Copertina
Autore Edoardo Boncinelli
Titolo L'anima della tecnica
EdizioneRizzoli, Milano, 2006, Piccoli Saggi , pag. 174, dim. 118x170x11 mm , Isbn 978-88-17-00902-7
LettorePiergiorgio Siena, 2006
Classe scienze cognitive , scienze tecniche , biologia
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Indice

Introduzione                              7

1. Un lungo cammino                      16
2. Dal trucco al meccanismo              46
3. Macchine esterne e macchine interne   79
4. Dal cervello alla mente artificiale  118
5. Centauri, cyborg e ippogrifi         155

Bibliografia                            171

 

 

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Pagina 16

Un lungo cammino



                                Mia dolce madre, più non posso
                                          far gemere il telaio
                             presa dal pensiero di un ragazzo,
                                  complice la tenera Afrodite.

                                                         SAFFO



«Senza la tecnica l'uomo non esisterebbe, né sarebbe esistito mai» dice nel 1933 Ortega y Gasset. In effetti fin dagli albori della sua storia l'uomo ha utilizzato qualche strumento e la presenza di strumenti, per quanto primordiali, indica, inequivocabilmente, la natura umana di coloro che li usano o li hanno usati. La loro presenza contrassegna in maniera inconfondibile un insediamento umano e costituisce il dato più sicuro per circoscrivere il momento del passaggio dai nostri antenati ominidi a quegli individui che noi attribuiamo al genere Homo. Le caratteristiche biologiche, dalla conformazione della mascella alle dimensioni del cranio, dall'altezza del corpo alla forma del bacino, dalla dentatura all'articolazione delle dita dei piedi, forniscono certamente validi criteri per una classificazione anatomica di massima, ma la comparsa dell'uomo sulla scena del mondo è segnalata in maniera inconfutabile dalla presenza di strumenti.

Se ci riferiamo ai primissimi tempi dell'evoluzione culturale umana uno strumento è un oggetto naturale utilizzato, così com'è o leggermente modificato, per raggiungere uno scopo che non poteva o non poteva agevolmente essere raggiunto avvalendosi solamente delle capacità delle varie parti del nostro corpo. Un ciottolo, un ramo, un osso, una foglia, una canna o un masso rappresentano probabilmente i primi strumenti utilizzati dai nostri lontani antenati per raggiungere più facilmente un dato obiettivo. Molti animali superiori sono in grado di fare previsioni, di concepire un progetto, di mettere in atto comportamenti che rispondano a una strategia o a una tattica particolari e di utilizzare occasionalmente oggetti naturali per uno scopo preciso, ma nessuno si avvale mai sistematicamente di strumenti materiali.

Per arrivare a utilizzare un qualsiasi oggetto come uno strumento è necessario poter contare su un complesso di facoltà mentali e di disposizioni motivazionali che richiedono evidentemente un assetto biologico molto particolare. Occorre innanzitutto la capacità di contemplare uno scopo, cioè di mettere a fuoco a livello cerebrale un obiettivo da raggiungere. In secondo luogo, la capacità di dilazionare anche solo per qualche ora il raggiungimento dello scopo stesso in modo da avere il tempo per pensare, diciamo accademicamente, al problema. Per questo è essenziale però riuscire a mantenere fissa per un po' l'attenzione sulla maniera di raggiungere lo scopo, anche quando non ce n'è una necessità immediata. Occorre infine, ed è questo il requisito fondamentale, saper «vedere» l'oggetto materiale in questione in un'ottica diversa da quella in cui lo si è sempre visto. È necessario cioè «uno spazio di manovra» all'interno della mente, che permetta di contemplare e di comparare fra loro rappresentazioni diverse dello stesso oggetto.

In prima approssimazione, una rappresentazione è una traccia mentale di un oggetto non immediatamente presente ai nostri sensi. Non si tratta di un «calco» passivo dell'entità rappresentata, più o meno ricco di sfumature e di dettagli, ma di una «interpretazione» molto particolare dell'originale, che viene «smembrato» in un certo numero di aspetti, specifici della specie e dell'individuo in questione, e finalizzati per lo più al compimento di un'azione, imminente o remota nel tempo.

