Copertina
Autore Bernard Bolzano
Titolo I paradossi dell'infinito
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003 [1965], Universale 275 , pag. 150, cop.fle., dim. 130x191x12 mm , Isbn 978-88-339-1506-7
OriginaleParadoxien des Unendlichen [1851]
CuratoreAlberto Conte
TraduttoreAlberto Conte
LettoreCorrado Leonardo, 2004
Classe logica , matematica
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Indice

  7 Introduzione

 17 Prefazione alla 1a edizione

 19 Sommario del contenuto

 25 I paradossi dell'infinito
 

 

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Pagina 19

Sommario del contenuto

1.  Perché l'autore intenda occuparsi esclusivamente della
    trattazione dei paradossi dell'infinito.
2-10. Il concetto dell'infinito nell'opinione dei matematici
    e discussione di esso.
11. Come Hegel e altri filosofi concepiscono !'infinito.
12. Altre definizioni dell'infinito e giudizio su di esse.
13. Oggettività del concetto enunciato dall'autore, messa in
    evidenza da esempi tratti dal dominio del non-attuale.
14. L'insieme delle proposizioni e verità in sé è infinito.
    Confutazione di alcune obiezioni sollevate contro questo
    concetto.
15. L'insieme di numeri interi è infinito.
16. L'insieme delle quantità in generale è infinito.
17. L'insieme delle parti semplici di cui sono formati lo
    spazio e il tempo, così come l'insieme dei punti dello
    spazio e del tempo compresi fra due punti comunque
    prossimi, è infinito.
18. Non ogni quantità che noi riguardiamo come somma di un
    insieme infinito di altre quantità che sono tutte
    finite, è infinita.
19. Ci sono insiemi infiniti che sono più grandi o più
    piccoli di altri insiemi infiniti.
20. Una notevole relazione fra due insiemi infiniti,
    consistente nella possibilità di accoppiare ciascun
    oggetto appartenente a un insieme con un oggetto
    appartenente all'altro, con il risultato che nessuno
    degli oggetti di entrambi gli insiemi rimanga senza
    corrispondente, e neppure compaia in due o più coppie.
21. Nonostante la loro equinumerosità in membri, due insiemi
    infiniti possono tuttavia stare in una relazione di
    disuguaglianza per quel che riguarda le loro moltitudini,
    così che l'uno possa risultare una parte propria
    dell'altro.
22-23. Perché la situazione risulta diversa per gli insiemi
    finiti, e come avviene che i motivi che la rendono tale
    vengono a cadere quando gli insiemi sono infiniti.
24. Due somme di addendi che sono uguali l'uno all'altro a
    coppie possono, quando il loro insieme è infinito,
    essere uguagliate l'una all'altra soltanto quando i due
    insiemi hanno identici modi di determinazione.
25. Esiste un infinito anche nel dominio dell'attualità.
26. Il principio della determinatezza universale di tutto
    l'attuale non contraddice questa asserzione.
27. Sbagliano, tuttavia, quei matematici che parlano di
    intervalli di tempo limitati da entrambe le parti e,
    ciononostante, infinitamente grandi o, ciò che accade
    ancora più spesso, infinitamente piccoli, e così pure
    quelli che parlano di distanze infinitamente grandi e
    infinitamente piccole. Sbagliano anche i fisici e i
    metafisici, quando presuppongono o asseriscono che ci
    sono forze nell'universo che sono infinitamente più
    grandi o più piccole di altre.
28. I principali paradossi dell'infinito nel dominio della
    matematica; prima di tutto nella teoria generale della
    quantità, e in particolare nella teoria dei numeri. Come
    si può risolvere il paradosso di un calcolo con
    l'infinito.
29. Sussiste realmente un calcolo con l'infinitamente grande.
30. E così pure un calcolo con l'infinitamente piccolo.
31-32. Falsità di alcuni concetti dell'infinitamente piccolo
    e dell'infinitamente grande adottati anche da matematici.
33. Precauzioni che devono essere osservate nel calcolo con
    l'infinito per non incorrere in errori.
34. Determinazione più precisa del concetto di zero. Lo zero
    non può mai venire adoperato come divisore in una
    equazione che debba essere qualche cosa di più che una
    semplice identità.
35. Contraddizioni che derivano dall'asserzione
    occasionalmente incontrata che le quantità infinitamente
    piccole, quando sono combinate mediante addizione o
    sottrazione con determinate altre, diventano zero o
    svaniscono.
36. Queste contraddizioni non sono evitate dall'assunzione
    di alcuni matematici che le quantità infinitamente
    piccole sono semplici zeri, mentre le quantità
    infinitamente grandi sono i quozienti delle divisioni di
    una quantità finita per un semplice zero.
37. Come l'autore ritenga di dover riguardare il metodo di
    calcolo con l'infinito allo scopo di liberarlo da tutte
    le contraddizioni.
38. Paradossi dell'infinito nella parte applicata della
    teoria della quantità e specialmente nelle dottrine
    dello spazio e del tempo.
