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| << | < | > | >> |IndiceVII Introduzione 3 1. La Commissione Intergovernativa (CIG) 19 Bibliografia Allegato 1: Alla Commissione Intergovernativa per la realizzazione della nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione, p. 21 Allegato 2, p. 25 Allegato 3: Relazione finale - agosto 2000, p. 32 Allegato 4: Osservazioni alla relazione finale del gruppo "Ambiente e Territorio" presentate dal prof. Virginio Bettini, p. 37 45 2. Hotspot Val di Susa 55 Bibliografia Allegato 1 (di Dario Bozzolo) L'inquinamento acustico della linea AlpTransit in Ticino, p. 57 65 3. Un metodo per la valutazione dell'attraversamento della Val Cenischia (di Virginio Bettini, Leonardo Marotta, Marko Sósic, Enrico Tommasel) 106 Bibliografia Allegato 1 (di Leonardo Marotta) Metodi per la valutazione di impatto ambientale del TAV/TAC, p. 108 121 4. Il No alla TAV è di tutto il paese 128 Bibliografia Allegato 1: «Ma il Brennero è molto più urgente», p. 130 Allegato 2: Screening preliminare dei possibili impatti del tracciato della linea Torino-Lione proposto dalla provincia di Torino, p. 132 |
| << | < | > | >> |Pagina VIIIntroduzione
Virginio Bettini
Hotspot Val di Susa La Val di Susa è famosa per il "trou di Thullie", sul versante sinistro della Valle, di fronte a Chiomonte, ad oltre 2.000 metri di quota, sotto i Quattro Denti: lungo oltre 500 metri, largo 80 cm, alto quasi 2 metri, fu scavato, sottraendo oltre 850 metri cubi di roccia, a colpi di piccone, da un solo uomo, di nome Colombano Roméan, in otto anni di lavoro, tra il 1526 ed il 1533, per portare l'acqua di un ruscello, che si formava a seguito dello scioglimento delle nevi sul versante nord, sui prati di Ramats che, altrimenti, sarebbero stati sterili. Che la storia sia quella raccontata in maniera indubbiamente avvincente nel romanzo La canzone di Colombano di Alessandro Perissinotto o che la galleria sia stata scavata nel 1300, a spese della comunità di Chiomonte, come risulterebbe da documenti conservati nell'archivio comunale e che Colombano Roméan si sia limitato a rimettere in efficienza e ad allargare la galleria ostruita dalle frane, non ha molta importanza. Le gallerie fanno parte della storia della Val di Susa e mi pare giusto che a Colombano Roméan sia stato dedicato l'ecomuseo di Salbertrand, perché indubbiamente il personaggio ha assunto la figura del mito: l'uomo degli alti pascoli e dei secoli passati che sa dominare le acque, che scava gallerie. Oggi non si tratta però più di scavare per portare acqua ai pascoli, ma di riempire i bacini di nuove centrali idroelettriche o di estrarre 16 milioni di metri cubi di materiale lapideo per un tunnel ferroviario, destinato all'alta velocità, che difficilmente risolverà il problema del transito di uomini e merci attraverso le Alpi. I recenti fatti in Val di Susa, dell'ottobre-dicembre 2005, il no deciso da parte della popolazione residente al progetto della linea ferroviaria ad alta velocità TAV, testimoniano come il concetto win-win, (tutti vincono, nessuno perde) e la retorica della sostenibilità, abbiano fatto il loro tempo. I cittadini della Val di Susa, che si sono opposti all'avvio delle opere per la realizzazione dell'infrastruttura ferroviaria che collegherà Torino a Lione con un treno ad Alta Velocità, nell'ambito di quello che l'Unione Europea definisce corridoio numero 5, hanno chiarito come non si possa pianificare una nuova infrastruttura prescindendo dalla partecipazione delle popolazioni interessate e da complessive analisi ambientali che tengano conto di tutti i parametri in gioco. La popolazione della Val di Susa ha suggerito a politici refrattari e retorici, ad universitari chiusi nel loro sacro ed in parte dissacrato recinto, ad amministratori opportunisti, che la sostenibilità di una grande opera infrastrutturale può essere solo equilibrio, non scompenso, tra ecologia, economia e società. Se ecologia e società sono negate o sottovalutate ed i parametri economici proposti con forza, i disegni infrastrutturali ed insediativi non risultano giustificati agli occhi dei cittadini, in qualsiasi ambito territoriale e sociale vengano calati. La popolazione della Val di Susa ha dato una sonora lezione alla cultura pseudo-scientifica che non colloca l'ambiente naturale in una dimensione complessiva, facendolo dipendere da alcuni aggiustamenti opportuni della tecnologia, della ricerca applicata e della progettazione del paesaggio. Per questa ragione la Val di Susa è diventata hotspot, ovvero luogo di profondi conflitti tra progetto, società