Copertina
Autore Lawrence Block
Titolo Otto milioni di modi per morire
EdizioneFanucci, Roma, 2006, Immaginario Dark , pag. 382, cop.fle., dim. 140x220x25 mm , Isbn 978-88-347-1226-9
OriginaleEight Million Ways to Die [1982]
TraduttoreOrnella Ranieri Davide, Nello Giugliano
LettoreGiorgia Pezzali, 2006
Classe gialli , noir
PrimaPagina


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Pagina 9

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La vidi entrare. D'altra parte sarebbe stato impossibile non accorgersi di lei. Aveva i capelli biondissimi, quasi bianchi, una testa di stoppa, come si diceva di un bambino con i capelli di quel colore. Erano annodati in pesanti trecce che portava avvolte intorno alla testa, fermate con delle forcine. La fronte era alta e liscia, gli zigomi sporgenti e la bocca forse appena un po' troppo grande. Con quei camperos ai piedi raggiungeva tranquillamente il metro e ottanta di altezza, grazie soprattutto alle lunghissime gambe. Indossava jeans all'ultima moda, bordeaux, e un corto pellicciotto color champagne. Quel giorno non aveva fatto altro che piovere a piú riprese, ma lei non aveva l'ombrello né altro per coprirsi la testa. Gocce di pioggia brillavano come diamanti fra le trecce bionde.

Restò per un momento sulla soglia, orientandosi. Erano circa le tre e mezzo di un mercoledí pomeriggio. Un'ora lenta e oziosa come l'aria che tirava giú da Armstrong. La folla dell'ora di pranzo era sparita da un bel po' ed era ancora troppo presto per l'ondata che invadeva il locale alla chiusura degli uffici. Nel giro di un quarto d'ora un paio di insegnanti sarebbero entrati per un sorso in tutta fretta e di seguito qualche infermiere del Roosevelt Hospital il cui turno finiva alle quattro. Ma per il momento c'erano solo tre o quattro persone al bancone e una coppia seduta al primo tavolo, davanti a una caraffa di vino. E c'ero io, naturalmente, al mio solito tavolino in fondo alla sala.

Mi trovò immediatamente, e nello stesso istante incontrai l'azzurro del suo sguardo che mi cercava dall'altra estremità della stanza. Ma prima di avanzare tra i tavolini verso di me, si fermò al bar per accertarsi che fossi davvero io.

«Mr Scudder?» disse. «Sono Kim Dakkinen. Un'amica di Elaine Mardell.»

«Si.. Mi ha telefonato. Prego.»

«Grazie.»

Si sedette di fronte a me. Posò la borsetta sul tavolo, e prese un pacchetto di sigarette con un accendino usa e getta. Prima di accendere, mi chiese se il fumo mi desse fastidio. Le dissi di no.

Non mi aspettavo quella voce. Delicata, e con un accento del Midwest. Dopo aver visto gli stivali e la pelliccia, quei lineamenti decisi e il nome esotico, mi sarei aspettato una voce di quelle che stuzzicano la fantasia di un masochista: rauca, dura e con un accento europeo. Inoltre, era anche piú giovane di quanto mi era sembrato a una prima occhiata. Non aveva piú di venticinque anni.

Accese la sigaretta e posò l'accendino sul pacchetto. Nelle ultime due settimane Evelyn, la cameriera, aveva fatto sempre il turno di giorno dato che era riuscita a ottenere una piccola parte in uno spettacolo off-Broadway. Sembrava sempre sul punto di sbadigliare. Si avvicinò al tavolo mentre Kim giocherellava con l'accendino. La mia ospite ordinò un bicchiere di vino bianco. Evelyn mi chiese se volessi dell'altro caffè. Annuii e Kim disse: «Oh, prende del caffè? Quasi quasi lo prendo anch'io al posto del vino. Le dispiace?»

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Avrei potuto dirle che ero giunto alla metà del mio settimo giorno di sobrietà. Non avevo piú avuto contatti con lei da quando aveva cominciato a frequentare i gruppi lei stessa. Le avevano detto di stare alla larga da persone, luoghi e cose associate al bere e io appartenevo a questa categoria. Quel giorno non avevo bevuto e avrei potuto dirglielo, e con questo? Ciò non significava che le avrebbe fatto piacere vedermi. D'altra parte, non significava neppure che io avessi voglia di vedere lei.

Avevamo passato insieme un paio di serate quando ci divertivamo a bere in compagnia. Magari chissà, ci saremmo divertiti anche da sobri. O invece saremmo semplicemente stati lí seduti da Armstrong davanti a un caffè senza bourbon.