    Già il concetto di continuo o di estensione continua
    racchiude in sé apparenti contraddizioni. Come esse
    debbano essere risolte.
39. Paradossi nel concetto di tempo.
40. Paradossi nel concetto di spazio.
41. Come la maggior parte dei paradossi della dottrina dello
    spazio trovino la loro spiegazione nel concetto di
    spazio dell'autore.
42-43. Come una falsa interpretazione della dottrina dell'
    infinitamente grande abbia indotto alcuni matematici a
    formare nozioni scorrette.
44. Il calcolo di J. Schulz del volume dello spazio infinito,
    e in che consiste il vero errore di questo calcolo.
45. Anche la dottrina dell'infinitamente piccolo ha dato
    occasione all'affermazione di molte assurdità.
46. Che cosa bisogni pensare della proposizione di Galilei:
    «La circonferenza di un cerchio è tanto grande quanto il
    suo centro».
47. Elucidazione del teorema che la comune cicloide ha
    curvatura infinita nel punto in cui essa raggiunge la
    sua linea base.
48. Come avvenga che molte estensioni spaziali che si
    diffondono in uno spazio infinito, abbiano tuttavia una
    grandezza finita; che altre, al contrario, che sono
    limitate da uno spazio finito posseggano una grandezza
    infinita; e che molte altre rimangano ancora finite, a
    dispetto di infiniti giri intorno a un punto fisso.
49. Ancora alcune caratteristiche paradossali delle
    estensioni spaziali che posseggono una grandezza
    infinita.
50. Paradossi dell'infinito nel dominio della fisica e della
    metafisica.
    Quali verità si debbono riconoscere per giudicare
    correttamente questi paradossi.
    Dimostrazione che due entità non possono essere
    esattamente uguali, e quindi che non possono esistere
    nell'universo due atomi (sostanze semplici) esattamente
    uguali; inoltre, che esistono cionondimeno sostanze
    semplici, e che queste sostanze sono variabili.
51. Pregiudizi che devono essere abbandonati allo scopo di
    poter giudicare correttamente i paradossi più rilevanti.
    La materia morta, puramente inerte, non esiste.
52. È un pregiudizio delle scuole che l'ipotesi di una azione
    immediata delle sostanze sia inammissibile.
53. Allo stesso modo, è un pregiudizio credere che non siano
    possibili azioni immediate a distanza.
54. La impenetrabilità delle sostanze deve essere
    categoricamente negata.
55. Il pregiudizio della completa non-spazialità degli esseri
    spirituali, in quanto essi non debbono poter occupare il
    posto di un singolo punto.
    Fra le sostanze create le uniche differenze sono
    differenze di grado.
56. Il grande paradosso della congiunzione fra le sostanze
    spirituali e materiali è automaticamente risolto quando
    si assume questo punto di vista.
57. Erronea concezione della costruzione dell'universo
    mediante semplici forze senza sostanze.
58. Nella creazione di Dio non c'è un più alto, né un più
    basso grado di essere.
59. Un diverso grado di densità dei corpi è certamente
    compatibile con il fatto che lo spazio infinito sia
    riempito in modo continuo di sostanze, e non è
    necessario assumere che le sostanze siano fra di loro
    impenetrabili.
60. Ogni sostanza del mondo è in uno stato continuo di
    interazione con ogni altra.
61. Fra di esse esistono sostanze dominanti, ma nessuna di
    queste ultime possiede forze che superino infinite volte
    quelle delle sostanze dominate.
62. Se in ogni aggregato di sostanze debba essercene una
    dominante.
63. Oltre alle sostanze dominanti c'è un'altra componente
    dell'universo, l'etere, che riempie lo spazio fra di
    esse e racchiude tutti i corpi senza contenere esso
    stesso sostanze dominanti.
    Attrazione e repulsione hanno luogo fra le sostanze, e
    quale nozione l'autore abbia di esse.
    Come avvenga che tipi di materia che differiscono fra di
    loro in forze, e precisamente nel grado delle loro
    attrazioni reciproche, siano tuttavia universalmente
    uguali in peso, o, in altre parole, che i loro pesi
    siano proporzionali alle loro masse.
64. Come si manifesti la dominanza di certe sostanze o atomi
    su altre, e quali conseguenze derivino da ciò.
65. Nessuna sostanza dominante subisce una variazione tale
    da essere liberata da ogni parte delle sue immediate
    vicinanze.
66. Dove un corpo finisca e un'altro cominci; in'altre
    parole, il problema dei confini dei corpi.
67. Se e quando i corpi stiano in contatto immediato l'uno
    con l'altro.
68. I modi possibili di movimento che hanno luogo nell'
    universo.
69. Se un atomo dell'universo descriva mai una linea
    perfettamente diritta o perfettamente curva.
    Le opinioni dell'autore sull'infinitezza dell'universo
    lasciano posto per uno spostamento del tutto secondo una
    data direzione o anche per una rotazione intorno a un
    dato asse o a un dato punto?
70. Due paradossi resi celebri da Euler.

