Copertina
Autore Jean-Paul Besset
Titolo La scelta difficile
SottotitoloCome salvarsi dal progresso senza essere reazionari
EdizioneDedalo, Bari, 2007, Strumenti/Scenari 69 , pag. 320, cop.fle., dim. 14x21x1,9 cm , Isbn 978-88-220-5369-5
OriginaleComment ne plus κtre profressiste... sans devenir réactionnaire
EdizioneFayard, Paris, 2005
PrefazionePietro Barcellona
TraduttoreBarbara Sambo
LettoreRiccardo Terzi, 2007
Classe ecologia , globalizzazione , economia , politica
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Indice

Prefazione all'edizione italiana
di Pietro Barcellona                          5

Prefazione                                   15

Introduzione                                 25
L'uomo in un vicolo cieco


PARTE PRIMA
LA CRISI DEL REGNO VIVENTE


Capitolo primo
Il più grande furto della storia             43

Sconvolgimento climatico                     44
L'epurazione biologica                       51
Il futuro dell'acqua                         58
Messe amara                                  61
Inquinamento invisibile, malattie emergenti  69

Capitolo secondo
L'età della catastrofe                       79

L'equilibrio infranto                        82
Natura e cultura, pianeta e città            87
La razionalità del peggio                    94
Cortina di fumo                              99

Capitolo terzo
Urgenza umanitaria                          103

I dannati della Terra                       104
L'acceleratore demografico                  108
Viva la crisi?                              111


PARTE SECONDA
LA CRISI DELLA RAGIONE


Capitolo quarto
L'impostura della vita senza fine           121

Il trionfo dell'immobilismo                 123
Sapere non significa credere                129
Una religione universale                    132
Metafisica dell'escrescenza                 138
Sviluppo insostenibile                      144
Il Grande Balzo in avanti della Cina        146

Capitolo quinto
La trasgressione                            153

I circoli della cospirazione                154
Per il meglio o per il peggio               158
La perdita del «senso comune»               162
Accoliti di destra, accoliti di sinistra    165
Limiti dell'anticapitalismo radicale        169
Il vettore del mercato                      172
Età tecnologica                             174
L'abuso eretto a sistema                    178

Capitolo sesto
Illusioni, menzogne e truffe                183

Cecità colpevole                            184
Furbastri e furbacchioni                    188
Sviluppo sostenibile o crescita eterna?     194
L'inganno della «crescita dolce»            196
Tutta colpa del '68?                        201

Capitolo settimo
Il mito della rivoluzione tecnologica       203

Deliri scientisti                           205
In attesa del peak oil                      206
La rivincita del carbone?                   211
L'atomo piombato                            215
La speranza idrogeno                        218
Le energie rinnovabili: vietato sognare     220
Una rivoluzione culturale                   223


PARTE TERZA
LA CRISI DELL'UMANO


Capitolo ottavo
L'uomo dominato                             233

Il trionfo dell'alienazione                 234
Complessità paralizzanti                    238
Assillo pubblicitario                       239
L'estremismo individualista                 242
Depressione generalizzata                   245
La globalizzazione contro l'universale      249

Capitolo nono
Scacco all'eccesso                          253

La realtà del mondo                         254
Indebitamento infinito                      257
K.O. sociale                                262
A proposito della contro-produttività       266
L'internazionale della frustrazione         270
La tentazione reazionaria                   274

Capitolo decimo
Il paradiso artificiale                     281

Artificiale al 100 per cento                283
La grande fiera tecnologica                 285
Genetica: genio del bene o del male?        288
Un progetto transumano di convergenza
    delle nuove tecnologie                  293

Conclusione
Uscite di sicurezza                         297


 

 

