbandono, di ritirata. Ritiriamo la nostra intelligenza dalla gara della crescita capitalistica e dell'identità nazionale, ritiriamo la nostra creatività, il nostro tempo dalla competizione produttivista. Iniziamo una fase di sabotaggio passivo, di svuotamento definitivo del ridicolo involucro che si chiama Italia.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 330

Economia Criminale [2008]


Sguardo retrospettivo alla crescita e al declino dell'economia neoliberale, che proclamava la legge del più forte. Vediamo due aspetti, nell'economia post-moderna degli ultimi trent'anni: uno è quello della net-economy, l'altro quello del capitalismo criminale.

L'economia di rete è basata sulla collaborazione e la condivisione, sulla creazione di nuovi metodi di gestione dell'attività sociale. L'economia di rete sfida il principio proprietario che ha dominato la società capitalista moderna. Per riaffermare e re-imporre il ruolo proprietario, il capitalismo ha allora abbandonato ogni regola legale nel perseguimento del profitto, ha usato la guerra come forma suprema della competizione. Questa politica ha portato l'economia globale nel casino attuale, ma i criminali sono ancora al potere pur avendo fallito nel governare la caotica realtà creata dalla deregulation.

Ma sullo sfondo cresce la potenza autonoma del general intellect rispetto alla classe dirigente criminale che ha fatto bancarotta. La vittoria di Obama può aprire un nuovo periodo nell'evoluzione dell'umanità. Questo evento ha iniettato nuova speranza nell'esercito pacifico del general intellect in tutto il mondo. Il nuovo presidente è stato votato massicciamente dal lavoro cognitivo e la sua vittoria è la sconfitta della classe criminale e del fanatismo rappresentati da Cheney-Bush. Ma questa vittoria segna solo l'inizio della lotta, che sarà conflitto tra la forza intellettuale contro la brutale forza dell'ignoranza, della violenza e del profitto. Possiamo descrivere questa lotta tra intelligenza collettiva e dogmatismo neoliberista nei vecchi termini della lotta di classe? Sì e no.

Sì perché effettivamente il lavoro intellettuale in rete (che possiamo chiamare cognitariato) è la principale forza produttiva di questo tempo in termini di valorizzazione e in termini di utilità sociale. No, perché la complessità del panorama sociale è cresciuta fino a un punto che non può più ridursi all'opposizione lineare di un fronte sociale contro un altro.


La classe criminale è composta da avventurieri della finanza, managers delle grandi corporation e da una lumpen-bourgeoisie di tipo mafioso, ma anche di vasti strati sociali della popolazione che sono incapaci di far fronte alle conseguenze della crisi. La dissociazione tra proprietà e gestione, la finanziarizzazione del processo di accumulazione rendono impossibile l'individuazione di una controparte sociale. La proprietà è stata polverizzata, e la gestione de-personalizzata. La classe criminale ha preso il potere in due mosse: prima con la dichiarazione neoliberista del primato della competizione su ogni regola etica o politica o legale. Secondo con l'occupazione del sistema di produzione della mente collettiva, il media system.

Producendo le aspettative sociali e l'immaginazione collettiva, il sistema mediatico ha espropriato la classe cognitiva produttiva e soggiogato gli sfruttati agli incubi dei loro sfruttatori.

L'occupazione privata dello spazio sociale di comunicazione (pubblicità, televisione) ha prodotto l'effetto distorto di un'identificazione alienata. Gli sfruttati, lavoratori, consumatori sono stati spinti a vedersi attraverso gli occhi dei proprietari del mediascape. La privatizzazione della vita, la distruzione della rete sociale e di solidarietà e la privatizzazione del bisogno e del consumo sono state mediaticamente organizzate.


