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| << | < | > | >> |Indice3 Come divenni un esperto di pulci 17 Come le pulci fecero la storia 33 Come le arti videro le pulci 51 Dalle pulci alle api 75 Post scriptum: Le pulci degli altri |
| << | < | > | >> |Pagina 1Quando gli Editori Riuniti, nel 1998, pubblicarono Le mie pulci, nella quarta di copertina l'editore lo presentò così: «Trattatello semiserio di un politico entomologo sulle proprie e le altrui pulci: questioni teoriche e pratiche su come l'autore divenne un esperto di pulci, le pulci fecero la storia, le arti videro le pulci, l'autore passò dalle pulci alle api e ritornò alla politica». Mi parve allora una definizione appropriata al mio continuo andirivieni tra scienza e politica e al desiderio di evitare la pedanteria accademica. Sono ora divertito e felice per l'idea di una casa editrice ricca di prestigio e di storia (editori dal 1791!) di ripresentarlo, senza alcuna correzione e con la sola aggiunta di un capitolo doverosamente destinato alle pulci degli altri. Il trattatello è datato, e sono rifuggito dall'idea di aggiornarlo, anche se le tentazioni non sono mancate: spiegare, per esempio, come la storiella dell'entomologa, secondo cui tagliando le tre paia di zampe alle pulci queste diventassero sorde, sia stata recentemente conformata alla scoperta che il loro apparato uditivo sta proprio nella terza zampa; come l'intreccio tra patologie animali e umane si presenti sempre in forme nuove, dall'influenza aviaria alla mucca detta impropriamente pazza, perché la follia è stata di chi ha voluto trasformare nobili erbivori in carnivori, seminando prioni tra gli umani. Esprimo una gratitudine a Tullio De Mauro, recidivo nell'interessarsi a questo scritto e all'iniziativa editoriale di ripresentare testi da tempo non più reperibili in libreria. Roma, 9 settembre 2005 G. B. | << | < | > | >> |Pagina 3All'inizio degli anni sessanta mi prese un intenso prurito (intellettuale) per le pulci, e decisi di studiarle a fondo limitando però il mio campo di ricerca (l'oggetto sarebbe stato, altrimenti, troppo vasto) alle pulci italiane. Per un amore improvviso, come per una vocazione, non si deve cercare una spiegazione razionale. Ma essendo trascorso un quarto di secolo, ed essendo da tempo scomparso il mio prurito per le pulci, posso ora più serenamente indagarne le cause. Una fu certamente l'ambiente in cui lavoravo. Ero aiuto nell'Istituto di Parassitologia, Università di Roma; e le pulci, si sa, son parassiti. L'altra fu il momento della mia carriera accademica: ero giunto alle soglie del concorso per la cattedra, ma la mia produzione era valutata alquanto compromettente, perché l'impronta sociale straripava da ogni lavoro. «Scriva qualcosa di scienza pura», mi consigliavano. Provai perciò a dedicarmi ai vermi intestinali: ma la purezza di questo argomento fu nuovamente inquinata dal fattore sociale, quando scoprii che le parassitosi da cui erano afflitti i bambini in una borgata della provincia romana (Carchitti, comune di Palestrina) erano quasi scomparse con il passaggio delle loro famiglie in abitazioni decenti, senza bisogno di altre cure; e lo scrissi. Intanto l'istituto aveva pubblicato una splendida monografia sulle zecche italiane, che stimolò la mia volontà imitativa. L'autore era un simpaticissimo collega, Oleg Starkoff, che oltre alla passione per le zecche ne aveva altre: la politica, il vino, le canzoni russe. Quando le ultime due passioni si coniugavano, la sua splendida voce di basso allietava sonoramente le nostre serate. Nella politica aveva seguito un insolito percorso: era giunto in Italia da ragazzo, con il padre scienziato emigrato dalla Russia perché sdegnato dalla rivoluzione bolscevica; e in Italia era diventato comunista. Fu Oleg il primo a suggerirmi: perché non studi le pulci? Fui folgorato da questa idea, ma non sapevo davvero da dove cominciare. Quando lo seppe, Enrico si dichiarò fraternamente disposto a mettermi a disposizione le pulci del suo cane, un affettuoso pastore tedesco che aveva chiamato Drug (amico, in russo); ma gli dissi subito, avendo già quel minimo di conoscenze