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Pagina 31

8.

Immaginiamo una serie il cui primo termine è un individuo della specie A, mentre ogni termine successivo viene derivato dal suo antecedente prendendo un oggetto simile a esso e facendo in modo che quest'ultimo formi una somma insieme con un nuovo individuo della specie A; risulta perciò manifesto che tutti i termini che si presentano in questa serie, con l'eccezione del primo che era un semplice individuo della specie A, sono moltitudini della specie A. Queste moltitudini le chiamo finite o numerabili, o senz'altro (e con l'inclusione anche del primo termine) numeri, e più precisamente numeri interi.


9.

A seconda della diversa natura del concetto qui denotato con A, gli oggetti che cadono sotto di esso, cioè gli individui della specie A, possono formare un insieme ora più numeroso, ora meno numeroso, e perciò anche i termini della serie di cui si parlava possono formare un insieme ora più numeroso, ora meno numeroso. In particolare, essi possono essere in numero così grande che non si possa assolutamente ammettere che la serie, in quanto deve esaurire (accogliere in sé) tutti questi individui, abbia un ultimo termine; un argomento, questo, che tratteremo più particolareggiatamente nel seguito. Ciò posto per l'intanto, chiamerò moltitudine infinita una moltitudine che è più grande di tutte quelle finite, cioè una moltitudine costituita in modo tale che ogni insieme finito rappresenti soltanto una parte di essa.


10.

Spero mi sarà concesso che la definizione qui enunciata di entrambi i concetti di moltitudine finita e infinita ne determina la distinzione esattamente allo stesso modo in cui la intendevano coloro che adoperavano queste espressioni rigorosamente. Mi sarà anche concesso che in queste definizioni non si nasconde nessun circolo vizioso. Rimane perciò soltanto da vedere se, attraverso una semplice definizione di ciò che è chiamato una moltitudine infinita, saremo in grado di determinare che cosa è l' infinito in sé. Questo sarebbe il caso se dovesse apparire che non c'è veramente nessun'altra cosa, eccettuate soltanto le moltitudini, alla quale sia applicato il concetto di infinito nel suo significato preciso, cioè se dovesse apparire che l'infinitezza vera e propria è una proprietà che appartiene soltanto alle moltitudini, o, in altre parole, se tutto ciò che dichiariamo infinito, lo diciamo tale soltanto perché, e soltanto fino al punto in cui, vi scorgiamo una proprietà che si può riguardare come moltitudine infinita. E questo, a mio parere, è quello che accade in realtà. Il matematico non adopera manifestamente questo termine in un altro senso; poiché è quasi soltanto della determinazione delle quantità che egli soprattutto si occupa, egli sceglie un oggetto della stessa specie come unità e si serve poi del concetto di numero. Se trova una quantità più grande di ogni multiplo dell'unità accettata, allora la chiama infinitamente grande; se ne trova una così piccola che ogni suo multiplo è più piccolo dell'unità, allora la chiama infinitamente piccola; e oltre a questi due tipi di infiniti e alle quantità infinitamente grandi e infinitamente piccole di ordine superiore derivate ulteriormente da essi, e che si basano tutte sullo stesso concetto, non ne riconosce altri.

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Pagina 45

15.