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Pagina 25

Introduzione

L'uomo in un vicolo cieco


Il Capo è un idealista, un uomo dal cuore d'oro che vuole bene alla gente, anche se a volte non sa bene a chi rivolgersi. Lucifero, al contrario, sa perfettamente che gli individui preferirebbero assistere all'annientamento del cielo e della terra piuttosto che disfarsi dell'automobile. Ha fatto in modo che le persone trovino la felicità negli oggetti. Sa che sceglierebbero di farsi tagliare le gambe pur di non dover rinunciare a guidare. Di conseguenza, il cielo e la terra stanno per essere annientati. E per quanto riguarda l'anima, quando si verificherà questo crepuscolo degli uomini, non ci sarà più niente da perdere, perché l'anima sarà già stata tradita e venduta, ottenendo in cambio vetture. Un automobilista non è un pedone che guida una macchina, ma un essere interamente nuovo, fatto di carne, di sangue, di acciaio e benzina [...]. In seguito all'apparizione di ogni nuovo oggetto tecnologico, la vita umana perde automaticamente un po' del suo senso. Alla fine, il nostro mondo conterrà soltanto questo trionfante Negativum, tra le fiamme glaciali degli inferi, mentre nei cieli assisteremo all'agonia eterna del Capo, immagine residua e vagabonda di una grande luce. E tutto sarà stato vano.

Harry Mulisch, La scoperta del cielo


Ormai non ci resta che sapere quando. Quando l'effetto serra prenderà il sopravvento, sottoponendo la Terra a temperature estreme, provocando diluvi e inondazioni da una parte, deserto e siccità dall'altra? Quando l'ultimo barile di petrolio verrà estratto da un suolo ormai sterile? Quando il nostro cugino più prossimo, la socievole scimmia bonobo, scomparirà dalla catena dei viventi? Quando il Sahara invadera anche il Mediterraneo? Quando i principali delta verranno sommersi? Quando l'immenso polmone oceanico risputerà nell'atmosfera tutto il carbonio che non è più in grado di assorbire? Quando le principali reti stradali saranno paralizzate dal traffico dei mezzi pesanti? Quando un cocktail chimico rimpiazzerà il bicchiere d'acqua potabile? Quando l'immensa frustrazione suscitata dalle crescenti disuguaglianze tra le incalcolabili ricchezze di pochi e l'intollerabile miseria di molti finirà per degenerare, scatenando incontrollabili ondate di violenza? Quando le malattie emergenti faranno definitivamente esplodere il nostro sistema sanitario? Quando nascerà in laboratorio il primo neonato donato?

La mondializzazione ha inaugurato una nuova epoca, ma è importante non fraintenderne il significato, ritenendo che l'apertura delle frontiere agli scambi costituisca l'aspetto principale. La mondializzazione consiste essenzialmente nella globalizzazione di un pericolo serio, derivante dal cuore stesso nell'umanità e dall'iperattività che manifesta. Spinto dal desiderio furioso di spingere sempre più lontano le frontiere – un impulso che nasce dal più profondo del suo essere, accentuato dal sistema commerciale e dalla sua chincaglieria tecnologica – l'uomo ha creato meraviglie. Prometeo si è liberato dalle sue catene. Il prodotto interno lordo (PIL) mondiale è stato moltiplicato per sette in cinquant'anni e, se la tendenza all'aumento verrà confermata, triplicherà ancora entro il 2050.

Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Lo stesso scenario si ripete ovunque, inviando segnali identici ed esasperanti. Il pianeta soffre, piegandosi sotto l'impatto di una crescita economica esponenziale, accompagnata da modalità di vita esuberanti e da un consumismo bulimico e patologico. Il pianeta ha cominciato ad andare a pezzi da quando l'uomo è divenuto l'attore principale del sistema terrestre, influenzando il ciclo dell'evoluzione in maniera molto più rapida dei fenomeni naturali. Nelle sue Lettere persiane, scritte in pieno boom dell'utopia progressista, Montesquieu lasciava trapelare un'inquietudine: «Che ne sappiamo noi se tutta la terra non ha delle cause generali, lente e impercettibili, di stanchezza?». Oggi abbiamo la risposta! La natura si ribella, l'insieme della biosfera minaccia di scatenarsi.

