Autore Athos Bigongiali
Titolo Una città proletaria
EdizioneSellerio, Palermo, 1989, La memoria 186
LettoreRenato di Stefano, 1992
Classe narrativa italiana , citta': Pisa












 

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Pagina 17 [ Pisa, operai, soldati, patria, guerra coloniale ]

«C'era un tempo - un tempo così vicino cha par d'averlo sognato appena stanotte - in cui la gente sfidava unita cavallegeri e cannoni per salvare la vita di operai americani, Ettore Giovannitti, di cui conosceva a malapena il nome, o per la libertà dei soldati che obbiettarono la guerra coloniale, Masetti e Moroni. Io ho visto questa gente imprecare a migliaia contro le nefandezze di religiosi senza pudore e invocare giustizia per gli arrestati di Parma, di Piombino, di Milano. L'ho vista disertare le urne, e ho visto le urne darle ragione; l'ho intesa negare col più commosso e convinto degli accenti i confini della patria, e i suoi e gli altrui eserciti, e chiedere pace e amore universali.

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Pagina 18 [ Pisa ]

Per anni Evening, forte del suo titolo di studio, nonché di un aspetto assai accattivante, aveva frequentato con eguale ritegno quei mondi tanto vicini quanto differenti.

Sapeva muoversi con stile e misura nel gran bazaar della Pisa medioevale come sui Bagni alla moda di Marina, nelle osterie da un soldo come nei migliori Café Chantant, accettato dovunque non altro che per ciò che era: il professore venuto da lontano - chi lo diceva svizzero, e chi russo -, lo straniero innamoratosi di Pisa e del libero pensiero che scriveva con ottima sintassi sull'«Avvenire Anarchico» e teneva lezioni private in una linda cameretta della Pensione Galileo.

...

Era stanco, ma tornò al suo quaderno e scrisse: «Capitolo secondo. "Il gran bazaar".

«Agli inizi del secolo Pisa contava su circa 61.000 abitanti: poco più di 25.000 risiedevano nella città storica, quella compresa dalle Mura Medioevali; il resto nei sobborghi: i popolosi Porta a Mare, San Marco, San Giusto, Porta Nuova, Le Piagge, Riglione, Calci.

«I pisani faticavano per paghe irrisorie nelle numerose fabbriche del cotone, del vetro e delle ceramiche e nelle centinaie di opifici che il Ministero si ostinava a classificare come industrie: le botteghe - e non altro - dello stagnino, della rammendatrice, del fabbro ferraio, del pastaio, del barbiere...

«I pisani conoscevano l'arte di ogni cosa: dalla birra ai mattoni, dalle candele di sego ai cristalli, dai cappelli ai nastri, ai pallini da caccia, alle paste alimentari, dalle barche alle sedie, e libri e giornali in gran quantità.

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Pagina 42 [ città, progresso, Baudelaire, Pisa ]

Come gli uomini anche le città nascono, crescono, amano, prolificano, non di rado lasciano segni. Proprio come quella umana, la vita fisica della città è destinata a diventare polvere. Attraverso la clessidra della storia noi proviamo a contarne i granelli, a ordinarli in linee e forme logiche, a ridescrivere con essi gli usi e i costumi, il tempo e le opere, la lingua che la città parlò.

«Stiamo narrando» scrive Evening nel capitolo intitolato "Il dio chiamato progresso" «dei tempi dell'avvento dell'elettricità, della meccanica, del mercato finanziario: tempi di conclamato progresso.

«Ricordate» scrive ancora Evening «l'affermazione di Charles Baudelaire: "La fede nel progresso è una dottrina da pigri"? Anagrammatela, e avrete rivelato il fallimento di Pisa quale città industriale e capitalista. La fede nel progresso fu l'alibi, il velo alla moda che nascose pigrizia, inettitudine e grettezza d'animo dei maggiorenti.

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Pagina 57 [ diciotto anni, anarchia, socialismo, individualità, eguaglianza, vita, mediocrità ]

«Diciotto anni. Che ansia di mostrare agli altri il mio volto! Che voglia di uscire da questo guscio di mediocrità che ci serra, ci ripara, quasi ci protegge: un po' come la corazza della tartaruga, che la nasconde e le impedisce la corsa.

«Oh come capisco quegli studenti che tra i Caffè-concerto e i Teatri, i clubs e l'Università, si accapigliano intorno all'Unico e alla Folla e arditamente promuovono la ricerca dell'Arte e della Rivolta.

«Li guardo, questi miei nuovi amici: Mario, Giuseppe, il caro Gino, quel giovane di Trieste; son figli di impiegati, di possidenti, di medici di campagna, come il Bovary: una classe intermedia che non so definire, ed essa stessa non lo sa. Ma giovani che negano questa Italia insulsa e senza Ideali e un forte, interiore travaglio spinge a rifiutare la morale corrente e le sue pratiche, siano esse proprie del popolo o della Borghesia.

«L'Anarchia e il Socialismo ci attraggono, ci chiamano - come le Sirene. Ma come conciliare - li ascolto interrogarsi - il principio dell'individualità con quello dell'eguaglianza? Quali ponti dovremo gettare per colmare il solco di tale dissidio? Anch'io sento che è giusto combattere l'ipocrisia e i dogmi, sento quant'è necessario avviare a libero sfogo la vitalità che ci pervade.

«No, per quanto l'ami e lo rispetti, non farò come mio padre, che scelse l'esilio; né come la mamma, che intende solo il suo telaio. No, io non domanderò a nessuno la cera per riparare da uqel canto le orecchie. Andrò fino in fondo, fosse esso il naufragio!

«Oh caro Thomas Chatterton, io compiango il tuo gesto disperato! Ma, a diciotto anni, io voglio sopportare la vita, per contestarne la mediocrità».

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Pagina 92 [ libero amore, eguaglianza, postriboli, eredità ]

«Il fatto di quanto e con quale accanimento siamo perseguitati dimostra quanta paura abbia la società del nostro semplice e onesto modo di vivere. Essa ha paura del nostro libero amore poiché è solo dall'amore schiavo che essa trae il proprio tornaconto, il nutrimento delle proprie istituzioni.

«Ma come potremmo noi predicare l'eguaglianza tra tutti gli uomini, se ci facessimo strumento di dominio o oggetto di dominazione nel rapporto d'amore o coi nostri figli?

«Mi chiedo con quale viltà dicono che la nostra casa è un lupanare, loro che hanno inventato il turpe commercio dei postriboli. Loro che dietro le vesti consacrate e i conventi nascondono innominabili infamie. E loro che pensano alla famiglia a ai figli unicamente per prolungare, attraverso l'eredità, averi e poteri a loro volta ereditati, vergognosi privilegi.

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