Copertina
Autore Sergio Bianchi
Titolo La gamba del Felice
EdizioneSellerio, Palermo, 2005, Il contesto 8 , pag. 150, cop.fle., dim. 117x195x9 mm , Isbn 978-88-389-2045-5
PrefazioneNanni Balestrini
LettoreAngela Razzini, 2005
Classe narrativa italiana
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Indice

Prefazione di Nanni Balestrini           9

La gamba del Felice

La gamba del Felice                     19
Il rione                                22
I giochi                                28
I passeri                               30
Il Polli                                33
I contadini                             35
La Tessitura                            40
Il Seminario                            42
Il paese                                44
Il Pirlin il Pirlun la Pirlena          48
I funghi                                51
Il pratino e la capanna                 54
La grande tinca                         57
La guerra coi baciapile                 61
L'Antimo                                63
Le armi                                 65
Fuori dal paese                         67
La scuola                               69
La pesca                                72
La fine dei contadini                   75
L'incendio del bosco                    77
La nuova fabbrica                       81
L'asfalto, il cemento, la televisione,
    il frigorifero, la 500 e la 600     85
La morte del grande castagno            87
I meridionali                           89
Il Mallaro                              92
Il Valentino                            94
Tex Willer, Diabolik, Kriminal,
    Satanik, Kerouac                    96
L'accampamento                          99
I coglioni del toro                    102
Il lavoro                              104
I vestiti                              107
Il sabato sera                         109
Il Ringo, il Flippo e l'Otto           113
Il complesso                           116
Il contrabbando                        119
Il volo dello Yoghi                    123
Ciao Valentino                         125
Piazza Dam                             128
Il localino                            131
Il calabrone del Tricheco              133
Il trip del Fante                      135
Milano                                 139

Dieci anni dopo
La lettera                             145

 

 

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Pagina 19

La gamba del Felice



Sono nato in un paesino che non si capiva bene se era del nord della Lombardia o del sud della Svizzera. Noi eravamo ancora i figli della guerra i figli della fame e la guerra era finita solo da una decina d'anni.

Una mattina sono in pollaio a dare il pastone alle galline e sento gridare forte. Guardo giù in strada e vedo il Giacomino con la sua divisa nera da messo comunale correre su per la salita con un pacco in mano. Tutte le donne sono uscite in strada a vedere chi gridava e anche mia madre è uscita sul balcone. Il Giacomino si è fermato davanti al mio cancello e gridava come un matto. La gamba la gamba è arrivata la gamba del Felice. Mia madre è scesa di corsa dalle scale in strada. Il Giacomino ha dato il pacco a mia madre che l'ha portato in casa. Saliva le scale lenta con in mano il pacco con dietro la processione delle donne che parlavano sottovoce come facevano quando entravano in chiesa. Arrivati in cucina si è fatto il silenzio. Mia madre ha poggiato il pacco sul tavolo ha tagliato la corda che lo legava e ha cominciato piano piano a scartarlo. Era la gamba del Felice che tutti aspettavamo da tanto tempo e adesso eravamo lì a guardarla come se era una reliquia. La Ines si è messa a piangere dall'emozione. La gamba mi faceva una certa impressione. Era di acciaio lucidissimo il piede era rivestito di un calzino di caucciù il ginocchio aveva uno snodo ricoperto di fasce elastiche e in cima finiva con un gambale di cuoio stringato.

Alla sera tutto il rione era fuori in strada a festeggiare l'arrivo della gamba. La notizia era girata in fabbrica già dalla mattina e il direttore era andato di persona nella stanza delle caldaie per dare la bella notizia a mio padre. Quando era suonata la sirena dell'ultimo turno di lavoro il maestro Guagliumi era già lì con la sua Topolino davanti alla portineria della fabbrica per caricare mio padre. Appena si è vista sbucare la Topolino in fondo alla discesa la gente si è messa tutta a applaudire. La macchina si è fermata davanti al cancello mio padre è sceso e con le stampelle è salito in casa con gli uomini che gli davano le pacche sulle spalle. In casa c'eravamo solo noi della famiglia perché quello lì era un momento particolare dato che si doveva provare la gamba. È stato un po' un problema perché non si capiva bene come si faceva a infilarla come si legavano i lacci del gambale come si infilavano i pantaloni ma dopo mezz'ora c'è riuscito. Ha provato a alzarsi a fare qualche passo e ha trovato subito l'equilibrio.