La privatizzazione della mobilità è il miglior esempio di questa distorsione della sfera pubblica. Un oggetto irrazionale e ingombrante, la macchina privata (tre tonnellate di ferro per lo spostamento di un corpo che pesa solo ottanta chili) è stato l'oggetto centrale della produzione industriale del secolo Novecento. E in ogni caso perché le auto debbono essere private? Potrebbero essere oggetti pubblici che ognuno può prendere e usare per il tempo necessario, poi lasciare aperte nelle strade, pronte per il trasporto di qualcun'altro. Potrebbero essere sostituite da un sistema di trasporto molto più comodo. Perché il sistema di trasporto pubblico è stato sabotato dalla classe dirigente negli ultimi decenni? Sappiamo bene il perché: perché l'economia capitalista crea scarsità nel campo del trasporto come in ogni altro campo. La creazione di scarsità è la premessa dell'accumulazione, ed è resa possibile dalla privatizzazione del bisogno. Il bisogno non è un impulso naturale, ma il prodotto di un'azione culturale che modella l'immaginazione sociale e la sensibilità.

Negli anni Novanta la crescita della produzione in rete e la diffusione della cybercultura libertaria avevano aperto la strada a un'alleanza tra capitalismo finanziario e lavoro cognitivo. Sotto la bandiera delle dotcom, giovani intellettuali e scienziati poterono trovare i mezzi per creare la loro impresa e divenne possibile un processo di redistribuzione del reddito. Ma questa alleanza fu rotta quando la classe criminale prese il controllo della potenza tecnologica per sottometterla alla guerra.


Negli anni Novanta l'esperienza delle dotcom era stata largamente catturata dall'illusione neoliberista, ma nel primo decennio del nuovo secolo il lavoro intellettuale è stato precarizzato, costretto ad accettare qualsiasi condizione economica. La rottamazione del general intellect è stata perseguita dalle forze della reazione neoliberista: la conoscenza frammentata, il reddito ridotto, lo sfruttamento e lo stress in aumento perenne.

Il crollo delle dotcom e 9/11 segnarono l'assoggettamento dell'esperienza tecnologica alla guerra. Ma la produzione di massa della paura, il fanatismo e l'ignoranza non furono sufficienti per costringere gli occidentali ad accettare la guerra. Questo consenso fu comprato attraverso un enorme indebitamento. I cittadini occidentali vennero invitati dal Presidente Bush a uscir di casa e fare shopping. Shopping contro il terrore e contro la depressione psichica. Ma questo accesso massiccio al consumo è stato finanziato da un indebitamento senza limiti. La popolazione euro-americana è stata sistematicamente spinta a comprare montagne di cose inutili, è stata intossicata mentalmente dalla pubblicità e costretta a identificare la felicità con il consumo e il benessere con il possesso.


La privatizzazione del bisogno e la riduzione del benessere all'acquisizione ha distrutto ogni senso di dignità e di amore di sé. Il tempo sociale di attenzione è stato occupato dal flusso di info-lavoro e di pubblicità. Il linguaggio è stato assorbito dal lavoro, e abbandonato dall'affetto. Amore, tenerezza, sesso, affetto e cura degli altri sono stati trasformati in merce. Ogni persona è divenuta proprietaria di molte carte di credito, trasformata in una macchina per comprare, costretta a lavorare sempre di più per poter pagare un debito crescente. Il debito è diventato la catena universale e così si sono create le condizioni per il collasso generale. E alla fine il collasso è arrivato. Non ci sarà alcuna ripresa, la crescita non ritornerà, non solo perché la gente non sarà più in grado di pagare per il debito accumulato durante i tre decenni passati, ma anche perché le risorse fisiche del pianeta sono prossime all'esaurimento, e le risorse nervose del cervello sociale sono prossime a un crollo.

Che accadrà ora?




Protesta etica e guerra


Alla fine degli anni Novanta, quando il processo di globalizzazione sembrava inarrestabile, il suo potenziale di devastazione ben nascosto nelle parole dei guru neoliberisti, e quando la filosofia della privatizzazione non si poteva criticare, un movimento di protesta etica emerse dalle fila del lavoro cognitivo. Alla fine del secolo capitalista, nell'estremo occidente dell'Occidente, a Seattle, centomila persone si incontrarono e marciarono per fermare il summit Wto e per protestare contro gli effetti dello sfruttamento globale. Era il principio dell'epoca della dimostrazione etica. Da Seattle a Genova, da Praga a Bologna a Cancun folle di lavoratori precari e cognitivi marciavano insieme. Erano la coscienza etica del mondo, e naturalmente vennero aggrediti dalla polizia per istigazione della classe criminale.

