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| << | < | > | >> |Indicep. V Introduzione I nostri geni Parte prima Il nostro patrimonio genetico I. Sessantaseimila geni 5 L'inizio di tutto 5 I cromosomi 6 Il patrimonio genetico 8 Problemi 15 I geni 16 Il DNA 18 Geni e proteine 21 Il codice genetico 24 L'RNA messaggero e il trasporto del messaggio genetico 26 La traduzione del messaggio genetico II. L'eredità delle caratteristiche biologiche 29 Alterazioni del messaggio genetico: le mutazioni 30 Le basi dell'ereditarietà 32 Vari tipi di mutazione genica 37 Origine delle mutazioni 39 Mutazioni dominanti e mutazioni recessive 42 Qualche definizione: eterozigote e omozigote, fenotipo e genotipo 44 L'eredità dell'albinismo III. La spiegazione molecolare 46 La natura molecolare di alcune malattie ereditarie 49 Il prezzo della consanguineità 50 Una malattia dominante 52 La natura molecolare delle talassemie 53 I geni possiedono anche delle regioni regolative 58 I geni del cromosoma X 58 L'esempio del daltonismo 60 Malattie piú perverse IV. La nuova genetica e la cosiddetta ingegneria genetica 64 La nuova genetica e la medicina molecolare 67 Come si inquadra il tipo di eredità 68 L'ingegneria genetica 69 Il clonaggio 72 La caccia al gene 74 Le altre operazioni dell'ingegneria genetica 76 La diagnosi molecolare gene per gene 79 La diagnosi molecolare nucleotide per nucleotide 80 Reazioni a catena V. Il cammino della terapia genica 84 La terapia genica 85 Topi con un gene in piú 89 Dai batteri ai topi g1 Problemi specifici degli organismi superiori 95 Geni e cellule 96 Topi blu 98 Ibridazione in sito sui tessuti 99 Topi su ordinazione 102 Topi KO 104 Prospettive della terapia genica sull'uomo 107 Le scelte tecniche 112 Terapia genica in atto Parte seconda Il ruolo dei geni nella nostra vita VI. La genetica della vita di tutti i giorni 119 Caratteri controllati da piú di un gene 124 Eredità e ambiente 128 L'ereditabilità di un carattere e la selezione 131 La componente genetica dei nostri pregi e dei nostri difetti 135 L'eredità delle predisposizioni 140 Destino genetico e determinazione biologica VII. La mappatura del genoma umano 143 Mappe fisiche e mappe genetiche 150 Varie maniere per trovare i geni 155 Sequenze genomiche segnaposto 157 La materializzazione dell'impalpabile VIII. Genetica e società 160 Psiche e soma 162 La malattia mentale 169 L'intelligenza 174 L'identità molecolare 182 La libertà individuale Parte terza Lo sviluppo embrionale IX. Nuovi obiettivi e nuovi traguardi 187 Geni regolatori e geni strutturali 1g1 Il problema dello sviluppo embrionale 193 L'armonia prestabilita 194 Il significato delle scelte X. Crescita e sviluppo di un animale superiore 199 Crescita, differenziamento e morfogenesi 202 Eventi cellulari e meccanismi sovracellulari nello sviluppo 203 La proliferazione cellulare e le sue insidie 2o6 La natura molecolare dei tumori 211 Tipi diversi di divisione cellulare XI. Il nocciolo dello sviluppo: determinazione e differenziamento 215 La spiegazione molecolare del differenziamento cellulare 216 I primi due paradigmi molecolari della biologia dello sviluppo 218 Alcuni esperimenti fondamentali 222 Il terzo paradigma della biologia dello sviluppo 224 Chi regola i regolatori? 224 La segregazione di determinanti citoplasmatici 227 L'induzione 229 Molecole e gradienti 231 La morte cellulare e l'invecchiamento XII. Il controllo genetico della forma del corpo 236 I geni omeotici della drosofila 240 Istruzioni per costruire una mosca 243 I geni del corpo... 251 ... e quelli della testa 254 Il piano generativo 257 Glossario |
| << | < | > | >> |Pagina VIntroduzioneLa genetica, intesa in senso lato come disciplina di frontiera della ricerca biologica contemporanea, si è ormai conquistata un posto stabile nella nostra vita quotidiana e giunge sempre piú spesso sulle pagine dei giornali e sugli schermi televisivi. In un paio di occasioni, piuttosto di recente, la risonanza di alcune notizie inerenti a questa materia ha raggiunto livelli tali da muovere capi di stato e autorità religiose. Molti degli argomenti connessi all'uso delle tecniche piú avanzate della genetica sono oggi divenuti inoltre un argomento fisso di dibattiti socio-culturali. Questo dipende da una parte dal ritmo incalzante con cui tali scoperte e innovazioni si succedono e dalla sovrapposizione delle onde di risonanza suscitate dalle varie notizie. Dall'altra, non c'è dubbio che la biologia è piú vicina alle nostre problematiche individuali e sociali di altre scienze, come la fisica o la chimica, di gran lunga piú sviluppate e potenti. In fondo che un elettrone abbia o no un certo comportamento o che una stella emetta luce di una certa lunghezza d'onda piuttosto che di un'altra importa a pochi. Quasi nessuno resterà invece indifferente alla notizia che è stata trovata la cura di un particolare tipo di tumore o che il ladro incallito o il marito infedele sono tali per predestinazione biologica. Ciò non significa che tutti siano in grado di valutare la notizia e attribuirle il giusto peso perché questo richiede la conoscenza di un certo numero di concetti e di fatti scientifici. | << | < | > | >> |Pagina 11La storia della comprensione e della prevenzione della fenilchetonuria è esemplare per dissipare una convinzione piuttosto diffusa secondo la quale «genetico» è sinonimo di ineluttabile. Molte persone hanno timore anche solo a sentire nominare l'origine genetica di un disturbo, come se ciò implicasse di per sé una condanna senza appello. Ma esempi di difetti ereditari i cui effetti si possono oggi alleviare o addirittura neutralizzare si vanno moltiplicando e tutto lascia pensare che sarà sempre piú spesso cosí. Quand'anche poi non si potesse fare niente per l'individuo in questione, la conoscenza della vera origine di un fenomeno patologico può servire ad impedire la trasmissione del difetto ai figli o ai nipoti, o a curarli per tempo. Inoltre chi ha detto che eliminare un difetto che abbia la sua origine non nella condizione genetica ma nelle condizioni ambientali sia sempre piú facile? Esistono molte condizioni ambientali ugualmente difficili da migliorare, soprattutto retroattivamente. 