Nell'ultimo secolo, gli abitanti del pianeta sono triplicati, le ricchezze prodotte sono aumentate di venti volte, l'energia consumata di trenta volte, i beni industriali immessi sul mercato di cinquanta volte. Il percorso compiuto ha provocato dei guasti. Fino a che punto irreparabili? L'incontrollabile frenesia a superare i limiti si traduce in un'impietosa dichiarazione di guerra contro la natura e la fragilità dei suoi equilibri. La corsa all'accumulo di beni e gli eccessi non può essere frenata, una tale inarrestabile sete di ricchezze è impossibile da soddisfare. E allora, purché il fine non conosca mai fine, che importa quali mezzi vengono utilizzati! Peggio per gli sconfitti: la Terra, l'acqua e l'aria.

Assistiamo impotenti a un'alterazione senza precedenti delle condizioni che rendono possibile la vita. Il capitale naturale si sta esaurendo e, insieme a lui, le risorse e gli equilibri che garantiscono la vita. L'esistenza di molte specie è gravemente minacciata e, per la prima volta, anche la specie umana corre dei rischi. La società degli uomini ha indebolito e reso più fragile il genere umano. L'uomo minaccia l'uomo. Nel corso della storia, è accaduto spesso che degli uomini minacciassero altri uomini. Ma questa volta, alterando la stabilità del sistema vivente e compromettendo la sopravvivenza della catena delle specie, l'uomo non si limita più ad «attentare» soltanto al proprio «ambiente». Θ la macchina globale della vita ad essere in pericolo. Tutti gli indicatori lanciano l'allarme, evidenziando i mali dell'epoca: distruzioni, degrado, devastazioni, contaminazioni, inquinamento, mutazioni... Il più grande furto della storia è attualmente in corso. Rischiamo la distruzione globale, l'ecocidio. Sulla superficie del globo si sta diffondendo un'epidemia che renderà impossibile il soggiorno degli esseri umani. La devastazione si espande a macchia d'olio, moltiplicando le vittime silenziose.

La natura aggredita si ribella e si prepara a privare l'umanità del suo sostentamento.

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Pagina 31

Così come i Moderni hanno rotto con l'Antichità, è necessario dire addio al vecchio mondo. Dobbiamo sbarazzarci degli scenari a cui siamo abituati e infrangere gli idoli. Ma, questa volta non si tratta di rifiutare l'ordine normativo delle divinità o della natura, bensì l'ordine che l'uomo stesso si è autoimposto, in nome di una libertà che gli si è rivoltata contro, determinando una forma insolita di asservimento: la dipendenza dal progresso e da tutte le sue declinazioni.

Fino ai nostri giorni, la storia ci ha insegnato che l'uomo è perfettamente capace di dare libero sfogo alle sue capacità di autodistruzione, impegnandosi con convinzione in imprese selvagge. Totalitarismi, genocidi, olocausti, campi di sterminio, epurazioni etniche, carestie decise a tavolino, schiavitù, deportazioni, apartheid, colonizzazioni, guerre, armi di distruzione di massa... L'umanità ha infranto senza sosta le frontiere del massacro e della barbarie. Grazie alle sofferenze e al coraggio, alla compassione e all'altruismo dimostrati da alcuni, è tuttavia riuscita a fermarsi sull'orlo del baratro, bloccando l'ingranaggio, rifiutando l'annientamento e recuperando la ragione. Anche nei momenti peggiori, la famiglia umana è sempre stata capace di reagire. Nella notte fonda dei gulag o delle risaie cambogiane, ridotto all'ombra di se stesso ad Auschwitz, l'essere umano continuava tuttavia a sperare e a resistere, contro tutto e tutti.