È uscito sul terrazzo a camminare avanti e indietro con la gente sotto che applaudiva. Ha fatto tutti i gradini delle scale fino in strada senza farsi aiutare. In strada ha cominciato a dire che voleva un pallone. Tutti a cercare il pallone finché gliene hanno trovato uno. Ha preso il pallone e l'ha fermato con un sasso sennò rotolava giù dalla discesa poi ha fatto qualche passo indietro ha preso la rincorsa e ha fatto un tiro di punta fortissimo che ha fatto volare il pallone nel bosco. Perso. Le donne hanno portato fuori in strada le sedie i tavoli la roba da mangiare e i bottiglioni di vino grumello che si faceva su nelle fattorie del Piano. Il Martino suonava la mazurca con la sua fisarmonica di avorio. La Rita Rumba cantava. Le coppie ballavano. Si sono accesi i fuochi per fare i salamini alla brace. I maggiolini ronzavano a centinaia sotto i lampioni picchiavano la testa contro la lampadina cadevano per terra e restavano lì a ronzare facendo dei giri su se stessi finché qualcuno non li schiacciava sotto i piedi. Io davo i calci alla gamba del Felice e mi divertivo all'idea che non sentiva male.

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Pagina 33

Il Polli



Qualche casa dopo la mia c'era la casa del Polli. Si diceva che il Polli era un comunista sfegatato. Noi bambini avevamo tutti un po' paura del Polli anche se non ci ha mai fatto niente anzi non ci guardava neanche. Era un omone enorme con un pancione un cappottone scuro un colbacco di pelo nero in testa. Io mi ricordo di averlo sempre visto vestito uguale. Saliva la salita pianissimo sembrava che ci metteva le ore. Non guardava mai in faccia a nessuno. Teneva gli occhi fissi sul giornale e ogni tanto si fermava a leggere immobile in piedi dieci minuti un quarto d'ora poi piano piano muoveva un passo e risaliva di qualche metro.

Quando si parlava del Polli veniva naturale abbassare un po' la voce. Le donne dicevano che era un tipo cattivo che picchiava la moglie e che non la faceva andare in chiesa. Lui era diverso dagli altri del rione non parlava con nessuno non aveva amici. Una volta ho sentito il Silvano che diceva a un altro del rione che il Polli non era del partito perché era stato espulso come deviazionista bordighista che non sapevo cosa voleva dire però pensavo che doveva essere una cosa gravissima. Anche la casa del Polli sembrava avere qualcosa di diverso dalle altre. La facciata era coperta da due cipressi che arrivavano fino al tetto e le persiane delle finestre erano quasi sempre chiuse. Si vede che al Polli non piaceva mica tanto il cemento e aveva preferito lasciare tutto come era. Poi il Polli non lavorava neanche e non so come aveva fatto a farsi dare quella casa lì nel rione dato che la davano solo agli operai della Tessitura.

Il giorno della processione della madonna Pellegrina le donne nelle case hanno preparato gli altarini hanno pulito la strada e hanno messo in fila fuori dai cancelli i vasi dei fiori. È arrivata la sera e sono stati accesi i ceri e le candele appoggiati sui muretti sui due lati della strada. Dal fondo della discesa è cominciato a salire il baldacchino con la statua della madonna con dietro la processione di tutta la gente del paese. Nello stesso momento dalla casa del Polli ha cominciato a suonare a tutto volume il disco di Bandiera rossa. Tutti quelli del rione erano un po' preoccupati ma nessuno diceva niente. Quando il baldacchino della madonna è arrivato davanti alla casa del Polli la musica di Bandiera rossa si è fermata di colpo. Dal balcone il Polli ha fatto volare un altarino di stoffa celeste poi ha attaccato alla ringhiera una bandiera rossa con su la falce e il martello e si è messo a gridare a quelli della processione Mutandoni di mutandoni siete tutti dei mutandoni.

La mattina dopo alle sette in strada davanti alla casa del Polli c'era un sacco di roba ammucchiata una stufa una credenza un tavolo e su una sedia c'era seduta la moglie che piangeva. Avevano litigato e il Polli l'aveva buttata fuori di casa. Fuori dal balcone c'era ancora la bandiera rossa con la falce e il martello ma c'era silenzio.

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Pagina 69

La scuola



Allora la scuola dopo le elementari era divisa in tre parti. Per chi doveva andare a lavorare in fabbrica c'erano le scuole professionali per chi voleva diventare impiegato c'erano le commerciali e per i figli dei padroni c'erano i licei.