Mi spinsi fino a cercare il suo numero, ma non feci la telefonata.

Il testimone di turno a St Paul raccontò una storia di terribile degradazione. Era stato un eroinomane per diversi anni, poi aveva smesso di bucarsi e aveva preso la via dell'alcol che lo aveva portato dritto ai bassifondi della Bowery. Aveva l'aria di un uomo che avesse visto l'inferno e ricordasse perfettamente che faccia avesse.

Durante la pausa Jim mi raggiunse alla caraffa del caffè e mi chiese come me la stessi cavando. Gli dissi che era tutto okay. Mi chiese da quanto tempo non toccassi alcol.

«Oggi è il settimo giorno.»

«Ehi, Matt! Complimenti» disse. «Complimenti davvero.»

Durante la discussione pensai che forse avrei parlato quando fosse arrivato il mio turno. Non avrei detto che ero un alcolizzato perché non credevo di esserlo, ma avrei potuto dire qualcosa sul fatto che fossi arrivato al settimo giorno senza bere, o semplicemente che mi faceva piacere essere là. Ma quando toccò a me dissi ciò che dicevo sempre.

Quando la riunione fu finita, Jim si avvicinò mentre mettevo a posto la sedia pieghevole. «Sai,» mi disse «di solito io e qualche amico ci fermiamo a prendere un caffè al Cobb's Corner dopo la riunione. Giusto cosí, per passare un po' di tempo, per fare due chiacchiere. Perché non vieni anche tu?»

«Sí, perché no?» risposi. «Ma stasera non posso.»

«Un'altra volta, allora.»

«Sicuro. Mi fa piacere, Jim.»

Ci sarei potuto andare. Non avevo proprio nient'altro da fare. Invece andai da Armstrong, mangiai un hamburger e una fetta di cheescake, e bevvi una tazza di caffè. Tutte cose che avrei trovato al Cobb's Corner.

Be', mi piace andare da Armstrong la domenica sera. Non c'è molta folla, giusto i clienti fissi. Quando ebbi finito di mangiare mi spostai al bar con la tazza di caffè e conversai un po' con un tecnico della CBS, un certo Manny, e con un musicista di nome Gordon. Non mi venne voglia di bere.

Ritornai in albergo e andai a dormire. Mi svegliai al mattino con un senso di terrore. Il residuo di un sogno dimenticato. Feci la doccia e la barba, e quella sensazione non mi aveva abbandonato. Mi vestii, andai di sotto, lasciai un sacchetto di panni sporchi in lavanderia e un completo e un paio di pantaloni per la pulitura a secco. Feci colazione e lessi il Daily News. C'era un'intervista al marito della donna uccisa nella sparatoria a Gravesend. Si erano appena trasferiti in quella casa, era la casa dei loro sogni, la loro occasione per vivere una vita decorosa in un posto decoroso. E poi due gangster in fuga scelgono proprio quella casa per nascondersi. «E stato come se il dito di Dio avesse indicato Clair Ryzcek» commentava il giornalista.

Un trafiletto nella sezione dedicata alla piccola cronaca cittadina raccontava di due derelitti della Bowery venuti alle mani per aggiudicarsi una camicia che uno di loro aveva trovato in un cesto dei rifiuti nella stazione della metropolitana di Astor Place. Durante la colluttazione uno dei due aveva colpito l'altro, uccidendolo, con un coltello a serramanico lungo venti centimetri. Il morto aveva cinquantadue anni, il suo killer trentatré. Probabilmente l'episodio avrebbe avuto maggiore risonanza se non fosse avvenuto nei bassifondi. Un omicidio tra le topaie di Bowery Street non fa notizia.

Continuai a spulciare il giornale come se mi aspettassi di trovare qualcosa e la vaga sensazione di un inquietante presagio persisteva. Provavo anche un leggero malessere, quasi stessi smaltendo i postumi di una sbornia, e dovetti ricordare a me stesso che non avevo bevuto nulla la notte prima. Era il mio ottavo giorno di assoluta sobrietà.

Andai in banca, versai una parte dei cinquecento dollari sul mio conto e cambiai il resto in pezzi da dieci e da venti. Andai a St Paul per sbarazzarmi di cinquanta dollari, ma stavano celebrando la messa. Allora ripiegai sul Y della Sessantatreesima e ascoltai la testimonianza piú noiosa che avessi mai sentito fino ad allora. Credo che quell'uomo abbia menzionato ogni singolo bicchiere che aveva bevuto dall'età di undici anni in su. Recitò l'interminabile e monotona cantilena per quaranta minuti buoni.