1| << | < | > | >> |Pagina 17Nella cellula esistono tante catene di DNA quanti sono i tipi di cromosomi. Nell'uomo ci sono quindi complessivamente ventiquattro lunghe catene diverse di DNA. Possiamo considerare il patrimonio genetico come un'enciclopedia in ventiquattro tomi, ciascuno dei quali contiene un messaggio costituito dalla ripetizione alquanto monotona di quattro soli tipi di caratteri. Questi caratteri sono i componenti elementari e sono chiamati basi azotate o semplicemente basi, oppure ancora nucleotidi. Le quattro basi sono l'adenina (A), la guanina (G), la citosina (C) e la timina (T). Una catena di DNA può essere rappresentata in questo modo:... AGGATTACCCGTATTAT GGGACCCGGGTAACGGCA ... Questa sequenza ha una sua direzione che va da un'estremità, detta estremità al 5' (cinque primo), all'altra, detta estremità al 3' (tre primo): ... 5'AGGATTACCCGTATTAT GGGACCCGGGTAACGGCA3' ... Il patrimonio genetico umano, nel suo complesso, consiste di una sequenza di tre miliardi di questi nucleotidi, capaci di contenere un'informazione equivalente a circa mille Megabyte. Per fare un confronto, il patrimonio genetico di un moscerino contiene duecento milioni di nucleotidi, quello del lievito di birra ne contiene venti milioni, quello di un batterio quattro milioni (pari a un solo Megabyte), quello del virus batterico lambda ventimila e quello del virus animale SV40, capace di causare la comparsa di tumori, solo cinquemila. Lo studio delle malattie genetiche, come quelle appena ricordate, e dell'eredità dei caratteri fisici normali, come il colore degli occhi o dei capelli, ci porta a pensare che questo lungo messaggio biologico sia in realtà scomponibile in una serie di istruzioni specifiche o messaggi parziali dotati di senso compiuto. Ciascuno di questi messaggi parziali è un gene. Possiamo affermare quindi che il patrimonio genetico, o genoma, è il complesso di tutti i geni di un determinato organismo. Si è calcolato che la specie umana presenti fra i 6o ooo e i 70 000 geni, anche se il numero esatto è difficile da stimare. | << | < | > | >> |Pagina 29Capitolo secondoL'eredità delle caratteristiche biologiche Alterazioni del messaggio genetico: le mutazioni. Abbiamo visto come si compie il ciclo fondamentale dell'informazione biologica, con il passaggio del messaggio genetico dal DNA all'RNA e da questo alla proteina. L'affermazione che il flusso dell'informazione biologica fluisce unicamente in questa direzione è detta talvolta dogma centrale della biologia molecolare. Possiamo simboleggiarne il contenuto con lo schema DNA -> RNA -> proteine. | << | < | > | >> |Pagina 38Le mutazioni quindi nascono per lo piú spontaneamente, per una serie di errori dei meccanismi biologici, con un ritmo pressoché costante. Si parla di tasso di mutazione spontanea, misurabile nelle varie specie. Per quanto riguarda la nostra specie siamo nell'ordine di 5 x 10^(-6), per gene per gamete per generazione: come dire una mutazione per gene ogni duecentomila gameti. Questa frequenza è molto bassa se si considera uno specifico gene, ma diventa apprezzabile se si considera il complesso di tutti i geni che compongono il nostro patrimonio generico. Praticamente ci sono due o tre mutazioni spontanee in ognuno dei nostri gameti.In certe condizioni questo tasso di mutazione può essere piú elevato, come nel caso in cui ci si trovi in presenza di particolari agenti ambientali. Gli agenti chimici o fisici che aumentano il tasso di mutazione sono detti mutageni. Tra questi vi sono i raggi ultravioletti, le radiazioni ionizzanti in genere e una miriade di composti chimici piú o meno temibili. Se si prendono in considerazione anche piccole variazioni del tasso di mutazione, la lista degli agenti mutageni diventa interminabile. Le mutazioni che si originano in presenza di agenti mutageni si dicono mutazioni indotte. | << | < | > | >> |Pagina 80Reazioni a catena.Ogni tanto nella storia delle scienze si registrano delle scoperte che sembrano comparire dal nulla. Non hanno molto in comune con tutto quanto si è compiuto fino allora in quel campo e talvolta anche gli scopritori sono degli outsiders. E' il caso della PCR, una sigla che sta per polymerase chain reaction, reazione a catena mediata dalla polimerasi, scoperta nel 1985 da Kary Mullis, premio Nobel nel 1993. All'inizio non si dette molto peso a questa nuova metodologia, ma oggi è divenuta insostituibile e ha completamente rivoluzionato il campo della diagnostica molecolare e dell'intera ingegneria genetica. Lo scopo del clonaggio molecolare è quello di amplificare enormemente tutti i possibili frammenti di DNA presenti nel genoma. Questa amplificazione avviene però indiscriminatamente e solo in seguito si procede a individuare il frammento che ci interessa. Con la PCR invece si può amplificare soltanto il frammento di DNA di interesse, lasciando da parte tutto il resto del genoma. | << | < | > | >> |Pagina 119Capitolo sestoLa genetica della vita di tutti i giorni Caratteri controllati da piú di un gene. Nella prima parte abbiamo