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| << | < | > | >> |IndiceMarzo, 1943. Un concetto, un'idea, io, pericoloso avanzo di galera 9 Aprile, 1943. La presenza di Tina 13 Maggio, 1943. L'ombra del diavolo 18 Luglio, 1943. I ragazzi di Via Mantova 23 Agosto, 1943. Batte ancora il cuore 29 Agosto, 1943. Il gruppo lascia il segno 34 [...] Marzo, 1945. Libertà, libertà 127 Aprile, 1945. Viva l'Italia liberata 131 Maggio, 1945. Pessimi segnali 138 Giugno, 1945. Ancora pessimi segnali 144 Luglio, 1945. Ultimo avviso 148 Luglio, 1945. Senza ritorno 153 Settembre e poco in là, 1945. Epilogo 160 Riconoscenze e piccoli accorgimenti 163 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Asti è una prugna secca. Si respira l'aria della provincia, satura di diffidenza e di cattivo umore. Sciopero! Sciopero! Le urla del corteo che si appresta a portare la sua voce sotto la sede del Municipio si fanno sentire. Il grande serpentone con il pugno alzato attraversa il centro cittadino e sembra il pulsare di un unico grande cuore. Le serrande dei negozi sono abbassate. Qualcuno ha paura che i più agitati possano causare danni, ma il corteo avanza composto, ordinato. Un corpo unico si muove tra i portici, nelle vie che affondano dentro la città. Si ferma ogni tanto, aspetta, vuole ricomporsi dentro la piazza che contiene tutti. Ci sarà pure una soluzione a tutto. Il paese è esausto dei soprusi, vuole rialzare la testa con dignità. "Non ho bisogno di fare la rivoluzione", aveva gridato il compagno Mario Acquaviva, "uno la rivoluzione la conserva dentro e l'ha sempre addosso". Sembrano le parole di una canzone, pensa di se stesso percorrendo la testa del corteo e ogni tanto chiude gli occhi perché sa che può orientarsi ugualmente, trascinato dalla folla di lavoratori e lavoratrici che portano con dignità la rivendicazione dei loro diritti. Una foto del Duce sporcata di sterco in prossimità della bocca è alzata dagli operai della Way-Assauto. Avanti, avanti! Al palazzo d'inverno! L'aria porta molte cose quel giorno, perché qualcosa sta cambiando. L'aria suona quel giorno un bolero fantastico e l'odore di rancido e di fritto scende dai muri grigi, colorati di nostalgia. Basta seguire quell'odore che Asti emana sempre al suo olfatto. Morte al fascio! Merda! Al suo fianco Poldo Cacciola, bracciante agricolo nel podere dei Fossa, che ha negli occhi il lavoro massacrante dei campi per due soldi da tirà a campà. Ha zappato dalle tre del mattino e neppure ha visto la terra dura aprirsi, tanto era il sudore che gli colava sugli occhi. "Lavoro maledetto", sussurra. Il male rintrona nelle costole e nelle reni. Sudore denso, viscido, scende dalle palpebre. L'aria è liquida, i contorni delle cose hanno fiato di cagna in calore, miraggi, sogni ingrifati senza senso. All'incrocio un gruppo di gatti randagi rovista tra l' armenta e si dilegua in un baleno all'arrivo del corteo. La calce viva dei cantieri riflette la luce come un opale sui tetti del municipio, dove il Podestà carogna osserva dai vetri. Ecco la primavera. Il sole, vicinissimo al tramonto, macchia di arancio i cornicioni, rende umidi i contorni delle cose, arrossa anche il colore del cielo. E qui il corteo si muove verso piazza del Duomo fermandosi davanti al municipio. C'è un entusiasmo che fa sentire invincibili per un giorno, c'è violenza nelle pance, certo, se ne avverte l'odore lungo la strada, c'è qualcuno che tratta quello scorcio di comunismo con l'eterna promessa o illusione che domani possa cambiare qualcosa. Sono anime del cielo in terra direbbe qualcuno, ma si guarda bene dal tirare fuori il Signore che è come una bestemmia per quei mangiapreti anticlericali in cima a una protesta densa di significati. A metà corteo qualcuno intona Bandiera Rossa. Altri lo accompagnano. Bandiera Rossa trionferà. Sì. Trionferà. Sono parole che gli toccano il cuore, risuonano nella testa. Il partito, certo, il partito