Uscito di lí, andai a sedermi nel parco, comprai un hot dog a un chioschetto e lo mangiai. Ritornai quindi in albergo intorno alle tre, schiacciai un pisolino, poi uscii di nuovo verso le quattro e mezzo. Comprai il Post e con quello tra le mani svoltai l'angolo per andare da Armstrong. Dovevo aver visto i titoli in prima pagina quando lo avevo comprato, ma in qualche modo non ne avevo registrato il contenuto. Mi sedetti e ordinai del caffè. Guardai la prima pagina ed era lí.

Ragazza squillo tagliata a pezzi.

Sapevo quante fossero le probabilità, e sapevo anche che quelle probabilità non contavano. Restai un momento seduto con gli occhi chiusi, il giornale serrato tra i pugni stretti, tentando di alterare la storia con la sola forza di volontà. Quel colore, il blu assoluto dei suoi occhi nordici, balenò dietro le palpebre chiuse. Mi sentii quasi soffocare e avvertii di nuovo quella sensazione di doloroso groppo alla gola.

Girai la pagina e lo trovai, puntuale al suo posto a pagina tre. Era morta. Il bastardo l'aveva ammazzata.

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Pagina 140

«La media annuale degli omicidi era mille l'anno. Tre al giorno distribuiti nelle cinque zone della città. Ed è sempre sembrata una media alta.»

«Si. Piuttosto alta.»

«Adesso è quasi il doppio.» Si chinò verso di me. «Ma questo è niente. Il grosso degli omicidi avviene tra marito e moglie, o tra amici a seguito di una sbronza, uno spara all'altro e il giorno dopo non se lo ricorda neanche. La percentuale di questo genere di delitti non cambia. Si mantiene stabile. Sono in aumento invece gli omicidi tra sconosciuti, nei quali l'assassino e la vittima non si conoscono. Questo dato quantifica il grado di pericolosità di un luogo. Se rappresentiamo gli omicidi tra sconosciuti su di un grafico, vediamo che la linea svetta come un razzo.»

«Ieri nel Queens un tizio si è armato di arco e frecce,» dissi «e il vicino di casa gli ha sparato con una calibro .38.»

«Sí, l'ho letto sul giornale. Aveva a che fare con un cane che ha cagato sul prato sbagliato?»

«Piú o meno.»

«Be', questo caso non sarebbe riportato dal grafico perché i due si conoscevano.»

«Giusto.»

«Comunque il discorso è lo stesso. La gente continua ad ammazzarsi. Non si fermano neanche un momento a pensare, lo fanno e basta. Da quanto tempo ha lasciato la polizia, un paio d'anni? Mi creda, ora è assai peggio di quanto ricorda.»

«Ci credo.»

«Dico sul serio. Là fuori è una giungla e tutti gli animali sono armati. Tutti hanno una pistola. Si rende conto di quanta gente va in giro con un'arma da fuoco? Un cittadino onesto è costretto a tenere una pistola per autodifesa, e allora se la va a comprare e prima o poi succede che si spara un colpo, o ammazza la moglie, o il vicino di casa.»

«Che ha arco e frecce.»

«Ma chi gli andrà a dire di non comprarsi una pistola?» picchiettò sull'addome, nel punto in cui la pistola d'ordinanza era infilata sotto la cintura. «Io devo portare questa» disse. «Lo stabilisce il regolamento. Ma sa cosa le dico, non andrei mai in giro senza. Mi sentirei nudo.»

«Anch'io pensavo la stessa cosa. Poi ci si abitua.»

«Non porta armi?»

«Niente.»

«E si sente a suo agio?»

Andai al bancone a prendere altri due bicchieri, vodka per lui, ginger ale per me. Quando li portai al tavolo, Durkin bevve la vodka tutta d'un fiato e alla fine sospirò come uno pneumatico che si sgonfia. Uní le mani a coppa e si accese una sigaretta. Inspirò profondamente e soffiò fuori il fumo come se avesse fretta di liberarsene.

«Questa città del cazzo» disse.

Una città senza speranza, continuò, e affermò la necessità di cambiamenti radicali all'intero sistema giudiziario, a cominciare dalla polizia per finire con i tribunali e le carceri. Spiegò che niente funzionava e le cose andavano peggiorando di giorno in giorno. Non potevi arrestare un delinquente, non potevi rinviarlo a giudizio e infine non potevi sbattere al fresco quel figlio di puttana.

