Copertina
Autore Paolo Berra
Titolo Simmetrie dell’universo
SottotitoloDalla scoperta dell’antimateria a LHC
EdizioneDedalo, Bari, 2013 , pag. 248, cop.fle., dim. 14x21x20 mm , Isbn 978-88-220-0257-0
LettorePiergiorgio Siena, 2013
Classe fisica , cosmologia
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Indice


Convenzioni usate nel testo                   7
Introduzione                                  9

    PARTE PRIMA

SULLE SPALLE DEI GIGANTI:
L'ANTIMATERIA E LA FISICA DEL XX SECOLO      17

    PARTE SECONDA

UNO SGUARDO AI CAPISALDI
DELLA FISICA MODERNA                         73

    PARTE TERZA

L'ANTIMATERIA E LA COSMOLOGIA MODERNA       103

    PARTE QUARTA

APPLICAZIONI ALLA FRONTIERA
DELLA FISICA FONDAMENTALE                   125

APPENDICE
Approfondimenti                             185
Glossario                                   197
Breve storia della fisica moderna           203
Ringraziamenti                              216
Bibliografia                                217
Indice analitico                            223



 

 

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Pagina 41

Capitolo terzo

P.A.M. Dirac, le antiparticelle e la bellezza delle equazioni


                            Dato che lo scopo primario delle teorie scientifiche
                            è quello di esprimere le armonie che si osservano in
                            Natura, ci accorgiamo subito che queste teorie
                            devono avere un valore estetico. La misura del
                            successo di una teoria scientifica è difatti una
                            misura del suo valore estetico, perché è una misura
                            di quanto essa ha introdotto di armonia in quello
                            che prima era caos.

                                                      Subrahmanyan Chandrasekhar

Le ragioni storiche di una rivoluzione

La teoria della relatività ristretta e la meccanica quantistica, che apparvero quasi in contemporanea sul grande palcoscenico delle scienze fisiche, furono quindi due fra le più importanti innovazioni del pensiero umano. La prima per descrivere i fenomeni nel campo delle velocità paragonabili a quella della luce, la seconda per spiegare gli strani moti degli elettroni confinati all'interno degli atomi. Tuttavia per quasi trent'anni queste due grandi teorie rimasero completamente separate. I primi approcci per cercare di armonizzarle si sono basati sul tentativo di costruire un'equazione d'onda la cui formulazione matematica fosse invariante rispetto a qualsiasi sistema di riferimento inerziale. Come vedremo, tale percorso avrebbe comportato una rivoluzione nella fisica moderna, tanto da essere alla base della scoperta di un nuovo mondo: quello dell'antimateria.

La teoria di Bohr sulle orbite quantizzate era sostanzialmente non-relativistica, ossia applicabile a particelle che si muovevano con velocità piccole rispetto a quella della luce. Questa teoria poteva risultare accettabile per descrivere il moto degli elettroni orbitanti attorno a un nucleo d'idrogeno, a una velocità pari a circa l'1% di quella della luce, ma era completamente inadatta a descrivere i moti orbitali in atomi notevolmente più pesanti, nei quali le velocità in gioco erano considerevolmente maggiori. Come abbiamo visto, con l'avvento della meccanica ondulatoria di de Broglie nel 1924 s'iniziò a immaginare anche le particelle di materia in termini di onde, in analogia a quanto era già stato fatto nella teoria dell'elettromagnetismo per i fotoni. In tale contesto si riuscì a risalire alle vecchie condizioni di quantizzazione di Bohr le quali, nonostante non fossero state completamente comprese, funzionavano molto bene nel descrivere i risultati sperimentali degli spettri degli atomi con le relative frequenze. Tuttavia si era ben lontani allora dal capire come dovessero essere modificate le relazioni di de Broglie nel caso di particelle non libere, ossia costrette in un campo elettrico qual è quello del moto orbitale degli elettroni intorno a un nucleo atomico. In tale scenario, la figura di Schrödinger apparve determinante quando nel 1926 riuscì a introdurre la ben nota equazione d'onda non relativistica. Questa descriveva il moto orbitale degli elettroni intorno al nucleo di un atomo come una strana e ignota nuvola elettronica di probabilità, permettendo, come abbiamo visto, di chiudere il processo di sviluppo della fisica dei quanti.