non può tacere, deve dare una speranza, una parola di conforto. Si guarda intorno, sono davanti alla Casa del Fascio. Il corteo si ferma e si zittisce. Lui alza il pugno e intona l'Internazionale. Qualcuno accompagna la sua voce, sono venti, trenta, tutti con il pugno alzato. Asti non era così bella da tempo. La piazza inondata di vento, portici, colline che sfumano nel tramonto. Ora si attende che arrivino tutti, che prendano posto. C'è chi fa battute che qualche ora prima non si sarebbe permesso. Morto un fascio se ne ammazza subito un altro... Sono tanti a commuoversi, il regime non può più fare paura. È felice Mario. Gli operai, i mezzadri... insieme. La fabbrica vuole licenziare e la gente si ribella, vomita odio sui fascisti e sulla milizia, anche se qualcuno sa che sarà licenziato e lascerà a casa qualche bocca da sfamare e qualche pancia vuota. Nel mezzo del corteo si alza una bandiera rossa, sventola in alto, perché in alto deve sventolare, anche se il regime può ancora tenere in pugno l'arroganza del potere. Con gli occhi della memoria vola tra le pareti del carcere che lo vide prigioniero nel lontano '26 ad Avellino, dove rimase per ben due anni. Gli pare di udire il volo di un moscone nei pomeriggi silenziosi tra le pareti grigie, interrotte da una finestra a grate che si apriva sul bel cielo azzurro. Quante volte aveva sognato di fare un tuffo in quello spazio cosmico e, quando succedeva, pensava a Tina. Il pensiero di Tina lo riscaldava come le parole di quella canzone. Lei è stata il grande amore della sua vita. Lo è ancora. La forza del loro rapporto si è consolidata dopo la nascita di Brunella, figlia dell'amore e della speranza in un paese senza futuro. Aveva tanto tempo davanti a sé e il suo pensiero fisso era rivolto sempre a sua moglie. Il suo volto: unica ossessione e ricordo. Senza sosta, interminabile, nessuna interruzione, costante. Chiudeva gli occhi e vedeva il suo sorriso. Nella desolazione della cella, con la mente, parlava a lei e alla figlia. C'era soltanto Tina. Ora il corteo è fermo. Tutti si sono ricongiunti. È solo un momento, il tempo di battere automaticamente le palpebre. Mario lo sa, non c'è spazio per la nostalgia. Prende la parola. "Noi siamo la forza nuova della rivoluzione che sta arrivando, è alle porte, sta a noi aiutarla, aprire quelle porte, allora faremo i conti perché siamo la coscienza dura e pura contro questo potere tiranno. È ora di alzare la testa, troppo tempo l'abbiamo tenuta bassa. Adesso dobbiamo agire, avanti popolo, viva il comunismo e la libertà. Non dobbiamo più avere paura". Fa una pausa, si accende una sigaretta, poi torna a guardare la folla. Sorride. "C'è tanta incertezza per il futuro, lo dicevo a mia moglie stamattina mentre guardavamo nostra figlia che inzuppava il pane nella scodella di latte. Continuiamo a lottare..." Alcuni secondi di silenzio. "Ci provocheranno, useranno la violenza perché è l'unico sistema che conoscono, non dobbiamo arrenderci". Ormai è un fiume in piena, Mario non si trattiene più. "Il sindacato deve tornare quello che era, non possono affondare la coscienza politica dei lavoratori, vogliono avere una schiera di ebeti che dicono sempre di sì". La gente è tanta, ha partecipato numerosa. Non riesce a contarli tutti. Sono trecento, quattrocento, vorrebbe abbracciarli, uno a uno. Sanno che ci saranno ripercussioni, sanno che adesso sarà una sconfitta, ma stanno costruendo per il futuro. I mezzadri si portano accanto agli operai della vetreria, mai come oggi si comprende quanto i loro siano mondi paralleli. Qualcuno si guarda intorno, ha paura di ciò che potrebbe accadere da lì a poco. La tensione sale. C'è la milizia in assetto di guerra. Adesso cercheranno lo scontro, caricheranno. Mario non si ferma, è inarrestabile, le sue parole si fanno ancora più dure. "Vogliono distruggere il sindacato, azzerare la nostra lotta, seppellire le nostre ragioni. Mettiamo al centro