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| << | < | > | >> |IndiceBenvenuti nel deserto: la poesia di Bolaņo di Andrés Neuman 9 Prosa del otoņo en Gerona 26 Prosa dell'autunno a Girona 27 Los Neochilenos 102 I Neochilenos 103 Un paseo por la literatura 138 Una passeggiata nella letteratura 139 Note al testo 197 |
| << | < | > | >> |Pagina 9I doni di Bolaņo Al di là delle leggende biografiche e relative semplificazioni, l'infatuazione per Bolaņo ha profonde ragioni letterarie. La principale è così evidente che tendiamo a trascurarla: il suo talento e la sua originalità, capaci di aggiungere carne a Borges , politica a Rodolfo Wilcock , struttura a Nicanor Parra. Partendo da questo dono incontestabile, mi vengono in mente almeno tre fattori che hanno contribuito alla grandezza della sua opera. [...] Se dovessi rimarcare uno dei doni di Bolaņo, credo che opterei per la disperazione. Bolaņo non narrava storie: ne aveva bisogno. La sua scrittura ha una qualità agonica e forse per questo ci commuove tanto, che parli di delitti o di enciclopedie, di sesso o metonimie. La sua scelta estetica vincente fu di proporre una metaletteratura viscerale, una narrazione emotiva sul processo letterario. Niente è semplice dato nel culturalismo di Bolaņo, tutto è spasimo. A causa delle sue condizioni di salute, Bolaņo visse un terzo della vita come un moribondo nell'atto di dire addio. Camminando di spalle, come diceva Ulises Lima, verso l'ignoto. E allo stesso modo scrisse, con la furia delle ultime occasioni. Con la malinconia vitalistica dei malati gravi. Ho la sensazione che sia questo che dovremmo fare sempre, scrivere come moribondi. Moribondi momentaneamente sani. La differenza tra Bolaņo e altri scrittori non sta affatto nella purezza morale. E nemmeno nella prodezza erotica, che l'autore stesso idealizzò con un pizzico di enfasi romantica. Per me la differenza più grande consiste nella sua profondissima convinzione che, qualsiasi cosa accada, si realizzino o meno le ambizioni personali, un vero scrittore si forma scrivendo, vive scrivendo e muore scrivendo. Contro vento e marea. Contro tutto e contro tutti. Anche contro sé stesso. Questa è la radicale universalità di Bolaņo.
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Bolaņo nella poesia, la poesia in Bolaņo
La poesia assolve svariate funzioni nell'opera di Bolaņo. Č, prima di tutto, il genere a cui il suo autore diede la massima importanza, e a cui si dedicò quasi esclusivamente per anni. La poesia rappresenta anche una sorta di utopia artistica nella sua scala di valori, una specie di orizzonte d'eccellenza. Incarna inoltre un paradiso perduto di tipo autobiografico, associato in modo indelebile alla sua giovinezza e alla sua iniziazione letteraria. Ma funge anche da espediente narrativo nei suoi romanzi, in quanto origina personaggi, aneddoti e MacGuffin. Esempi di quest'ultimo sono Stella distante, Notturno cileno e il già citato I detective. La poesia sintetizza, infine, numerosi tratti della narrativa di Bolaņo: l'immagine visionaria, la pulsione epifanica, l'irruzione dell'onirico, l'estetizzazione della vita, la mitizzazione del ricordo.