parlato di tanti difetti ereditari ma non abbiamo mai menzionato il gene che determina il colore dei capelli, quello del colore degli occhi, quello del colore della pelle, quello della lunghezza del naso o dell'altezza. Il fatto è che ciascuno di questi caratteri non è specificato da un singolo gene ma da molti, e questo rende appena un poco piú complicato il meccanismo della loro eredità. Quando un carattere è controllato da un singolo gene si usa dire che è un carattere monofattoriale e che segue una eredità mendeliana, in omaggio a Gregor Mendel; quando invece è controllato da piú di un gene si usa dire che è un carattere multifattotiale e che segue un eredità multifattotiale o quantitativa. | << | < | > | >> |Pagina 124Eredità e ambienteI valori di tutti i caratteri quantitativi di cui abbiamo parlato non sono ovviamente determinati esclusivamente dall'assortimento dei geni. Nessun carattere, anzi, è determinato esclusivamente dal patrimonio genetico. Di nuovo l'esempio tipico è l'altezza. Vivere in condizioni socio-economiche agiate e fare dello sport può contribuire a innalzare notevolmente l'altezza delle persone. E' noto ad esempio che l'altezza media è cresciuta e sta crescendo in Italia e nel mondo per il continuo miglioramento delle condizioni di vita, anche se questo aumento probabilmente non potrà essere indefinito. Ciò non significa, d'altra parte, che la struttura genetica della popolazione umana sia cambiata, cioè che la specie umana stia evolvendosi biologicamente verso maggiori altezze corporee. Se le condizioni socio-economiche collettive dovessero ritornare ai valori di una volta, probabilmente la curva delle altezze ritornerebbe quella che era in passato. Le condizioni ambientali hanno un'enorme influenza sui caratteri somatici, soprattutto su quelli multifattoriali. Questa constatazione non cambia però di molto quello che abbiamo detto finora. A livello di popolazioni significa semplicemente che un dato carattere somatico sarà il risultato di un numero ancora maggiore di variabili, e si conformerà quindi ancora di piú a quei criteri di casualità dei quali abbiamo parlato. Il tratto somatico regolato da un qualsiasi gene è fortemente influenzato dalle condizioni in cui il portatore di quel tratto vive ed è vissuto. Perfino mutazioni che conducono a un difetto ereditario mendeliano dominante risentono dell'influenza dell'ambiente. La malattia vera e propria può comparire prima o dopo in individui diversi e quando compare può avere una severità molto diversa da individuo a individuo. Abbiamo visto che la maggior parte delle mutazioni umane, anche le piú gravi, possono essere accompagnate da un complesso di sintomi secondari molto variabili. Questo concetto fondamentale trova la sua espressione in due parametri essenziali della genetica classica, quello di penetranza e quello di espressività di un dato carattere. | << | < | > | >> |Pagina 128L'ereditabilità di un carattere e la selezione.[...] In conclusione, ogni carattere è determinato sia dal genotipo sia dall'ambiente. La domanda che nascerà è: in che proporzione un carattere è determinato dall'uno o dall'altro? La proporzione non sarà mai né zero né cento per cento, in nessun caso. Possiamo raffigurarci un continuo da una parte fra caratteri «piú ambientali» e, dall'altra, caratteri «piú genetici», misurati in termini di percentuale della componente genetica. Tubercolosi Ipertensione Galattosemia Ulcera Diabete PKU Huntington 0 + + + + + + + 100 ------------------------------------ All'estrema sinistra si collocano i caratteri per i quali l'influenza genetica è minore: una malattia infettiva, un incidente stradale o la vincita a una lotteria. Dall'altra i caratteri a piú alta componente genetica, come i sintomi di una malattia genetica dominante. | << | < | > | >> |Pagina 138Il quadro che abbiamo appena delineato riesce a spiegare piuttosto bene la base genetica di qualsiasi tratto multifattoriale. Non tutti però sono misurabili con il valore di una grandezza continua. I caratteri quantitativi possono appartenere infatti a tre classi. Possono essere metrici, cioè misurabili con un valore continuo (centimetri, grammi, grammi per litro ecc.), oppure meristici, cioè contabili ed esprimibili con un numero intero, o a soglia. Esempi di caratteri propriamente metrici li abbiamo già visti: caratteri esprimibili come lunghezze, volumi, pesi, pressioni, sono altrettanti esempi di questa classe. Il numero delle dita, delle macchie, delle pliche cutanee o, parlando di galline, delle uova, sono invece altrettanti esempi di caratteri contabili o meristici. Un discorso a parte richiedono infine i caratteri a soglia che, pur essendo ereditati con una base multifattoriale, presentano soltanto due possibili fenotipi, rappresentati dalla presenza o dall'assenza del carattere in esame.