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| << | < | > | >> |Indice3 Introduzione 11 I. Una nuova era americana 35 II. L'Indonesia indipendente 69 III. Fiato sul collo 86 IV. Un'alleanza per il progresso 102 V. In Brasile e ritorno 126 VI. Il Movimento 30 settembre 153 VII. Sterminio 178 VIII. Nel mondo 202 IX. Giacarta sta arrivando 234 X. Di nuovo a nord 259 XI. We Are the Champions 272 XII. Loro dove sono adesso? E noi dove siamo? Appendice 291 Tabella 1. Il mondo nel 1960 193 Tabella 2. Il mondo di oggi 294 Grafico 1. Diseguaglianza globale tra paesi, 1960-2017 295 Grafico 2. Diseguaglianza globale, 1960-2017 296 Mappa. I programmi di sterminio anticomunista, 1945-2000 299 Ringraziamenti 305 Note |
| << | < | > | >> |Pagina 3IntroduzioneNel maggio 1962 a Giacarta, Indonesia, una ragazzina di nome Ing Giok Tan salí su una vecchia barca arrugginita. Il suo paese, uno dei piú grandi del mondo, era stato trascinato nella lotta globale tra capitalismo e comunismo e i suoi genitori avevano deciso di fuggire per non subire le terribili conseguenze che ciò avrebbe provocato alle famiglie come la sua. Salparono alla volta del Brasile perché altri indonesiani che si erano già trasferiti lí dicevano che era un paese libero, con molte opportunità e non era coinvolto nel conflitto. Ma non sapevano quasi nulla del Brasile: per loro era solo un'idea ed era molto lontano. In quarantacinque giorni, tra angoscia e mal di mare, superarono Singapore, varcarono l'Oceano Indiano, oltrepassarono il Mozambico, navigarono intorno al Sudafrica e attraversarono l'Atlantico fino a San Paolo, la piú grande città del Sudamerica. Ma se pensavano di poter sfuggire alle brutalità della Guerra fredda, si sbagliavano tragicamente. Due anni dopo il loro arrivo l'esercito rovesciò la giovane democrazia brasiliana e instaurò una violenta dittatura. In seguito gli immigrati indonesiani in Brasile iniziarono a ricevere messaggi da casa in cui venivano descritte scene inimmaginabili, un'esplosione di violenza cosí terrificante che al solo parlarne le persone crollavano, pensando di essere diventate pazze. Ma era tutto vero. Dall'apocalittico massacro indonesiano, emerse una giovane nazione disseminata di corpi fatti a pezzi, un paese che divenne uno degli alleati piú fidati di Washington e praticamente scomparve dalla storia. Ciò che successe in Brasile nel 1964 e in Indonesia nel 1965 forse fu la vittoria più importante della Guerra fredda per la fazione che alla fine vinse - vale a dire gli Stati Uniti e l'attuale sistema economico globale. Per questo è uno degli eventi piú importanti di un processo che ha influenzato in modo determinante la vita di tutti. Brasile e Indonesia erano indipendenti e avevano una posizione equidistante tra le superpotenze mondiali capitalista e comunista, ma alla fine degli anni Sessanta entrarono decisamente nel campo degli Stati Uniti. I funzionari di Washington e i giornalisti di New York al tempo erano certamente consapevoli di quanto fossero significativi quegli avvenimenti. Sapevano che l'Indonesia, la quarta nazione piú popolosa del pianeta, era un trofeo molto piú importante di quanto avrebbe mai potuto essere il Vietnam. In pochi mesi l'establishment della politica estera statunitense in Indonesia ottenne quello che non era riuscito a fare nei dieci anni della sanguinosa guerra in Indocina. E la dittatura in Brasile, oggi la quinta nazione piú popolosa al mondo, ebbe un ruolo cruciale per portare il resto del Sudamerica tra le nazioni anticomuniste amiche di Washington. In entrambi i paesi l'influenza dell'Unione Sovietica fu quasi inesistente. La cosa piú sconvolgente, e la piú importante per questo libro, è che i due eventi in molti altri paesi portarono alla creazione di una mostruosa rete internazionale volta allo sterminio di civili - vale a dire, al loro sistematico omicidio di massa - e questo sistema ebbe un ruolo fondamentale