ed ambiente, hotspot la cui dimensione deve essere valutata sulla base di eventi che molto possono insegnare a quanti ancora credono che esista e possa rafforzarsi la procedura partecipata di valutazione dell'impatto ambientale e che la stessa non si configuri sulla base di voli pindarici e modelli applicati solo se ad uscita obbligata, ovvero la giustificazione dell'opera sulla base di una quanto mai opportuna approssimazione scientifica. Ho deciso di scrivere questo instant book non per obbedire al mio innato istinto polemico o per ulteriormente ribadire il concetto che ho dell'Università, (luogo di ricerca del non consenso in ambito culturale e scientifico, al di fuori del quale non ha ragione d'essere alcun impegno politico e culturale nei confronti della società), ma perché ho trascorso gli ultimi 15 anni della mia vita ad occuparmi di tracciati e di ipotesi dell'alta velocità. | << | < | > | >> |Pagina 452 Hotspot Val di SusaGli analoghi Fra le procedure di valutazione ambientale di un progetto, quella che si ritiene sia la più efficace ed adeguata nella fase preliminare di screening, è la ricerca dell'analogo o di analoghi in grado di consentire l'individuazione di una serie di problemi dal punto di vista ambientale, sociale e sanitario. Nel nostro caso specifico disponevamo di alcune possibilità analogiche dalle quali CIG, Alpetunnel ed Ltf hanno mantenuto una certa distanza, rifuggendo da un impegno che avrebbe potuto modificare in maniera positiva le procedure, portando, attraverso l'analisi dell'analogo, ad un effettivo coinvolgimento della popolazione, la quale non si sarebbe sentita ignorata e sbeffeggiata. I più significativi casi analogici che avevamo individuato erano tre e riguardavano: 1 – un'indicazione che emerge dalla letteratura scientifica e dagli orientamenti in ambito IAIA, (International Association for Impact Assessment); 2 – la galleria, al tempo in fase di realizzazione, del Pont Ventoux-Susa, centrale di Giaglione dell'AEM di Torino;
3 - il progetto AlpTransit in fase esecutiva per la nuova galleria
ferroviaria del san Gottardo tra l'Alto Ticono (Valle Leventina) ed il
Canton Uri, nella Confederazione Svizzera.
I suggerimenti della IAIA La International Association for Impact Assessment pone sempre il problema della individuazione di un analogo nella procedura di valutazione dell'impatto ambientale quale modello per la soluzione a priori dí una serie di incognite legate ad un corretto approccio procedurale. Nel corso del 22° Congresso Annuale, svoltosi nel 2002 a La Hague in Olanda, dal 15 al 21 giugno, abbiamo avuto modo di verificare il progetto di valutazione dell'impatto ambientale dei tracciati dell'Alta Velocità nel Sud-Est dell'Australia, basato su di una metodologia che ha tenuto conto dell'esperienza europea. Il progetto di collegamento tra Melbourne e Brisbane, via Camberra e Sidney, è stato poi abbandonato dal governo australiano a seguito di un'analisi costi-benefici anche basata sui valori ambientali, considerati i costi dei circa 2000 km di VHST (Very High Speed Train), tra 33 e 59 miliardi di A$ (dollari australiani), pari a 20-35 miliardi di € ed una ratio tra benefici pubblici e costi pubblici molto bassa, compresa tra 0,12 e 0,25, tenendo conto che l'80% del costo dell'infrastruttura sarebbe stato coperto con fondi pubblici (Weston, 2002). Altri contributi sono venuti, nel corso della IAIA 2002 di La Hague in termini di valutazione degli impatti da parte di progetti significativi (Roseboom G., 2002), in relazione agli impatti sulla società, sull'ambiente e sulla salute. Se poi si volevano veramente valutare gli impatti ambientali a livello d'integrazione delle infrastrutture di trasporto, nella stessa occasione, si poteva attingere in maniera copiosa e decentemente generalista dall'esperienza svedese (Larsson, 2002). Analisi e procedure ulteriormente avvalorate nel corso del 23° Congresso IAIA, che si svolse nel 2003 in Marocco, grazie al rapporto presentato da un gruppo di ricercatori dell'Università Tecnica di Delf, il quale rispondeva in maniera adeguata alla domanda: «How do Cultural and Institutional Factors matter in drawing Lessons in Transport Infrastructure Planning from Other Countries?» (TU-Delft, 2003). Dal rapporto emergeva chiaramente il livello di ambiguità di molte proposte di valutazione a causa dei diversi interessi settoriali in gioco, quindi la necessita di mantenere un alto livello di studi ed analisi in funzione interattiva ed in fase di valutazione degli impatti cumulativi, come proposto anche da Larry Canter (Canter, 2001).