Alcuni vennero uccisi, molti arrestati, perché stavano dicendo la verità. Essi cercavano di avvertire il popolo della terra che un grande pericolo era in vista. Ora sappiamo che avevano ragione. I dimostranti noglobal stavano avvertendo della catastrofe imminente, e adesso la catastrofe è arrivata. I dimostranti etici furono sconfitti, dopo la marcia mondiale contro la guerra del 15 febbraio del 2003. Centomilioni di persone marciarono quel giorno contro la guerra in Iraq. Bush rispose che non aveva bisogno di consigli e cominciò la guerra.

La classe criminale dell'ignoranza vinse contro il movimento dell'intelletto generale.

Ecco perché adesso il mondo sta collassando.


Poi la violenza si oppose alla violenza, i fanatici combatterono contro i fanatici.

Dall'Iraq all'Afghanistan, dal Pakistan all'Iran alla Georgia, l'esercito americano è stato sconfitto dovunque, e isolato. E alla fine, il collasso finanziario non è certo privo di rapporto con la sconfitta geopolitica. Mentre stava svanendo il periodo delle dimostrazioni etiche, un nuovo ciclo di insurrezione esplose da qualche parte in Occidente. Le rivolte delle banlieues di Parigi nel novembre 2005, l'insurrezione dei maestri a Oaxaca nell'ottobre 2006, l'esplosione di rivolta generale in Grecia nel dicembre 2008 sono stati annunciatori di una ondata insurrezionale che scuoterà parti del mondo nei prossimi anni, mentre la recessione devasterà la vita sociale. Insurrezioni sparse avranno luogo, ma non dobbiamo aspettarcene molto. Esse saranno incapaci di toccare i veri centri del potere, a causa della militarizzazione dei territori metropolitani, e non saranno capaci di ottenere molti risultati in termini di ricchezza materiale o di potere politico. Come la lunga onda di protesta morale non poté distruggere il potere neo-liberista così le rivolte insurrezionali non troveranno una soluzione, fin quando una nuova coscienza e una nuova sensibilità non emergerà e non si diffonderà cambiando la vita quotidiana e creando zone autonome NON temporanee, radicate nella cultura e nella coscienza della rete globale.

Catastrofe significa, in greco, un cambio della posizione che permette all'osservatore di vedere cose che non poteva vedere prima. La catastrofe apre nuovi spazi di visibilità e di possibilità, ma implica anche un cambio di paradigma. Il pieno impiego è finito. Il mondo non ha bisogno di tanto lavoro, di tanto sfruttamento. Il reddito di cittadinanza dovrà affermarsi come diritto alla vita indipendente dall'impiego e dalla prestazione di tempo di lavoro. Le zone autonome NON temporanee organizzeranno l'attività sociale nella forma di aiuto collettivo reciproco.




Il Debito


Non dovremmo considerare la recessione come un fenomeno economico, ma vederla come una svolta antropologica che cambierà la distribuzione delle risorse mondiali e del potere mondiale. L'Europa è condannata a perdere il suo privilegio economico, ora che finiscono i 500 anni di colonialismo. Il debito, che i bianchi hanno accumulato non è solo un debito economico ma anche morale: il debito dell'oppressione, della violenza e del genocidio deve essere pagato, e non sarà così facile. Una larga parte della popolazione europea non è pronta ad accettare la redistribuzione della ricchezza che la recessione impone. L'Europa, travolta da ondate di immigrazione, dovrà affrontare una minaccia razzista crescente. La guerra civile interetnica sarà difficile da evitare.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 368

Scepticamente
[2015]