| << | < | > | >> |Pagina 149Si entra cosí nella seconda fase della mappatura fisica: il regno dell'ingegneria genetica. Si isolano regioni di DNA cromosomico di 50000 o di 100000 nucleotidi e si determina la posizione dei vari geni che si trovano all'interno di queste regioni. In tal modo si può accertare il loro ordine esatto e le loro distanze con un'approssimazione di qualche centinaio di nucleotidi. Se si vuole poi una precisione ancora maggiore si deve passare alla determinazione della sequenza nucleotidica di certi tratti di questo frammento di DNA o anche dell'intero frammento. A questo punto siamo, arrivati alla fine della corsa: una mappa piú dettagliata non può e non potrà mai esistere.Ovvianiente la via per la mappa fisica completa di un organismo è lunga: per la specie umana questa mappa ci è stata promessa per il 2005. Per quell'epoca potremo disporre, probabilmente, dell'intera sequenza degli oltre, tre miliardi di nucleotidi che compongono il genoma umano. L'iniziativa internazionale, impresa colossale, promossa a questo scopo è stata chiamata Progetto Genoma o Progetto Genoma Umano. | << | < | > | >> |Pagina 160Capitolo ottavoGenetica e società Psiche e soma. Tra i caratteri patologici multifattoriali figurano anche alcune malattie della mente. Non esiste nulla di piú complesso e di piú squisitamente umano del disagio psichico. E non esiste nulla di piú incomunicabile: chi soffre è sempre solo, ma nessuno è piú solo di un malato psichico. Il disagio psichico va alla radice dell'essenza umana perché ne intacca la coscienza, la percezione interiore di sé e del mondo circostante. Il metodo scientifico è qui al suo massimo livello di impotenza. La scienza per sua natura può osservare, valutare, misurare, cercare connessioni tra eventi diversi, ma lo deve poter fare su una base intersoggettiva, se non oggettiva, mentre se c'è un sancta sanctorum dove non può penetrare, questo è costituito proprio dalla coscienza, individuale e soggettiva per definizione. [...] Esiste qualche punto di discontinuità lungo il tragitto che va dal funzionamento della cellula all'integrazione operata dal sistema nervoso, poi al controllo delle azioni quotidiane e infine alla percezione di sé al centro del gran teatro del mondo? Questa è una delle domande piú interessanti e importanti che l'uomo si sia mai posto e prende usualmente il nome di problematica del rapporto mente-corpo o, meglio, mente-cervello. L'ipotesi piú semplice che si possa fare è che lungo questo tragitto non ci sia nessuna reale discontinuità. Questa resta a tutt'oggi l'ipotesi piú ragionevole. Va anche considerato che, dal punto di vista dei geni e quindi delle proteine, la parentela stimata tra uomo e scimpanzé è dell'ordine del 98-99 per cento. Ciò appare veramente sorprendente e sarà particolarmente interessante andare a scavare in quell'uno per cento di differenza. L'uomo è un animale, ma un animale molto speciale, dotato di autocoscienza e di linguaggio simbolico, che vive in un proprio mondo particolare, sempre piú sociale e sempre meno naturale. Non c'è alcun motivo a priori per considerare i fenomeni psichici come diversi da quelli fisici, se non che in quelli psichici gli elementi della realtà sociale, che possono emergere dall'ambiente familiare ed extrafamiliare, hanno un peso maggiore. La malattia mentale. Occorre distinguere vari livelli di serietà del problema psichico, dal disagio esistenziale piú o meno connaturato con la natura umana e da ricollegarsi probabilmente al nostro surplus di materia grigia, ai vari problemi di adattamento, piú o meno transitori, alle ansie e alle fobie circoscritte, fino alle inabilitazioni gravi, magari associate a una compromissione delle facoltà intellettive. I problemi psichici di una qualche entità si sogliono suddividere nelle due grandi categorie delle nevrosi e delle psicosi. Anche se la distinzione non è sempre netta, si parla di nevrosi quando l'individuo si rende conto di stare male, mentre si parla di psicosi quando l'individuo non sempre se ne rende conto. Tra le forme piú importanti che può prendere il disagio psichico grave, cioè le psicosi, ci sono la schizofrenia e i disordini affettivi o psicosi maniaco-depressive. | << | < | > | >> |Pagina 166L'esempio che segue dimostra chiaramente come ci si trovi di fronte a molte forme patologiche diverse. Abbiamo già chiarito l'importanza di certi gruppi etnici, sociali o religiosi molto chiusi per lo studio della genetica umana. Gli individui di questi gruppi tendono a incrociarsi fra di loro e di conseguenza i membri di queste comunità arrivano ben presto a una condizione di omozigosi per un certo numero di mutazioni. Si può osservare infatti in questi gruppi riproduttivamente chiusi una frequenza molto elevata di certi difetti congeniti rari o molto rari in popolazioni piú aperte, al punto che alcune mutazioni sono state individuate esclusivamente o quasi esclusivamente in gruppi del genere. Cosí in una famiglia molto numerosa di una comunità religiosa dell'America del Nord, gli Amish del Vecchio Ordine, è stato individuato un marcatore genomico di una regione specifica del cromosoma 11 che sembra associato a una forma di psicosi affettiva di tipo bipolare.Su questa base molti gruppi di studio sono andati alla ricerca della stessa associazione genetica in altre famiglie in varie parti del mondo. Si è cosí accertato subito che quello che valeva per quel particolare gruppo di famiglie amish non valeva per altre. Quindi la base ereditaria della psicosi di quella famiglia era diversa da quella caratteristica di altri casi. Molto piú controversa si presenta la situazione della schizofrenia, un problema psichico che colpisce piú di un individuo su 150. Alla base di questo male c'è indubbiamente una componente genetica, ma non cosí determinante. Ad esempio, la concordanza fra gemelli identici è del 46 per cento, contro il 14 per cento fra gemelli fraterni. Resta quindi da spiegare un buon 55 per cento che non può essere attribuito che all'influenza dell'ambiente. Si potrebbe pensare che tra queste componenti ambientali possa avere un ruolo di una certa rilevanza l'essere cresciuti in una famiglia già portatrice di gravi problemi psichici o addirittura in una famiglia di schizofrenici. Una delle poche cose chiare invece è proprio il fatto che crescere in una famiglia dove esistono persone schizofreniche non è di per sé una condizione