Copertina
Autore Cetta Berardo
Titolo Cioccolato da leggere
EdizioneL'Ambaradan, Torino, 2004, Il Camaleonte , pag. 128, cop.fle., dim. 140x210x10 mm , Isbn 978-88-89257-03-6
PrefazioneBruno Gambarotta
LettoreFlo Bertelli, 2006
Classe alimentazione , citta': Torino
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Indice

        Prefazione                          pag.   5

Cap. 1. Felicità. Semplice come un bicchiere
        di cioccolata. Amara. Dolce. Viva   pag.  15

Cap. 2. Viva il cioccolato
        e chi l'ha inventato!               pag.  55

Cap. 3. Gelati & Stufati                    pag.  81

Cap. 4. Baci, boeri, gianduiotti,
        praline, tartufi                    pag.  93

Cap. 5. Qualche prelibatezza
        internazionale dolce e salata       pag. 105

Cap. 6. Dulcis... in fundo                  pag. 121


        Bibliografia                        Pag. 125



 

 

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Pagina 7

Prefazione



Non poteva che venire alla luce a Torino questo libro dolce, avvolgente, leggero e sapiente come una crostata con la ganache al fondente criollo o un soufflé fondente alla vaniglia, perché da Torino parte l'avventura italiana della cioccolata.

Quanti di noi, transitando per piazza san Carlo per gli acquisti golosi, si ricordano di elevare un pensiero riconoscente alla statua equestre opera dello scultore Carlo Marochetti?

Eppure per noi piemontesi tutto comincia di lì: Hernan Cortéz, conquistato il Messico, torna in Spagna recando alla corte, tra gli altri doni, il cacao, la bevanda preferita da Montezuma che ne sorbiva quaranta tazze al giorno. A Madrid si trova il futuro duca Emanuele Filiberto di Savoia, "testa di ferro", quello effigiato sulla piazza san Carlo, che sotto l'imperatore Carlo V ricopre la carica di capitano generale dell'esercito. Firmata nel 1559 la pace di Chateau-Cambrésis, il duca ritorna nei suoi Stati portando con sé alcuni semi di cacao. I cuochi di casa Savoia, per nostra fortuna, non hanno fatto come i colleghi in servizio presso un Presidente degli Stati Uniti che hanno pensato bene di far bollire un enorme tartufo donato dalla città di Alba. Il cioccolato trionfa definitivamente presso la corte sabauda con l'arrivo da Madrid nel 1587 di Caterina, figlia di Filippo II che sposa il duca Carlo Emanuele I. Il quadro del contributo piemontese alla diffusione della cioccolata si completa con il nome di Antonio Michele Ghislieri, nato a Bosco Marengo il quale, diventato papa Pio V, decretò nel 1569 che la cioccolata, essendo un liquido, non rompe il digiuno durante la quaresima.

Cetta Berardo si aggira con tranquilla sicurezza nella intricata foresta di citazioni, pescandole non solo nella letteratura ma anche nella pittura, nel cinema, nel balletto persino, come quando cita Lo Schiaccianoci di Cajkovskij. La parte del leone, e non poteva essere altrimenti, la fanno i testi letterari.

Quante letture evoca questo libro! L'autrice procede per libere associazioni, accostamenti che possono sembrare a prima vista audaci, passando da Sveva Casati Modignani (un nom de piume che cela due onesti coniugi brianzoli) a Stendhal, seguendo un istinto che la induce a incoraggiare il lettore in una deriva di piaceri e di scoperte che si rinnova di pagina in pagina. Si ricorda dell'unica volta in cui ne I Promessi Sposi compare la parola cioccolata: il padre della futura Monaca di Monza, per festeggiare la bambina che ha finalmente ceduto alle pressioni della famiglia e ha deciso di entrare in convento le fa servire una cioccolata calda. Con tutto il rispetto per il grande Alessandro Manzoni siamo in presenza di un probabile anacronismo. Il romanzo è ambientato in un periodo che va dal 1628 al 1630, e la Monaca di Monza non può avere meno di trent'anni, perciò è stata bambina nei primi anni del Seicento quando il cacao era appena arrivato a corte. Cetta Berardo arriva a citare libri semiclandestini, che abbiamo letto in pochi, come l'incompiuto e per molti versi straordinario romanzo di Velso Mucci intitolato L'uomo di Torino. Simile in questo ai grandi saggisti inglesi del Settecento, il secolo che per la cioccolata fece follie. Nel Settecento Giuseppe Balsamo, l'avventuriero e mago che si faceva chiamare conte di Cagliostro, durante il suo soggiorno torinese, inventò i diablotin, antenati dei cioccolatini. Nel 1734 Cari von Linnè, naturalista svedese meglio conosciuto come Linneo, battezzò la nostra pianta con il nome di theobroma cacao, cioè cibo degli dei. Sempre nel Settecento, Vittorio Alfieri, il grifagno e implacabile nemico dei tiranni, smaniava per avere cacao di ottima qualità. Scriveva pressanti lettere all'amico Mario Bianchi e si faceva spedire da Siena la cioccolata a cento once (tre chili) per volta.