dell'attenzione il principio di uguaglianza, parliamo di diritti, di lavoro, di salario". Chiude gli occhi, si ferma, ha quasi finito la sigaretta, dondola la testa e riprende a intonare l' Internazionale, futura umanità, poi rivolto agli operai della Way-Assauto, detta la Waja, li invita ancora a credere nel sindacato e nella lotta. Qualche applauso si leva dalla testa del corteo fino a raggiungere gli ultimi. Futura umanità dicono le parole dell' Internazionale e risuonano come una parola d'ordine. Sono fieri di Mario, sono fieri delle sue parole. Qualcuno chiude gli occhi, non riesce a trattenere le lacrime. "Continuate ad andare disarmati davanti ai vostri padroni e ai loro sgherri politici, perché la terribile vostra arma di lotta, lo sciopero, è stata politicamente spuntata. Contro i vostri padroni fascisti, i borghesi tentano di aggregarvi alla loro lotta, mobilitarvi contro coloro che si stanno approfittando delle vostre condizioni economiche e del vostro odio verso il fascismo sanguinario. Vi sobilleranno e vi inciteranno a partecipare a una guerra che non vi appartiene. Lavoratori, il momento impone la formazione di un fronte unico operaio, l'unione di tutti coloro che non vogliono una guerra per difendere gli interessi borghesi". Sono le donne, le compagne, quelle più attive, più arrabbiate. Sul volantino che hanno distribuito per la città ci sono slogan forti, proclami duri. Pane e pace, abbasso il Duce, abbasso la Germania, Duce a te la maledizione del popolo tradito che tu vuoi far uccidere soltanto per ritardare il giorno della tua ignobile fine. Mario si ferma, le parole si strozzano in gola. Speranza. Buio. Lacrime e sangue. Sudore. Intorno la città sembra dormire, ma dentro, senza farsi vedere, sono in tanti a partecipare. "Lavoratori, proletari, l'era presente impone la formazione di un fronte unico operaio per discutere i problemi di classe alla luce degli avvenimenti della guerra. Formate di comune accordo, in ogni fabbrica, in ogni centro, comitati capaci di riportare la lotta del proletariato nel suo vero terreno di classe. Il fronte unico tra i lavoratori diventerà una viva e vera realtà soltanto se tra i lavoratori medesimi ci sarà un accordo su alcuni proclami da condividere insieme. Viva il comunismo! Viva la rivoluzione proletaria!" Poldo accanto a lui si fa sentire, con il suo cappello di paglia a tesa larga, agitando un bastone da passeggio che riserva per le grandi occasioni, alza la voce con il suo accento piemontese marcato e sottile. "Travai semper, ingoio merda, neppure un futuro migliore per mio figlio e i suoi coetanei, solo il sindacato e il partito sono questa nostra forza". È la grande piazza delle feste del fascio, è il grande respiro di questa città di provincia, è il profumo della primavera alle porte. Bene, ma bene. Il piacere di non appartenere al presente, ma a un lasso di tempo interminabile da qui in avanti. Ora il corteo si scioglie. La prima pietra è stata posata, ma c'è ancora molto da costruire. Mario lo sa. È solo l'inizio. | << | < | > | >> |Pagina 13L'ingresso è buio. Ogni volta deve attraversare questa terra di nessuno per entrare in casa. Mario sa che Tina lo aspetta col sangue al naso. Gli agguati dei fasci, i pestaggi sono sempre un'amara realtà. Eppure non ha paura. Il suo lavoro di contabile alla Centrale del Latte gli permette di dare una linfa vitale alla sua famiglia. Poi la politica. La sua passione. La sua anima. Da sempre. Corso Regina Margherita, 49. Dove abita. Quella piccola casa alla periferia nord di Asti, il suo spazio riservato e protetto. Il Ragiuniè, così lo hanno battezzato i colleghi. Lui istruito e studiato, imparato come dicono stì piemunteis con la loro ironia sottile e garbata, è uno di loro. Lui è nato ad Acquapendente da una famiglia napoletana. Al contrario di tanti terroni arrivati al nord, bagnava il naso a molti di questi cagamaretti con la puzza sotto il naso, che ti