predisponente. Vediamo come si è arrivati a questa conclusione. | << | < | > | >> |Pagina 168Vale la pena qui di stigmatizzare un altro tipo di confusione, che viene fatto comunemente: quello fra genetico e organico. Queste due componenti spesso vengono considerate una cosa sola e messe in contrapposizione al fattore socio-psicologico. Un fatto genetico è certamente un fatto organico, ma un fatto organico non è necessariamente un fatto genetico: basta pensare ad un'infezione. Cosí, quando si parla della componente organica di una determinata malattia mentale, si intende un insieme di fattori tra i quali c'è anche quello genetico, ma non solo. Anche se al momento sembra molto improbabile, si potrebbe scoprire in futuro che buona parte della componente ambientale della schizofrenia sia dovuta all'infezione di una particolare forma di virus, per esempio un virus del tipo cosiddetto lento, che sta alla base di alcuni esempi di ritardo mentale grave e del fenomeno della cosiddetta «mucca pazza». La componente organica di una malattia comprende quella genetica ma anche una certa parte di quella ambientale.Al di fuori di questa componente organica restano quella socio-culturale e quella piú squisitamente psicologica. Ancora tutta da indagare è la rete di rapporti tra l'organico, genetico o acquisito che sia, e il piú propriamente psichico. Non si tratta certamente di mondi separati. Certe persone resistono meglio di altre allo stress psicologico sulla base della propria costituzione, che è a sua volta il frutto dell'azione dei loro geni e della loro storia personale. L'umore di alcune persone ondeggia piú sollecitamente di quello di altre ai venti delle varie vicende della vita. Queste ultime possono fungere spesso da amplificatori delle differenze organiche individuali e spingere un individuo verso la follia, sotto la forma della negazione della realtà o della sua accettazione passiva. L'organico non può che essere la base dello psichico anche se questo ha la possibilità di vivere di una sua vita autonoma. La nostra personale impressione è che questa accada piú facilmente in una persona sana che non in una disturbata. La persona disturbata infatti è una persona piú povera: la sua ideazione e la sua condotta sono Diú uniformi e monotone. Due depressi si somigliano tra di loro di piú di due persone normali. Anche nel caso delle nevrosi, dove solo uno o due aspetti della vita psichica degli individui affetti sono disturbati, si può osservare una snervante uniformità fra le persone piú diverse per quanto riguarda le loro zone d'ombra, uniformità che invece assolutamente non esiste per le loro zone di luce. Il disturbo psichico, lieve o pesante che sia, è come uno strato uniforme di muffa che copre un affresco policromo, diverso da persona a persona. L'intelligenza. Che cosa sia l'intelligenza lo sanno tutti, ma quando si tratta di definirla la sua immagine perde di consistenza immediatamente. Molte persone, anzi, rinunciano a qualsiasi definizione e si limitano a dire che cosa l'intelligenza non è. Per questo motivo, la domanda se l'intelligenza sia ereditaria o meno non può avere una risposta precisa, al di là della consueta osservazione secondo cui il modo piú corretto di porsela è chiedersi in che proporzione sia ereditata e non se venga ereditata o meno. Si può pensare ad analizzare l'eredità di una o piú entità correlate in qualche modo all'intelligenza e piú facilmente soggette a una definizione operativa. Anche questo però non è molto facile. La miglior valutazione delle doti intellettuali correlate all'intelligenza disponibile a tutt'oggi è quella rappresentata dalla misura del cosiddetto quoziente intellettivo o quoziente d'intelligenza, il QI (corrispondente all'IQ degli autori anglosassoni). I test per misurare il QI, originariamente proposti da Alfred Binet ah'inizio di questo secolo e perfezionati successivamente a piú riprese, forniscono dei valori numerici in qualche modo correlati con le capacità intellettive dei vari individui. Il concetto di quoziente intellettivo è stato originariamente introdotto per l'esigenza di disporre di una misura affidabile della gravità del ritardo mentale a carico di ragazzi nell'età dello sviluppo. Si chiama appunto quoziente perché rappresenta il rapporto fra le capacità intellettive di un soggetto e quelle di un ragazzo normale della stessa età. Un quoziente intellettivo pari a 1, o come si dice comunemente pari a 100, misura un'intelligenza che si sta sviluppando a un ritmo normale, senza alcun ritardo. Un QI pari a 50 indica un forte ritardo mentale rispetto all'età; un QI pari a 150 indica invece uno sviluppo molto precoce delle capacità intellettive. Queste non aumentano indefinitamente con l'età ma raggiungono un livello pressoché definitivo negli anni dell'adolescenza. Applicati a un adulto, i metodi per valutare il QI non misurano la sua età mentale ma le sue doti intellettive rispetto alla media. Questo rappresenta una leggera forzatura della metodologia, forzatura che del resto è rimasta nel linguaggio di tutti i giorni allorché si parla di ritardo mentale. Un adulto con un QI di 70 non è in ritardo rispetto a niente, perché di fatto non recupererà mai piú: sarebbe piú opportuno parlare di deficit intellettivo, ma il termine ritardo sembra un po' piú gentile. All'altra estremità della scala, un adulto con un QI superiore a 150 viene comunemente considerato molto dotato. Di fatto il QI misura la capacità di risolvere certi problemi presentati sotto forma di test grafici o di domande esplicite. Essenzialmente misura la capacità di vedere relazioni e rapporti fra