Io ritengo ora sufficientemente provato e difeso il fatto che esistano insiemi infiniti, almeno formati da oggetti che non hanno attualità; e in particolare che l'insieme di tutte le verità in sé sia infinito. In modo analogo si potrà anche ammettere, in base agli argomenti del § 13, che l'insieme di tutti i numeri (i cosiddetti numeri naturali o interi, che abbiamo definito nel § 8) è infinito. Tuttavia, anche questa proposizione suona paradossale e, possiamo riguardarla propriamente come il primo dei paradossi che compaiono nel dominio della matematica, poiché quello considerato prima appartiene specificamente a una scienza ancora più generale che quella della quantità.

«Se ogni numero - si potrebbe dire - è per definizione un semplice insieme finito, come può l'insieme di tutti i numeri essere infinito? Se consideriamo la serie dei numeri naturali:

1, 2, 3, 4, 5, 6, ...
ci accorgiamo che l'insieme dei numeri di questa serie compresi fra il primo (l'unità) e uno qualunque di essi, per esempio il numero 6, è enumerato sempre da quest'ultimo. Di conseguenza, l'insieme di tutti i numeri deve essere enumerato esattamente dall' ultimo numero e, essendo quindi esso stesso un numero, non essere infinito».

L'illusorietà di questa argomentazione scompare non appena ci si rammenta che nell'insieme di tutti i numeri presi nella serie naturale non esiste un ultimo termine, e quindi il concetto di un ultimo (più grande) numero è un concetto vuoto, poiché contiene in sé una contraddizione. Infatti, secondo il principio di costruzione indicato nella definizione di quella serie (§ 8), ciascuno dei suoi termini ha un termine che lo segue. Questo paradosso dovrebbe quindi essere considerato già risolto da questa singola osservazione.

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Pagina 94

39.

Si poteva supporre anticipatamente che si sarebbero trovati particolari intoppi nelle proprietà di quella particolare estensione continua che è il tempo. La dottrina del tempo doveva fornire un soggetto gradito specialmente a quei filosofi i quali, come gli scettici, invece che a chiarificare le idee degli uomini, miravano appositamente soltanto a confonderle e a trovare dappertutto apparenti contraddizioni. Noi ricorderemo però qui soltanto i punti più importanti, tanto più che non tutto ciò che sarebbe qui presentato riguarda il concetto dell'infinito.

Si sollevò la questione se il tempo sia un qualche cosa di attuale, e, qualora lo fosse, se sia una sostanza o un accidente, e, nel primo caso, se sia una sostanza creata o increata. «Se è una sostanza creata - si pensava - esso dovrebbe aver avuto un inizio, ed avrà anche, un giorno, una fine, e di conseguenza dovrebbe cambiare e avere quindi a sua volta bisogno di un altro tempo in cui cambiare. È ancora più assurdo sostenere che il tempo è Dio stesso, o un accidente presente in esso. È certo, inoltre, che il tempo viene contrapposto all' eternità; ma che cos'è poi quest'ultima? Come è possibile che non soltanto un insieme infinito di istanti, ma anche un insieme infinito di interi intervalli di tempo debba essere contenuto in un singolo tratto di tempo, per quanto corto esso sia, per esempio nel tempo equivalente a un singolo battito dell'occhio, da cui ha preso il nome quella parte semplice di tempo chiamata "batter d'occhio" (momento)? In realtà - si diceva infine - il tempo non esiste affatto! Infatti, il tempo passato, proprio perché passato, non esiste evidentemente più; quello futuro, proprio perché futuro, non esiste ancora; e quello, infine, che è presente non è nient'altro che un semplice istante nel senso più stretto della parola, che non ha alcuna durata e quindi neppure alcun diritto al nome di tempo».