che serviva a far lezione agli studenti, che la pulce Ctenocephalides canis non presentava alcun interesse scientifico. E poi, risultò pure che Drug era pulitissimo. Decisi allora di seguire il cammino obbligato di ogni ricerca: partire dalla bibliografia. Mi affacciai quindi alle prime citazioni, e seppi subito che Aristotele aveva scritto sull'argomento molte inesattezze, che come tutte le sciocchezze dei Grandi durano a lungo nel tempo. Aveva infatti sostenuto che le pulci sono il prodotto della putrefazione di corpi più piccoli; per esempio, dove c'è polvere di sterco, là tu trovi le pulci. In altre parole la tesi della generazione spontanea dalla sporcizia delle tane e delle case. Si dovette aspettare l'invenzione del microscopio, perché il suo stesso inventore Leeuwenhoek lo puntasse verso questi insetti e dimostrasse (sfidando l'ironia dei contemporanei, che chiamarono lo strumento «lente da pulci») che nascono da uova, diventano larve simili a bruchi, si rinchiudono in un involucro come il baco, e infine ne escono in fase già adulta. Il naturalista italiano Antonio Vallisneri poté così scrivere nel 1711: Che Aristotele, intorno alla generazione della Pulce, avea veduto molto, ma scritto poco, e alla rinfusa. Che quel molto non bastò, non avendo veduto assai. Che il non aver veduto assai gli avea fatti fare supposti falsi, da quali avea dedotte falsissime conseguenze, ed ingannata quasi tutta la credula, ed oziosa posterità. Le mie digressioni sul passato si interruppero ben presto, per due motivi: il timore di ripiombare nella dimensione storico-filosofica e sociale, allontanandomi di nuovo dalla «scienza pura» e compromettendo per sempre la mia carriera accademica; e la scoperta, nel frattempo, che esisteva in Inghilterra, come sezione altamente specializzata del British Museum (Sezione di storia naturale), una Rothschild Collection of Fleas, una collezione di pulci di ogni paese intitolata a un certo Rothschild. Scoprii che, come gli orologi di tutto il mondo sono orientati sull'ora dell'Inghilterra, partendo dal meridiano di Greenwich, così gli studiosi di pulci di ogni continente confrontavano le loro ricerche, e gli esemplari man mano raccolti, con la terra madre inglese della collezione Rothschild: un cognome che, fino ad allora, avevo associato soltanto alle banche. Credetti ovviamente che fosse un omonimo. Scrissi subito al British Museum, preannunciando il mio desiderio di occuparmi dell'argomento. Dopo un brevissimo tempo, in data 31 maggio 1961, ebbi una risposta firmata F.G.A.M. Smit, che cominciava con queste frasi entusiaste: «Caro professor Berlinguer, la vostra lettera contiene le più belle notizie che ho ricevuto da lungo tempo, perché l'Italia è virtualmente terra incognita per quanto riguarda le pulci. Sono anche convinto che se nella fauna italiana le pulci fossero più conosciute, questo sarebbe un notevole contributo generale allo studio della fauna mondiale». Confesso che provai un po' di vergogna, come italiano, all'annuncio inatteso che la mia patria fosse così arretrata scientificamente; e che qualcuno potesse scrivere sulla nostra carta faunistica (come gli antichi disegnavano imprecise mappe dell'Africa, scrivendovi hic sunt leones) che l'Italia fosse terra incognita sia pure per le sole pulci. Ma fui lusingato, al tempo stesso, per le speranze e le attese del mondo scientifico internazionale verso il mio futuro lavoro. Insieme a questa lettera, F.G.A.M. Smit (non mi disse mai a quali nomi corrispondessero le quattro iniziali; ma mi spiegò che l'assenza dell'h finale, nel più banale dei cognomi inglesi, veniva dal fatto che egli era di origine olandese) mi inviò un elenco dei pochissimi studi sulle pulci già pubblicati nella terra incognita, e mi diede precise istruzioni per la raccolta, il montaggio su vetrini e la classificazione di questi insetti. Nella bibliografia vi era merce pregiata, come i lavori di Tiraboschi fatti a Genova all'inizio del secolo durante l'ultima breve epidemia di peste (il meglio mi scordavo: non ho ancora menzionato che una delle ragioni meno futili del mio e dell'altrui interesse per tali insetti è che sono