Il rapporto dell'Università Tecnica di Delft portava molta attenzione ad un
aspetto che era definito «desired level of citizen acceptance», un livello dal
quale tutta la procedura di valutazione e di partecipazione sul tracciato della
TAV Torino-Lione si è tenuta molto lontana.
L'analogo di Pont Ventoux Ero ancora membro del Parlamento Europeo, era il 1993, quando ricevetti lo studio di valutazione dell'impatto ambientale dell'impianto idroelettrico di Pont Ventoux-Susa (AEM Torino, 1993). Nell'introduzione del volume, curata da Carlo Socco, si approfondivano i concetti di conservazione dello stock del capitale naturale e quelli relativi alla compatibilità bioeconomica (Clark, 1976). Non ricordo più quanti appelli, inutili ed inascoltati, ho rivolto ai componenti della Commissione Intergovernativa, CIG, perché anche questi parametri fossero adeguatamente valutati. Nel loro insieme, gli insegnamenti che si sarebbero potuti trarre dal caso Pont Ventoux erano assolutamente chiari. L'opera di derivazione principale è costituita dallo sbarramento della Dora a Pont Ventoux: le acque della Dora sono immesse in un canale derivatore, in galleria, a pelo libero, dimensionato per una portata di 33 metri cubi al secondo. Il canale si sviluppa in sinistra Dora Riparia per circa 14 km fino al serbatoio in Val Clarea. In effetti una qualche attenzione da parte di Alpetunnel era stata rivolta al caso Pont Ventoux, anche se i riferimenti avevano tenuto conto solo della VIA del 1993, cui abbiamo fatto riferimento. Gli elementi analogici sono individuati nei cantieri esterni, nell'estrazione e nel trasporto dello smarino, nel reperimento di materiali, ma i temi non sono approfonditi e la problemativa liquidata in poche righe: «Tuttavia se da una parte possono, nel dettaglio analizzarsi fenomeni di continuità temporale e/o di somma di impatti per casi specifici, il cantiere stesso della galleria geognostica di Venaus, per la sua dimensione e collocazione, si ritiene eserciti sull'ecologia e l'economia locale, nello stato attuale, perturbazioni attenuabili e/o compensabili con l'applicazione di criteri di progettazione dell'opera e della sua fase realizzativa, corretti» (Alpetunnel-GEIE, 1999). Al di là dell'italiano un po' contorto, la linea è sempre la stessa: si può fare. | << | < | > | >> |Pagina 1214 Il No alla TAV è di tutto il paeseGli abitanti della Val di Susa oggi forse maledicono il mito di Colombano Roméan. Potevano forse anche sopportare che la valle fosse un passaggio alpino obbligato dai tempi della guerra tra Roma e Cartagine, ma non possono oggi accettare di essere il cantiere in divenire delle Alpi. Lo sono stati a partire dalla metà del XIX secolo, quando, in piena epoca vittoriana, s'impose la saldatura ferroviaria, attraverso il Colle del Moncenisio, 2080 metri sul livello del mare, tra la Val di Susa e la valle della Moriana (Maurienne), dove le linee ferroviarie si erano arrestate, rispettivamente, sul versante italiano, nel 1854 a Susa e, sul versante francese, nel 1856 a St. Jean de Maurienne. I lavori di scavo per la costruzione del tunnel del Frejus iniziarono nel 1857, proseguendo molto lentamente. Si ipotizzò allora, da parte della compagnia ferroviaria inglese Brassey-Fell, una linea temporanea a scartamento ridotto che, valicando in superficie il Moncenisio, sarebbe stata mantenuta in esercizio fino alla definitiva realizzazione del tunnel, anche se molti ne ipotizzarono una vita molto più lunga. La linea fu aperta al pubblico il 15 giugno 1868 e, quello che fu chiamato il treno Fell, operò fino al 17 settembre 1871, per poco più di tre anni, fino all'apertura del tunnel del Frejus (Belloni, 2005). Gli abitanti della Val di Susa sono coscienti di abitare un corridoio nevralgico, ma non si sono mai arresi ad un ruolo che sembra molto simile a quello che l'avanzare delle infrastrutture e degli interessi commerciali aveva assegnato ai nativi americani. Negli ultimi 50 anni si sono trovati a dover far fronte ai problemi del raddoppio della ferrovia del Frejus, terminato nel 1977, motivato da un incremento possibile del traffico merci, fino a 15 milioni di