La realtà era, tuttavia, più complessa di quanto ci si aspettasse! Nel 1925 i fisici Samuel Goudsmit e George Uhlenbeck, e Wolfgang Pauli separatamente, dimostrarono che per spiegare alcuni dettagli degli spettri atomici risultava necessario assegnare all'elettrone orbitante un parametro cinematico, chiamato spin elettronico. Qui l'elettrone era descritto in modo semplificato, come una sfera microscopica carica orbitante intorno al nucleo e ruotante contemporaneamente come una trottola attorno al proprio asse. Il tutto era evidenziato anche da prove sperimentali datate 1922 e compiute dai fisici Otto Stern e Walther Gerlach. Tali moti producevano però, specialmente se legati alle interazioni con gli altri elettroni orbitanti, un effetto risultante di difficile descrizione matematica. Dai calcoli semiclassici risultava inoltre che, per rispettare le misure sperimentali, l'elettrone dovesse ruotare così in fretta che i punti all'equatore della sua sfera si sarebbero dovuti muovere a velocità superiori a quella della luce. Il tutto era incompatibile con la teoria einsteiniana della relatività ristretta e costituiva in pratica un vero dilemma! Sembrava quasi che fosse impossibile unificare le due grandi teorie di Einstein e Bohr sommandole l'una con l'altra, semplicemente.

Numerosi furono i tentativi intrapresi per risolvere la questione, che però diedero sempre risultati discordanti con i dati sperimentali, rendendo imperfette le soluzioni teoriche del problema. Rapidamente s'intuì come fosse necessario creare una teoria più generale e profonda che potesse inglobare in modo coerente il concetto relativistico e quello quantistico insieme. Tecnicamente, una delle anomalie riscontrate era legata al fatto che l'equazione d'onda di Schrödinger per gli elettroni orbitanti contenesse sì le derivate seconde rispetto alle variabili spaziali, ma soltanto la derivata prima rispetto al tempo. Al contrario, nelle equazioni classiche che descrivono la propagazione di un generico moto ondoso, al quale de Broglie s'ispirava per il dualismo onda-particella, comparivano sempre derivate seconde rispetto alle coordinate spaziali e temporali, il che generava delle incompatibilità di principio enormi. Inoltre, una teoria relativistica dell'elettrone avrebbe dovuto contenere tutte quelle proprietà tipiche delle leggi scoperte da Einstein quasi vent'anni prima. Ma così non era!

Numerosi furono i tentativi atti a correggere queste anomalie, che inizialmente condussero gli scienziati a formulare la cosiddetta equazione di Klein-Gordon. Tale equazione aveva il pregio di essere simile all'equazione originale di Schrödinger, ma era scritta in forma relativistica e con le derivate seconde rispetto al tempo invece delle derivate prime, in analogia alla ben nota equazione del moto ondoso. Tuttavia, si trovava che, per ottenere come soluzione al problema le usuali espressioni di onde «alla de Broglie», l'energia E dell'elettrone dovesse essere legata al valore della propria quantità di moto ‘p’ dalla relazione relativistica E^2=p^2 c^2 + m^2 c^4, in cui m è la massa della particella e c la velocità della luce. Questo fatto implicava che, per un certo valore di p dell'elettrone orbitante, ci fossero due soluzioni possibili di energia, una positiva (+) e una negativa (-), riassumibili con l'espressione E=±√(p^2 c^2 + m^2 c^4). Che cosa rappresentavano questi valori di energia negativa? Ovviamente il tutto era di ardua interpretazione. Con questo modello, inoltre, non si riusciva a includere in modo coerente lo spin dell'elettrone orbitante attorno al nucleo atomico, già brillantemente scoperto dagli sperimentali alcuni anni prima. La grande rivoluzione della fisica d’inizio secolo sembrava quindi trovarsi di fronte a un vero rompicapo.

