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| << | < | > | >> |IndiceINTRODUZIONE 20 NEL REGNO DEI FARAOINI 36 DESERTI: LE SABBIE DI KEMET 198 OASI: I DONI DELL'ACQUA 268 NILO: IL FIUME DELLA VITA 330 LE CITTÀ: L'EREDITÀ DELL'UOMO 448 IL MAR ROSSO E IL MAR MEDITERRANEO 544 |
| << | < | > | >> |Pagina 20A Luxor fa freddo ed è buio, ma le stelle nel cielo lasciano presagire un mattino straordinario. Non c'è vento e il silenzio carica l'atmosfera di una strana magia. Guardo il mio amico Mark Linz e l'interprete Gamal Shafik, che ci accompagna: anche loro mi guardano, anche loro in silenzio. Forse ce labbiamo fatta. È come un sogno a lungo inseguito che sta per trasformarsi in realtà, ma ancora non riesco a goderne per paura che qualcosa, qualcuno, spezzi l'incantesimo. Il pilota di un poderoso elicottero russo MI-17 ci chiama, si può partire prima dell'alba! Controllo spasmodicamente le macchine fotografiche che mi si attorcigliano al collo: tutto è pronto. Mi imbragano con le cinghie di sicurezza e resto seduto sul pianale dell'elicottero con le gambe che penzolano nel vuoto attraverso il varco del portellone che ho fatto rimuovere per poter fotografare più agevolmente. Si parte e l'emozione è subito incredibile. Il sole non è ancora sorto, ma c'è già luce. Il grigiore della penombra avvolge il tempio di Karnak conferendogli una dimensione irreale e isolandolo da ogni contesto temporale. la gente dorme ancora e il paesaggio sotto di noi pare cristallizzato in un innaturale immobilismo: l'immagine di Karnak, del nastro del Nilo e delle montagne desertiche che in fondo segnano i confini della Valle dei Re resta impressa sulla mia pellicola, ma soprattutto nella mia mente. Mi concentro sulle immagini, ma ho la sensazione di essere fuori dal tempo e di rivivere il passato, ne respiro l'atmosfera, ne assaporo i ritmi. Siamo ormai a Deir el Bahari, quando mi accorgo che sta spuntando il sole: mi volto e vedo l'alba di un nuovo eterno mattino su Tebe. Mi rigiro e quasi impazzisco di stupore: le colline desertiche intorno al tempio di Hatshepsut sono di un colore rosso indescrivibile. È uno spettacolo fantastico e io sono lì, al posto giusto nel momento giusto, un giorno qualsiasi fuori dal tempo. Sono concentrato sulle immagini, sono calmo ma deciso e scatto senza esitazione con diverse focali un altro giro e la Valle dei Re mi si presenta straordinariaente colorata e splendida con i suoi tesori: non si vede una sola persona. Un altro giro e sono pronto per altre fotografie, ma la luce è già cambiata: è ormai di colore arancio e in breve sfuma nel giallo. In pochi minuti si è consumato ed è svanito un miracolo, mai i rullini sono ormai nella tasca dei miei jeans e io mi sento incredibilmente fortunato. Ci sono riuscito, ma ho quasi esaurito la mia pazienza per poter essere lì, vivere e assaporare quei tre fatidici minuti. Nell'arco di tre anni ho trascorso a bordo degli elicotteri dell'esercito egiziano e in mongolfiera più di 60 ore in volo sull'egitto, scattando circa 20.000 diapositive. Ho sorvolato la costa mediterranea, tra Marsa Matruh e il canale di Suez, dove dune di sabbia bianchissima si immergono nel blu delle onde. Ho accarezzato Alessandria d'Egitto, una città bellissima nella quale, dall'alto, si può ancora immaginare la presenza del leggendario faro. Sul delta del Nilo ho visto i pescatori con le loro barche e la miriade di campi coltivati dal colore verde smeraldo. Il Nilo: il suo nome basta già a originare un brivido di sgomento, curiosità e ammirazione. Scorre potente, portatore di vita, simbolo dell'Egitto e della sua grande civiltà. Ho sorvolato Il Cairo, metropoli infinita, che si