«Le carceri sono sovraffollate,» aggiunse «perciò i giudici non fanno scontare condanne troppo lunghe e molti vengono rilasciati sulla parola. I procuratori distrettuali ridimensionano le imputazioni e in questo modo molti dei casi importanti perdono sostanza. Il fatto è che i calendari sono fitti di udienze e i tribunali sono attenti a proteggere i diritti degli accusati. Allora succede che basta una fotografia per rinviare a giudizio uno che ha commesso un reato, però poi va a finire che la situazione si capovolge e sei tu a beccarti una condanna, perché scattando una fotografia senza permesso hai violato i diritti civili di un cittadino. Per non parlare poi della polizia. Il Dipartimento ha diecimila uomini in meno rispetto a dodici anni fa. Diecimila agenti in meno nelle strade della città.»

«Lo so.»

«Il doppio dei criminali e un terzo in meno dei piedipiatti, e ci si domanda perché è pericoloso camminare per le strade. E la ragione di tutto ciò? La città è al verde. Non ci sono soldi per i piedipiatti, non ci sono soldi per far funzionare la metropolitana, non ci sono soldi per niente. L'intero paese perde soldi. Finisce tutto nell'Arabia Saudita del cazzo. Quei coglioni vendono i cammelli in cambio di una Cadillac, mentre tutto il paese va a puttane.» Si alzò. «Ora tocca a me offrire da bere.»

«No, vado io. Ho il rimborso spese.»

«Giusto. Ha un cliente.» Si sedette. Quando ritornai con i bicchieri, chiese: «Che cosa sta bevendo?»

«Ginger ale.»

«Già, mi pareva che fosse quello. Come mai non beve sul serio?»

«Sto cercando di bere di meno.»

«Davvero?» Gli occhi grigi mi fissarono mentre assimilava l'informazione. Alzò il bicchiere e bevve circa la metà della vodka, poi lo ripose sul tavolino di legno con un piccolo rumore sordo. «Ha fatto la cosa migliore» disse, e pensai si riferisse al ginger ale, ma ormai aveva già cambiato argomento. «Lasciare il lavoro. Tirarsi fuori. Lo sa che cosa voglio io? Sei anni. Altri sei anni.»

«Cosi arriva a venti?»

«Esatto,» rispose «avrò la pensione, e subito dopo taglierò la corda. Via da questo lavoro e da questa città di merda. Me ne vado in Florida, nel Texas, o nel New Mexico, un posto caldo, asciutto e pulito. La Florida, no, come non detto. Ho sentito certe cose. Con tutti quei cubani del cazzo c'è praticamente la stessa criminalità che abbiamo qui. Senza contare il narcotraffico. Con quei pazzi di colombiani. Lo sa cosa combinano i colombiani?»

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Otto milioni di modi per morire, e tra questi c'è un'ampia scelta per i fanatici del fai da te. Per quanto poteva essere malmessa la metropolitana, i treni facevano ancora il loro dovere quando ti ci lanciavi contro. E la città ha un'infinità di ponti e finestre alte, e i negozi restano aperti ventiquattr'ore al giorno e vendono rasoi, corde per il bucato e pillole.

Io avevo una .32 nel cassetto del comò, e la finestra della mia camera era abbastanza lontana dal suolo per rendere la morte una certezza. Ma non avevo mai tentato nulla del genere, e in qualche modo avevo sempre saputo che non l'avrei mai fatto. Ho troppa paura, o sono troppo ostinato, o forse la mia personale disperazione non è mai totale come io credo che sia. A quanto pare c'è qualcosa che mi permette di andare avanti.

Ovviamente tutte le scommesse saltavano se riprendevo a bere. Avevo sentito un uomo a un incontro raccontare di essere uscito da un blackout mentre era sul ponte di Brooklyn. Era sulla ringhiera e aveva un piede nel vuoto quando era tornato in sé. Aveva ritratto la gamba, era sceso dalla ringhiera e se n'era andato subito via di lí.

Ma supponiamo che fosse tornato in sé un attimo dopo, con entrambi i piedi nel vuoto.

* * *


Se bevessi mi sentirei meglio.

Non riuscivo a togliermi questo pensiero dalla testa. E la cosa peggiore era che sapevo che era vero. Mi sentivo uno schifo, e se mi fossi fatto un bicchiere lo schifo sarebbe andato via. Me ne pentirei col tempo, mi sentirei altrettanto male se non peggio col tempo, e allora? Col tempo moriremo tutti.