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Capitolo sesto

Mondi allo specchio e simmetrie infrante


                            Le scoperte dei decenni recenti nella fisica delle
                            particelle ci hanno indotti ad ammettere una grande
                            importanza al concetto di rottura della simmetria.
                            Lo sviluppo dell'Universo dai suoi primissimi inizi
                            è considerato una successione di rotture di
                            simmetria. L'Universo, quale emerse dal momento
                            della creazione nel Big Bang, era completamente
                            simmetrico. Mentre andava raffreddandosi a
                            temperature sempre più basse, ruppe una simmetria
                            dopo l'altra, consentendo l'emergere di una
                            diversità strutturale sempre maggiore. Anche il
                            fenomeno della vita rientra naturalmente in questo
                            quadro. La vita stessa è una rottura di simmetria.

                                                             Freeman John Dyson



Le simmetrie della fisica

Fin dalle prime osservazioni sperimentali dei positroni, i fisici iniziarono a porsi semplici domande in maniera spontanea. La materia e l'antimateria sono perfettamente simmetriche? Perché il nostro Universo è popolato solo di elettroni e non di positroni?

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come nell'equazione di Dirac fosse implicitamente contenuto il fatto che le particelle o le antiparticelle si possano generare o distruggere in modo speculare.

Questi fenomeni, nonché l'esistenza stessa dell'antimateria, sono infatti strettamente legati al concetto di simmetria e alle note leggi di conservazione della fisica. Quando gli scienziati usano il termine simmetria, in realtà fanno riferimento a un'invarianza nelle equazioni che descrivono il fenomeno in questione. Ad esempio, si può dire che un sistema fisico è speculare se ad esso si può applicare una riflessione (ossia un cambiamento di coordinate spaziali) tale per cui le leggi stesse rimangono inalterate.

Senza princìpi di invarianza (ossia leggi di conservazione, N.d.A.] non potrebbero esistere leggi di Natura. Se le correlazioni fra eventi cambiassero di giorno in giorno e fossero differenti in diversi punti dello spazio, sarebbe impossibile scoprirle.

A inquadrare in modo analitico tali concetti viene oggi in nostro aiuto un fondamentale teorema che lega profondamente le leggi di conservazione con i princìpi dì simmetria. Questo teorema fu enunciato nel 1915 dal matematico Emmy Noether e oggi è universalmente conosciuto come «teorema di Noether». Esso afferma che ad ogni invarianza o simmetria di un fenomeno fisico corrisponde sempre una legge di conservazione.

Emmy Noether era figlia di un professore di matematica dell'Università di Erlangen e a causa delle leggi dell'epoca non ebbe il permesso di iscriversi a tale università, esclusivamente maschile. Tuttavia, le fu dato il consenso di seguire i corsi e sostenere gli esami. Così Emmy Noether poté dapprima laurearsi e in seguito conseguire un dottorato di ricerca. Successivamente iniziò a lavorare con il famoso matematico David Hilbert a Gottinga, pur senza una posizione ufficiale, nonché senza un salario: a quel tempo la carriera scientifica delle donne era alquanto difficile e fortemente discriminata! Lavorò in contatto con i più grandi matematici del suo tempo, tra cui lo stesso Hilbert, Weyl e Klein e collaborò alla formulazione matematica che è alla base della teoria della relatività generale di Einstein. Nel 1933, a seguito delle persecuzioni razziali dei nazisti in Germania, dovette emigrare negli Stati Uniti, dove divenne professore presso il college femminile di Bryn Mawr. Non è un caso che oggi questo piccolo college riesca a produrre un numero di donne laureate in fisica più alto di ogni altro college americano.