spinge tentacolare sino a lambire quel miracolo ingegneristico chiamato piramidi: enormi, silenziose, altere nella loro forma perfetta, custodite dalla sfinge, dal volto umano e corpo felino, inquietante presenza, che nel tempo ha mantenuto intatta e inalterata la forza del suo mistero. Nel grande deserto occidentale ho visto le dune di sabbia chiara dalle forme modellate dal vento, le rocce e le montagne del deserto bianco, che sembrano coperte di candida neve e che evocano un antico miracolo. E poi le oasi, meraviglioso smeraldi tra la sabbia: Siwa, la mitica destinazione di Alessandro Magno, splendida con i suoi laghi, e poi Baharyia, Farafra e il Fayum. A Luxor ho rivissuto l'atmosfera più autentica dell'antico Egitto e l'emozione è senza fine: il tempio di Luxor, il tempio di Karnak... sono incredibilmente perfetti e dal cielo ancora si intuisce come un tempo fossero tra loro collegati da un lungo viale di sfingi, via terra, e dal Nilo, via acqua. Mi immagino la festa di Opet, quando il faraone con la sua barca e il suo seguito viaggiava maestosamente lungo il Nilo tra i due templi. Sul lato ovest lungo il fiume le colline nascondono la Valle dei Re e la Valle delle Regine, mentre accanto si stagliano il grande tempio di Medinet Habu, il Ramesseo il tempio di Sethi I, i colossi di Memnone. Tra questi imponenti resti la vita dei contadini scorre come migliaia di anni fa, scandita dai ritmi del sole, dall'alto ho potuto assaporare appieno questo spettacolo antico e ho potuto fotografarlo in tutta la sua suggestione. Seguendo le verdi sponde del Nilo sono arrivato ad Aswan, dove il corso d'acqua si apre tra le cateratte, creando un luogo di rara suggestione. Le feluche bianche scivolano silenziose sul fiume blu, colorata visione tra le sabbie pallide. Ma e il lago Nasser che dall'alto mi fa ancora una volta sognare, il suo azzurro intenso e la sua ampiezza nel deserto creano una visione surreale. Le sabbie vi si infilano come dita, ma lui resiste, anzi, ribatte colpo su colpo e forse guadagna terreno. I templi sulle sue sponde sono sentinelle, immutabili testimoni di questa lotta che si compie nel silenzio e nella solitudine. Non meno affascinante è il tempio di Wadi es-Sebua, preludio al maestoso Abu Simbel, immenso monumento a Ramesse II e alla sua sposa reale Nefertari. Dall'alto, il tempio grande sembra quasi dominare tutto il deserto, tutto il lago, tutto l'Egitto e anche oltre. Il paesaggio e l'atmosfera cambiano radicalmente quando si arriva a lambire le rive del Mar Rosso. Le barriere coralline hanno colori vivissimi e creano giochi di luci tra le acque cristalline. Isole di deserto sembrano staccarsi dalla costa, come gemme perdute nel blu. Piccole onde increspano la superficie del mare e il vento salmastro mi fa capire che qui tutto e diverso. Da lontano intravedo Ras Mohammed, punta estrema del Sinai, che si allunga in mezzo al Mar Rosso. È qui che da ragazzo venico ad immergermi, più di trent'anni fa, con gli amici veri: Carlo, Gianni e Sergio. È qui che venivo a vivere l'avventura, non posso fare a meno di guardarlo dall'alto con autentico affetto e con un velo di tristezza: è maestoso e bellissimo. L'Egitto è per me molto più di una semplice meta, è un pezzo del mio cuore e ogni immagine che ho realizzato rivela i miei sentimenti e splendidi ricordi. | << | < | > | >> |Pagina 199La valle del Nilo, ricca di colori, vegetazione, città, villaggi, rumore, persone e veicoli, occupa solo una piccola parte del territorio egiziano. Ai lati del fiume, la vegetazione procede fitta fino a dove arriva l'acqua, poi improvvisamente cede il passo al deserto. Oltre questa netta linea di separazione, subito