Secondo le mie idee, il tempo non è, a dire il vero, una entità attuale. Nel senso preciso del termine noi attribuiamo attualità soltanto alle sostanze e alle loro forze. Io ritengo perciò che esso non sia né Dio stesso, né una sostanza creata, né un accidente di Dio, né un accidente di una sostanza creata e neppure un accidente di un aggregato di sostanze create. Proprio per questo motivo, esso non è un qualche cosa soggetto a variazioni, bensì piuttosto ciò in cui hanno luogo tutte le variazioni. Se sembra che sia stato detto il contrario, come nel proverbio: i tempi cambiano, ci è stato tuttavia da lungo tempo fatto osservare che per tempo si intendono qui soltanto le cose che si trovano in esso insieme con le loro condizioni. Venendo ora a una definizione più precisa, il tempo è quella determinazione di ogni sostanza dipendente (o, ciò che è lo stesso, variabile), la cui rappresentazione mentale deve essere congiunta alla rappresentazione mentale di questa sostanza affinché, dati due attributi contraddittori b e non - b, possiamo predicare secondo verità l'uno di essi della sostanza e negare l'altro. Più precisamente, la determinazione qui menzionata è una singola parte semplice del tempo, un momento o istante, in cui dobbiamo porci davanti la sostanza x di cui vogliamo predicare con sicurezza uno dei due attributi contraddittori b e non - b; così che la nostra asserzione dovrebbe suonare propriamente come segue: la sostanza x possiede all'istante t o l'attributo b o l'attributo non - b. Una volta concessami la correttezza di questa definizione del concetto di istante, posso anche stabilire chiaramente che cosa è il tempo, e che cos'è invero tutto il tempo o l' eternità: esso è precisamente il tutto a cui tutti gli istanti appartengono come membri. E ogni tempo finito, cioè ogni durata o intervallo di tempo compreso fra due dati istanti, è da me definito come l'aggregato di tutti gli istanti situati fra quei due istanti terminali. Secondo queste definizioni non c'è quindi nessuna differenza fra il tempo e l'eternità, qualora si intenda con il primo non (come spesso avviene) un tempo limitato e finito, bensì l'intero tempo (senza limiti in entrambe le direzioni). C'è però una grande differenza nel modo in cui Dio e gli esseri variabili o creati sono situati rispetto a questo tempo. Precisamente, questi ultimi sono immersi nel tempo in quanto variano in esso, mentre Dio è in ogni tempo sempre immutabile. Questo ha dato occasione a chiamare Dio soltanto eterno, e a chiamare i restanti esseri, le sue creature, esseri temporali. Può essere un compito difficile per la nostra immaginazione dipingersi in immagini sensibili il fatto che ogni tratto di tempo, per quanto corto esso sia, come uno scintillio degli occhi, contenga già un insieme infinito di interi intervalli di tempo; è sufficiente che l' intelletto lo afferri e lo riconosca come un qualche cosa che non può essere assolutamente altrimenti. Il fondamento oggettivo di ciò può anche essere trovato nel concetto di tempo qui delineato brevemente; la sua esposizione sarebbe però troppo prolissa per questo lungo. Sarebbe assurdo soltanto sostenere che in una durata corta sia contenuto lo stesso insieme di istanti che in una durata più lunga, o che gli infiniti intervalli di tempo in cui una durata breve può essere scomposta abbiano la stessa lunghezza di quelli in cui può essere scomposta una durata più lunga.

In conclusione, la fallacia del tentativo di annientare completamente la realtà del concetto di tempo è situata così allo scoperto che c'è difficilmente bisogno di spendere una parola di più per confutarla. Noi ammettiamo, naturalmente, che il tempo non è in alcun senso un'entità esistente, e che l'esistenza non appartiene né al tempo passato né a quello futuro, e neppure a quello presente; ma come segue da ciò che il tempo è una non-entità? Non sono infatti le proposizioni e verità in sé almeno «qualche cosa», sebbene nessuno - qualora esse non siano confuse con la loro presenza nella coscienza di un essere pensante, e quindi con pensieri o giudizi possa farsi venire in mente di sostenere che esse siano esistenti?

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Pagina 97

40.


Per quel che riguarda i paradossi della dottrina dello spazio, è universalmente noto che non abbiamo saputo spiegare lo spazio. Anch'esso è stato spesso ritenuto un qualche cosa di esistente; è stato confuso con le sostanze situate in esso; è stato perfino identificato con Dio, o almeno riguardato come un attributo della divinità; perfino il grande Newton incorse nell'errore di definire lo spazio come il sensorio divino; si è supposto non soltanto che le sostanze situate nello spazio si muovano spesso intorno a esso, ma anche che lo spazio stesso si muova, cioè i luoghi cambino luogo; dopo Descartes, si è creduto di aver scoperto che non tutte le sostanze, bensì soltanto le cosiddette sostanze materiali si trovino nello spazio; Kant poi incorse nella sfortunata nozione, ripetuta ancora dopo di lui da molti, che sia lo spazio, sia il tempo non hanno oggettività, ma sono semplicemente forme soggettive della nostra intuizione; più recentemente ancora è stata sollevata la questione se esseri di tipo diverso non abbiano uno spazio di tipo diverso, per esempio con due o quattro dimensioni; Herbart, infine, ha voluto regalarci, per sovrappiù, uno spazio doppio, uno spazio rigido e continuo insieme con un corrispondente tempo doppio. Su tutti questi argomenti io ho già espresso la mia opinione in un altro luogo.