Ma torniamo alle nostre leggi sulle simmetrie. Uno degli assunti fondamentali delle scienze è quello per cui le leggi sono le stesse in ogni luogo e in ogni tempo considerato. Più in particolare, si fa sempre riferimento all'invarianza delle equazioni rispetto a un arbitrario sistema di riferimento spazio-temporale. Tale simmetria è oggi chiamata simmetria continua dello spazio-tempo. Il teorema di Noether ci dice che questa simmetria ha implicazioni molto più profonde, tali per cui a queste invarianze corrispondono le ben note leggi di conservazione dell'energia, della quantità di moto e del momento angolare, che qualsiasi studente liceale dovrebbe conoscere. In pratica, se per un determinato esperimento osserviamo queste quantità conservate, allora possiamo affermare che i risultati dello stesso non dipendono né da dove è eseguito, né tantomeno da quando lo si effettua. In tal caso le leggi fisiche non cambiano con lo spazio e il tempo, ossia i teorici possono dire di essere di fronte a una simmetria continua dello spazio-tempo. Queste simmetrie sono oggi presenti in tutte le teorie quantistiche moderne e fanno sì che possano valere sempre le leggi di conservazione sopra esposte. Allo stesso modo possiamo trattare un'altra legge di conservazione della fisica: quella della carica elettrica. Oggi si è capito che questa legge di conservazione è strettamente connessa a un'invarianza o simmetria continua chiamata di gauge. Tale simmetria afferma, ad esempio, che il potenziale elettrico è definito a meno dì una costante e che quindi ciò che per la Natura è significativo riguardo ai fenomeni elettromagnetici sono le sole differenze di potenziale e non i valori assoluti dei campi in gioco.

Esistono poi altri tipi di simmetrie, dette simmetrie discrete, che indicheremo come simmetria C o di coniugazione di carica, simmetria P o di parità e simmetria T o d'inversione temporale. L'applicazione successiva delle tre simmetrie discrete sopra esposte è detta simmetria CPT. Consideriamo le tre parti che la compongono. La coniugazione di carica rappresenta la sostituzione di ogni particella con la rispettiva antiparticella. La parità è essenzialmente descrivibile come la riflessione del fenomeno o dell'oggetto in uno specchio. L'inversione temporale significa far scorrere ali'indietro nel tempo il processo fisico in questione.

Ad esempio, stabilire per un fenomeno un'invarianza rispetto alla simmetria P significa dire, in pratica, che qualsiasi processo fisico osservato attraverso uno specchio segue ancora le stesse leggi. Nel caso della meccanica classica, in cui si analizza attraverso uno specchio il lancio di un oggetto sottoposto ad un campo gravitazionale, la simmetria sembra scontata.

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Capitolo decimo


Alla ricerca di ammassi di antimateria residua nell'Universo


                            Se noi accettiamo la visione di una completa
                            simmetria tra le cariche elettriche positive e
                            negative alla base delle leggi fondamentali della
                            Natura, noi dovremmo interpretare come un incidente
                            il fatto che il pianeta Terra e presumibilmente
                            l'intero Sistema Solare contengano in preponderanza
                            elettroni a carica negativa e protoni a carica
                            positiva. È abbastanza presumibile che per alcuni
                            sistemi solari presenti nell'Universo possa
                            sussistere la condizione opposta in cui le stesse
                            siano formate in modo preponderante da positroni e
                            protoni a carica negativa. Per tale ragione, in
                            linea di principio potrebbero esistere metà dei
                            sistemi solari per ciascun tipo. I due tipi di
                            stelle dovrebbero avere gli stessi spettri, cosicché
                            non esiste modo di distinguere le une dalle altre
                            con gli attuali sistemi di indagine astronomici.

                                                              Paul Maurice Dirac



Come individuare l'antimateria nello spazio profondo

Sebbene nelle teorie attuali si ammetta che tutta l'antimateria generatasi durante il Big Bang sia andata distrutta a seguito di una forte violazione della simmetria CP, potrebbe anche essere accaduto che l'Universo non fosse, all'inizio, propriamente omogeneo. Se infatti si stima che possano esistere ben oltre cento miliardi di agglomerati di galassie, essendo oggi l'esplorazione alquanto limitata, potrebbe essere plausibile pensare a un Universo simmetrico nella sua globalità, ma con delle asimmetrie a livello locale. Alcune teorie prevedono poi che nell'Universo primordiale possa essere avvenuta anche una rottura della simmetria T con continui cambiamenti di segno in differenti regioni dello spazio, generando porzioni di Universo di materia e di antimateria, che però non sono mai venute in contatto tra di loro. In conclusione, ciò ci spinge a pensare, ancora oggi, alla possibile esistenza, in qualche parte lontana dell'Universo, di anti-galassie, ossia di zone composte da atomi di antimateria.