lo spazio si dilata e il silenzio prende il sopravvento. Viaggiando attraverso il deserto, ci si accorge di come possa essere variegato. Innanzitutto, i colori: nella metà inferiore del panorama, sono presenti tutte le tonalità possibili del giallo, del marrone e del grigio, arricchite spesso da sfumature rosate e violette. La metà superiore è interamente occupata dal blu del cielo, che talvolta si riflette nella sabbia calda dando origine a miraggi di irraggiungibili pozze d'acqua. Anche i paesaggi possono essere molto diversi l'uno dall'altro. Le cime dei picchi rocciosi del Sinai e del Deserto Orientale si susseguono l'una dietro l'altra, passando dal marrone di quelle più vicine al viola di quelle più lontane, incorniciate dal blu scuro del mare sullo sfondo. Nel Deserto Occidentale, o Libico, si incontrano invece formazioni rocciose calcaree, come il famoso Deserto Bianco di Farafra oppure vasti altipiani attraversati da venature di cristalli o punteggiati da rocce scure globulari. Infine, nel deserto si incontrano le dune. E, a guardarle bene, anche le dune sono tutte diverse, a seconda del tipo di vento che spira nella zona. Le dune "a sciabola" camminano sempre nella stessa direzione; quelle "a mezzaluna" ondeggiano un po', ma più o meno procedono secondo il vento dominante; quelle "a stella" girano in gruppo su loro stesse sempre nello stesso posto. Le dune che procedono lungo una direzione possono essere tanto piccole da sopraffare al massimo un cespuglio al loro passaggio, o tanto grandi da inghiottire colline rocciose, strade e villaggi. Dopo qualche anno, i resti un po' malandati dei malcapitati oggetti lentamente riemergono dal retro della duna. Le dune non si fermano davanti a nulla: scalano gli altipiani, scendono nelle pianure e talvolta salgono l'una sull'altra fino a creare enormi e variegati agglomerati di sabbia. Esse poi si riproducono, generando dalle loro estremità delle repliche in miniatura, che poi crescono rapidamente e vanno per la loro strada. La parte centrale del deserto al confine con la Libia è occupata dal Grande Mare di Sabbia, una distesa di dune che si susseguono a perdita d'occhio per centinaia di chilometri. Dall'alto, sembra effettivamente un mare giallo fatto di onde immobili. Ed è lì, da qualche parte, che giacciono i resti sepolti dell'armata di Cambise, composta - secondo la leggenda - da 50.000 uomini spediti nel 524 a.C. dal re persiano verso l'oasi di Siwa con l'intento di distruggere l'oracolo di Ammone. Lo storico greco Erodoto racconta che "le milizie inviate contro gli Ammoni erano partite da Tebe utilizzando delle guide; risulta che siano arrivate fino ad Oasi. (...) Che cosa sia successo dopo soltanto gli Ammoni sono in grado di dirlo, o quanti l'abbiano saputo da loro, e nessun altro; perché [le milizie] non raggiunsero gli Ammoni e neppure fecero ritorno. (...) Erano già quasi a metà strada (...), quando un gran vento dal sud si abbatté su di loro mentre erano intenti a mangiare, un vento tanto impetuoso che li seppellì tutti quanti sotto immensi cumuli di sabbia. Così scomparve un'intera armata". Il movimento costante della sabbia, ora lento e quasi impercettibile, ora graffiante per la furia del vento, è ciò che in effetti dà forma al deserto. Qui ci sono solo linee morbide, angoli smussati, superfici erose. Le tracce sulla sabbia scompaiono presto, ogni irregolarità della superficie tende a essere raccordata al resto da una linea continua. Camminando su una superficie ondulata può essere difficile interpretarne i contorni, ma se la stessa area viene vista dall'alto, improvvisamente tutto appare più chiaro. Nelle zone ricche di resti