tonnellate. Una vera utopia. Hanno visto il loro fiume, la Dora, cedere il proprio dominio, in valle, all'invadenza di quell'autostrada che è stata aperta al traffico nel 1992, con la conseguente ribellione del fiume nel 1994 e nel 2000. Hanno assistito impotenti ai lavori ed agli sbancamenti della galleria e della diga del Pont Ventoux, alla costruzione dell'elettrodotto di Venaus. Oggi non solo si trovano di fronte ad un tracciato ferroviario dell'alta velocità, inspiegato ed inspiegabile, ma anche alla sua coniugazione con fatti e problemi che sono da anni il cruccio della valle, come la fonderia Beltrame, situata tra l'area di Borgone e Bussoleno, un'acciaieria di seconda fusione; come l'uranio che sarebbe estratto dal cuore della montagna nel corso dei lavori del tunnel principale e l'amianto, testimoniato anche dalla cava di Balangero, la cava d'amianto a cielo aperto più grande d'Europa. Non si tratta certo di portare il caso della Val di Susa al livello di tragedia annunciata in cui si trova ora la Valle della Vère, nel Calvados, dove la gente è stata intossicata dall'amianto, tra incoscienza, bugie e rassegnazione, al punto da richiamare anche una famosa frase di Albert Camus: «L'angoisse de la mort est un luxe qui touche plus l'oisif que le travailleur asphyxié par sa propre tàche», scolpita sul monumento ai morti dell'amianto, inaugurato il primo ottobre 2005, a Condé-sur-Noireau, nel Calvados (Prieur, 2005).
Si tratta di tener conto di alcuni segnali, come quello a proposito
dell'amianto, sulla base della ricerca del Centro di Geotecnologie
dell'Università di Siena dal 2003, che val la pena di considerare (vedi
l'appendice di questo capitolo), in un contesto di seria e specifica valutazione
degli impatti cumulativi, sulla base delle conclusioni:
«Durante il lavoro di campagna è stato riconosciuta la presenza di amianto fibroso entro all'unità distinta nella carta geologica come: Complesso oceanico Liguro-piemontese, e in particolare entro la formazione delle Peridotiti serpentinizzate. Il minerale è sempre concentrato in fratture di taglio e in vene d'estensione. Gli spessori dei riempimenti di fibre di amianto verificate raramente arrivano a 5-6 cm, generalmente hanno spessore millimetrico. La persistenza dei riempimenti verificata è generalmente metrica, raramente decametrica. Quanto rilevato in campagna è stato confermato dalle analisi in laboratorio. Le analisi ai RX di otto campioni hanno confermato che il riempimento delle vene e delle fratture di taglio è costituito da tremolite nella varietà fibrosa (amianto regolamentato) e più raramente da serpentino fibroso (crisotilo, amianto regolamentato). Le sezioni sottili analizzate hanno anche confermato l'assenza di amianto nella roccia incassante le vene di fibre di amianto, solo due sezioni sottili di serpentina hanno rivelato piccole quantità di fibra anche entro alla roccia. L'indagine eseguita porta alle seguenti conclusioni rilevanti per la progettata galleria ferroviaria del tracciato Torino-Modane: la presenza di tremolite varietà fibrosa (amianto) è stata confermata con analisi a RX, e SEM. Vene a fibra di amianto sono state riconosciute in campagna, e confermate con analisi, unicamente nella formazione delle Peridotiti serpentinizzate ulteriori indagini riteniamo che dovrebbero essere eseguite. L'amianto è quasi esclusivamente presente in vene con spessori millimetrici e centimetrici, la spaziatura dei sistemi di vene è molto variabile e perciò non è possibile con i dati attualmente disponibili valutare le quantità di fibra di amianto contenute nell'ammasso roccioso. Anche se una valutazione complessiva dei tenori in fibra, in base ai dati attualmente a nostra disposizione, non è possibile, possiamo confermare che localmente sono riconoscibili porzioni metriche dell'ammasso rocciose in cui il tenore di fibra di amianto è sicuramente superiore a qualche per cento. Una valutazione attendibile dei volumi di roccia portatrice di amianto, attraversata dalla galleria, richiede delle sezioni geologiche lungo il tracciato su cui sia distinta anche la formazione delle Peridotiti serpentinizzate.