nel costruire il mondo in cui viviamo oggi. [...] Questo libro è per chi non ha una conoscenza approfondita dell'Indonesia, né del Brasile, del Cile, del Guatemala, né della Guerra fredda, benché spero che le mie interviste, le ricerche d'archivio e l'approccio globale possano fornire qualche scoperta interessante anche per gli esperti. Ma soprattutto spero che questa storia riesca ad arrivare alle persone che vogliono sapere il modo in cui la violenza e la guerra contro il comunismo abbiano avuto un ruolo cosí importante nel determinare le nostre vite di oggi - sia che abitiamo a Rio de Janeiro, a Bali, a New York o a Lagos. [...] La violenza che ebbe luogo in Brasile, in Indonesia e in altri ventuno paesi non fu casuale, né di secondaria importanza rispetto ai grandi avvenimenti della storia mondiale. Le morti non furono «la morte piú fredda e piú piatta», nient'altro che tragici errori privi di conseguenze. Fu esattamente il contrario: la violenza fu un aspetto, efficace e fondamentale, di un processo piú ampio. Non sarebbe possibile credere a ciò che accadde, né comprenderlo o farne un'analisi, senza una visione complessiva degli obiettivi della Guerra fredda e degli Stati Uniti in tutto il mondo. | << | < | > | >> |Pagina 11Capitolo primo
Una nuova era americana
Gli Stati Uniti, una settler colony, una «colonia di coloni» dell'Europa occidentale nell'America del Nord, uscirono dalla Seconda guerra mondiale come lo Stato di gran lunga piú potente del pianeta. Era un paese giovane. Il governo insediato nelle ex colonie britanniche aveva completato l'annessione dei territori prima francesi e poi spagnoli soltanto circa cento anni prima, ottenendo cosí il dominio della fascia centrale del continente. I cugini europei, invece, per conquistare il mondo avevano impiegato quasi cinque secoli; avevano navigato intorno al globo e lo avevano piegato ai propri interessi. Definire gli Stati Uniti una settler colony deriva dal fatto che qui, nel corso di diversi secoli, i bianchi europei si impossessarono del territorio in maniera diversa rispetto a quanto avvenne nel corso delle conquiste dei paesi asiatici e africani. I coloni bianchi arrivarono con l'intenzione di restare e costruire una nazione da cui la popolazione nativa fosse, per definizione, esclusa: perché il nuovo paese bianco e cristiano prendesse forma, la popolazione indigena doveva essere tolta di mezzo. Come imparano tutti i ragazzi e le ragazze americane, nella fondazione degli Stati Uniti era presente un forte elemento di fanatismo religioso. I puritani, un gruppo di cristiani devoti provenienti dall'Inghilterra, non attraversarono l'Atlantico per arricchire la madre patria, ma per cercare un luogo in cui fondare la versione piú pura e disciplinata della società calvinista a cui aspiravano. Un modo per dirlo è che volevano la libertà religiosa; un altro è che volevano una società ancora piú omogenea, fondamentalista e teocratica di quella dell'Europa del XVII secolo. Alla fine del XVIII secolo i leader delle colonie britanniche con una guerra rivoluzionaria estromisero la monarchia e crearono un sistema molto efficiente di autogoverno che, con qualche piccola modifica, è in vigore ancora oggi. A livello internazionale il paese finí per essere considerato il rappresentante e il paladino degli ideali rivoluzionari e democratici, ma al suo interno le cose erano molto piú complicate: gli Stati Uniti erano una società spietatamente suprematista e la conseguenza del bando della popolazione nativa fu il genocidio. Nelle Americhe, dal Canada all'Argentina, la colonizzazione europea uccise tra i cinquanta e i settanta milioni di indigeni, circa il 90 per cento della popolazione nativa americana. Di recente gli scienziati hanno stimato che lo sterminio di queste persone fu cosí esteso da cambiare la temperatura del pianeta. Nei nuovi Stati Uniti d'America, dopo la dichiarazione d'indipendenza dal