squadrano dall'alto in basso. La giornata sta volgendo al termine. Nell'aria si sente l'urgenza della vita, forse è un'urgenza che in questo momento fa accapponare la pelle. Il sole è già sceso da un pezzo e durante il giorno ha riscaldato l'aria. Questa nuova primavera comincia a farsi sentire, portando con sé tanti risvegli. Il campanile della chiesa di San Secondo batte diciannove colpi. Le ore diciannove. Esatte. Sale le scale con un po' di fatica, il cuore sembra battere forte nel petto e avverte dei formicolii lungo le braccia. Ansima davanti alla porta e fa fatica a infilare la chiave nella toppa. Ha fatto tutta la strada e le scale con passo spedito, quasi senza accorgersene. Prima di entrare in casa Mario si ferma sempre a guardare lo spazio intorno, come se dovesse lasciarsi qualcosa alle spalle. Privo di ostacoli lo sguardo pare sorvolare l'ombra delle colline, dove si staglia ancora l'ultima sottile striscia amaranto di un tramonto acceso. La rossa primavera. A Mario la testa pare girare con una specie di ronzio sordo e costante. Guarda la porta d'ingresso e lo invade il silenzio. È quel tranquillo momento della sera quando la gente è già al sicuro dentro le mura di casa. Fuori di qui Asti manda messaggi di una solitudine spettrale. Adesso la vita alle sue spalle si spegne, appannata dal suo respiro largo e profondo. Tutto calmo, tranquillo. Una luce soffusa lo accoglie in cima alla rampa e dà l'impressione di cruda realtà e profonda tristezza. La casa sul retro volge verso i campi. Quando è limpido si possono vedere le Alpi in lontananza. In mezzo soltanto una vasta distesa di terreni coltivati a grano e dalle colline intorno le vigne allietano il paesaggio. Non ha bisogno di girare la chiave. Tina lo ha preceduto e ha aperto la porta perché ha riconosciuto i suoi passi. Gli occhi un po' assenti brillano nella penombra dell'androne e rispondono timidamente al ciao sussurrato che la moglie gli ha rivolto, accompagnato da un profondo sospiro di sollievo. La cena è in tavola, Mario non ha appetito. Da diverso tempo mangia sempre meno e lo stomaco si è chiuso un po', ma questo non lo preoccupa. C'è altro che lo preoccupa più della salute. Si spoglia infilandosi subito a letto e infossando appena il soffice materasso, convinto di sentirsi rimpicciolire, di svanire nel nulla. È una vita dura la sua, dura, sorretta da una grande passione, la passione per la politica. È trascorso parecchio tempo dagli anni della nascita del partito. Nel '21 fu chiamato a far parte della Federazione Giovanile Comunista a Livorno per passare successivamente al Partito Comunista d'Italia dove diresse la Federazione di Asti. Quanta strada per arrivare fin lì, una strada piena di asprezza e di contraddizioni. Nel partito stavano nascendo profonde divergenze, lui rappresentava una minoranza scomoda perché le sue convinzioni politiche si stavano allontanando sempre più dalla linea di Gramsci e di Togliatti. D'altro canto furono soprattutto provvedimenti disciplinari a dar partita vinta alla componente centrista e per i dissidenti la vita si fece ancora più dura. Mario non si perse d'animo durante tutti quegli anni. La fede nella lotta non è mai venuta meno. Anche in momenti come questi, dove la minaccia e il pericolo diventano compagni inseparabili. Bussano alla porta. È un bussare scandito da un tempo misurato. Tina lo guarda, spaventata. Ha paura di allontanarsi ancora da lui. Il processo farsa del Tribunale Speciale nel '27 lo aveva condannato a otto anni e sei mesi di carcere. Uscì dopo quasi sette anni trascorsi nelle prigioni di Avellino, Finalborgo, Saluzzo e Pallanza in forza all'amnistia decennale voluta da Mussolini. Mario non chiese la grazia, pensava e sapeva di battersi per una causa onesta. Tina adorava questo suo senso dell'orgoglio così profondo, questo suo ostinato e caparbio voler affermare ciò che è giusto. Amava questa componente del carattere di