L'entità di questa formazione che sarà attraversata dalla galleria sembra
comunque rilevante in base alla considerazione che circa la metà degli
affioramenti di metabasiti della bassa Val di Susa è costituita da peridotiti
serpentinizzate più o meno mineralizzate con tremolite nella varietà fibrosa
(amianto)».
L'amministratore della Rfi, Mauro Moretti ha affermato «Sì, in Val di Susa c'è amianto, ma sappiamo come trattarlo» (Strippoli, 2005). Beh, ce lo faccia sapere e si ricordi che le tecniche di scavo di cui ora disponiamo e che ben conosciamo non bastano da sole in una condizione di impatti cumulativi. La situazione è completamente nuova e deve essere valutata in una diversa, più complessa analisi prospettica, in rapporto a quanto, non credo assolutamente in malafede, fino ad ora è stato fatto. Gli abitanti della Val di Susa pongono all'intera Europa, ed al nostro paese in particolare, un problema non irrilevante che non può essere affrontato se non in termini politici specifici: il problema di un territorio abitato da millenni, come le valli alpine, che oggi rischia di essere trasformato da un complesso fenomeno di urbanizzazione ed infrastrutturazione, mentre gli spazi residui, sottratti alla naturale configurazione, si trasformano in parco di divertimento temporaneo o stabile. Qualcuno si è chiesto se questo significa la prossima scomparsa delle Alpi (Bätzing, 2005). Non scompariranno certo le vette, ma quello che presto potrebbe scomparire è la specifica organizzazione alpina dell'economia, della cultura e dell'ambiente, come si era storicamente configurata, stravolta da uno sfruttamento intensivo delle aree turistiche più ricche, da un'infrastrutturazione implacabile (si veda anche íl recente esempio della tangenziale di Cortina d'Ampezzo) e dall'abbandono delle aree residue. Con la crisi dell'agricoltura tradizionale, in atto da decenni e ora anche delle attività industriali, le valli rischiano di ridursi ad appendice economica del sistema metropolitano. La Val di Susa in parte già lo è. Molti dei dimostranti sono valsusini da poco acquisiti, in fuga dall'area metropolitana di Torino, che si troverebbero nuovamente urbanizzati. La valle rischia ormai di trasformarsi in un parco di divertimenti per gitanti e sciatori, un parco consacrato dall'evento olimpico del 2006, ed in un'area di transito per passeggeri e merci. Chi ha il coraggio di porre questi problemi, o semplicemente di accennarne, alle volte non riesce a comprendere ed acquisire ragioni che pongano in dubbio un modello di crescita basato su di un'inesorabile urbanizzazione, con il suo carico di infrastrutture: «Gli abitanti della Valle di Susa, che si oppongono in questi giorni ai lavori per l'alta velocità ferroviaria, sembrano temere proprio questo. Difficilmente però la loro opposizione frontale potrà avere successo. Anche se non è giusto continuare a far pagare ai valligiani il costo del progresso, le Alpi, oltre che un patrimonio naturale da proteggere, sono un crocevia al centro dell'Europa: non sono mai state, nel corso dei secoli, una barriera e sarebbe paradossale che lo diventassero oggi. Gli abitanti delle Alpi possono, anzi devono, unirsi per controllare i processi economici distruttivi provenienti dall'esterno. Ma non possono illudersi di escluderli del tutto» (Casalegno, 2005). La domanda da porsi è se avevano ragione le mille persone che, il 6 ottobre 2005, attesero l'arrivo dei reparti antisommossa dei carabinieri e che, con sindaci e presidenti delle comunità montane, condivisero la resistenza passiva alle ruspe che avrebbero invaso i prati di Venaus. [...] Si tratta di una soluzione, di un approccio asssolutamente parziale e non accettabile. La gente lo ha capito e sabato 17 dicembre ha invaso Torino per dire nuovamente NO alla TAV. C'erano gli abitanti della Valle di Susa, ma anche centri sociali, ex-disobbedienti ed antagonisti, sindacati di base Cobas e Cub, comitati anti-TAV di tutta la linea che va da Torino a Venezia, la Rete Lilliput, semplici cittadini, Dario Fo e Beppe Grillo, il quale ha rilevato la vera, unica ragione di quella giornata e, rivolgendosi dal palco alla gente, ha detto: «Non sapete cos'avete fatto, perché siete proprio dei valligiani e non capite un cazzo. Adesso il movimento NO TAV non è più solo vostro, è diventato un movimento nazionale».