dominio britannico l'eliminazione della popolazione locale continuò ancora per molto tempo. I cittadini statunitensi continuarono a comprare, vendere, frustare, torturare e possedere persone di origine africana fino a metà del XIX secolo. Alle donne venne concesso il diritto di voto a livello nazionale solo nel 1920. Ma se le donne poterono votare davvero, lo stesso diritto fu concesso ai neri americani solo teoricamente e di fatto impedito da campagne razziste terroristiche e leggi volte a escludere i neri dalla vera cittadinanza. Quando entrarono nella Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano quella che oggi si considererebbe una società basata sull'apartheid. In quella guerra venne in luce il lato migliore dell'America, ma non era scontato che sarebbe andata cosí. Negli anni Trenta qualche americano aveva persino simpatie per il nazismo, il partito autoritario, supermilitaristico, genocida e fieramente razzista che governava la Germania. Nel 1941 un senatore del Missouri di nome Harry S. Truman disse: «Se vediamo che la Germania vince la guerra, dovremmo aiutare la Russia; se vince la Russia dovremmo aiutare la Germania e così lasciare che uccidano quanta piú gente possibile». Ma quando gli Stati Uniti entrarono in guerra, alleati con britannici, francesi e russi contro tedeschi e giapponesi, le loro truppe combatterono per liberare i prigionieri dai campi di sterminio e salvare le esigue democrazie europee dalla tirannia. A parte le cinquecentomila persone che persero tragicamente la vita, una generazione di ragazzi americani tornò da quella guerra giustamente fiera di ciò che aveva fatto - avevano visto da vicino un sistema interamente fondato sulla malvagità, avevano lottato per i valori su cui era fondato il loro paese e avevano vinto.
La fine della Seconda guerra mondiale fu l'inizio di un nuovo
ordine globale. L'Europa era debole e il pianeta a pezzi.
I tre mondi. Uscí vittoriosa dalla guerra anche l'Unione Sovietica, la seconda nazione piú potente del mondo nel 1945. Pure i sovietici erano molto orgogliosi, ma la popolazione era stata devastata. Il leader del Partito nazista, Adolf Hitler, che detestava l'ideologia di sinistra, invase brutalmente il loro territorio. Prima di riuscire a respingerlo - a Stalingrado nel 1943, probabilmente il punto di svolta della guerra, un anno prima dello sbarco americano in Europa - i sovietici subirono perdite catastrofiche. Nel 1945, quando l'Armata Rossa entrò a Berlino, dopo aver occupato la maggior parte dell'Europa orientale e centrale, erano rimasti sul campo almeno ventisette milioni di cittadini sovietici. | << | < | > | >> |Pagina 17Dopotutto, gli Stati Uniti si erano alleati con l'Unione Sovietica contro Hitler. Ma per gli uomini di potere della capitale americana le cose stavano cambiando molto rapidamente.In realtà la crociata anticomunista di Washington era iniziata molto prima della Seconda guerra mondiale. Subito dopo la Rivoluzione russa, il presidente Woodrow Wilson decise di unirsi alle altre potenze imperialiste che aiutavano le forze dei Bianchi nel tentativo di riprendere il controllo ormai nelle mani dei rivoluzionari bolscevichi. Lo fece per due ragioni. Innanzitutto perché l'ideologia centrale e fondativa dell'America è l'esatto opposto del comunismo. Il fulcro non è la collettività ma l'individuo e un'idea di libertà strettamente legata al diritto al possesso dei beni - che in fondo era stato il fondamento della piena cittadinanza nella prima repubblica americana: potevano votare solo i proprietari bianchi. In secondo luogo perché Mosca si proponeva come rivale politica e ideologica, l'alternativa che i poveri potevano scegliere per conquistare la modernità senza replicare l'esperienza americana.
Ma nei primi anni che seguirono la Seconda guerra mondiale
una serie di eventi portò al centro della politica americana una
forma di anticomunismo estremamente fanatica.