Io la scuola l'ho saltata. Ho fatto solo la prima media il primo anno che era diventata obbligatoria nel millenovecentosessantadue e mi hanno bocciato ma avevo già ripetuto la seconda elementare. I miei rapporti con la scuola erano disastrosi erano fuori dal normale. Io non ho mai potuto soffrirla la scuola. Mi hanno portato fino in quinta elementare ma proprio per disperazione poi in prima media non ce l'hanno più fatta a sopportarmi. Gli ho spaccato su tutto. Gli ho trapanato tutti i banchi glieli ho bucati tutti come un gruviera. Mi facevano incazzare e io gli ho bucato tutti i banchi per dispetto. Bucavo questo poi dicevo tu vieni qua questo qua passava di qua e io bucavo il suo. Li ho bucati tutti non ce n'era più uno che non aveva i buchi. Ho usato un trapanino a mano con una punta che sarà stata del tre. Avrò fatto dentro forse trenta quaranta buchi per banco. La punta andava giù come il burro perché i banchi erano di panforte e come avevi bucato un po' la formica del rivestimento truc andava giù che era una meraviglia. Nell'arco di due ore glieli ho fatti tutti.

È successo un casino mi hanno sospeso e sono scappato di casa. Sono scappato perché era già la seconda volta che mi sospendevano. Sono scappato in bicicletta in un paese vicino dove avevo la donna. Si chiamava Franca e sono andato nelle grotte a limonare e a toccare su un po' anche perché che cosa volevi fare a quell'età lì. La prima volta che mi hanno sospeso sono andato a casa e il Felice mi ha dato una manica di botte. Ero giù nell'angolo là vicino alla credenza che era messa per traverso sennò non aprivi la finestra. C'era un angolino e mi sono incrusciato là. Ho pensato La seconda volta che vado a casa mi ammazza allora ho lasciato giù la cartella a casa di mia nonna Luigina ho preso la bicicletta e via che sono andato. Dopo un po' di chilometri ho bucato la ruota davanti e mi ha trovato il Comi che oltre a fare il lattaio faceva anche il tassista. Ormai il paese era tutto in aria. Il Comi mi ha riconosciuto mi ha bloccato mi ha tirato sulla macchina e mi ha portato a casa. Io però avevo già organizzato di dormire nelle grotte.

Vabbè bocciato logicamente e cosa vuoi fare se sei bocciato. Ho detto Basta vado a lavorare. Allora il Felice ha detto Va bene vai a lavorare ma è arrivata la lettera del Comune perché era il primo anno che la scuola diventava dell'obbligo. Il Felice ha parlato col preside e gli ha detto Guardate io mio figlio ve lo mando però io a questo punto non rispondo più dei danni che fa perché io non lo controllo più. C'era il Sivori che di testa non era a posto neanche lui che aveva smesso anche lui in quinta elementare e che andava già a lavorare. È stato lui che mi ha trovato il posto da uno che faceva il fabbro così sono andato giù da questo a lavorare. Avevo dodici anni prendevo la bicicletta al mattino d'inverno col freddo. Dopo quindici giorni il Felice mi ha detto Vabbè basta stai a casa va'. Così ho fatto dai dodici anni ai quindici anni a fare il lavoro nero a casa. Ero talmente svelto che riuscivo a fare in poche ore tutto il lavoro della giornata così avevo tutto il resto del tempo per fare altre cose per andare nei boschi per andare in giro.

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Pagina 102

I coglioni del toro



Una volta al mese il Valentino ci procurava la roba che per noi era diventata il rito più importante. Non ci avvisava mai nei giorni prima e ci lasciava sempre in sospeso a aspettare settimana dopo settimana. Capivamo che la roba era arrivata solo quando su nell'accampamento sentivamo la sua moto arrivare sgasando in modo diverso dal solito. Quello era il segnale che aveva portato i coglioni del toro. Li teneva sempre in un sacchetto di plastica trasparente attaccato al manubrio della moto e quelle volte sul sellino di dietro c'era sempre fissata con gli elastici una scatola di cartone con dentro le bottiglie di vino bianco perché i coglioni del toro si accompagnavano sempre e solo con il vino bianco. I coglioni del toro erano grossi come pigne. Erano come dei fagioloni bianchi pieni di venuzze rosse.

I coglioni del toro li cucinava solo il Valentino. Li faceva su un sasso largo e piatto che scaldava per ore sopra il fuoco finché diventava rovente. I coglioni del toro si mangiavano il sabato sera a mezzanotte in punto. A mezzanotte meno un quarto il Valentino cominciava a preparare un intingolo di olio aglio e prezzemolo tritato fine fine succo di limone sale e pepe. Tagliava con il suo serramanico i coglioni a fette larghe mezzo centimetro e le scottava sul sasso rovente. Li rigirava un paio di volte poi metteva le fette in un grande piatto largo con sopra l'intingolo. Si mangiavano caldissimi con il vino bianco messo a rinfrescare nel ruscello. I coglioni del toro si mangiavano in assoluto silenzio intorno al fuoco piano piano un pezzettino per volta.

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