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2
Dal trucco al meccanismo



                     Di vaghi fiori adorna, immortale Afrodite
               figlia di Zeus, maestra d'inganni, ti scongiuro
                          con angosce e affanni non opprimere,
                                          sovrana, l'animo mio
                            ma da me vieni, se già altre volte
                         la mia preghiera udendo di lontano mi
                hai dato ascolto e abbandonata la casa paterna
                                     sei giunta, apparecchiato
                        il carro d'oro; veloci ti han condotta
                           docili i passeri per la bruna terra
                              fitte battendo le ali per l'aere
                                             a mezzo il cielo.

                                                         SAFFO



Per secoli la costruzione e il funzionamento delle macchine ha avuto qualcosa di magico, cioè di portentoso e di diabolico al tempo stesso. L'impressione era che dietro a esse ci fosse qualche trucco, qualche imbroglio, finzione o simulazione, in consonanza proprio con il primitivo significato di mechanè cui abbiamo accennato sopra. Questa convinzione, non sempre esplicitata, comportava almeno due conseguenze: la scarsa considerazione che si aveva per i costruttori di macchine, anche quando progettare e costruire macchine rappresentava un'attività secondaria di uomini di genio, e la resistenza a comprendere le ragioni «naturali» per le quali le macchine stesse funzionavano, quasi operassero fuori della natura o addirittura in barba a essa.

Nel mondo greco la scienza era rappresentata dalla matematica e dall'astronomia o, meglio, da quell'astronomia che era possibile concepire basandosi sull'osservazione a occhio nudo del moto degli astri. Accanto a queste discipline e sopra di queste c'era la grande speculazione filosofica che si riteneva capace di cogliere l'essenza del mondo e del suo arredo e di fornire precetti per una vita buona e giusta. Nonostante l'incredibile sforzo di razionalizzazione compiuto dai greci, che ha reso celebre e paradigmatica la loro visione del mondo tanto da farne un modello ideale per secoli, permaneva nei singoli, se non nel collettivo, un'interpretazione animista del corso degli eventi. Dietro ogni fonte c'era una ninfa, dietro ogni tronco d'albero un satiro, dietro i venti uno spirito o un piccolo o grande dio, dietro le onde del mare una schiera di divinità, propizie o corrucciate secondo i casi, dietro i raccolti, le nascite e le morti c'erano uno o più responsabili attivi e consapevoli, dietro ogni focolare i suoi lari. Tutti questi protettori e sovrintendenti avevano in verità ben poco di soprannaturale. Non rappresentavano altro che una formulazione più complicata e preternaturale delle domande quotidiane senza servire a dare una risposta ad alcuna di esse, ma erano sufficienti a lasciare intatto il mistero del quotidiano con tutta la sua carica di imprevedibilità ed erraticità. Non rappresentavano insomma una spiegazione, ma impedivano di cercarne una.

Nella tragedia greca, come pure in Omero, dèi, semidei, spiriti effimeri e mortali vivono l'uno a fianco all'altro in una quotidianità indistinguibile dal mito. Solo la commedia si arricchisce di succhi più riconoscibilmente umani. I dotti da parte loro erano più interessati alle «essenze» e agli oggetti celesti che a quelli terreni, che guardavano anzi con un certo disprezzo e una cert'aria di sufficienza. Tanto c'erano gli schiavi. È probabilmente per questo motivo che nel mondo greco non si sono mai sviluppate una fisica o una biologia, per non parlare di una chimica, nonostante la concia delle pelli e la tintura dei tessuti abbiano costituito una fiorente attività artigianale.

Tali affermazioni sembrano in realtà far torto all'opera imponente di Aristotele, il «maestro di color che sanno», e dei suoi allievi. Molte delle osservazioni naturalistiche contenute negli scritti peripatetici, dei quali fanno parte anche quelle Questioni di meccanica cui si accennava all'inizio, sono interessanti e il complesso degli scritti contiene un sistema di spiegazione del mondo fisico che si presenta quasi completo.

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Pagina 93

Il tragitto dell'informazione sensoriale dai recettori periferici al cervello segue quindi una moltitudine di canali aperti contemporaneamente e questi diversi tipi di informazione giungono al cervello — più precisamente alla corteccia cerebrale - praticamente nello stesso istante. Che cosa succeda poi all'interno della corteccia stessa non è ci dato per il momento di sapere, ma tutte le indicazioni portano a concludere che anche lì si svolgano processi paralleli o, se vogliamo essere più precisi, distribuiti. Ogni segnale si divide e si ripartisce in un gran numero di segnali separati che seguono un proprio cammino autonomo all'interno delle diverse aree della corteccia. Quando l'operazione è conclusa, se ne raccolgono le fila e il risultato viene memorizzato o direttamente presentato alla coscienza, come se fosse l'output di un calcolo eseguito con un computer. Come questo, miracolosamente, avvenga non lo sappiamo, ma lo studio dei calcolatori ci ha aiutato a identificare le diverse modalità di trattamento dell'informazione nervosa: parallelo nel tragitto dai sensi alla corteccia, parallelo e distribuito dentro la corteccia stessa e infine, forse, presentato come temporaneamente seriale alla coscienza.