Come si possono osservare, sempre che esistano, questi possibili ammassi di antimateria? Chiaramente, se esistessero, nel loro punto di contatto con le galassie ordinarie essi dovrebbero per certo generare dei processi di annichilazione su scala astronomica, con conseguenti enormi emissioni di particelle cariche e di raggi gamma. Tali «getti» sono stati cercati nei decenni scorsi, ma sempre senza successo. Per prevenire queste emissioni si potrebbe supporre di tenere ben separate le due porzioni di materia e antimateria, anche se è stato dimostrato recentemente che, essendo le galassie distribuite in modo uniforme nell'Universo visibile, tale separazione sembrerebbe alquanto improbabile. Esiste poi una certa quantità di antimateria che viene continuamente creata nel cosmo da processi ad alta energia, mentre è stato appurato con certezza che dal centro della nostra galassia arriva una radiazione tipica dell'annichilazione di positroni. Volendo quindi ricercare galassie di antimateria primordiale, dovremmo essere anche in grado di misurarle in modo ben distinto dalle altre sorgenti nello spazio, e fortunatamente abbiamo oggi, proprio a tale scopo, diversi metodi sperimentali attendibili.

Il primo consiste nell’individuare grosse quantità di raggi gamma all'energia ben definita di 511 keV, associata al processo di annichilazione tra elettroni e positroni presenti nell'antimateria. L'annichilazione protone-antiprotone produrrebbe poi una radiazione ancora più energetica a un valore non fisso, ma in un intervallo ben definito a causa della produzione di pioni nel processo di annichilazione. Da tutte queste analisi, però, è stato ormai appurato che la presenza di antimateria associata è alquanto esigua.

Un altro sistema d'indagine per la ricerca di antimateria è quello di rilevarla direttamente. Ovviamente, in questi casi gli usuali metodi di ricerca astronomici basati sull'analisi di onde elettromagnetiche emesse non sono più idonei. Infatti, gli atomi di antimateria emettono onde elettromagnetiche allo stesso modo degli atomi di materia ordinaria, e quindi la loro distinzione risulta impossibile. Pertanto, il solo modo di vedere delle isole di antimateria è di catturare direttamente le antiparticelle provenienti dalle stesse. Nell'Universo esiste una cospicua quantità di particelle di energie variabili, i raggi cosmici, che dopo aver viaggiato per distanze astronomiche colpiscono la Terra da tutte le direzioni. I raggi cosmici misurati contengono quindi molte informazioni circa la loro vita e soprattutto la natura delle sorgenti da cui sono state emesse. Le distanze che tali raggi cosmici possono percorrere dipendono dalla loro energia iniziale: le particelle più energetiche ovviamente saranno in grado di percorrere distanze maggiori. Tra i raggi cosmici misurati possiamo trovare tutti i nuclei degli elementi presenti in Natura, dall'idrogeno agli elementi più pesanti. Questi nuclei interagiscono poi, durante il loro percorso, con il fondo cosmico composto essenzialmente di protoni e nuclei leggeri, producendo così una molteplicità di particelle e antiparticelle secondarie, quali pioni, muoni e antiprotoni. Lo scopo degli attuali esperimenti pensati per la ricerca di antigalassie è quindi quello di rilevare antiparticelle non direttamente collegate ai flussi secondari dei raggi cosmici.


Il rivelatore AMS

Il più recente e sofisticato esperimento pensato per tale obiettivo ha comportato l'utilizzo del primo spettrometro magnetico posto nello spazio, chiamato Alpha Magnetic Spectrometer (o AMS). La proposta di installare AMS (in basso nel cerchio) sulla Stazione Spaziale Internazionale - ISS risale al 1994.

