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| << | < | > | >> |IndiceI rischi della lettura 5 Lettera a un giovane che spera e teme di diventare un critico 26 I poeti e il rischio di essere letti 41 Caproni e il lettore impaziente 51 Nota sui testi 67 |
| << | < | > | >> |Pagina 5I rischi della letturaL'atto della lettura è a rischio. Leggere, voler leggere e saper leggere, sono sempre meno comportamenti garantiti. Leggere libri non è naturale e necessario come camminare, mangiare, parlare o esercitare i cinque sensi. Non è un'attività primaria, né fisiologicamente né socialmente. Viene dopo, implica una razionale e volontaria cura di sé. Leggere letteratura, filosofia e scienza, se non lo si fa per professione, è un lusso, una passione virtuosa o leggermente perversa, un vizio che la società non censura. È sia un piacere che un proposito di automiglioramento. Richiede un certo grado e capacità di introversione concentrata. È un modo per uscire da sé e dall'ambiente circostante, ma anche un modo per frequentare piú consapevolmente se stessi, il proprio ordine e disordine mentale. La lettura è tutto questo e chissà quante altre cose. È però soltanto uno dei modi in cui ci astraiamo, ci concentriamo, riflettiamo su quello che ci succede, acquisiamo conoscenze, ci procuriamo sollievo e distacco. Eppure l'atto della lettura ha goduto in se stesso di grande prestigio, di un'aura speciale nel corso dei secoli e ormai da millenni, da quando la scrittura esiste. A lungo e ripetutamente, per ragioni diverse, che potevano essere economiche, religiose, intellettuali e politiche, estetiche e morali, la lettura di certi testi ha avuto qualcosa del rituale. I testi di riuso, come i libri sacri, le raccolte di leggi e le opere letterarie, per essere riusati sono stati conservati e tramandati scrupolosamente. La società occidentale moderna ha trasformato e reinventato, in una certa misura, le ragioni e le modalità del leggere. Ma recentemente, negli ultimi decenni, l'atto di leggere, il suo valore riconosciuto, la sua qualità, le sue stesse condizioni ambientali e tecniche sembrano minacciate. Ne parlò Italo Calvino in tono semiserio ma sinceramente allarmato nell'incipit dell'ultimo dei suoi romanzi:
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo
Se una notte d'inverno un viaggiatore
di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero.
Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio
chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito,
agli altri: "No, non voglio vedere la televisione!"
Alza la voce, se non ti sentono: "Sto leggendo!
Non voglio essere disturbato!" Forse non ti hanno sentito, con tutto quel
chiasso; dillo piú forte, grida [...].
Si tratta dei rischi che corre la lettura. Ci sono poi i rischi che corre chi legge, soprattutto chi legge letteratura, filosofia e storia, in particolare quelle scritte in Europa e in America negli ultimi due secoli. Da quando esiste qualcosa che chiamiamo modernità – cioè la cultura dell'indipendenza individuale, del pensiero critico, della libertà di coscienza, dell'uguaglianza e della giustizia sociale, dell'organizzazione e della produttività, nonché del loro rifiuto politico e utopico – da allora leggere fa correre dei rischi. È un atto socialmente, culturalmente ambiguo: permette e incrementa la socializzazione degli individui, ma d'altra parte mette a rischio la volontà individuale di entrare nella rete dei vincoli sociali rinunciando a una quota della propria autonomia e singolarità. Società e individuo, autonomia personale e benessere pubblico sono due finalità non sempre conciliabili, a volte antagoniste, fra cui oscilla la nostra cultura. Non possiamo fare a meno di dare il nostro assenso al bisogno di uguaglianza e al bisogno di singolarità. Ma questo duplice assenso crea un conflitto di desideri e di doveri, quando viviamo la nostra quotidianità personale e quando riflettiamo politicamente e scegliamo dei governi. | << | < | > | >> |Pagina 10[...] Se è vero che per leggere, capire e interessarsi a un autore c'è bisogno di Einfühlung, di immedesimazione, anche se si tratta di Parmenide o Virgilio, è altrettanto vero che sentirsi contemporanei dei sapienti presocratici o di un classico latino può indurre una certa dose di follia anacronistica: almeno in Occidente, la cui storia ci ha spinto a elaborare e idolatrare appunto un'idea di storia come progresso e rivoluzione, superamento incessante di condizioni precedenti e interruzione periodica di continuità.| << | < | > | >> |Pagina 11Il primo rischio per il lettore, il piú originario e fra i piú gravi, è quello di diventare, di voler diventare, scrittore; oppure, anche peggio, critico. Mi limito a ricordare una notevole ovvietà: i libri sono contagiosi, ma per subire il contagio bisogna leggerli con passione e, diciamo pure, con una ricettiva ingenuità. Senza essere Don Chisciotte o Emma Bovary, traviati dall'eroismo cavalleresco o dall'amore romantico, ogni lettore appassionato (non solo di romanzi) fa entrare le sue letture predilette nella costruzione della propria identità. La lettura permette di stabilire delle vie di comunicazione fra l'io profondo, con il suo caos, e l'io sociale, che deve fronteggiare le regole del mondo. Tra le letture piú rischiose ci sono quelle il cui contagio suggerisce, impone di cambiare vita, di fuggire dal mondo o di trasformare radicalmente la società. Chi è stato, o chi è, cristiano o marxista sa bene di che parlo: il Nuovo Testamento e le opere di Marx ed Engels non perdonano chi resta quello che era dopo averle lette. Non sono solo libri, sono tribunali che giudicano