entità diverse, cioè di mettere ordine in un universo di segni. I sostenitori del QI ritengono che questi test rappresentino la migliore definizione possibile dell'intelligenza; altri sostengono che tutto ciò ha invece molto poco a che fare con essa; altri infine, se ammettono che l'intenzione è buona, osservano poi che la sua realizzazione soffre di un'impostazione troppo unilaterale. Questi ultimi danno voce alla critica piú fondata all'uso di tali test, secondo cui la loro struttura risente troppo spiccatamente della nostra impostazione mentale, del nostro tipo di cultura occidentale, del nostro culto del razionalismo e della logica astratta, nonché dell'importanza da noi data all'uso del linguaggio. I test del QI, in parole povere, andrebbero abbastanza bene solo per individui appartenenti a un certo ambiente socio-culturale - il nostro -; per altri gruppi culturali dovrebbero subire degli aggiustamenti, e molti ne hanno effettivamente subiti. [...] In conclusione il QI misura qualcosa che corrisponde abbastanza bene alla nozione comune di intelligenza. Questa correlazione è buona per i valori bassi e anche per quelli alti (un alto valore di QI è associato spesso a persone considerate di alta o altissima intelligenza, quali scienziati in genere, logici, matematici, informatici o maestri di scacchi). Non si hanno prove che correli bene anche con i valori medi. E' conveniente assumere che sia cosí, per ragioni di uniformità e in base al principio di ragion sufficiente, almeno fino a prova contraria. Date queste premesse, la domanda sull'ereditarietà dell'intewgenza si risolverebbe in quella sull'ereditarietà del QI: l'entità misurata dal QI risulta essere un carattere multifattoriale con un'ereditabilità che si aggira intorno al 60-65 per cento. Questa conclusione permette di comprendere molte cose e di rendere ragione di molte osservazioni. Spiega per esempio come sia possibile che dagli stessi genitori possano nascere figli con un'intelligenza molto diversa e perché non ci deve stupire se una persona intelligentissima nasce in un ambiente non certo brillante, o viceversa. Abbiamo già visto che tutti questi casi sono contemplati dalla genetica dei caratteri multifattoriali. E' ovvio però che spesso una intelligenza media genera un'intelligenza media. La maggior parte degli individui sani si troveranno nella parte centrale della curva a campana e genereranno figli che si troveranno nella stessa parte della curva. La stabilità di questa curva, assicurata per ogni carattere quantitativo dal meccanismo dell'assortimento casuale dei vari alleli, è tanto piú garantita per quanto riguarda questa particolare caratteristica mentale, dato che sembra che gli esseri umani tendano a scegliere il proprio partner sulla base delle stesse qualità personali misurate dal QI. Una grande quantità di studi ha infatti dimostrato un notevole grado di concordanza per il valore del QI delle persone che si scelgono e, quindi, che si accoppiano. [...] Questo ci permette una riflessione di carattere piú generale. La componente genetica di un qualsiasi carattere biologico esercita una sorta di diritto di veto rispetto allo sviluppo di quel carattere. Se la componente genetica non è pesantemente avversa, l'ambiente può esercitare tutta la sua influenza e far fiorire tutta la variabilità fenotipica; ma se la componente genetica è decisamente negativa c'è poco spazio per l'azione dell'ambiente. Cosí, ad esempio, se uno nasce in Italia imparerà a parlare italiano, se uno nasce in Finlandia imparerà a parlare finlandese e magari svedese, ma nel caso limite che uno nasca completamente idiota non imparerà nessuna lingua. Parte di quello che abbiamo detto non è condiviso da tutti. Ci sono persone che negano ogni dipendenza dell'intelligenza dai geni e contestano alla radice le metodologie utilizzate per arrivare a certe conclusioni. Secondo i sostenitori di questa impostazione l'intelligenza viene ereditata in minima parte e la promozione o il soffocamento dell'intelligenza sono solo frutto dell'ambiente e dell'educazione. I piú convinti assertori di questa visione arrivano ad affermare che qualsiasi individuo cresciuto in un determinato ambiente, con la stessa stimolazione e lo stesso amoroso accudimento, mostrerebbe lo stesso grado di intelligenza. Questa affermazione è cosí manifestamente falsa che non vale nemmeno la pena di discuterla. D'altra parte è certamente falsa anche l'affermazione estrema della fazione opposta: chi nasce intelligente sarà intelligente qualunque cosa gli accada; chi nasce meno intelligente resterà tale qualunque cosa si faccia per lui. Naturalmente tra queste due posizioni estreme si vanno a collocare molti punti di vista diversi e intermedi. | << | < | > | >> |Pagina 182La libertà individuale.