Cosa accadrà questa volta? La posta in gioco non consiste soltanto nella bellezza del mondo o nell'avvenire delle generazioni future. Θ la sopravvivenza di ciascun individuo ad essere minacciata. Ogni anno, il 20 per cento dei decessi – 10 milioni di persone, una buona metà bambini – è attribuito alle conseguenze di un fenomeno pudicamente definito «degradazione dell'ambiente». Lo sapevate che i rifugiati che fuggono da siccità, carestie, inondazioni, cicloni e disastri ambientali sono più numerosi degli esuli di guerra? Che la contaminazione della principale fonte di vita, l'acqua, è diventata la prima causa di mortalità mondiale? Che il 50 per cento dei bambini della Terra soffre privazioni estreme? Che la sicurezza alimentare mondiale è tutt'altro che garantita? Che la sesta grande ondata di estinzione delle specie è attualmente in corso e, per la prima volta, l' Homo sapiens è l'invitato d'onore? Che la popolazione delle bidonville raggiungerà presto i 2 miliardi di persone? Che, tra i 22 milioni di prodotti chimici commercializzati nel mondo, alcune sostanze presentano degli effetti irreversibili, che accelerano l'incidenza del cancro, delle patologie respiratorie, delle alterazioni ormonali, delle malformazioni fisiche? Che 3 miliardi di nuovi abitanti sono attesi su un pianeta le cui risorse vitali si stanno esaurendo?

Lo sapevate già? Sì? E cosa avete intenzione di fare? Niente? Soltanto l'ignoranza criminale di alcuni – tra cui la maggior parte degli intellettuali e dei potenti, schiavi degli ingranaggi e dell'immaginario della macchina tecnico-industriale – può lasciar credere che la catastrofe dipenda da cause naturali o da contingenze accidentali. Gli uomini ligi allo status quo ci assicurano che il peggio è sotto controllo. Ma la crisi in atto dimostra che le cause e gli effetti ci sono sfuggiti di mano; nell'ultimo round contro se stesso, l'uomo rischia la sconfitta per K.O. I bastian contrari ci ripetono che è necessario aumentare ancor di più i nostri consumi, per sostenere la crescita e diffondere il benessere. Ma in realtà è proprio tale crescita accelerata a costituire il problema.

Questo meccanismo primario, che si presume assicuri prosperità e lavoro per tutti grazie a una moltiplicazione delle ricchezze, è stato elevato al rango di valore simbolo dell'epoca, riproponendo lo stendardo dell'età dell'oro promessa da Saint-Simon. A destra come a sinistra, a Nord come a Sud, la crescita figura come l'obiettivo centrale di tutti i programmi socio-economici, spacciata per «l'apriti Sesamo» del benessere, che garantirà l'opulenza universale (e la vittoria elettorale di chi la promette). In che modo produrre di più, per consumare ancora di più? O viceversa. In tutti i partiti politici, dai più conservatori ai più rivoluzionari, un'unica finalità struttura un immaginario identico.

In uno straordinario sforzo di negazione del reale, la società degli uomini si ingegna a non vedere i pericoli che incombono. Si ostina a non credere a ciò che già sa. Come se fosse sufficiente convincersi che c'è bel tempo per far cessare diluvi e tempeste di vento. Il rifiuto della realtà si sostituisce alla politica. La Ragione è entrata in crisi, provocando un'anestesia generale, un blocco irrazionale. Assistiamo a uno spettacolare caso di aporia collettiva.

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Pagina 43

Capitolo primo

Il più grande furto della storia


Gli uomini non sapevano che fosse impossibile, perciò l'hanno fatto.

Mark Twain


Affermare oggi che il sistema vivente è in pericolo e rischia di provocare il declino dell'intera umanità sembra quasi blasfemo, perché contrasta con le nostre convinzioni più radicate – in primo luogo l'idea che il potere della specie umana dominante sia inalterabile. Tuttavia i fatti attestano una verità inconfutabile: assistiamo in questi anni a un rapido e sistematico sabotaggio delle basi della vita, indispensabili affinché l'avventura umana possa proseguire.