L'anticomunismo reale. Tutto ebbe inizio in Europa, in alcuni dei luoghi piú devastati dalla Seconda guerra mondiale. I leader di Washington non erano affatto contenti che le prime elezioni del dopoguerra in Francia e in Italia fossero state vinte dai partiti comunisti. In Grecia era scoppiata una guerra civile: i partigiani comunisti che avevano combattuto i nazisti avevano rifiutato di deporre le armi e di riconoscere il governo insediato sotto la supervisione inglese. Poi c'era l'Asia occidentale. In Turchia la richiesta dei sovietici di insediare basi navali nello Stretto di Hormuz aveva provocato una piccola crisi politica. In Iran, la cui parte settentrionale dal 1942 era controllata per metà dai sovietici (in seguito a un accordo con gli alleati occidentali), il partito Tudeh, di ispirazione comunista, era diventato la forza politica piú grande e organizzata del paese, mentre le minoranze etniche chiedevano l'indipendenza dallo scià insediato dai britannici. Il presidente Truman, molto meno paziente nei confronti dell'Unione Sovietica del suo predecessore, cercava un modo per contrastare Stalin. Grecia e Turchia glielo offrirono: nel 1947 chiese al Congresso l'approvazione di aiuti militari ed economici a quei paesi con il discorso in cui delineò quella che sarebbe diventata nota come la Dottrina Truman: Oggi l'esistenza dello Stato greco è minacciata dalle attività terroristiche di diverse migliaia di uomini armati capeggiati da comunisti. [...] Credo che la politica degli Stati Uniti debba aiutare i popoli liberi che resistono al tentativo di essere soggiogati da minoranze armate o da pressioni esterne. Arthur Vandenberg, capo del Comitato affari esteri del Senato degli Stati Uniti, aveva dato a Truman un consiglio: per ottenere ciò che volevano, «la Casa Bianca doveva infondere negli americani il terrore» del comunismo. Truman segui il suggerimento e funzionò a meraviglia. La retorica anticomunista si intensificò e il sistema politico statunitense ne incoraggiò dichiaratamente l'escalation. Dopo la rielezione di Truman nel 1948, era politicamente logico che lo sconfitto Partito repubblicano accusasse il presidente di essere «indulgente con il comunismo», anche se non era affatto cosí. Il tipo di anticomunismo che prese forma in quegli anni in parte era fondato su un giudizio di valore: la convinzione diffusa negli Stati Uniti che il comunismo fosse semplicemente un sistema pessimo, o moralmente riprovevole, anche quando funzionava. Ma era anche basato su una quantità di asserzioni sulla natura del comunismo internazionale guidato dai sovietici. Tutti credevano che Stalin volesse invadere l'Europa occidentale. Veniva ritenuto un fatto che i sovietici stessero promuovendo una rivoluzione mondiale e che ovunque ci fossero comunisti, anche se pochi, probabilmente questi progettassero in segreto di rovesciare il governo. Ed era considerato vangelo che, ovunque stessero agendo, i comunisti fossero agli ordini dell'Unione Sovietica e partecipassero a una gigantesca cospirazione globale per distruggere l'Occidente. La maggior parte di tutto ciò era semplicemente falsa e molto di ciò che era vero era parecchio esagerato. Il caso della Grecia, il conflitto che in sostanza Truman usò per aprire la Guerra fredda, ne è un esempio significativo. [...] Nell'Europa orientale il leader sovietico adottò un atteggiamento molto diverso: considerava questo territorio di diritto sotto la sua sfera di influenza perché le sue truppe l'avevano liberato da Hitler e perché costituiva un'importante zona cuscinetto in caso di invasione da parte dell'Occidente. Dopo l'annuncio della Dottrina Truman e l'inizio dell'attuazione del Piano Marshall, Mosca organizzò un colpo di Stato in Cecoslovacchia. Ma anche le potenze occidentali giocavano sporco nei territori che erano stati occupati dai loro eserciti. Quando fu evidente che cosí tanti italiani e francesi volevano votare liberamente per i partiti comunisti, gli Stati Uniti intervennero pesantemente in Europa occidentale per assicurarsi che le forze di sinistra non prendessero il potere. Nel 1947 il governo francese, che dipendeva in modo massiccio dagli aiuti finanziari statunitensi, estromise i ministri comunisti. In Italia gli Stati Uniti convogliarono milioni di dollari alla Democrazia cristiana e ne spesero altrettanti in una campagna anticomunista. Stelle del cinema come Gary Cooper e Frank Sinatra registrarono spot per l'emittente radiofonica governativa Voice of America. Washington organizzò un'enorme campagna in cui gli italoamericani scrivevano ad amici e parenti in Italia lettere precompilate che contenevano messaggi come: «Una vittoria dei comunisti sarebbe la rovina dell'Italia. Gli Stati Uniti