AMS è oggi una collaborazione internazionale, guidata dal premio Nobel Samuel C.C. Ting, tra 16 Paesi (inclusa l'Italia, il cui investimento rappresenta il 25% del totale) con oltre cinquanta istituti di ricerca. Tra questi spiccano l'ente spaziale americano NASA e il CERN di Ginevra. L'elevata accuratezza di AMS, circa 100 volte maggiore degli esperimenti simili concepiti in precedenza, è un requisito fondamentale, giacché si deve rilevare un ingente numero di particelle di materia ordinaria per ogni antiparticella proveniente direttamente dalle ipotetiche antigalassie. Durante gli anni di acquisizione dati, AMS dovrebbe raccogliere ingenti quantità di raggi cosmici, tra i quali sarebbero presenti anche nuclei di antielio. La probabilità che l'interazione dei raggi cosmici con il fondo cosmico produca antielio è molto bassa, pertanto la misurazione diretta di questi antinuclei sarebbe la prova conclusiva dell'esistenza di lontani agglomerati di antimateria. L'analisi accurata degli spettri di energia di tutte le antiparticelle provenienti dallo spazio potrà forse, in un futuro prossimo, dare una risposta a questo quesito. Come disse William Herschel nel suo scritto Pensieri (1810): «Non puoi aspettarti di vedere al primo sguardo. Osservare è per certi versi, un'arte che bisogna apprendere». Ed è proprio quello che stanno cercando di fare gli scienziati di AMS.

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Studi attuali sull'antimateria fredda in laboratorio

Nel 2004 la collaborazione ATHENA si è conclusa e una successiva, chiamata ALPHA (dall'inglese Antihydrogen Laser Physics Apparatus), è stata lanciata per continuare, insieme ad ATRAP, le ricerche avviate dalle collaborazioni precedenti. In particolare il team di scienziati di ALPHA, guidato da Jeffrey Hangst, si era posto l'obiettivo di catturare gli antiatomi per molti secondi in modo da poter compiere precisi test di spettroscopia degli antiatomi d'idrogeno, al contrario di quanto poteva ottenere ATHENA, in cui questi annichilivano subito nel rivelatore dopo la loro nascita. Nel 2010 la collaborazione ALPHA annunciò di essere riuscita a catturare trentotto antiatomi d'idrogeno per circa un sessantesimo di secondo. Nel 2011 gli antiatomi catturati erano diventati trecentonove e per un tempo di circa diciassette minuti. Nel 2012, infine, l'annuncio riguardo le prime misure sugli spettri atomici degli antiatomi d'idrogeno! È interessante notare come la scienza, una volta che una particolare idea raggiunge la propria maturità tecnologica, sia in grado di generare risultati sorprendentemente importanti e in tempi, fino a prima, impensabili.

Un altro esperimento del CERN, denominato AEGIS, utilizza invece le tecniche per studiare l'attrazione gravitazionale g dell'antimateria neutra di bassa energia, riuscendo, con sofisticate apparecchiature, ad analizzare la sua probabile caduta parabolica.

Come mi ha riportato sempre Michael Doser, ora portavoce della Collaborazione AEGIS del CERN: “La ricerca si concentra in particolare sulla cattura di antiatomi di idrogeno per formare un fascio neutro quantomeno accettabile. Studiando poi l'effetto dell'attrazione terrestre su di esso, possiamo avere per la prima volta delle informazioni sulla gravità generata dall'antimateria”.

Le apparecchiature del CERN sugli antiatomi, le uniche al mondo oggi in grado di manipolare antimateria a bassa energia, rimarranno operative per molti anni. I prossimi, dopo un parziale rallentamento delle ricerche per l'avvio del colossale progetto LHC, saranno pertanto molto importanti e l'impegno profuso in decenni di ricerche sull'antimateria al CERN e al Fermilab potrà forse vedere finalmente una conclusione positiva.