Pecco forse di catastrofismo? L'ostinata sarabanda dei fatti suggerisce uno scenario apocalittico. Siamo costretti a confrontarci con il principio di realtà, che ci sfida con il suo morso gelido. La crisi del regno vivente è un fatto incontestabile, confermato in ogni momento da tutti gli osservatori del pianeta. Benché alcuni si ostinino a rifiutare di ammetterlo, tale sviluppo drammatico e brutale è indiscutibile: la Terra non tollera più la frenesia umana. Questo disordine applicato alla stabilità del regno vivente – determinato dall'accumulo degli squilibri ecologici che provocano, a cascata, squilibri demografici, economici e sociali – apre un'èra in cui l'incidenza e l'intensità della concatenazione sistemica dei flussi multiformi genera un'incertezza maggiore: la famiglia umana è prigioniera di una storia contrassegnata dall'indebolimento della sua speranza di vita.

Soltanto qualche bastian contrario. travestito da lobby politica o da stratega della comunicazione, nutre ancora dei dubbi. Le incertezze circa i ritmi e i meccanismi della crisi non hanno più molta importanza di fronte alle certezze sulla realtà di quest'ultima. La catastrofe non rappresenta più soltanto un rischio, ma costituisce l'attualità. Esperti provenienti da tutte le discipline descrivono una situazione ormai oltre i limiti. La più importante relazione internazionale apparsa finora, frutto del lavoro di 1360 scienziati delle Nazioni Unite, provenienti da 95 paesi, ha formulato la diagnosi seguente: «L'attività umana esercita una tale pressione sulle funzioni naturali della Terra che la capacità degli ecosistemi del pianeta di rispondere ai bisogni delle generazioni future non può più essere data per scontata». Secondo questo studio, il 60 per cento dei «servizi chiave» che la natura fornisce all'uomo risulta compromesso. Quindici dei ventiquattro ecosistemi osservati (acqua dolce, clima, riserve alieutiche, suolo, foreste, zone costiere, barriere coralline...) appaiono «seriamente degradati» o «sfruttati in maniera insostenibile», benché la sopravvivenza del genere umano dipenda da essi.

Ci accorgeremo prima o poi di dover pagare il conto? Il dramma finale è davvero inevitabile? Possiamo ancora rimediare al caos climatico, all'esaurimento delle risorse biologiche, alla crisi idrica, alla penuria alimentare ed energetica, all'inquinamento oceanico e all'avvelenamento chimico? La catena della vita è davvero destinata a spezzarsi?


Sconvolgimento climatico

Ormai il danno è fatto. Il clima, indispensabile regolatore della vita, è stato alterato dai gas che ingabbiano la Terra in una serra sempre più calda. Entro la fine del secolo, la temperatura media dovrebbe aumentare di altri 2 o 3 gradi centigradi, salendo dal 15 al 20 per cento (nel 2001, l'Intergovernmental Panel on Climate Change stimava tra 1,6 e 5,8 gradi la «forchetta» di aumento della temperatura prevista). Lo squilibrio climatico che ha contrassegnato il XX secolo è un dato di fatto innegabile. Il pianeta e i suoi abitanti sono già costretti a sopportare perturbazioni spettacolari. Cosa accadrà nel corso dei prossimi anni se il termometro dovesse davvero salire di altri 6-8 gradi, come temono i climatologi? Cosa faremo se le loro previsioni dovessero avverarsi? Fino a che punto le condizioni di abitabilità della Terra verranno modificate? L'uomo sarà costretto a imparare a convivere con un cielo che gli si rivolta contro?