ritirerebbero gli aiuti e probabilmente scoppierebbe una guerra mondiale» e «Se in Italia le vere forze democratiche perdessero le elezioni, il governo americano non manderebbe piú denaro in Italia». I comunisti persero. | << | < | > | >> |Pagina 153Capitolo settimoSterminio | << | < | > | >> |Pagina 172La storia di una violenza inspiegabile e vagamente tribale fu molto facile da credere per i lettori americani, ma era totalmente falsa: fu violenza di Stato, organizzata e con uno scopo preciso. Gli ostacoli principali per portare a completamento il colpo di Stato militare furono eliminati per mezzo di un programma coordinato di sterminio - l'intenzionale omicidio di massa di civili innocenti. I generali riuscirono a prendere il potere dopo che il terrore di Stato aveva sufficientemente indebolito gli oppositori politici che non avevano armi, solo il consenso della gente. Gli oppositori non riuscirono a contrastare il proprio annientamento perché non avevano idea di quello che stava per succedere.Si stima che siano state massacrate dalle cinquecentomila al milione di persone e che un milione di persone venne mandato nei campi di concentramento. [...] Lo scopo delle violenze era il loro silenzio. Le forze armate non sovraintesero allo sterminio di ogni singolo comunista, presunto comunista o simpatizzante comunista del paese: sarebbe stato quasi impossibile, visto che circa un quarto del paese aveva una qualche affiliazione con il Pki. Una volta che i massacri presero piede diventò estremamente difficile trovare qualcuno che ammettesse di avere qualsiasi associazione con il Pki. Circa il quindici per cento delle persone prese prigioniere furono donne. Furono sottoposte a violenze particolarmente crudeli e di genere che scaturivano direttamente dalla propaganda diffusa da Suharto con l'aiuto dell'Occidente. [...] Oltre al crimine di sterminio, un Tribunale internazionale del popolo convocato in seguito in Olanda dichiarò i militari indonesiani colpevoli di una serie di crimini contro l'umanità, tra cui tortura, detenzione ingiustificata e protratta in condizioni disumane, lavoro forzato equiparato alla schiavitù e violenza sessuale sistematica. I giudici scoprirono che tutto venne commesso con scopi politici - per distruggere il Partito comunista e poi «sostenere un regime dittatoriale e violento» - con l'assistenza degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell'Australia. Le liste delle persone da uccidere non furono fornite all'esercito indonesiano soltanto dai funzionari del governo degli Stati Uniti: alcuni dirigenti di piantagioni di proprietà americana diedero i nomi di sindacalisti e comunisti «scomodi» che poi furono uccisi. La responsabilità principale dei massacri e dei campi di concentramento ricade sui militari indonesiani. Non sappiamo ancora se il metodo impiegato - sparizione e sterminio di massa - fu pianificato molto prima dell'ottobre 1965, forse prendendo spunto da altri casi nel mondo, o se fu progettato sotto una supervisione straniera o se emerse come soluzione man mano che si svolgevano gli eventi. Ma Washington condivide la colpa di ogni omicidio. Gli Stati Uniti contribuirono all'operazione in ogni sua fase, a partire da molto prima dell'inizio dei massacri, fino a che cadde l'ultima vittima e l'ultimo prigioniero politico usci di galera, decenni dopo, torturato, segnato dalle cicatrici e smarrito. In diversi momenti di cui siamo a conoscenza - e forse di qualcuno che resta oscuro - Washington fu il motore principale e diede l'impulso fondamentale alla continuazione o all'allargamento dell'operazione. A partire dagli anni Cinquanta la strategia degli Stati Uniti è stata cercare di trovare un modo per distruggere il Partito comunista indonesiano, non perché stesse prendendo il potere in modo antidemocratico, ma perché era popolare. [...] Fino a un milione di indonesiani, forse di piú, sono stati uccisi come parte della crociata anticomunista di Washington. Il governo americano negli anni ha speso risorse ingenti per creare le condizioni di uno scontro violento e, quando la violenza è esplosa, ha assistito e guidato i suoi partner di vecchia data a commettere l'assassinio di massa di civili come mezzo per raggiungere gli obiettivi geopolitici americani. E alla fine, i funzionari americani hanno ottenuto quello che volevano. È stata un'enorme vittoria. Con le parole dello storico John Roosa, «quasi da un giorno all'altro il governo indonesiano, prima una voce orgogliosa, contraria all'imperialismo e a favore della neutralità nella Guerra fredda, diventò un partner docile e compiacente dell'ordine mondiale americano». | << | < | > | >> |Pagina 272Capitolo dodicesimo
Loro dove sono adesso? E noi dove siamo?