Nel corso della manifestazione lo slogan più azzeccato è stato «sarà
düra», un «no pasaran» alla piemontese (Regozzino, 2005).
Sarà düra Sì, certo, sarà dura, ma una cosa si deve ottenere: che la valutazione di impatto ambientale sia condotta sulla base di una corretta impostazione scientifica e metodologica. Le premesse non sono confortanti, a partire dall'ultimo documento ufficiale della Commissione Intergovernativa che ho avuto occasione di esaminare (CIG, 2004). Il Ministero propone al CIPE l'approvazione del progetto preliminare con una serie di prescrizioni che riguardano i cantieri, il rumore e l'inquinamento atmosferico, le acque ed i corsi d'acqua, le cave, i depositi ed i siti di riqualificazione, gli interventi di mitigazione ambientale, il monitoraggio ambientale, i beni archeologici ed architettonici. Tutto ciò che doveva essere approfondito in fase preliminare è rinviato al progetto esecutivo, non sono affatto considerati i numerosi impatti irreversibili, cui sarebbe difficile trovare una compensazione e tutto è risolto sulla base delle solite, approssimative mitigazioni. Si conclude con le seguenti raccomandazioni: «Si raccomanda infine che il realizzatore dell'infrastruttura acquisisca, per le attività di cantiere, dopo la consegna dei lavori, la Certificazione Ambientale ISO 1401 o la Registrazione di cui al Regolamento CE 761/2001 (EMAS). Relativamente agli interventi di ottimizzazione dell'inserimento nel territorio e nell'ambiente, si adottino le migliori tecniche disponibili per assicurare sempre l'ottimizzazione degli interventi di recupero delle aree di cantiere. Si preveda, per quanto riguarda il ripristino della vegetazione, l'impiego di specie appartenenti alle serie autoctone... Si preveda, per le aree di cantiere poste in zone esondabili (pur se in categoria C: piena catastrofica) la verifica e la predisposizione di provvelimenti e procedure di sicurezza... Si scelgano le caratteristiche di ciascuna misura di mitigazione dell'impatto ambientale coordinando la tutela della componente ambientale cui essa è prioritariamente destinata, con la tutela delle altre componenti ambientali». Come si evince ci muoviamo in un ambito di completa fase di mitigazione in funzione della giustificazione dell'opera come da progetto, giocando su best practices, provvedimenti e procedure. Sarà quindi dura, nella realtà di quello che potrebbe essere la verifica della valutazione d'impatto ambientale, imporre una linea procedurale che abbia un senso. Tuttavia lo dobbiamo fare, chiedendo alcune cose precise. 1 - Approfondire la priorità di realizzazione tra la linea del Frejus e la linea del Brennero, in quanto nessuno ha mai detto che la struttura del corridoio numero 5 tra Lisbona e Kiev debba essere basata sull'alta velocità. 2 — Procedere alla valutazione dell'impatto ambientale nel corso del 2006-2007, sulla base dei quattro scenari: 2.1 — valutazione complessiva del progetto Ltf; 2.2 — valutazione del progetto di miglioramento dell'esistente linea ferroviaria; 2.3 — valutazione del tracciato alternativo proposto dalla Provincia di Torino, come da schema (allegato 3); 2.4 — non fare/do nothing. 3 — Discussione dei risultati sulla base della specifica procedura di partecipazione da parte della popolazione interessata nei «focus groups».
4 — Consultazione finale, referendaria, in valle, interessando gli abitanti
delle due Comunità Montane.
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