I temporali come fabbriche naturali di antimateria

Come abbiamo visto l'antimateria appare essere in Natura decisamente rara, manifestandosi essenzialmente nei processi astronomici e nell'impatto dei raggi cosmici, provenienti dallo spazio profondo, con la Terra. Nel 2011, tuttavia, è arrivata un'indicazione alquanto bizzarra dal Fermi Gamma-Ray Space Telescope della NASA in orbita intorno alla Terra, che ci mostra come grosse quantità di antimateria si possano generare nella nostra atmosfera in concomitanza di intensi temporali. Si è infatti scoperto che, a seguito dell'instaurarsi di fulmini, grandi quantità di elettroni vengono accelerate ad alta energia dall'intenso campo elettrico circostante, e ciò equivale, in sostanza, a un acceleratore di particelle naturale. Questi fasci di elettroni provocano a loro volta intensi «flash» di raggi gamma, in grado infine di generare positroni.


Tra scienza e fantascienza: la propulsione spaziale ad antimateria

Il processo di annichilazione tra materia e antimateria riesce a generare il più alto tasso di energia per unità di combustibile di ogni reazione chimica o fisica oggi conosciuta. L'energia rilasciata per esempio dall'annichilazione protone-antiprotone è circa dieci miliardi di volte superiore all'energia di combustione chimica tra ossigeno e idrogeno, diverse centinaia di volte maggiore dell'energia prodotta dal processo di fissione nucleare dell'uranio e perfino alcune centinaia di volte maggiore dell'energia rilasciata all'interno del Sole durante la fusione nucleare.

Fin dagli anni '50, si è pensato di utilizzare questo concentrato di energia per la propulsione, soprattutto nel settore spaziale, tanto da ispirare più volte il mondo del cinema - ad esempio, con l'ormai celebre saga Star Trek. Risulta superfluo ricordare come le astronavi chiamate Enterprise e Voyager funzionassero proprio con la propulsione ad antimateria. Tuttavia, ciò sembra oggi un po' meno fantascientifico, poiché la NASA, in anni recenti, ha investigato con interesse questa affascinante applicazione. Uno dei grossi problemi dei viaggi interplanetari, o addirittura interstellari, risiede nell'impossibilità di trovare il combustibile per la propulsione una volta che la navicella spaziale sia uscita dalla nostra atmosfera, impedendo oggi, di fatto, l'esplorazione umana perfino del nostro Sistema Solare. Per fare un esempio, con le tecnologie attuali e le velocità raggiungibili dalle navicelle spaziali, per raggiungere l'ultimo baluardo Plutone sono necessari dai quindici ai vent'anni, mentre per raggiungere il vicino sistema di Alpha Centauri, distante circa 4,3 anni-luce, l'impresa sarebbe alquanto improponibile. Si capisce, quindi, che in tali applicazioni si ha necessariamente bisogno di un combustibile con la massima densità di energia sprigionabile, da produrre in sufficienti quantità e compattabile in spazi esigui: l'antimateria sembrerebbe avere tutti questi requisiti!

Fin dalle origini, numerose sono state le proposte per una propulsione spaziale con l'antimateria; alcune serie, molte altre basate su vaghe e poco praticabili speculazioni. La maggior parte delle antiparticelle, come le omologhe particelle, è instabile, ossia decade spontaneamente in altre particelle e antiparticelle. Questo è vero per gli antineutroni, gli antimuoni e così via. Tra tutti i fermioni possibili, solo gli antiprotoni, i positroni e gli antineutrini sono stabili. In questo quadro, l'impiego più razionale e semplice dell'antimateria per la propulsione spaziale è legato, quindi, alle reazioni di annichilazione protone-antiprotone ed elettrone-positrone. Per fare un semplice esempio sulle potenzialità di quest'applicazione, basti pensare che un singolo grammo di antiprotoni sarebbe in grado di produrre, reagendo con protoni ordinari, una quantità di energia uguale a quella rilasciata da ben ventitré serbatoi equivalenti utilizzati da uno Space Shuttle per le missioni compiute intorno alla Terra.