Denpasar. Wayan Badra, il prete induista, vive a Seminyak, nella parte sudoccidentale di Bali, nella strada dove è cresciuto. Ma il quartiere è cambiato drasticamente: la stessa spiaggia che percorreva per quaranta minuti ogni mattina per andare a scuola a Kuta di certo non è piú deserta, anzi è strapiena di resort di lusso e beach club, un'attività commerciale molto comune nell'isola, dove gli stranieri possono trascorrere la giornata sulla sabbia a sorseggiare cocktail e fare un tuffo in piscina. Ovviamente è la stessa sabbia dove i militari portarono persone da Kerobokan, qualche chilometro a est, per ucciderle durante la notte. Proprio sulla spiaggia, a pochi metri dalla casa di Badra, c'è uno dei beach club piú grandi ed esclusivi di Bali. Seminyak è diventato uno dei posti piú cari dell'isola, in cui il turismo in genere gira intorno al benessere e alle cure termali, alla mindfulness, alla meditazione e ai massaggi o, naturalmente, al sole e al surf. Se un alieno proveniente da un altro pianeta atterrasse a Bali capirebbe immediatamente che sulla Terra vige una gerarchia basata sulla razza. I bianchi che vengono qui in vacanza sono estremamente piú ricchi delle persone del posto, che fanno i loro servitori - una situazione che viene accettata come fosse naturale. Quasi ovunque nel Sud-est asiatico i bianchi possono permettersi di comprare ospitalità di lusso, o sesso, dalla gente del posto. Sono nati con questa ricchezza. In confronto con il resto dell'Indonesia, grazie al turismo l'economia di Bali va bene e i balinesi, quando portano ai surfisti australiani le loro uova o alle modelle russe di Instagram le loro noci di cocco, spesso riproducono docilmente il «sorriso di Bali». Quasi nessun turista, per quanto istruito e armato di buone intenzioni, sa che cosa sia successo qui, dice Ngurah Termana, nipote di Agung Alit, l'uomo che passò un pomeriggio cupo e assurdo cercando fra i teschi i resti del corpo di suo padre. Al contrario della Cambogia, dove i saccopelisti occidentali non mancano di visitare (forse con un po' di morbosità) il Museo dei campi di sterminio nei pressi di Phnom Penh, tra le persone che vengono a Bali solo pochi sanno che una grandissima parte della popolazione del posto fu massacrata proprio sotto le loro sedie a sdraio. «Anche quando incontriamo i gruppi delle Ong, persone molto informate a livello internazionale, che sanno del Ruanda, di Pol Pot e di tutto, nessuno ha la piú pallida idea di cosa accadde qui», mi ha detto Ngurah Termana, un membro fondatore di Taman 65, ovvero Giardino 1965, un collettivo impegnato a promuovere la memoria e la riconciliazione sull'isola. Il gruppo ha pubblicato un libro sugli omicidi di Bali e un cd con le canzoni che i prigionieri cantavano nei campi di concentramento. I membri di Taman 65 sanno che c'è un motivo per cui i turisti non sanno niente della violenza che costò la vita a cosí tanti loro familiari. Il governo ha seppellito questa storia, ancora piú in profondità di quanto abbia seppellito la storia di Giava. È stato necessario per favorire il boom del turismo, iniziato alla fine degli anni Sessanta. Prima di Suharto, un'enorme quantità del territorio dell'isola di Bali era comunitaria e spesso oggetto di dispute. «Dovevano ammazzare i comunisti, casí gli investitori stranieri potevano portare qui i loro capitali», dice Ngurah Termana. | << | < | > | >> |Pagina 282New York.Il n. 30 di Rockefeller Plaza è un grande edificio di Midtown Manhattan. Non ero mai stato lí, anche se ne avevo sentito parlare - penso di aver visto un paio di episodi di 30 Rock, con Tina Fey e Tracy Morgan, il cui titolo ha reso l'edificio ancora piú famoso. È chiaramente un posto da turisti. Al piano terra, sui muri sono esposte immagini di Seinfeld, di Friends e di altre serie prodotte dalla Nbc. Al ventitreesimo piano c'è Squire Patton Boggs, uno studio legale «per