le pulci a trasmettere questa malattia, dal ratto all'uomo e da uomo a uomo). Ma vi era anche materiale infiltratosi di contrabbando: vidi con sorpresa che erano citati tre lavori del fisiologo J. Moleschott, pubblicati un secolo prima (1865-1868) sul «Nuovo Cimento» e sugli «Atti della Regia Accademia delle Scienze di Torino», con questo titolo: Studi sull'embriologia del pulcino; e un lavoro di A. Moriggia del 1879, intitolato Tre embrioni di pulcino in un blastoderma unico: in altre parole, tre polli gemelli in un solo uovo. Avendo osservato che spesso un errore di citazione si allarga, come un fiume, dalla fonte alla foce, e che numerosi lavori successivi avevano impropriamente incluso nella bibliografia delle pulci le ricerche di Moleschott e di Moriggia, mi permisi di scrivere a Smit che l'imprecisa conoscenza dell'italiano (e la mancata lettura dei lavori) aveva indotto il primo errante della catena a credere che i pulcini fossero i piccoli delle pulci, mentre in verità sono più grandi; e sono bipedi anziché esapodi. Egli mi rispose sinteticamente «it is really a funny slip»: è davvero un ridicolo equivoco. Dovette trascorrere un quarto di secolo perché mi domandassi (il lettore dovrà pazientare meno, solo fino al quarto capitolo) se l'equivoco fosse derivato da imprecisa conoscenza dell'italiano o da valide reminiscenze latine, visto che nell'etimo di pulce c'è anche l'ipotesi «piccolo pollo». | << | < | > | >> |Pagina 20Fu questo, forse, a scatenare la reazione bigotta. Ecco come un fondamentale trattato (Fernand Mery, Il gatto. Vita, storia, magia, Ed. Ilte, 1968) descrive il capovolgimento di valori che avvenne nei primi secoli del nostro millennio:Per sradicare questo malcostume bisognava a qualunque costo minimizzare e distruggere antiche credenze, distruggendo il mito sul potere dei gatti. I poveri animali furono perciò messi alla berlina, caricati di colpe, accusati di essere «l'occhio e il dito del Maligno» in questo mondo. E, cosa peraltro strana, raramente si perseguirono i gatti con le leggi (come, per esempio, era stato fatto per i topi), ma si incominciò con l'ucciderli crudelmente e nei modi più barbari. Furono i tempi dei roghi, dei famosi Fuochi di san Giovanni, dove si fronteggiavano varie scuole di inimmaginabili crudeltà. In certe contrade un palo, circondato da un cerchio di fuoco, costituiva il solo rifugio ed il solo scampo per quegli sventurati animali: per raggiungerlo, essi si dibattevano, si squartavano, fino a che l'ultimo sopravvissuto ripiombava, a sua volta, tra le fiamme. Altrove, si mettevano su un braciere pesanti gabbie di ferro o cesti di vimini, in cui cinque o sei gatti prigionieri si contorcevano dallo spasimo fino a che la morte non li liberava; altrove ancora, i gatti venivano crocefissi e scorticati vivi. L'orrore di queste torture va associato, purtroppo, ad altrettanti tormenti, roghi e impiccagioni di cui furono vittime uomini accusati di aver ospitato o curato gatti, e donne imputate di adulterio o di stregoneria in associazione con i diabolici felini. Orbene, quando si intensificarono i traffici con l'Oriente e le navi scaricarono nei porti europei, insieme alle merci pregiate, stuoli di topi neri famelici e appestati, le popolazioni si trovarono inermi: erano stati infatti sterminati i soli alleati che avrebbero potuto difendere gli uomini. Pare che i ratti fossero stati rari, in Europa, fino all'XI-XII secolo. La storia dell'invasione di Hamelin, e del pifferaio che li porta ad annegare nel fiume e poi trascina via i bambini per punire la città di non aver pagato il compenso pattuito, nasce intorno al 1284, all'epoca in cui i gatti erano diventati introvabili. Mezzo secolo dopo arriva in tutto il continente la peste. Saltando qualche passaggio logico, e trascurando alcuni elementi storici del tutto secondari come le guerre, le carestie, le vicende politiche, le novità tecnologiche, i rapporti sociali, che si sono aggiunti al «fattore gatto», il cerchio della vicenda si potrebbe chiudere con questa affermazione: il Medioevo è morto, vittima delle sue stesse superstizioni. Anche la Chiesa, che le aveva alimentate, fu