Mario, anche se un po' la inquietava. Lui non aveva mai dato a vedere di essere preoccupato, in casa era solito mantenere il buon umore anche quando le circostanze erano avverse. Ma lei gli leggeva dentro e taceva, nascondeva la paura per non accrescere le sue tensioni. Mario si riveste velocemente e invita Tina a ritirarsi nella stanzetta dove dorme Brunella. Il maresciallo Boselli con i suoi due collaboratori entrano senza chiedere permesso. Mario non si oppone. Lascia che prendano posto nella piccola cucina economica. Il maresciallo lo fissa negli occhi con uno sguardo che taglia come una lama. Cerca di creare un clima di paura. Mario sostiene quello sguardo, non si mostra preoccupato neppure per Tina e Brunella, sa bene che al suo fianco hanno vissuto situazioni peggiori. Dalla tasca del militare spunta il volantino della manifestazione, lo cita a memoria, a voce alta, dove si insulta il Duce, parole che dicono: "Duce a te la maledizione del popolo tradito che tu vuoi far uccidere soltanto per ritardare il giorno della tua ignobile fine". È un fendente improvviso, una stoccata che lascia il segno: lui identificato come l'autore diretto di quelle cose infamanti. Boselli ha occhiaie profonde, un colore ceruleo, rughe marcate come cicatrici sulla fronte. Si avvicina, mette il viso contro il viso di Mario che non si sposta di un palmo. "Le sue generalità", prego. "Mario Acquaviva, contabile della Centrale del Latte di Asti". "Rappresentante sindacale, segretario regionale del Partito Comunista Internazionalista del Piemonte, membro del Comitato Centrale, può bastare questo? Avanti, è opera sua questa infamia?" urla a denti stretti il milite mettendo il volantino sotto il suo naso. Mario continua a sostenere quello sguardo senza rispondere. "Va bene", riprende l'uomo spostandosi alle sue spalle. "Posso comprenderla. Lei è impegnato in attività politiche che il governo non approva. Ma l'infamia è un reato grave". Fa una pausa per tornare davanti e guardarlo in viso. Mario manda un impercettibile segno di sfida. Sta per replicare, ma si trattiene pensando a Tina e Brunella nell'altra stanza. "Conosce questo testo? Sa cosa contiene? opera sua o l'ha condiviso con qualcuno? Mi dica i nomi e la facciamo finita. Noi usciamo di qui e dimentichiamo tutto. Lei non è in stato di arresto, sempre che sia disposto a collaborare". Mario sposta lo sguardo verso la finestra, fissando il vuoto per qualche istante, poi chiude gli occhi, sospira, non dice una parola. Il milite rimane in attesa per qualche minuto. È colpito da quella figura tutta d'un pezzo di uomo trasparente che ha una dignità e un orgoglio da far invidia a chiunque. Poi rivolge un cenno d'intesa ai due subalterni che iniziano la perquisizione, buttando tutto per aria. "Non c'è nulla che può interessare. Resta solo la vostra volgare violenza". A queste parole dette con estrema durezza, il maresciallo ordina subito di interrompere. Tina nel frattempo si è precipitata terrorizzata accanto a Mario e lo abbraccia come se volesse trattenerlo, impedire che lo portino via un'altra volta. Il maresciallo sembra quasi in imbarazzo. Mario ne avverte una delusione ostentata, sicuramente poco sincera. Anche i due collaboratori che hanno ricevuto l'ordine di rivoltare la casa, adesso scuotono il capo per il rammarico. Uno dei due prende il volantino e lo mette davanti al viso di Tina. "Avanti, signora, almeno lei sia collaborativa. Ci dica che questo non è opera di suo marito e ce ne andiamo". Tina cade a sedere sulla sedia. Si sente svuotata di ogni forza, pare non rendersi conto di quello che sta avvenendo, non gli importa nulla, i rischi accanto a Mario sono pane di tutti i giorni. "Suo marito è stato identificato come uno dei protagonisti dello sciopero e lo sa bene che è l'elemento di maggior spicco dei promotori comunisti già da tempo posti sotto sorveglianza. Abbiamo sequestrato in fabbrica stampe ritenute sovversive