[...] Ben piú importante, e certamente piú interessante, è l'aspetto della nostra identità genetica. Quanto contano nella nostra vita le nostre caratteristiche genetiche? Quanto dipendiamo come individui dal nostro patrimomo genetico? Quanta della nostra vita dipende dagli alleli che portiamo? Ci troviamo di fronte a domande d'importanza capitale, che rappresentano la versione moderna del problema della libertà individuale e del libero arbitrio. Tutti nasciamo condizionati dai nostri geni. Qualcuno subisce da parte del proprio patrimonio genetico un condizionamento, capace di condurlo a una esistenza difficile. La maggior parte di noi riceve solo dei piccoli orientamenti in una direzione piuttosto che in un'altra. Se fossimo animali non avremmo riparo contro questa sorta di predestinazione, sia che essa implichi una condanna a una vita di patimenti sia che riguardi semplicemente una certa dose di variabilità individuale. Come esseri umani invece abbiamo sviluppato una cultura e una vita sociale che ci permettono di venire a patti entro ampi limiti con la nostra predestinazione genetica, fino al punto di neutralizzarla nella sua quasi totalità. Possiamo considerare l'intero processo dell'evoluzione culturale umana come un continuo progressivo affrancamento dalla nostra biologia. Basti pensare a tutte le forme anche primitive di medicina, alla rivoluzione rappresentata dall'uso degli occhiali o, in tempi piú recenti, alla somministrazione di insulina ai malati di diabete o ai trapianti d'organo. Ma l'umanità è stata capace anche di inventare gli utensili e gli strumenti piú vari per assistere o sostituire le proprie funzioni e le proprie abilità. La possibilità di sostituire o di coadiuvare le mani, le gambe, gli occhi, le orecchie, la voce, con strumenti sempre piú evoluti ha liberato sempre piú marcatamente l'individuo dalla sua determinazione biologica. Cosí sapere che si ha una predisposizione a essere obesi non deve essere vissuto come una condanna inappellabile ma come un avvertimento. Poter disporre di un'informazione del genere costituisce una base dalla quale partire per impostare la propria vita. | << | < | > | >> |Pagina 187Capitolo nonoNuovi obiettivi e nuovi traguardi | << | < | > | >> |Pagina 190C'è un'altra dimensione fondamentale per tutto il mondo vivente di cui tenere conto: il fattore tempo. Il complesso quadro dell'espressione differenziale dei vari gruppi di geni nei vari tessuti si instaura poco per volta attraverso una serie di infiniti passi intermedi, dove ogni passo getta le fondamenta per quello successivo. Gli organismi superiori arrivano infatti alla loro maturità attraverso una lunga fase di sviluppo embrionale, cioè di espressione genica differenziale che varia nel tempo in maniera programmata. Per arrivare al quadro di un'espressione genica specifica per una cellula di fegato adulta o per una cellula muscolare adulta si deve passare attraverso numerose fasi successive, ciascuna caratterizzata dall'espressione di un certo numero di geni specifici.L'azione di alcuni geni può essere richiesta soltanto in regioni molto ristrette dell'organismo che si va sviluppando e per un lasso di tempo molto breve. Ci sono geni che sono utilizzati per un breve periodo durante l'embriogenesi, restano spenti per lungo tempo e vengono poi riutilizzati in qualche tessuto adulto magari per funzioni completamente diverse dalle prime. Questo fenomeno dei geni riutilizzati e, per cosí dire, «riciclati» è particolarmente evidente nel sistema nervoso centrale e non è difficile capire perché. Il nostro cervello è un'invenzione relativamente recente in senso evolutivo e si è andato espandendo e perfezionando enormemente in tempi relativamente brevi. Non c'è stato quindi il tempo, per cosí dire, di inventare ex novo geni nuovi e specifici. La natura ha cosí riutilizzato a questo scopo geni già esistenti, attribuendo loro una nuova distribuzione e nuove funzioni, semplicemente cambiando qualche caratteristica strutturale o funzionale con una piccola o grande alterazione. | << | < | > | >> |Pagina 191Il problema dello sviluppo embrionale.[...] Ogni organismo pluricellulare trae origine da una singola cellula, l'uovo fecondato. Questa si divide in due, poi in quattro, in otto, e cosí via. All'inizio le cellule sono piú o meno tutte uguali. Qualche tempo dopo, da queste se ne origina un gran numero, chiaramente diverse fra loro. Il primo problema della biologia dello sviluppo è quindi quello delli'insorgenza di questa diversità - morfologica e biochimica - a partire da un'apparente uniformità. Le cellule dell'embrione sono anche disposte nello spazio in maniera ordinata: quelle della futura parte anteriore sono davanti; quelle della futura parte posteriore dietro; quelle interne sono dentro e quelle esterne fuori. L'embrione assume cioè una forma nello spazio attraverso l'acquisizione dei propri assi fondamentali, delle proprie asimmetrie e delle proprie polarità. Via via che le varie cellule hanno raggiunto un'identità morfologica e biochimica separata, hanno anche assunto nell'embrione posizioni definite che preludono all'organizzazione spaziale complessiva dell'individuo adulto. Anche questo avviene a partire da un'originaria simmetria perfetta, che all'inizio è radiale se non addirittura sferica. Questo costituisce il nocciolo del secondo problema della biologia dello sviluppo, quello dell'origine delle asimmetrie spaziali e della loro successiva utilizzazione al fine di arrivare alla formazione di strutture biologiche complesse, disposte ordinatamente nello spazio. | << | < | > | >> |Pagina 193L'armonia prestabilita.Il programma generativo dei viventi non è depositato in un punto particolare, ma è racchiuso in ogni suo singolo componente, cioè in ogni sua singola cellula. Questa è depositaria del progetto ed è in grado, almeno in linea di principio, di dare inizio alla costruzione di un intero organismo. Ogni cellula contiene in sé un programma, alcuni strumenti specifici e alcune istruzioni per realizzarlo. Ma non lo deve fare da sola, come fa un batterio o un lievito: la sua azione deve armonizzarsi con quella di tutte le altre, anche molto distanti da lei. Tutte le altre cellule faranno lo stesso: si daranno cioè da fare per agire e allo stesso tempo per armonizzare la propria azione con quella delle altre. E questo sembra proprio un miracolo. Le cellule non sono monadi, hanno porte e finestre, emettono e ricevono segnali. Ma anche