[...]

Bruno Gambarotta.

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Pagina 15

1.
Felicità. Semplice come un bicchiere di cioccolata.
Amara. Dolce. Viva.
(Joanne Harris, Chocolat)


«Gli aromi di cioccolata, di vaniglia, del rame scaldato e della cannella che si uniscono danno alla testa, sono molto invitanti. Il gusto vivo e terrestre delle Americhe, il profumo piccante e resinoso delle foreste pluviali. È così che viaggio ora, come facevano gli Aztechi nei loro rituali sacri.» Vianne Rocher, la protagonista del romanzo di Joanne Harris Chocolat, descrive la sensazione che la coglie quando si accinge a preparare la cioccolata calda. Il suo è un rito che richiama l'origine antica della bevanda, che si perde nel mito e proprio per questa aura di sacralità che lo circonda deve essere lento e preciso; gli effluvi, come l'ambrosia degli dei, avvolgono l'ambiente, le cose, le persone. La Céleste Praline, chocolaterie artisanale, come è denominata la sua pàtisserie particolare, sorta in un buco a Lansquenet sous Tannes «al massimo 200 anime, non più di un puntino sulla superstrada tra Toulouse e Bordeaux» diventa un luogo di "perversione" e di trasgressione, un luogo in cui gli odori acquistano un ruolo afrodisiaco e simbolico. «Chocolat chaud 5 F.» recita il cartello nel negozio ed il bricco della bevanda fumante è in bella mostra sul bancone, in attesa di avventori renitenti.

«Le cose proibite hanno sempre il gusto migliore» confessa Joséphine Muscat, la cliente più affezionata e più stramba del paese, lasciandosi scappare un freudiano: «Sodoma e Gomorra attraverso una cannuccia». E la cioccolata che gusta da Vianne è la migliore «di tutte quelle che io ricordi, anche della mia infanzia». Un feticcio, insomma.

In poche frasi la Harris racchiude un mondo fatto di gusti, di abitudini, di ricordi di infanzia, di alchimie e di sogni proibiti, di luoghi comuni e di immaginario, di senso di piacere e di colpa, al contempo.

Cioccolata calda, fumante, densa, nera: un alone di magia la circonda, e lei, la madame che parla un ottimo francese, alta, bruna, diversa da tutti gli abitanti del luogo, osservata, derisa, criticata per via dei vestiti sgargianti che indossa, ci introduce nel mondo della cioccolata con dolcezza, instillandoci il desiderio di assaggiare anche noi questo cibo.

La prepotenza con cui gli aromi forti della cioccolata entrano in letteratura è sinonimo di piacere e godimento. Innumerevoli autori l'hanno cantata, ne hanno spiegato la preparazione, la degustazione, i benefici influssi sul corpo e sull'umore, l'hanno considerata una dea, sciorinando versi leggiadri, a volte epici, sempre carichi di un alone di sacralità. L'hanno chiamata in mille modi, variopinti e cangianti, come è lei, la protagonista dei nostri desideri. Dolce o amara, aromatizzata o speziata, è sempre in cima ai nostri pensieri.

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Pagina 75

Che dire poi della Sacher, la storica torta viennese che scatenò addirittura una causa in tribunale negli anni '50 per un diverbio tra la casa Demel e la famiglia Sacher, su di un particolare che a noi oggi appare banale: se la marmellata di albicocche dovesse essere messa nel cuore della torta (versione Sacher) o subito sotto la copertura di cioccolato (versione Demel). Il tempo è stato il giudice migliore. Chi non è in grado di apprezzare tale torta, è bollato, con un «Continuiamo così, facciamoci del male!», frase che passerà alla storia, tratta dal film di Nanni Moretti Bianca. Il protagonista Michele Apicella durante una cena nella casa del suo allievo Matteo con accanto la compagna di scuola e fidanzata, Martina, litiga con il padre di Matteo colpevole di non aver rispettato il Mont Blanc, arrivato in tavola; imbastisce una discussione sottile sulle caratteristiche del dolce e sul modo di tagliarlo:

«Lei mi sta scavando sotto, mi toglie la panna, la castagna da sola sopra non ha senso. Il Mont Blanc non è come un cannolo alla siciliana che c'è tutto dentro, è come uno zaino: lei se lo porta appresso per un mese e sta sicuro. Il Mont Blanc si regge su un equilibrio delicato, non è come la Sacher Torte»

«Cosa?»