Entro due generazioni, i sei miliardi e mezzo di esseri umani diventeranno nove miliardi. Se continueremo a ignorare i meccanismi della macchina climatica, la sua capacità d'inerzia e i rischi di instabilità, possiamo star certi di una cosa: le attività dell'uomo, le sue emissioni «addizionali» nel ciclo naturale del carbonio, principalmente a causa dello sfruttamento delle energie fossili, provocheranno un aggravamento dell'effetto serra. A eccezione di qualche tempio oscurantista – come l'Opep, la Casa Bianca, Exxon-Mobil – la cui ostentata ignoranza non riesce a dissimulare gli interessi privati, nessuno crede per un solo istante che l'aumento dei disastri atmosferici sia del tutto casuale e attribuibile alla normale variabilità climatica.

Osserviamo già le prime convergenze tra gli estremi: piogge troppo frequenti o troppo rare; gravi siccità o alluvioni improvvise; alternanza brutale tra ondate di caldo e di freddo; violente tempeste in successione. In seguito all'aumento di due o tre gradi delle temperature, previsto entro la fine del secolo, la vita sulla terra non somiglierà più a quella a cui siamo abituati: canicole (come quella dell'estate del 2003, che ha provocato tra i 30 e i 50 mila morti in Europa); tempeste (tropicali sotto le latitudini temperate, di gravità e a frequenza doppia nelle zone intertropicali); carestie (che provocheranno incendi; una riduzione della portata dei fiumi, con conseguente carenza d'acqua, desertificazione e penuria alimentare); inondazioni (che minacceranno le pianure e gli estuari, dove gli uomini sono più numerosi); piogge sovrabbondanti (nei luoghi dove piove già eccessivamente) o sempre più rare (dove già non piove mai); erosione del terreno (dove le bidonville sovrappopolate montano all'assalto delle colline); elevazione del livello del mare (che minaccia una trentina di stati insulari, i delta sovrappopolati, i «paesi bassi» e svariate zone costiere); disgelo parziale del permafrost (che si trasforma in immense paludi di suolo ghiacciato in Canada, Alaska e Siberia); scioglimento accelerato dei ghiacciai di montagna (dalla Patagonia all'Himalaya, dalle Alpi alle Ande); contrazione della banchisa artica (che dovrebbe scomparire completamente durante l'estate); restringimento dell'Antartico (dove immensi blocchi di ghiaccio già si distaccano dalla costa Ovest); riduzione della copertura nevosa (e conseguente impoverimento delle riserve idriche); migrazione delle specie vegetali (che compromette la coltivazione di prodotti alimentari e la sopravvivenza delle foreste) e animali (che causa una diffusione delle malattie); scombussolamento dei periodi di fioritura (con spostamento di 200-300 km a Nord delle zone temperate: la Svizzera sembrerà la Provenza, mentre la Provenza somiglierà sempre più all'Andalusia); trasformazione progressiva dell'agricoltura temperata in agricoltura secca, e dell'agricoltura secca in agricoltura arida (che causerà, per esempio, la scomparsa della coltura del mais nel Sud-Ovest della Francia); riduzione della produzione di cereali (in particolare del riso in Asia); rallentamento della circolazione delle correnti marine (come il Gulf Stream) e dell'effetto di regolazione termica degli oceani.

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Capitolo quarto

L'impostura della vita senza fine


Fino all'ultimo non avremo imparato niente. Giù nel profondo di tutti noi sembra che ci sia qualcosa di granitico e immutabile.

John Maxwell Coetzee, Waiting for the barbarians


Cosa accade da quando risuona l'allarme della catastrofe e la barca ha cominciato ad affondare? C'è agitazione sul ponte. Il concetto di «sviluppo sostenibile» ha conquistato lo status di dottrina universale. A Montreal è stato firmato un protocollo che vieta l'utilizzo dei gas letali per lo strato di ozono e che viene grosso modo rispettato. Le misure decise a Kyoto per contenere il cambiamento climatico sono insufficienti, ma per la prima volta testimoniano una volontà di ridurre il consumo energetico. Sono state adottate diverse convenzioni per proteggere le foreste, i mari e le specie viventi, per lottare contro il deserto e ridurre l'inquinamento. In Francia, si costituzionalizza il principio di precauzione e il diritto a un ambiente sano. A poco a poco, il mondo del business impara a «internalizzare» i costi ecologici. Oggi i progetti devono prevedere una «imposta ambientale». Anche le società sono in fermento. I prodotti organici e il commercio equo e solidale suscitano un'eco favorevole nei consumatori. Le iniziative locali fioriscono e la popolazione si mobilita. La volontà commerciale di imporre una rivoluzione genetica all'agricoltura mondiale incontra seri ostacoli. Strati della societa civile internazionale si fanno sentire e le grandi organizzazioni ecologiste – Greenpeace, Amici della Terra, WWF – occupano, nella contestazione dell'ordine del mondo, il posto un tempo appartenuto all'Internazionale Operaia.