questi segnali sono contemplati nel programma generativo e sono regolati da questo. Ogni cellula emette dei segnali suoi propri e interpreta quelli che giungono dalle altre sulla base delle istruzioni scritte nel proprio genoma. Quando riceva un segnale può riconoscerlo o non riconoscerlo. Ad esempio, gli ormoni riversati nel flusso sanguigno vanno a lambire tutte le cellule dell'organismo, ma non tutte rispondono. Ciascuna risponde solo a una specifica classe di ormoni. Quando una cellula risponde a un certo segnale grazie a uno specifico recettore, può modificare alcune sue funzioni. Ma anche in questo caso non inventa un programma nuovo, bensí decide di mettere in atto uno specifico programma cellulare scelto fra i vari programmi alternativi già previsti e codificati. Ogni cellula ha a disposizione momento per momento un apposito repertorio di decisioni operative e ne sceglie una sulla base del segnale ricevuto. Insomma, le cellule comunicano fra di loro, ma la loro conversazione è piuttosto convenzionale e ritualizzata, mai o quasi mai creativa. | << | < | > | >> |Pagina 199Capitolo decimoCrescita e sviluppo di un animale superiore Crescita, differenziamento e morfogenesi. Passiamo a vedere piú da vicino i vari aspetti dello sviluppo embrionale, cioè di quella serie di eventi che portano dallo zigote, la cellula-uovo fecondata, all'individuo adulto. Possiamo considerare lo sviluppo come frutto di tre processi piú elementari: la crescita, il differenziamento cellulare e la morfogenesi. [...] Cosa fa dello sviluppo un concetto piú ampio di quello di differenziamento cellulare? Essenzialmente la determinazione di una precisa disposizione e organizzazione spaziale delle cellule appartenenti alle varie linee cellulari del corpo, cioè l'origine e l'elaborazione della forma biologica. Questo concetto viene spesso compreso in quello piú tecnico di morfogenesi, intesa come creazione di forme, cioè di strutture biologiche complesse organizzate nello spazio e nel tempo. Questo problema, che viene indicato anche con il termine inglese di pattern formation, può riguardare la formazione di strutture particolari come l'ala di una farfalla, la mano di un primate o l'occhio di un cefalopode, come pure di strutture globali come un arto o il piano corporeo complessivo di un organismo. | << | < | > | >> |Pagina 215Capitolo undicesimoIl nocciolo dello sviluppo: determinazione e differenziamento La spiegazione molecolare del differenziamento cellulare. Attraverso quali meccanismi le cellule dell'embrione, inizialmente tutte uguali, divengono poi tanto diverse fino a generare tessuti differenti? Che cosa succede dentro di loro e che cosa orchestra l'intero fenomeno in modo che ci siano a processo ultimato tante cellule nervose e tante cellule muscolari quante ne bastano per la vita dell'organismo? Alla fine del secolo scorso era stato proposto il seguente modello: fino a un certo punto dello sviluppo tutte le cellule contengono lo stesso patrimonio genetico, coincidente con quello dello zigote; da un certo punto in poi le varie cellule ne poerdono progressivamente una parte. Quelle che perdono un deternúnato pezzo, poniamo il pezzo A, si incamminano automaticamente verso un destino di cellule muscolari, quelle che perdono il pezzo B si incamminano invece verso il destino di cellule nervose, e cosí via. E' chiaro che in questa maniera si determinerebbe una diversità irreversibile: le cellule che hanno perso il pezzo A non possono piú riacquisirlo, possono al massimo perdere un altro pezzo e divenire sempre piú specializzate e quindi differenziate. Si trattava di una soluzione ingegnosa, che poteva spiegare numerose osservazioni. Ma oggi sappiamo che è falsa per almeno due ordini di motivi, originati entrambi da osservazioni sperimentali inoppugnabili. Il primo è che il patrimonio genetico di tutte le cellule di un organismo sembra assolutamente identico; il secondo è che esistono diversi casi di cellule che sembrano chiaramente incamminate verso un particolare destino differenziativo e che tuttavia sono in grado di tornare sui propri passi per imboccare poi un'altra strada. Esiste una variante apparentemente poco diversa ma significativamente piú plausibile di questa ipotesi: tutte le cellule di un determinato organismo contengono lo stesso patrimonio genetico, ma alcune ne usano una porzione, altre un'altra. In pratica, non si tratta di una perdita differenziale di geni ma di una loro utilizzazione differenziale. Questa sembra a tutt'oggi l'ipotesi di gran lunga piú valida. Il differenziamento cellulare è in sostanza una questione di espressione differenziale di gruppi di geni: nella cellula epatica sarà attivo un certo gruppo di geni, diciamo epato-specifici, mentre tutti gli altri saranno spenti; nella cellula muscolare, viceversa, sarà attivo un altro gruppo di geni, diciamo mio-specifici a scapito di tutti gli altri. Un numero notevole di fatti sperimentali sostengono questa ipotesi e, soprattutto, nessuno la contraddice. I primi due paradigmi molecolari della biologia dello sviluppo.
L'affermazione di carattere generale, secondo la quale
il meccanismo molecolare alla base del differenziamento
cellulare è rappresentato dall'espressione differenziale di
gruppi di geni, costituisce il paradigma molecolare della
moderna biologia dello sviluppo. A questo, che possiamo
definire come il paradigma dell'
espressione genica differenziale,
se ne è andato col tempo affiancando un secondo, definibile
come il paradigma della
progressività degli eventi determinativi
nel
differenziamento.
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