Qual è il vantaggio di tutto questo? Da una parte si ha indubbiamente l'estrema prontezza delle nostre reazioni agli avvenimenti circostanti. Poiché ogni singolo processo che si svolge all'interno del nostro sistema nervoso non può essere più veloce di un certo valore limite, l'esecuzione contemporanea di diversi processi ci permette di tenerci al passo con gli avvenimenti, soprattutto con quelli di natura biologica. Se contro la velocità di un fulmine o di un terremoto non possiamo fare niente, possiamo però cercare di prevenire gli attacchi di un predatore o di raggiungere la preda che scappa. Ci teniamo al passo con molti animali e con gli altri uomini grazie al parallelismo del nostro sistema nervoso. Ma non è nemmeno tutto lì. Oltre alla velocizzazione della percezione, e della conseguente eventuale azione, l'organizzazione parallela del nostro sistema nervoso ci offre anche l'opportunità del «colpo d'occhio» e di un certo numero di strategie mentali che mimano vere e proprie «manovre di aggiramento». Il colpo d'occhio non è che la percezione simultanea e semiorganizzata di un certo numero di caratteristiche diverse presentate dalla scena che abbiamo davanti. Così un esperto giocatore di scacchi si rende immediatamente conto della situazione nella quale si trova una determinata partita, osservando e valutando contemporaneamente la posizione dei diversi pezzi sulla scacchiera di entrambi i contendenti. Il nostro modo di ragionare, d'altro canto, per sua natura enormemente più lento di quello di un computer, può avvalersi spesso di un certo numero di scorciatoie e di manovre di aggiramento per raggiungere le sue conclusioni. Per tutti questi motivi il calcolatore è ancora molto lontano da noi, ma è abbastanza ragionevole prevedere che più parallelo sarà in futuro, più proprietà simili a quelle del nostro cervello e della nostra mente acquisterà. «O forse erra dal vero, mirando all'altrui sorte, il mio pensiero.»

La logica ha almeno venticinque secoli di storia ed è considerata il cardine della razionalità e per così dire l'igiene dell'attività mentale. I suoi princìpi e le sue leggi sono rimasti gli stessi da secoli, ma qualcuno ha proposto in anni recenti una sua estensione allo scopo di soddisfare particolari esigenze. Si parla di logica fuzzy — che possiamo tradurre con «sfumata» o «sfuocata» - per designare una provincia particolare della logica che tratta di insiemi privi di confini netti ma con elementi che possono appartenervi o meno secondo certe probabilità assegnate. Sembrerebbe che una tale logica dell'imprecisione non possa funzionare, ma ha anch'essa le sue leggi e conduce a deduzioni verificabili e soprattutto applicabili. Programmi di calcolo basati sulla logica fuzzy permettono di raggiungere in casi particolari risultati che altrimenti non sarebbero assolutamente alla nostra portata. La logica fuzzy è nata per risolvere problemi intrattabili anche dai più potenti calcolatori se vengono affrontati con un tipo di discriminazione netta e dicotomica. Il calcolo di traiettorie particolarmente complesse, come pure l'aggancio di un missile a un obiettivo che si muove molto velocemente, il calcolo della forma assunta in certe condizioni da proteine particolarmente complesse o una simulazione di che cosa «vede» un robot che si trova a distanza, sono tutti esempi di compiti enormemente facilitati dal ricorso a una logica che abbia a che fare con insiemi fuzzy.

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La necessità di chiarezza e di una formulazione non ambigua delle idee rappresenta un'altra istanza capitale per una parte della nostra cultura e del nostro modo di vedere le cose di questi anni, che si combina con la familiarità da noi acquisita con il misurare e il quantificare e con l'abitudine anch'essa recentemente acquisita di misurare il tempo, di giorno e di notte. Naturalmente questo comporta uno sbilanciamento nel nostro atteggiamento verso le nostre diverse facoltà mentali e intellettuali, privilegiandone alcune piuttosto di altre e questo non a tutti è piaciuto e piace anche oggi. Il pendolo si va spostando decisamente verso un estremo e non è detto che prima o poi non abbia un rimbalzo verso il culto dell'indistinto e dell'ambiguo, più di quanto non accada già adesso in molti campi dell'umana avventura.