ognuno e tutti stabilendo leggi e mete metafisiche, storiche, morali, utopiche. L'accostamento blasfemo, un po' ovvio e comunque ossimorico, fra gli evangelisti e Marx fa capire che si danno casi di analogia per contrasto fra letture di venti secoli fa e letture piú recenti. L'attribuzione di valore che una comunità e una società compiono nella scelta di certi testi, nel modo di leggerli e di rispondere alla lettura, fa di alcune opere qualcosa di intoccabile, sottratto alla critica e alla discussione. Il fatto stesso di poter diventare "marxisti" in seguito alla lettura di Marx indica che l'autore e la sua opera diventano una fonte di certezze indiscutibili, se non di veri e propri dogmi imposti e difesi con il ricatto, le minacce, la coercizione. Nel caso di questo tipo di letture, il rischio è che l'assenso o il dissenso, l'accettazione o il rifiuto espongano il lettore a condanne e rappresaglie sia intellettuali che sociali e politiche. Tutto questo è avvenuto.| << | < | > | >> |Pagina 14Diventare scrittori o critici dopo aver letto uno o piú autori vuol dire nel primo caso imitare, sfidare, riprendere, cercare di superare un modello o decidere di abbattere un idolo; nel secondo caso trasformarsi da lettore in superlettore, lettore al quadrato, lettore che scrive su ciò che ha letto, che intensifica l'atto di leggere elaborando metodi per leggere meglio e per ricavare il massimo profitto scientifico, morale, ideologico dalla lettura. Il critico, in quanto lettore speciale, iperlettore, lettore creativo, lettore-studioso o lettore-giudice, lettore-pedagogo o lettore-filosofo, può tendere a mettersi al servizio del testo (il filologo in senso stretto e in senso lato), mettere il testo al servizio della propria autobiografia piú o meno esplicita (il libero commentatore e interprete che attualizza, "presentifica" il testo per illuminare la propria situazione), o mettere i testi al servizio di una qualche teoria e scienza della letteratura. In altri termini, si tratta di modalità di lettura che nell'ultimo mezzo secolo si sono alternate entrando in conflitto e in polemica.| << | < | > | >> |Pagina 20Come sappiamo tutti e come hanno notato anche gli storici della lettura, il primo, uno dei primi lettori "senza metodo" è stato non a caso Montaigne, l'inventore del saggio moderno, informale o personale. Prima di lui, nel Rinascimento, i lettori colti leggevano compilando "quaderni di luoghi comuni" nei quali raccoglievano citazioni, osservazioni, passi letti. Si trattava di strumenti che sostituivano la mnemotecnica. Come hanno scritto Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, Montaigne si rifiuta di copiare e compilare,
non annota i libri che legge per trarne estratti e citazioni [...] nella
redazione degli
Essais
non utilizza repertori di luoghi comuni, ma compone liberamente, senza attingere
a ricordi di lettura o senza interrompere la concatenazione dei pensieri
con riferimenti libreschi.
Certo, Montaigne non era un critico letterario. Ma i suoi saggi mostrano un uomo che riflette su di sé e sul genere umano leggendo e avendo letto. Come lettore e non studioso di testi, rappresenta un momento ineliminabile dell'attività critica. Per essere un iperlettore, il critico deve anche restare semplice lettore, lettore senza difese, senza pinze, forbici e bisturi, lettore ricettivo che accetta i rischi della lettura, sospende l'incredulità e crede, almeno finché legge, a quello che legge. Il lettore di libri può tenere un diario di letture e può succedere che scriva come Henry Miller un'autobiografia, I libri nella mia vita, che "tratta di libri in quanto esperienza vitale": e le sue conclusioni sono che "bisognerebbe leggere sempre di meno e non sempre di piú" e che, "pur non avendo letto come uno studioso, sentii di aver letto almeno cento volte di piú di quanto avrei dovuto leggere per il mio bene". L'essenziale per un tipo come Henry Miller era, sí, scrivere, ma soprattutto vivere. Credeva fermamente che gli illetterati "non sono certo i meno intelligenti tra noi". Ma intelligenti o, come dice Miller, "rivoluzionari — e cioè ispirati e ispiratori" devono essere i libri. Perché un rischio della lettura, il rischio in realtà piú frequente, è leggere quel tipo di libri che sarebbe stato meglio non leggere, o che sarebbe stato meglio che non fossero stati pubblicati e scritti. Il libro in sé non è un valore. Lo è solo se vale. E nel caso presente di sovrapproduzione libraria, i peggiori nemici dei libri che vale la pena di leggere sono i troppi libri che li sommergono e da cui cerchiamo di difenderci. | << | < | > | >> |Pagina 24Negli immediati dintorni, ma anche da un diverso punto di vista, nascono le polemiche di Susan Sontag e di Enzensberger. In Contro l'interpretazione, Sontag difende la lettura come percezione intensificata contro la mania di interpretare scavando sotto la superficie di opere letterarie e artistiche. Enzensberger difende a oltranza, contro la lettura corretta e ideale, le letture reali anche se difettose, parziali, utilitaristiche, edonistiche, sperimentali, in quanto atti individuali irriducibilmente anarchici e idiosincratici.
Nella lettura i rischi sono ovunque. A volte
li corre il testo, a volte li corre il lettore. Altre
volte anche l'autore: cosa che succede quando per esempio le sue poesie, come
lamenta Enzensberger, vengono usate a scuola per tormentare gli studenti con
l'obbligo dell'interpretazione giusta, fino a nausearli per sempre
sia di quella cosa incomprensibile e noiosa
chiamata poesia, sia di quegli individui da evitare che sono i poeti.
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