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Triplice singolarità di Tre
Il volume di cui ci stiamo occupando contiene, come minimo, due testi straordinari che rappresentano forse l'apice del Bolaņo poeta. E un altro testo di indubbio fascino e utilità per immergersi nelle origini della sua narrativa. La posizione di ogni parte all'interno della raccolta sembra confermare questa impressione: «Prosa dell'autunno a Girona» e «Una passeggiata nella letteratura» hanno la funzione cruciale di aprire e chiudere il libro, mentre «I Neochilenos» fa da cerniera tra i due. «Su Tre posso aggiungere», affermò Bolaņo con un pizzico di civetteria, «che se mi legassero a una sedia e mi costringessero a leggerlo un'altra volta, non perderei la faccia per la vergogna, che non è poco. A volte arrivo persino a pensare [...] che sia uno dei miei due libri migliori». Considerando che questa dichiarazione risale a un paio d'anni prima della sua morte, si evince che l'altro libro non può essere niente meno che I detective selvaggi. Il che rende l'idea della considerazione che l'autore aveva per questo piccolo e potente trittico. La prima parte è la più enigmatica, esteticamente ambiziosa e formalmente complessa delle tre. E rappresenta, a mio gusto, il risultato più alto del poeta Bolaņo, nella sua ricerca di una scrittura capace di assorbire tutti i generi: la poesia in prosa, la narrazione breve, il saggio, il diario d'artista, l'aforisma. I suoi 35 frammenti delineano una sottile progressione narrativa, il cui linguaggio si giova dell'armonia interna di un piano che si viene abbozzando mentre lo si scrive, e di un personaggio che si consolida mano a mano che i simboli si chiariscono. Tra questi il deserto, l'assenza, la condizione di straniero, l'anonimato e i soldi (o meglio, la mancanza di soldi); così come le associazioni metaforiche tra di essi. In questa «Prosa dell'autunno a Girona» (provincia catalana in cui Bolaņo abitò nella seconda metà della sua vita e nel cui capoluogo lo troviamo ora, alla soglia dei trent'anni, senza un lavoro né la certezza di poter rinnovare il proprio permesso di soggiorno), tutte le carenze vengono elevate ad astrazione filosofica.
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La terza e ultima parte del libro, «Una passeggiata per la letteratura», è probabilmente la più scorrevole e godibile della raccolta in termini di lettura. Ed è inoltre di estremo interesse per lo studio della formazione libresca dell'autore, dato che funge da chiave per entrare nella sconfinata biblioteca di Bolaņo, rivelandoci alcuni codici d'interpretazione validi per tutte le sue opere. In tal senso, possiamo considerarla una specie di Aleph delle sue preferenze. Le 57 miniature che compongono «Una passeggiata per la letteratura» costituiscono un ipnotico esercizio di metanarrativa, tradizione a cui Bolaņo si sentiva molto affine. E che va da Schwob a Vila-Matas , passando per Papini, Wilcock e naturalmente Borges. Non si tratta soltanto di accumulare rimandi né di riflettere sulle grandi opere. Ma di affabulare autentiche ucronie e distopie partendo da intrecci letterari improbabili, innescando riletture sorprendenti. «Se non proprio la felicità», dice un racconto di Chiamate telefoniche, «per lo meno l'energia, un'energia che assomigliava molto al buonumore, un buonumore che assomigliava molto alla memoria». Nella scrittura di Bolaņo tutto passa attraverso il filtro elettrico della memoria. Solo che quella memoria non si limita alla testimonianza o all'autobiografia, ma si comporta come una facoltà visionaria. Forse per questo, dove Perec diceva Je me souviens, Bolaņo geme ripetutamente Ho sognato che. | << | < | > | >> |Pagina 35«Questo per me potrebbe essere l'inferno». Il caleidoscopio si muove con la serenità e la noia dei giorni. Per lei, alla fine, non c'è stato nessun inferno. Ha semplicemente evitato di vivere qui. Le soluzioni semplici guidano le nostre azioni. L'educazione sentimentale ha un solo motto: non soffrire. Ciò che si allontana può essere chiamato deserto, roccia con aspetto d'uomo, il pensatore tettonico.