Tuttavia, uno degli attuali problemi che la NASA si trova ad affrontare risiede nell'inadeguatezza delle attuali fabbriche di antimateria, la cui capacità produttiva nei centri di fisica delle particelle non supera oggi qualche frazione di nanogrammo all'anno e a costi proibitivi. La NASA ha calcolato che la propulsione diretta ad antimateria potrebbe divenire competitiva rispetto all'uso dei propellenti chimici solo se il costo degli antiprotoni dovesse scendere drasticamente. Un altro problema, inoltre, è quello legato alla difficoltà dell'accumulo dell'antimateria per tempi ragionevolmente lunghi tali da permettere di intraprendere viaggi spaziali. Un classico contenitore di antimateria, chiamato trappola di Penning, utilizzando accurati campi elettrici e magnetici sotto vuoto, riesce oggi a tenere in sospensione, quindi non in contatto con le pareti di materia, solo qualche milione di antiatomi e per un tempo limitato. Eppure, è convinzione di molti scienziati che tutti questi siano solo problemi tecnologici, probabilmente risolvibili nei decenni a venire, così come avvenne, ad esempio, per l'uranio arricchito nelle centrali nucleari agli inizi del suo utilizzo industriale. Il costo dell'arricchimento crollò drasticamente solo quando alcuni impianti specifici iniziarono a operare su larga scala.

Una parziale soluzione al problema della limitata capacità produttiva dell'antimateria appare legata alla possibilità di utilizzare quest'ultima non solo come combustibile direttamente per la propulsione, ma anche come fonte di energia per innescare, in successione, reazioni secondarie di fissione e fusione nucleare, che sarebbero il vero cuore propulsivo della navicella spaziale. Scienziati americani, infatti, hanno dimostrato che per accendere una fissione nucleare nell'uranio si ha bisogno dell'annichilazione di una quantità esigua di antiprotoni e che una reazione di fissione è in grado di innescare la fusione di nuclei di deuterio e trizio, due isotopi dell'idrogeno, proprio come avviene in una bomba termonucleare. Si è così studiato un metodo in cui delle pastiglie di deuterio-trizio e uranio sono irraggiate con antiprotoni, ideando così sulla carta un'innovativa navicella spaziale ibrida. Un progetto alternativo prevede poi l'uso di un plasma di antiprotoni posto a contatto con combustibile di deuterio-trizio a innescare direttamente un processo di fusione nucleare. Accurate simulazioni hanno dimostrato che tutti questi sistemi ibridi sarebbero ideali per viaggi all'interno del nostro Sistema Solare. Utilizzando, infatti, una propulsione di questo tipo e una decina di microgrammi di antimateria si potrebbe compiere un viaggio verso Giove e ritorno in circa un anno. Si capisce quindi che, potendo migliorare la resa di produzione attuale dell'antimateria almeno di un fattore due e forse più, si arriverebbe ad avere una quantità di combustibile sufficiente e a un costo tale da rendere la missione economicamente possibile.

Il problema tecnico dell'accumulo potrebbe essere invece risolto in vari modi. Il più pratico è quello di migliorare la tecnologia esistente delle trappole di Penning, cercando di incrementarne la capacità di accumulo per lunghi periodi. La NASA ha infatti sviluppato una trappola innovativa in grado di contenere sufficienti quantità di antiprotoni per diverse settimane. Il problema delle trappole, a oggi non ancora risolto, è che queste possiedono un limite intrinseco nella densità di energia accumulabile, oltre il quale s'innescano delle instabilità di difficile controllo. Un altro metodo promettente è quello di produrre antiatomi neutri d'idrogeno, da accumulare successivamente in forma solida per essere utilizzati all’occorrenza. Questo metodo potrà essere sviluppato grazie alle esperienze compiute in questi anni dal CERN sullo studio e sullo stoccaggio dell'antimateria. Le nuvole di antidrogeno prodotte in laboratorio si potrebbero solidificare a basse temperature, sotto forma di minuscole pastiglie, che, essendo neutre e diamagnetiche, verrebbero caricate elettricamente per poi essere intrappolate con appositi campi elettrici sotto vuoto. Non è escluso, quindi, che con queste tecnologie nei prossimi decenni si possa iniziare uno studio per la prima affascinante esplorazione umana del nostro Sistema Solare.

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