archeologici, come se affiorassero da sotto un velo compaiono le linee regolari di edifici antichi sepolti, i confini di campi coltivati migliaia di anni fa, le superfici bucherellate da cimiteri dimenticati. La visione dall'alto ha giocato e gioca tuttora un ruolo importante nell'interpretazione del territorio. L'esplorazione del Deserto Libico più profondo, iniziata verso la fine dell'Ottocento, subì un'accelerazione negli anni Venti e Trenta del Novecento, quando una serie di intrepidi esploratori egiziani e stranieri contribuì in maniera fondamentale a colmare le vaste lacune delle carte geografiche dell'epoca. Il principe Kamal ed-Din fu il primo a tracciare una mappa del Gilf Kebir, l'enorme altopiano che occupa l'angolo sud-occidentale del territorio egiziano. Il Gilf resistette per anni ai veicoli degli esploratori, e la "conquista" finale avvenne in effetti quando Lazlo Almàsy e Sir Robert Clayton guidarono una spedizione aerea che dall'alto esplorò il territorio. L'anno dopo fu individuato il passo Aqaba, che tuttora permette alle automobili, fino ad allora sconfitte, di raggiungere la cima dell'altopiano. La storia dell'esplorazione dei deserti e dello sfruttamento delle loro risorse è antichissima. L'intricata rete di wadi del Deserto Orientale svolgeva un ruolo molto importante di collegamento tra la valle del Nilo e la costa del Mar Rosso già durante il periodo faraonico. Quando i Romani presero l'Egitto sotto il loro controllo, adottarono questa "rete viaria" e addirittura la migliorarono con la costruzione di una serie di pozzi e cisterne fortificati. Anche le vaste distese rocciose e sabbiose del Deserto Occidentale sono attraversate da antichissime vie carovaniere. Alcune vie sono state oggi sostituite da strade asfaltate, altre sopravvivono come piste, segnate dal passaggio dei viaggiatori che le hanno utilizzate nel corso dei secoli. Ai vecchi frammenti di vasi rotti e alle ossa di cammelli si sono aggiunti in tempi più recenti taniche di benzina vuote, pneumatici incidentati, bottiglie di vetro e attrezzi da meccanico poggiati sulla sabbia durante qualche riparazione e lì dimenticati. Viaggiare attraverso il Deserto Libico non è mai stato facile. Nella seconda metà del IV secolo d.C. Attanasio di Alessandria scrisse che le oasi del Deserto Occidentale erano il luogo dove "uno va a morire, se è stato tanto fortunato da arrivarci vivo, e se uno non è già morto lungo le piste del deserto che vi si dirigono". Il deserto riesce però a esercitare un fascino che va al di là dell'esplorazione a fini scientifici o geografici. Esplorare il deserto può significare poter cercare sempre senza avere un limite. E non a caso i simboli dell'esplorazione del Deserto Libico, passata e presente, sono sempre gli stessi: il Gilf Kebir, l'armata scomparsa di Cambise e l'elusiva oasi di Zerzura.
Come Ralph Bagnold scrisse nel 1934, "mi piace
pensare a Zerzura in questo modo, come un'idea
per cui in inglese non abbiamo una parola adatta,
che significhi qualcosa in attesa di essere scoperta in qualche luogo remoto,
difficile da raggiungere, se qualcuno è abbastanza intraprendente per andare lì
fuori e cercare; una cosa indefinita, che prende forme diverse nelle menti di
individui diversi a seconda dei loro interessi e desideri. (...) Zerzura viene
cercata in molti luoghi, nel
deserto, ai poli, nelle regioni montagnose dell'Asia
ancora inesplorate. Non cè pericolo che la ricerca possa avere termine, anche se
le lacune nelle mappe diventano sempre più piccole. (...) Fino a
che qualche parte del mondo rimarrà disabitata,
Zerzura sarà lì, ancora da scoprire".
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