| << | < | > | >> |Pagina 39Dice che sta bene. Dici che stai bene e pensi che lei stia bene davvero e che tu stai bene davvero. Il suo sguardo è bellissimo, come se vedesse per la prima volta le scene che ha desiderato tutta la vita. Poi arrivano l'alito marcio, gli occhi vuoti anche se lei dice (mentre tu resti in silenzio, come in un film muto) che l'inferno non può essere il mondo dove vive. Tagliate questo testo di merda!, grida. Il caleidoscopio prende le sembianze della solitudine. Crac, fa il tuo cuore.| << | < | > | >> |Pagina 55L'autunno a Girona: la Scuola di Belle Arti, la piazza dei cinema, il tasso di disoccupazione in Catalogna, tre mesi di permesso di soggiorno in Spagna, i pesci nell'Oņar (carpe?), l'invisibilità, l'autore che contempla le luci della città e sopra di esse una striscia di fumo grigio nella notte blu metallico, e sullo sfondo il profilo delle montagne.Parole di un amico a proposito della donna con cui convive da sette anni: «è la mia padrona». Non ha senso scrivere poesia, i vecchi parlano di una nuova guerra e a volte torna il sogno ricorrente: autore che scrive in una stanza in penombra; in lontananza, rumore di gang rivali che lottano per un supermercato; file di automobili che non ripartiranno mai. La sconosciuta, malgrado tutto, mi sorride, allontana gli autunni e si siede accanto a me. Quando mi aspetto grida o una scenata, si limita a domandarmi perché faccio così. Perché faccio così? Lo schermo diventa bianco come un complotto. | << | < | > | >> |Pagina 71Ricorrente, la sconosciuta è sospesa nel caleidoscopio. Le dico: «Sono volubile. Una settimana fa ti amavo, nei momenti di esaltazione sono arrivato a pensare che eravamo una coppia da paradiso. Ma lo sai che sono solo un fallito: quelle coppie esistono lontano da qui, a Parigi, a Berlino, nella parte alta di Barcellona. Sono volubile, a volte desidero la grandezza, a volte solo la sua ombra. La vera coppia, l'unica, è quella formata dal famoso romanziere di sinistra e dalla ballerina, prima del suo momento Atlantide. Io, invece, sono un fallito, uno che non sarà mai Giorgio Fox, e tu sembri una donna normalissima, con tanta voglia di divertirti e di essere felice. Voglio dire: felice qui, in Catalogna, e non su un aereo diretto a Milano o alla centrale nucleare di Lampedusa. La mia volubilità è fedele a questo istante pristino, il risentimento feroce per essere quello che sono, il sogno nell'occhio, la nudità ossea di un vecchio passaporto consolare rilasciato in Messico nel 1973, valido fino al 1982, con un permesso di soggiorno in Spagna di tre mesi, senza diritto a lavorare. La volubilità, come vedi, permette la fedeltà, una sola fedeltà, ma fino alla fine».L'immagine dissolve in nero. Una voce fuori campo racconta le ipotetiche cause per cui Zurbarán lasciò Siviglia. Lo fece perché la gente preferiva Murillo? O perché la peste che in quegli anni flagellava la città si era portata via alcuni esseri che lui amava e lo aveva lasciato pieno di debiti? | << | < | > | >> |Pagina 87Attraverso le vetrine di un ristorante vedo il libraio di una delle principali librerie di Girona. Č alto, piuttosto grosso e ha i capelli bianchi e le sopracciglia nere. Č in piedi sul marciapiede, di spalle. Io sono seduto in fondo al ristorante con un libro sul tavolo. Dopo un po' il libraio attraversa la strada con passi lenti, si direbbe studiati, e la testa china. Mi domando a chi starà pensando. Una volta, mentre curiosavo nel suo negozio, l'ho sentito confessare a una signora di Girona che anche lui aveva commesso delle follie. Dopo sono riuscito a cogliere delle parole isolate: «treni», «due assassini», «la notte dell'hotel», «un emissario», «tubature difettose», «dall'altra parte non c'era nessuno», «lo sguardo ipotetico di». Arrivato a questo punto mi sono dovuto coprire la metà inferiore della faccia con un libro perché non mi sorprendessero a ridere. Lo sguardo ipotetico della sua fidanzata, di sua moglie? Lo sguardo ipotetico della padrona dell'hotel? (Posso anche chiedermi: lo sguardo della passeggera del treno?, della signorina che era accanto al finestrino e aveva visto il vagabondo mettere la testa sulla rotaia?) E infine: perché uno sguardo ipotetico?Ora, al ristorante, mentre lo vedo arrivare sull'altro marciapiede e osservare qualcosa nelle vetrine, dietro cui ci sono io, penso che forse quel giorno non ho capito bene le parole, in