        Dato che s'avvicina l'ora della mia morte
        parlerò della sorte
        che aspetta gli abitanti delle città costiere
        Prevedere catastrofi è stato il mio mestiere
        dacché la dea gelosa mi privò della vista
        e in cambio mi permise
        di veder ciò ch'è meglio non vedere
        Perciò ti offro confusi
        sogni dell'agonia
        straniera intima terra disperata euforia



Naturalmente può darsi che io sia solo uno squilibrato, uno di quegli infelici che cercano di convincere gli astanti dell'imminenza di un pericolo mortale che sta soltanto nella loro immaginazione. Spero sinceramente che sia così, spero sia un sintomo della follia che oscura la mia mente quest'angoscia che mi attanaglia talvolta, ma non spesso, e solo per pochi istanti per poi lasciare posto all'euforia irresponsabile di chi assiste allo spettacolo unico della fine probabile di tutto.

D'altronde tante persone assai più serie di me – economisti della Bocconi e consulenti di Goldman Sachs, Presidenti della Repubblica un tempo stalinisti di apparato ma adesso convertiti alla democrazia, responsabili zelanti esecutori del verbo liberista, ci assicurano che il fiume della vita tornerà presto a scorrere tranquillo se soltanto saremo disponibili a rinunciare ad alcuni privilegi: scuola pubblica, ricerca, cure mediche, pensione, diritti del lavoro vanno aboliti in nome del progresso.

Alla fine del decennio zero zero l'incubo lungamente covato da una piccola conventicola di visionari distopici si rivela lucida previsione: la voce «austeritaria» dagli altoparlanti comunica che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, e adesso il buco nero cattura devasta e ingoia tutto quello che negli ultimi due secoli abbiamo chiamato civiltà.

Il decennio inaugurato da Genova a Manhattan da segnali di terrore, si conclude coi segnali del ritorno della guerra civile europea. I predatori la stanno provocando con la pretesa di sottomettere la vita alla matematica, mentre i deterritorializzati si abbarbicano a qualche brandello di rancorosa identità.

La guerra jugoslava si proietta su scala continentale.

Allora accendiamo i motori dell'astronave lungamente preparata, da quando, (ricordi?) Grace Slick e i Jefferson Starship chiamarono a raccolta la crown of creation: il corpo vivente del general intellect, forse.

Per via di scismogenesi e di scepsi, scolleghiamoci dal pianeta e rifiutiamoci di credere alla verità.

Scepsi: scuola europea per l'immaginazione sociale. E al tempo stesso: consapevolezza del perenne scivolare del senso, dell'inesauribilità della ricerca, dell'interminabilità della cura.

Urge, forse più di ogni altra cosa, salvare l'eredità di una storia lunga cinque secoli, che è la storia della convergenza libera, critica, aperta, tra saperi umanistici e saperi scientifici.

Da cinque secoli sembrava acquisita l'idea che il sapere vuol essere libero, sceptico autonomo e solo perciò creativo. Ma i cinque secoli della modernità sono finiti, come ci è stato annunciato da un pezzo. La fine della modernità si annuncia catastrofica se i saperi cosiddetti umanistici e quelli cosiddetti scientifici vengono separati. I filosofi vanno a Aubervilliers e gli scienziati vanno a Palaiseau. E a decidere quali istituti di ricerca meritano di esistere e quali vanno invece cancellati sarà un economista, perché il criterio essenziale di valutazione d'ora in avanti deve essere la redditività, la competitività, la profittabilità.

Tutto quello che abbiamo detto pensato e fatto negli ultimi cinque secoli si fondava sull'idea e sulla pratica dell'autonomia del sapere, della ricerca, della parola, della creazione, della progettazione e della scoperta. Quando un contabile valuta se un istituto di ricerca merita di esistere o merita di morire, voi lo capite bene, la barbarie economica prende il posto della civiltà umana.

Mi dispiace essere arrivato a questo punto, in cui l'ironia lascia il posto alla tragedia, come dicevo all'inizio. Ma per trovare vie di fuga occorre essere sceptici, mentre il potere chiude le scuole perché nessuno possa immaginare alternative al dogma.

| << |  <  |