e pericolose e possono essere state scritte solo da una mente colta e preparata. Guardi bene, signora. Questo telegramma è arrivato a tutti i presidi del Basso Piemonte. Legga cosa c'è scritto e rifletta se questo la può aiutare per il bene della sua famiglia". Accurate ricerche arresto traduzione locali carceri giudiziarie pericolosi sovversivi fatti stamani evadere da locali carceri ove erano detenuti perché organizzatori scioperi a carattere comunista Il telegramma è firmato da Malaspina, il questore di Asti. Segue l'ordine scritto di arrestare immediatamente familiari e conviventi e piantonare le abitazioni. Lei sospira, un goffo tentativo di sorriso le attraversa lo sguardo. "Manca qualcosa", replica Mario a denti stretti. "Vi siete dimenticato di dire che alla Waja sono entrati i tedeschi, si sono avvicinati agli operai in segno di disprezzo, soffiando il fumo del sigaro in faccia, sputando e altre vigliaccherie simili". "Sarò diretto, ragionier Acquaviva, mi dica se questo sciopero non fu organizzato a suo tempo a casa del compagno Ombra che adesso è latitante? Diversi hanno fatto il suo nome". Stavolta Mario rimane per qualche istante in silenzio, sudando freddo alla luce fioca della lampada della cucina, cercando con le spalle una posizione più comoda. In quel momento con un soprassalto si trova a lottare con un pensiero fulmineo e ostinato. Chissà com'è che comincia ad analizzare i pro e i contro e lo fa, calmo e implacabile. Sa che bisogna scegliere, che è una dura lotta anche per Tina procurarsi un po' di pane e verdura al mercato nero, ce la mette tutta ma non riesce a tenersi a freno. Il cuore batte forte, solleva appena la testa, quel tanto che basta per guardare Boselli di sbieco. "Non stia a girarci troppo intorno allora. Mi arresti e facciamola finita. Ho già fatto sette anni di carcere e sono ancora qui, senza aver perso un grammo della mia dignità e senza aver messo in un angolo l'idea che mi sorregge". Con un cenno il Maresciallo invita i suoi uomini a dirigersi verso la porta. "Stia attento, Acquaviva. Lei è un sorvegliato molto, molto speciale". Li saluta col braccio mentre si allontanano scendendo nella strada dissestata e piena di buche. Li guarda scomparire lentamente dalla sua vista, nell'oscurità. Le pareti sono già occupate dalle ombre della notte, un buio lento sembra invadere la casa. Ora sa che è solo, solo davanti a questa macchia nera che è diventata la sua vita che si allarga lentamente e che non riesce più a controllare. | << | < | > | >> |Pagina 131È tutto finito. La gente è in strada a salutare quei ragazzi che passano silenziosi, a capo chino, alzando le armi in segno di vittoria. I vestiti a brandelli, gli scarponi sporchi di fango, le facce stremate dalla fatica e dalla fame. "I fascisti se la sono data a gambe", gridava qualcuno. C'è gioia, c'è aria nuova. Uomini, donne, violenza, dolore, a riempire la strada, chi riesce tira fuori la voce, urla anche per quelli che non ce l'hanno fatta. La guerra è terminata. Il paese è libero, il sole splende alto su questo angolo del Piemonte che è stato una fucina della Resistenza. Asti è in festa. La gente dai balconi saluta il passaggio dei ragazzi delle montagne e applaude felice. Anche i combattenti dell'ultima ora, codardi e vigliacchi, scendono in strada a manifestare con l'aria di chi ha dato un grosso contributo a liberare il paese. L'inverno ha fatto posto a un bel sole primaverile. La rossa primavera. La libertà. La sconfitta del nazifascismo. I fascisti non ci sono più. I vecchi squadristi, i balilla, le camicie nere. Adesso c'è il vento del mutamento, un clima diverso, un'aria che pare più respirabile. I partigiani sfilano in città e la gente si unisce a loro. Festa. Viva l'Italia liberata. La città sembra vivere un sogno. L'esercito è immediatamente sciolto, il tribunale chiuso e rimpiazzato da membri del C.L.N., i giudici sono membri del popolo della Resistenza.