parte per il catalano chiuso di questa provincia, in parte per la distanza che c'era fra noi. Ben presto un ragazzo orrendo rimpiazza il libraio nello spazio che quello occupava un attimo fa. Poi il ragazzo si allontana e il posto è occupato da un cane, poi da una donna sui quarant'anni, bionda, poi da un cameriere che esce a mettere via i tavoli perché comincia a piovere. | << | < | > | >> |Pagina 1391. Ho sognato che Georges Perec aveva tre anni e veniva a trovarmi a casa. Lo abbracciavo, lo baciavo, gli dicevo che era un bambino bellissimo.2. Siamo rimasti a metà, padre, né cotti né crudi, persi nella grandezza di questa discarica interminabile, errando e sbagliando, ammazzando e chiedendo perdono, maniaco-depressivi nel tuo sogno, padre, il tuo sogno che non aveva limiti e che abbiamo sviscerato mille volte e poi altre mille, come detective latinoamericani persi in un labirinto di cristallo e fango, viaggiando sotto la pioggia, vedendo film dove c'erano vecchi che gridavano tornado! tornado!, guardando le cose per l'ultima volta, ma senza vederle, come spettri, come rane in fondo a un pozzo, padre, persi nella miseria del tuo sogno utopico, persi nella varietà delle tue voci e dei tuoi abissi, maniaco-depressivi nell'immensa sala dell'Inferno dove si cucina il tuo Umore. | << | < | > | >> |Pagina 1478. Ho sognato che stavo camminando sul lungomare di New York e vedevo in lontananza la figura di Manuel Puig. Aveva una camicia celeste e dei pantaloni di tela leggera, blu chiaro o blu scuro, dipende.9. Ho sognato che Macedonio Fernández appariva nel cielo di New York sotto forma di nuvola: una nuvola senza naso né orecchie, ma con occhi e bocca. | << | < | > | >> |Pagina 15313. Ho sognato che leggevo Stendhal nella Centrale Nucleare di Civitavecchia: un'ombra scivolava sopra la ceramica dei reattori. Č il fantasma di Stendhal, diceva un giovane con gli stivali e a torso nudo. E tu chi sei?, gli chiedevo. Sono il tossico della ceramica, l'ussaro della ceramica e della merda, diceva lui.| << | < | > | >> |Pagina 15514. Ho sognato che stavo sognando, avevamo perso la rivoluzione ancora prima di farla e decidevo di tornare a casa. Quando volevo mettermi a letto ci trovavo De Quincey che dormiva. Si svegli, don Tomás, gli dicevo, è quasi l'alba, deve andarsene. (Come se De Quincey fosse un vampiro.) Ma nessuno mi ascoltava e uscivo di nuovo nelle strade buie di città del Messico.| << | < | > | >> |Pagina 16324. Ho sognato che Philip K. Dick passeggiava per la Centrale Nucleare di Civitavecchia.25. Ho sognato che Archiloco attraversava un deserto di ossa umane. Si incoraggiava da solo: «Su, Archiloco, non ti perdere d'animo, avanti, avanti». | << | < | > | >> |Pagina 17334. Ho sognato che ero un detective latinoamericano molto vecchio. Vivevo a New York e Mark Twain mi ingaggiava per salvare la vita a uno che non aveva volto. Sarà un caso maledettamente difficile, signor Twain, gli dicevo.35. Ho sognato che mi innamoravo di Alice Sheldon. Lei non mi amava. Così cercavo di farmi ammazzare in tre continenti. Passavano gli anni. Alla fine, quando ormai ero molto vecchio, lei appariva in fondo al lungomare di New York e a gesti (come quelli che si fanno sulle portaerei per far atterrare i piloti) mi diceva che mi aveva sempre amato. | << | < | > | >> |Pagina 18345. Ho sognato che Pascal parlava della paura con parole cristalline in un'osteria di Civitavecchia: «I miracoli non servono a convertire, ma a condannare», diceva.| << | < | > | >> |Pagina 19556. Ho sognato che un uomo voltava lo sguardo indietro, sul paesaggio anamorfico dei sogni, e che il suo sguardo era duro come l'acciaio ma si frammentava lo stesso in sguardi multipli sempre più innocenti, sempre più inermi.
57. Ho sognato che Georges Perec aveva tre anni e piangeva
sconsolatamente. Io cercavo di calmarlo. Lo prendevo in
braccio, gli compravo dei dolciumi, dei libri da colorare. Poi
andavamo sul lungomare di New York e mentre lui giocava sullo scivolo io mi
dicevo: non sono buono a nulla, ma saprò prendermi cura di te, nessuno ti farà
del male, nessuno cercherà di ucciderti. Poi si metteva a piovere e tornavamo
tranquillamente a casa. Ma dov'era la nostra casa?
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