«La Sacher Torte.»

«Cos'è?»

«Cioè lei non ha mai assaggiato la Sacher Torte?»

«No.»

«Va be' continuiamo così, facciamoci del male!».


La rivoluzione degli armi '60 è stata la Nutella, un simbolo d'Italia, un segno del cambiamento delle abitudini e del gusto. La Nutella è diventata il cibo di tutti, senza più connotazioni sociali, l'elemento adatto per ogni occasione, felice e non. A ragione Gigi Padovani definisce il barattolo di crema alla nocciola «un medium come la radio, la stampa, la televisione, la fotografia ecc...» C'è un'Italia intera che fa il tifo perché «non è né di destra né di sinistra», ha una funzione socializzante.

Così viene cantata in terzine di stampo dantesco:

        Nel mezzo del cammin della mia vita
        mi ritrovai con questa crema oscura
        che la rosetta mia ne fu riempita.

Paragonata addirittura a Beatrice da Riccardo Cassini nel suo divertente Nutella Nutellae: «Tanto gentile e tanto onesta pare / la Nutella mia dopo la spalmatura», scura, densa, compatta, liscia come l'olio spalmata sul pane, rappresenta la foresta dei sensi, del gusto innanzitutto, dove ci si immerge con voluttà e piacere, dove si ritrova il peccato (di gola, s'intende) ma anche la redenzione. In fondo una fetta di pane e Nutella placa gli animi, riconcilia con la vita, dà un tono trionfalistico alle nostre giornate:

                    Nutella d'Italia,
                    nutella d'Italia,
                    l'Italia s'è desta
                    sul pane al principio
                    spalmata ci resta.

I Nutella party contagiano, Nanni Moretti la immortala ancora nell'abbuffata notturna che dura ben mezzo minuto sempre da parte del professore Apicella. Ma la Nutella, proprio perché entra in tutte le case, nell'immaginario di ognuno, assume anche un significo erotico. Nel cortometraggio della regista tedesca Katia von Garnier, Donne senza trucco, in un ménage a due di natura lesbica, la ragazza sveglia la sua partner spalmandole sulle labbra una cucchiaiata di Nutella. Ivan Graziani duetta con Renato Zero

            Un messaggino tu mi devi fare
            Un messaggino se tu mi vuoi bene
            Un messaggino tu mi devi fare
            Sì però con la Nutella

            Su tutto il corpo me la puoi spalmare
            E se un ricciolino sopra ci puoi fare
            Ti dico adesso che mi fa impazzire
            Il suo profumo il suo sapore.

Dolcemente, teneramente, ricopre il corpo che diventa nero, trasgressivo, appetibile: una full immersion che fa impazzire anche i più renitenti.

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Pagina 87

Audace il cuoco, che nell'emergenza, fa leva sulla fantasia, che in cucina è elemento fondamentale. Cucinato in salsa, il cioccolato non incontra però il gusto del poeta, non gli aguzza l'appetito, mentre auspica che il cuoco «colle quaglie il metta arrosto». Il cuoco maceratese di fine Settecento sponsorizza le sue lasagne al cioccolato, che ci solleticano palato e vista. Un ensemble di degna fattura:

«Fatte le lasagne. Prendete una cazzarola, poneteci quattro rossi d'uova sbattuti, un bicchiere di latte, e raschiateci un panetto di cioccolata di tre oncie, ponetela al fornello, fatela stringere, e stretta condite le lasagne...»

Che dire della lepre al cacao, delle tavolette con peperoncino rosso che si possono gustare a Modica in Sicilia, o la cotoletta di maiale farcita di lenticchie e salsa al cioccolato nero a Ragusa? Cecilia Tessieri, maître chocolatier donna, la creatrice dei cioccolati Amidei, non ha dubbi nel condire i tagliolini con una spruzzata di cioccolato bianco e confessa al giornalista Stefano Polacchi: «Sono fermamente convinta che l'uso del cioccolato in chiave salata... sia una delle nuove frontiere del gusto» e ricorda come un tempo in Toscana si cucinava il baccalà dolce e forte, col cioccolato.

Sulla stessa scia il braidese Alessandro Boglione, che offre un pasto completo al cioccolato, dal primo (pasta fresca impastata col cioccolato) al dolce. Il gorgonzola con scaglie grossolane di cioccolato Toscana black 70% è il suo piatto clou: «Il contrasto tra la cremosità e la dolcezza del formaggio e il croccante e amaro del cioccolato è dirompente». Attratto dalla ricerca e dalla provocazione, Alessandro ha sperimentato cioccolatini con infusione di rosmarino, cioccolato e peperoncino o il pepe rosa, perché "sperimentare" in cucina è tutto, è creatività, è vita, è non fossilizzarsi nella routine quotidiana.