vittima di se stessa. La peste, infatti, colpì più duramente i cristiani che gli arabi, perché la nostra religione aborriva, allora, la pulizia del corpo: «L'uomo medioevale dell'Occidente cristiano, diversamente dall'uomo mediorientale coevo, lava poco se stesso e la propria biancheria. L'ira di Dio e la grazia di Allah sembrano mediate dall'igiene intima dei rispettivi popoli fedeli. L'uomo occidentale è, per le pulci, un accettabile sostituto del topo», ha scritto Cosmacini. Poi si aggiunsero processioni e pellegrinaggi, organizzati per impetrare il perdono divino a chi aveva peccato e perciò meritato la peste. Quando il papa Clemente VI invitò l'intera cristianità a portarsi a Roma, nel 1348, promettendo l'assoluzione per chi vi giungeva ma anche per chi moriva in cammino, moltissimi risposero all'appello, ma ben pochi arrivarono vivi al traguardo. La Chiesa fu anche impoverita materialmente nelle sue proprietà non più coltivate, e decimata nella sua élite intellettuale al punto che gli ordini monastici dovettero reclutare perfino analfabeti. Qualcuno ha scritto che «la prima conseguenza fu il declino della lingua latina; la seconda il distacco da Roma di numerosi fedeli, il lacerarsi dell'autorità della Chiesa e l'avvento della Riforma». Ma l'autore è il signor Henri H. Mollaret, capo del Servizio della peste dell'Istituto Pasteur; temo perciò che abbia attribuito meriti o torti eccessivi a questa malattia. | << | < | > | >> |Pagina 25Pulci e pidocchi furono così all'origine di un intenso commercio (o comerzio) di idee. Ci soffermammo ulteriormente sulle molte differenze di comportamento tra Anoplura e Aphaniptera: le larve dei pidocchi sono simili all'adulto, le pulci invece formano bruchi come le farfalle; i pidocchi pungono e masticano, cioè mangiano, le pulci bevono soltanto, nutrendosi di sangue liquido; i pidocchi hanno un corpo piatto (come le cimici e le piattole, lo dice la parola stessa), le pulci sono invece compresse in senso latero-laterale, per vivere e sgattaiolare meglio nel pelame; i pidocchi pongono le uova (lendini) sui peli, e per tutto il loro ciclo vitale sono legati alla sorte dell'ospite, le pulci sono più autonome, sopravvivono anche nell'ambiente esterno e sono più longeve (seppi poi che il record per Pulex irritans è di 513 giorni di vita, ma che nell'Urss dicono di aver allevato un Ceratofillide, pulce di uccelli, per 1.487 giorni).| << | < | > | >> |Pagina 38Come si vedrà nell'ultimo capitolo, recenti ricerche hanno dimostrato che il rapporto tra le pulci e la sessualità di coloro che, sia pur malvolentieri, le ospitano, è assai più stretto di quel che pensassimo. Le pulci infatti si amano fra loro in sincronia con gli amori degli animali sui quali vivono; e si riproducono più rapidamente quando gli ospiti sono sessualmente appagati.
Oso pensare che sia stata questa intuizione, che con mia
grande invidia conferma che i poeti anticipano sempre gli scienziati, a rendere
così frequente, nella storia universale della letteratura, l'accoppiata
pulce-sesso. Non mi risulta, per esempio, che Ovidio abbia mai raccontato di
uomini che si siano metamorfosati in pidocchi, in cimici, in zanzare o in vermi
per introdursi in un vietato talamo. Ha scelto nel suo racconto la
trasformazione in pulce, anche se (non riesco, evidentemente, a staccarmi da un
gretto materialismo) ha dovuto scegliere una metamorfosi piuttosto complicata
dal punto di vista anatomo-fisiologico, essendo le pulci l'esatto rovescio degli
uomini. Le femmine di questi insetti sono più grandi dei maschi, lo scheletro è
esterno al corpo, il cervello è una corda nervosa posta sotto lo
stomaco, la respirazione avviene attraverso spiracoli aperti sul
torace e sull'addome, il cuore sta nella parte posteriore del corpo, i denti
sono 800 piccolissime spine collocate all'interno dello stomaco, un vero
tritatutto per i globuli bianchi e rossi. È perfino difficile immaginare, in un
film di fantascienza a episodi che fosse basato sulle metamorfosi di Ovidio,
come si potrebbe raffigurare nei vari passaggi la transizione uomo-pulce e
viceversa.
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