Lo spazio, a somiglianza del tempo, non è, secondo me, una qualità delle sostanze, bensì soltanto una determinazione di esse, nel senso che, precisamente, io chiamo posti occupati quelle determinazioni delle sostanze create che danno il fondamento per cui esse, essendo in possesso di certe qualità in un dato tempo, producono determinati cambiamenti l'uno sull'altra, e do poi il nome di spazio, di intero spazio, all'aggregato di tutti i posti occupati. Questa definizione mi pose in condizione di dedurre oggettivamente gli insegnamenti della scienza dello spazio da quelli della scienza del tempo, e di dimostrare così, per esempio, il fatto, e il perché del fatto, che lo spazio abbia tre dimensioni, e molte altre cose.

I paradossi, quindi, che sono stati trovati nel concetto stesso di spazio, in quella oggettività che deve appartenergli nonostante che esso non sia una entità attuale, nell'insieme infinito delle sue parti e nel tutto continuo che esse, prese insieme, formano, nonostante che non due di queste parti (punti) siano a contatto diretto l'una con l'altra, sono soltanto apparenti contraddizioni e io non ritengo di doverne trattare ulteriormente, bensì mi ritengo autorizzato a considerare chiusa la questione.

La prima cosa che richiede una considerazione più attenta, è forse il concetto di grandezza di un'estensione spaziale. Non c'è disaccordo sul fatto che a ogni estensione appartenga una grandezza e anche sul fatto che, sia nell'unica dimensione temporale, sia nelle tre dimensioni spaziali le quantità incontrate possano essere determinate soltanto mediante il loro rapporto con una quantità che sia stata scelta arbitrariamente come unità di misura e, parimenti, sul fatto che questa estensione scelta come unità debba essere dello stesso tipo di quella che deve essere misurata mediante essa, e quindi per le linee una linea, per le superfici una superficie, per i corpi un corpo. Se però chiediamo in che cosa consista esattamente ciò che noi chiamiamo la grandezza di una estensione spaziale, si potrebbe essere tentati di concludere, tanto più che una tale estensione non consiste di niente altro che di punti ordinati mediante una determinata regola, e che una quantità deve essere considerata non sulla base dell'ordine ma soltanto sulla base dell'insieme dei membri, che ciò che noi intendiamo per grandezza di ogni oggetto spaziale è semplicemente questo insieme di punti, come sembra confermare anche il nome stesso di contenuto con cui noi chiamiamo senz'altro la grandezza di una superficie o di un corpo. Tuttavia, una considerazione più attenta dimostra che le cose non stanno così. Altrimenti, come potremmo assumere, cosa che noi facciamo generalmente e senza esitazione, che la grandezza di un oggetto spaziale, per esempio di un cubo, non varia minimamente se noi includiamo o no nel contenuto anche il contorno, e in questo caso quindi la superficie laterale del cubo (che ha già essa stessa, dopo tutto, una grandezza)? E noi facciamo indubitabilmente così quando giudichiamo, per esempio, che la grandezza di un cubo di lato 2 è otto volte maggiore di quella di un cubo di lato 1, malgrado che il primo abbia 12 facce quadrate unitarie in meno del secondo, poiché mediante il raggruppamento in un singolo cubo di ventiquattro di tali quadrati, che compaiono nell'interno del cubo più grande, ne sono soppressi la metà. Da ciò risulta, dunque, che noi con grandezza di una estensione spaziale, sia essa una linea, una superficie o un corpo, intendiamo esattamente una grandezza che è derivata da una estensione dello stesso tipo di quella da misurare scelta come unità mediante una legge tale che se noi deriviamo, agendo in conformità a essa, la grandezza m dal pezzo M e la grandezza n dal pezzo N, otteniamo, agendo in conformità a essa, la grandezza m + n dal pezzo generato dalla congiunzione dei pezzi M e N, sia che noi teniamo conto o no dei contorni di M, N e del tutto M + N formato da entrambe.

Il trattato citato nel § 37 dimostra che le formule più generali che la scienza dello spazio elabora per la rettificazione, la quadratura e la cubatura si possono realmente derivare in base a questo concetto, senza che ci sia altrimenti bisogno di un'altra ipotesi, e in particolare senza che ci sia bisogno dei principi cosiddetti falsamente di Archimede.

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