Insomma i gusti sono tanti, le varianti infinite, il cioccolato è duttile e polivalente. De gustibus disputandum non est; si può peccare per il dolce od il salato: il risultato è identico. Il peccato di gola lo condannava già Dante, e severamente. Nell'Inferno, Cerbero, il mostro dalle tre gole, con la barba unta, è il guardiano dei golosi, colpiti da una pioggia incessante di fango. È giusto che i golosi siano condannati? Elena Loewenthal assicura di no, che è giunto il tempo del riscatto, grazie ad un'associazione gastronomica francese «De la Question Gourmande» che si accinge a presentare al Papa un singolare appello: di «espungere la gola dai sette vizi capitali».

«Tutto il merito del suo padre fondatore, tal Lionel Poilane, alias "re dell'antibaghette" che, prima di morire, militò per una vita in difesa della buona tavola oltre che nella storica impresa di fornire ai francesi un pane rotondo al posto dell'ingombrante filone. Egli diceva che apprezzare il cibo non è un atto di ingordigia, piuttosto il contrario: la buona cucina e il piacere che se ne trae è un sapiente gioco di equilibri, non un'abbuffata di sensi, indigesta per la testa e il cuore prima ancora che per lo stomaco.»

Ma non tutti sono d'accordo. Temono che, eliminato il senso del peccato, venga meno anche il gusto della trasgressione. Anche noi concordiamo: che piacere ci sarebbe nel "leccare" avidamente un gelato di cioccolato con panna se il medico non ce lo avesse proibito in nome del colesterolo o la dietologa lo avesse addirittura cancellato dal menù mensile perché ipercalorico? Perché privarci di simili dolcezze? Facciamo nostra la massima di Sandra Boyton: «Il cioccolato non è un privilegio, ma un diritto!».

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Pagina 96

Nella Genova storica, quella dei palazzi nobili, delle vetrinette agli angoli delle vie, dei vicoli stretti e soffocanti, si trova via Soziglia, dove s'accampano pasticcerie importanti come la Kleinguti e i Romanengo. Cioccolatini di ogni fattura, piccoli, preziosi, con ripieni di crema o di frutta, variopinte caramelle, confetti screziati, pastigliette di zucchero, si offrono agli occhi nelle vetrine ben ornate. Un odore di cioccolato si unisce a odori vari e sgradevoli. Un odore di cioccolato puro. Buono. Compatto.

Da oltre due secoli la ditta Pietro Romanengo fu Stefano (gli artigiani ultimi custodi della tradizione del Centro America, avendo ancora nel 1989 la macina di pietra per il cacao) produce confetti, frutta candita, cioccolato e lo storico negozio di via Soziglia è un piccolo gioiello segreto nel centro storico, aperto nel 1814. Oggi le specialità sono: marron glacés ai fiori d'arancio, le praline ai pinoli, le gocce di rosolio di caffè e menta, i petali di viola, il torrone al pistacchio della regina, lo sciroppo di petali di rosa.

Un romanzo prende spunto da questa via, da questa pasticceria: I cioccolatini di Soziglia, una sorta di giallo che s'ambienta tra Genova e un centro della riviera. Scompaiono contemporaneamente il cadavere di un ricco e stravagante signore, Remigio Dellepiane, un falegname suo conoscente, il Lippa, e muore in circostanze misteriose lo Scrossua, un contadino beneficiato nel testamento di Dellepiane. Il caso appassiona il nipote di Remigio, Giancarlo. Ma cosa c'entrano i cioccolatini? [...]

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Pagina 100

«Scrigni ricolmi di gioielli» le scatole o i contenitori delle delizie, dalle griffes famose: i diablotin, bocconcini di pasta di cacao e zucchero, antesignani dei cioccolatini, sono tutti torinesi, così come i maestri cioccolatieri da Caffarel a Cailler, De Coster, Suchard, Peyrano, Gobino. Arrivano i Tourinot di Gobino, gli Amarissimi, il cremino Fiat a quattro strati di Majani, i chiusani al rum o al gran Marnier di Chiusa Pesio, i cioccolatini al vino, i baci dorati di Airone di Cuneo, i cioccolatini farciti alla frutta di Marangoni di Macerata, gli amarissimi messicani dei Romanengo, i Mon chéri Ferrero, i gianduiotti e le giacomette di Giordano di Leinì, il vesuvio al cioccolato di Gay Odin di Napoli, i Ciao Turin, mattonelle di cioccolato fondente di Capitano Rosso di Torino, gli Alpini di Peyrano, i baci parmigianini, gli alchechengi tuffati nel cioccolato fondente della Baratti, i Mandrugnin di Giacomo Boidi di Alessandria, il "cazzotto" poi bacio della Perugina e la lista sarebbe infinita.

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