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Pagina 3
La pratica d'ospedale non sta solo nell'assistere a
complicate operaziorn intestinali, nell'incidere peritonei,
nel pinzare lobi polmonarí, nell'amputar piedi, non sta
davvero soltanto nel chiuder gli occhi ai morti o nel tirar
fuori bambini per farli venire al mondo. La pratica
d'ospedale non è soltanto questo: buttare con noncuranza nel
secchio smaltato gambe e braccia intere o tagliate a metà.
Non sta nel continuare a correr dietro come un cretino al
primario e all'assistente e all'assistente dell'assistente,
far parte del codazzo durante le visite. Né può consistere
solo nel nascondere la verità ai pazienti e nemmeno nel
dire: «Il pus naturalmente si scioglierà nel sangue e Lei
sarà completamente guarito». O in centinaia d'altre simili
fandonie. Nel dire: «Andrà tutto bene!» - quando non c'è
più nulla che possa andar bene. La pratica d'ospedale non
serve soltanto a imparare a incidere e a ricucire, a far
fasciature e a tener duro. La pratica d'ospedale deve
anche fare i conti con realtà e possibilità extracorporee.
Il compito che mi è stato affidato di osservare il pittore
Strauch mi costringe a occuparmi di questo tipo di realtà e
di possibilità. A esplorare qualcosa d'inesplorabile. A
scoprirlo sino a un certo sorprendente grado di possibilità.
Come si scopre un complotto. E può darsi che
l'extracorporeo - e con questo non intendo l'anima - che
cioè quel che è extracorporeo senza essere l'anima della
quale non so proprio se esista, anche se mi aspetto che
esista, può darsi che a questa ipotesi millenaria
corrisponda una millenaria verità; può benissimo darsi che
l'extracorporeo, vale a dire quel che è senza cellule, sia
proprio ciò da cui trae la sua esistenza il tutto e non
viceversa, e che non sia semplicemente l'uno conseguenza
dell'altro.
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