Non si tratta forse di segnali di una presa di coscienza? Senza dubbio. Questa recente tendenza è incoraggiante, ma riuscirà ad arginare la gravità della situazione? Tali sporadiche iniziative sono sufficienti a contrastare un sistema la cui dinamica travolge qualsiasi cosa? L'idea che si debba continuare a progredire, produrre, consumare e muoversi non viene messa in discussione. Nessun intervento decisivo si propone di infrangere il primato dell'economia sull'ecologia. Continuiamo piuttosto a nutrire le radici del male che denunciamo. Come un'assemblea di marrani, l'umanità abiura pubblicamente gli eccessi di cui si rende colpevole, mantenendo un'incrollabile convinzione nell'ebbrezza dell'eccesso.

La fiducia nell'infinita potenza umana non è stata nemmeno scalfita. La Ragione è costretta ad arrendersi di fronte al diktat di un progresso continuo e infallibile, alimentato dal desiderio di crescita a qualsiasi prezzo, contro tutto e tutti.

Gli indicatori segnalano il superamento della linea rossa dell'insostenibilità e il fallimento del «sogno americano» di un'espansione delle ricchezze universale e senza fine. Contrariamente a quanto si crede, il «miracolo cinese» contribuisce a dimostrare questo punto. Ciò nonostante, continuiamo a credere disperatamente in un nuovo rilancio della prosperità e continuiamo a domandarci in che modo «favorire la crescita», come «stimolarla», «intensificarla» e «accelerarla». Dietro questo interrogativo, che costituisce la metafisica del secolo, si trovano le chiavi del paradiso. L'illusione del movimento, della fuga in avanti perpetua, svolge un ruolo essenziale. Per sopravvivere, il regime alimenta il bisogno pressante e incessante della superproduzione e del consumismo sfrenato. All'«economia del desiderio» risponde l'incorreggibile pulsione degli individui a volersi stordire. Di quanti megawatt per paese abbiamo bisogno? Quante strade di arroccamento per città ci servono? E quante automobili per famiglia, climatizzatori per casa, catene televisive per antenna, carte di credito per persona e geni artificiali per neonato? Quando ci decideremo a decretare una pausa e cominceremo a goderci la vita? Rifiutare l'idea di frontiera significa annullare il concetto di eccesso. Qualstasi limite o impedimento provocherebbe il crollo dell'intera impalcatura. Poco importa ciò che viene prodotto, in che modo e per quale motivo. L'imperativo categorico consiste nell'aspirare alla vita senza fine.

Malgrado i bei discorsi, di anno in anno constatiamo una crescente tendenza a ignorare l'essenziale. La famiglia umana vive in uno stato di schizofrenia permanente. La casa brucia e le élites, prigioniere del credo progressista universale, attizzano l'incendio sotto lo sguardo complice di tutti. Il genere umano ha forse perduto la ragione? All'alba di questo nuovo secolo, il comportamento dell'umanità fa pensare a quelle popolazioni che, nel corso della storia, hanno assistito passivamente ai massacri commessi in loro nome e sotto i loro occhi. «Non lo sapevamo», hanno dichiarato in seguito per giustificarsi. Come potevano non rendersi conto di cosa stava succedendo? Semplicemente, non volevano saperlo.

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