L'ambiguo e l'indistinto hanno un fascino irresistibile anche sul piano letterario e più in generale artistico e il fatto che il collettivo umano abbia adottato in larga parte un atteggiamento volto alla precisione e alla consequenzialità logica non significa che ogni individuo faccia questo senza sforzo, né tanto meno con naturalezza e con entusiasmo. Tutt'altro. La cosa riesce difficile a molti, se non ai più, e lascia spesso un senso di spossatezza, di meccanicità e di aridità. Non si rinuncia a cuor leggero alla nostra naturale propensione verso l'imprecisione e l'ambiguità, propensione che ci deriva in ultima istanza dall'alto grado di parallelismo del nostro sistema nervoso.

Il parallelismo, cioè l'elaborazione contemporanea di un gran numero di segnali nervosi, rappresenta il modo di funzionare normale e per così dire la posizione di riposo del nostro sistema nervoso. Solo al momento della presa di coscienza, della progettazione di un'azione materiale, dell'impostazione di un ragionamento o di un calcolo si ha probabilmente un momentaneo abbandono di tale modo di essere per lasciare il posto a un processo seriale, cioè sequenziale. Esprimere verbalmente un pensiero e formulare un problema sono espressioni di un modo di funzionare seriale della nostra mente — un concetto dopo l'altro, un'affermazione dopo l'altra — come ho creduto di avere abbondantemente illustrato nel mio libro Io sono tu sei di qualche anno fa.

È ragionevole pensare che l'ambiguità e la scarsa lucidità siano la caratteristica abituale del modo di procedere parallelo, che possiamo anche identificare almeno in parte con quello che oggi si usa chiamare «inconscio». L'ambiguità è spesso il risultato della compresenza nella mente di diversi significati dello stesso termine, significati che possono interessare a volte anche modalità sensoriali e percettive diverse: una astratta e più razionale, una più emotiva, una visiva, un'altra tattile e via discorrendo. La scarsa lucidità e l'imprecisione possono così derivare da una serie di istantanei corti circuiti subliminali fra processi paralleli diversi o di veri e propri slittamenti da un piano a un altro e da un processo a un altro.

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Il discorso che abbiamo fatto per la diagnosi precocissima dei tumori può essere ovviamente esteso ad altre patologie, che si tratti di una cellula del miocardio che sta per cedere, di una del sistema immunitario che ha perso l'identità o di una cellula nervosa che sta per andare incontro a un processo degenerativo. Data la loro potenziale versatilità, qualcuno ha già battezzato nanorobot queste navicelle attrezzate. Nanovettori, nanosonde o nanorobot, si tratta sempre di oggetti avveniristici che stiamo per impiegare con l'obiettivo di penetrare sempre più a fondo nell'intimo della nostra costituzione organica.

Insomma gli sviluppi della tecnica stanno cambiando il quadro delle protesi e più in generale dei presidi sanitari per la diagnosi e la terapia, magari sostitutiva. Un posto a parte spetta di diritto in un discorso generale sulle macchine a quelle che aiutano, estendono o sostituiscono qualche nostra funzione biologica. Ne abbiamo già parlato e non ci resta che occuparci adesso degli sviluppi più recenti. La parola chiave è miniaturizzazione che, abbiamo visto, assume un significato sempre più spinto. È interessante a questo proposito l'osservazione che uno spirito acuto e bizzarro come Samuel Butler fece nel 1863: «Come alcuni tra i meno sviluppati vertebrati conobbero in passato uno sviluppo superiore a quello dei più grandi rappresentanti del genere, così una diminuzione nelle dimensioni delle macchine si è spesso accompagnata al loro sviluppo e progresso».

Non sappiamo ancora se e quanto l'osservazione riportata si applichi al momento attuale. Certo le premesse sono esaltanti, soprattutto sul versante dei piccoli congegni che mirano a fondere artificiale e naturale a livello di protesi percettive e motorie: orecchi e retine artificiali che comunicano le loro risultanze direttamente al cervello, braccia artificiali che ricevono i comandi dal nervo ancora sano e più di tutto trasduttori che mettono in pratica le intenzioni solo pensate di una mente.

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