gente che conta». Frank Wisner Jr ha un ufficio qui. Ha prestato servizio al Dipartimento di Stato per decenni; tra le altre cose è stato ambasciatore di Reagan in Egitto e nelle Filippine e ambasciatore di Bill Clinton in India. Ma gli ho chiesto soprattutto di suo padre, le cose che si ricordava avesse detto a proposito dell'Indonesia o della lotta contro il comunismo. Non sarebbe stato giusto fargli rispondere per le azioni di suo padre, ma c'era una cosa che poteva dirmi, un mito che volevo sfatare. Che la Cia avesse sopravvalutato o meno la forza dell'Unione Sovietica e qualunque ne sia stato l'esito, mi disse che suo padre pensava davvero di combattere il comunismo. Non pensava di farlo per favorire gli affari dei suoi amici di New York: era convinto di lottare per una causa. Per quello che vale, sono convinto che lo credesse davvero. Dopo aver preso in esame attentamente gli anni Cinquanta e Sessanta, parlammo della vita in Indonesia ai giorni nostri. Nel rimettere le cose nella mia borsa, osservai che per molti paesi quella storia è ancora enormemente importante. Gli americani forse hanno dimenticato quegli avvenimenti e quei luoghi, ma chi abita li non può scegliere di dimenticare. Wisner fu subito e calorosamente d'accordo con me. È vero, mi disse mentre mi alzavo per andarmene. Per molti versi noi siamo «la terra della grande amnesia». «Abbiamo l'abitudine psicologica di guardare avanti invece che indietro», aggiunse. Riflettendo ad alta voce, come spesso fanno gli uomini cordiali che hanno superato gli ottant'anni, mi disse che il governo non sarebbe nella situazione in cui si trova adesso in Medio Oriente se avesse prestato attenzione alla storia. E con cupo sarcasmo fini dicendo: «Gli americani hanno una lunga e onorevole tradizione di indifferenza per il mondo intorno a loro». | << | < | > | >> |Pagina 284Giacarta.Nel centro della capitale indonesiana c'è una struttura chiamata Monumen Pancasila Sakti, ovvero Monumento al Sacro Pancasila. Per arrivare fin li, come in ogni tragitto tra due punti di Giacarta, ho dovuto attraversare ingorghi stradali e farmi strada in vie affollate e piene di smog. Per ragioni difficili da spiegare, in molte zone dell'Indonesia, se sei uno straniero di pelle bianca, la gente ti chiede di fare un selfie. È una cosa molto strana, anche fastidiosa, ma in genere accetto. Al Monumento al Sacro Pancasila però non l'ho fatto perché, tecnicamente, mi ci sono intrufolato dentro. I militari indonesiani hanno proibito agli stranieri di entrare in questo complesso di memoriali e musei - sembra che le autorità non vogliano che il posto sia esaminato da ricercatori internazionali. Dopo averlo visitato ho capito perché. Il Monumento al Sacro Pancasila è un grande muro di marmo bianco davanti al quale sono disposte figure a grandezza naturale che rappresentano le vittime del Movimento 30 settembre. È a pochi passi da Lubang Buaya, il pozzo dove furono ritrovati i corpi dei generali. Ma per le altre vittime non c'è nessun memoriale. Esiste un intero museo - il Museum Pengkhianatan Pki (Komunis), ovvero Museo del tradimento comunista - per sostenere la narrativa che i comunisti fossero un partito di traditori che meritavano di essere eliminati. Mentre si attraversano strane sale in penombra, una serie di diorami accompagna il visitatore lungo la storia del partito, dimostrando come abbia sempre tradito la nazione o attaccato i militari o cospirato per distruggere l'Indonesia, fino a riprodurre la propaganda di Suharto sugli eventi dell'ottobre 1965. Con nessun riferimento al milione e oltre di civili uccisi di conseguenza.
All'uscita i ragazzi si mettono in posa davanti a un grande
cartello che recita: «Grazie per aver guardato i nostri diorami
sulle barbarie compiute dal Partito comunista indonesiano. Non
lasciate che succeda ancora».
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