Mi ricordai una cosa che avevo sentito a un incontro. L'aveva detta Mary, una delle presenze regolari a St Paul. Era uno scricciolo di donna con una voce sottile, sempre ben vestita, curata, con la voce calma, gentile e piacevole. Una volta l'avevo ascoltata mentre si presentava, ed era evidente che era stata poco meno di una maniaca dello shopping prima di toccare il fondo.

Una notte, parlando dal pavimento, disse: «Sapete, è stata una rivelazione per me capire che non sono obbligata a stare bene. Non è scritto da nessuna parte che io devo stare bene. Ho sempre pensato che se mi sentivo nervosa o ansiosa o infelice dovevo fare qualcosa per stare meglio. Ma ho imparato che non è vero. Il malumore non mi ucciderà. L'alcol mi ucciderà, non le mie sensazioni.»

Il treno si infilò nel tunnel. Quando scese sotto il livello del terreno, tutte le luci si spensero per un istante. Poi tornarono ad accendersi. Mi sembrò di sentire Mary che pronunciava con precisione ogni parola. La potevo vedere, le sue mani dall'ossatura delicata poggiate in grembo una sull'altra mentre parlava.

È strano cosa viene in mente.

Quando emersi dalla stazione a Columbus Circle avevo ancora bisogno di un bicchiere. Superai un paio di bar e andai al mio incontro.


Stava parlando un grosso irlandese di Bay Ridge. Sembrava uno sbirro, e usci fuori che lo era stato, ritiratosi dopo vent'anni di servizio e attualmente impegnato a integrare la pensione comunale con il suo impiego da guardia di sicurezza. L'alcol non aveva mai interferito con il suo lavoro o con il suo matrimonio, ma dopo un certo numero di anni aveva iniziato a risentirne a livello fisico. Le sue capacità diminuivano, le sbronze peggioravano, e un dottore gli aveva detto che aveva il fegato ingrossato.

«Mi spiegò che le sbronze stavano minacciando di uccidermi» disse. «Be', non ero uno di quei derelitti, uno di quegli ubriaconi degenerati, uno di quei tizi che devono bere per liberarsi del magone. Ero semplicemente il tipico spensierato al quale piacevano un cicchetto e una birra dopo il lavoro e una confezione da sei davanti alla televisione. Però, se mi deve uccidere, al diavolo, giusto? Uscii dallo studio di quel dottore e decisi di smettere di bere. E otto anni dopo lo feci.»

Un ubriaco continuava a interrompere la presentazione. Era ben vestito, e non pareva volesse creare problemi. Solo che sembrava incapace di ascoltare in silenzio, e dopo la quinta o la sesta delle sue uscite, due membri lo scortarono fuori e l'incontro andò avanti.

Pensai a quando io stesso ero andato all'incontro durante un blackout. Pensai a Octavio Calderón e pensai a Sunny Hendryx e pensai a quanto poco avevo concluso. Ero stato fuori sincrono sin dall'inizio. Avrei potuto incontrare Sunny prima che si uccidesse. Forse l'avrebbe fatto comunque, non avevo intenzione di accollarmi il peso della sua autodistruzione, ma prima avrei potuto ottenere qualche informazione.

E avrei potuto parlare con Calderón prima che mettesse in atto la sua sparizione. Avevo chiesto di lui durante la mia prima visita all'albergo, poi mi ero dimenticato della sua esistenza quando si era rivelato momentaneamente irreperibile. Forse non sarei riuscito a tirargli fuori niente, ma almeno avrei potuto sentire che stava nascondendo qualcosa. Ma non mi era venuto in mente di cercarlo finché lui non si era dato alla macchia.

Il mio tempismo era pessimo. Sempre un giorno indietro e con un dollaro mancante, come si dice, e mi resi conto che non si trattava solo di questo caso. Era la storia della mia vita.

La vita mi avversa. La sorte mi avversa. E nessuno mi versa. Da bere.

Durante la discussione, una donna di nome Grace si prese un giro di applausi quando disse che era al suo secondo anniversario. Anche io battei le mani, e quando l'applauso terminò feci il conto e realizzai che quello era il mio settimo giorno. Se andavo a dormire sobrio, ero rimasto senza bere per sette giorni.

Quanto ero andato avanti prima del mio ultimo bicchiere? Otto giorni?

Forse potevo battere quel record. O forse no, forse avrei bevuto l'indomani.

Non quella notte, però. Ero a posto per quella notte. Non mi sentivo per niente meglio rispetto a prima dell'incontro. Di sicuro non avevo piú un'alta opinione di me. Tutti i punteggi sul tabellino erano identici, ma prima la somma sarebbe stata un bicchiere, e ora non piú.

Non sapevo perché era cosí. Ma capii di essere salvo.

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