Qualcuno più cauto commenta che l'Italia è libera grazie agli americani, che
senza di loro la Germania avrebbe inghiottito l'Italia in un solo boccone. E poi
sono ancora accesi vecchi rancori e qualcuno dà la caccia al
fascinott
per mantenere promesse fatte in passato.
Ma la felicità sovrasta ogni commento e anche la più pacata riflessione diventa superflua. Adesso, sotto la luce di un cielo smunto, Asti si allarga di sorrisi e di grida di gioia. Soldati, perdigiorno, madri con i bambini in braccio, che passeggiano e applaudono i camion dei partigiani che sono scesi in città. Anche le fabbriche sono pronte a riprendere la produzione sotto la spinta di un sindacato risorto e subito attivo. Eccoli gli operai dalle Waya con il pugno alzato che danno il segnale della riscossa. Nonostante tutto, Mario trova quel clima ostile nei suoi confronti perché adesso gli internazionalisti di sicuro verranno messi a dura prova. L'attacco frontale da parte dei centristi dopo la liberazione sarà massiccio e pesante. La sua idea, il suo pensiero non subiscono recessioni e rimane fermo sui suoi principi e nella fermezza dei suoi ideali. Il ruolo principale nella guerra di liberazione è stato quello del proletariato, classe dirigente di domani. Intorno a lui si schiereranno le grandi masse popolari cercando un blocco che non avrà esaurito il suo compito con la cacciata dei tedeschi e con la sconfitta del nazifascismo, ma dovrà proseguire l'opera di demolizione di un regime capitalista, parassita di questa società, fatto di sfruttatori legalizzati per la conquista della democrazia. L'Italia liberata per il Partito Internazionalista e soprattutto per Mario Acquaviva sono accompagnati da una morsa di dolore che è come uno schiaffo sul viso inaspettato e violento. Il compagno Fausto Atti, uno dei fondatori del partito con Acquaviva e Damen, viene brutalmente assassinato mentre giace infermo nel suo letto. Tra i militanti del partito si diffonde immediatamente la notizia che i centristi hanno armato il braccio delle forze partigiane dicendo di colpire una spia al servizio della Gestapo. L'unica sua colpa era quella di propagandare tra i partigiani dell'Appennino tosco-emiliano la rottura con i partiti del fronte nazionale incarnata dal C.L.N., di sollecitare la costituzione di squadre autonome di difesa proletaria che si opponessero al reclutamento e ai rastrellamenti della Repubblica fascista di Salò e che nello stesso tempo non cadessero nella trappola borghese della lotta contro lo straniero. Anche il Partito Internazionalista ha dato il sangue in questa guerra. Per un istante a Mario compare davanti la figura di Fausto, quel lungo percorso insieme con Onorato Damen, Giuseppe Biscuola fucilato dai fascisti a Genova a febbraio, Spartaco Ferradini fucilato dai fascisti a Genova ad aprile, Cappellini, Bergomi e Porta, operai della Falk e della Breda deportati in Germania e scomparsi per sempre, Quinto Perona, operaio di Torino scomparso a Mauthausen, Antonio Graziano, caduto in combattimento in una formazione partigiana nell'alto Piemonte e Valter, il suo caro, fedele amico Valter, fucilato dai fasci nei pressi di Tortona.
Quanto sangue. Quanti compagni di valore, uomini tutti d'un pezzo che non
parteciperanno alla ricostruzione del paese, eppure avevano dato tanto per
esserci.
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