|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 17
[ inizio libro ]
L'ATROCE REDENTORE
LAZARUS MORELL
LA CAUSA REMOTA
Nel 1517 padre Bartolomé de Las Casas provò grande
compassione per gli indiani che si sfinivano nei laboriosi
inferni delle miniere d'oro delle Antille, e propose
all'imperatore Carlo V l'importazione di negri che si
sfinissero nei laboriosi inferni delle miniere d'oro delle
Antille. A questa curiosa variazione di un filantropo
dobbiamo infiniti eventi: i blues di Handy, il successo
ottenuto a Parigi dal pittore e dottore uruguayano Pedro
Figari, la buona prosa selvatica del pure uruguayano Vicente
Rossi, la statura mitologica di Abraham Lincoln, i
cinquecentomila morti della Guerra di Secessione, i
tremilatrecento milioni spesi in pensioni militari, la
statua dell'immaginario Falucho, l'inclusione del verbo
linchar
nella tredicesima edizione del
Diccionario de la Academia,
l'impetuoso film
Hallelujah,
la gagliarda carica alla baionetta guidata da Soler alla
testa dei suoi «Negri e Mulatti» al Cerrito, [...]
|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 28
L'IMPOSTORE INVEROSIMILE
TOM CASTRO
Gli do questo nome perché con questo nome fu noto in
ogni angolo di Talcahuano, di Santiago del Cile e di
Valparaíso intorno al 1850, ed è giusto che lo assuma di
nuovo ora che fa ritorno in queste terre - sia pure in
qualità di semplice fantasma e di passatempo del sabato.
L'anagrafe di Wapping lo chiama Arthur Orton e lo registra
alla data del 7 giugno 1834. Sappiamo che era figlio di un
macellaio, che la sua infanzia conobbe l'insulsa miseria dei
quartieri poveri di Londra e che sentì il richiamo del mare.
Il fatto non è insolito.
Run away to sea,
fuggire verso il mare, è per gli inglesi la tradizionale
infrazione dell'autorità paterna, l'eroica avventura
iniziatica. La geografia la raccomanda, e persino la
Scrittura: «Coloro che solcavano il mare sulle
navi e commerciavano sulle randi acque, videro
le opere del Signore, e i suoi prodigi nel mare profondo»
(Salmi, 107, 23-24). Orton fuggì dal suo deplorevole
sobborgo rosa fuligginoso, scese al mare su una nave,
contemplò con l'abituale delusione la Croce del Sud e,
giunto nel porto di Valparaíso, disertò. Era un uomo di
placida idiozia. A rigor di logica avrebbe potuto (e
dovuto) morire di fame, ma la sua confusa giovialità, il suo
eterno sorriso e la sua infinita mitezza gli valsero il
favore di una certa famiglia Castro, di cui adottò il nome.
Di tale episodio sudamericano non rimangono tracce, ma la
sua gratitudine non si attenuò, giacché ricompare nel 1861
in Australia con lo stesso nome: Tom Castro. A Sydney
conobbe un certo Bogle, un domestico negro. Bogle, senza
essere bello, aveva quell'aria quieta e monumentale, quella
solidità da opera d'ingegneria che hanno i negri carichi di
anni, di adipe e di autorità. Aveva un'altra qualità, che
taluni manuali di etnografia hanno negato alla sua razza: il
colpo di genio. Ne avremo in seguito la prova. Era un uomo
morigerato e ammodo, in cui l'uso e l'abuso del calvinismo
avevano opportunamente corretto atavici appetiti africani.
A parte le visite del dio (che descriveremo più avanti) era
un uomo assolutamente normale, con l'unica singolarità di un
pudico e lungo timore che lo bloccava agli incroci,
diffidente dell'Est, dell'Ovest, del Sud e del Nord, e del
violento veicolo che avrebbe messo fine ai suoi giorni.
|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 41
I ragguagli forniti dai prigionieri attestano che il
rancio dei pirati consisteva principalmente in gallette,
obesi topi messi all'ingrasso e riso bollito; nei giorni di
combattimento mescolavano all'alcol polvere da sparo. Carte
e dadi truccati, la coppa e il rettangolo del
fantan,
la visionaria pipa da oppio e la lanterna magica occupavano
le ore d'ozio. Due spade, da usare simultaneamente, erano
le loro armi preferite. Prima dell'arrembaggio, si
cospargevano gli zigomi e il corpo con un infuso d'aglio -
infallibile talismano contro le offese delle bocche da
fuoco.
L'equipaggio viaggiava con le donne al seguito, ma il
capitano aveva il suo harem, che ne contava cinque o sei e
che le vittorie rinnovavano.
|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 46
IL FORNITORE DI INIQUITA
MONK EASTMAN
QUELLI DI QUESTA AMERICA
Stagliati sullo sfondo di pareti celesti o di un cielo
alto, due guappi inguainati in solenni abiti neri ballano su
scarpe da donna un ballo serissimo, che è quello dei
coltelli uguali, finché un garofano non salta via da un
orecchio: il coltello è penetrato in un uomo, che con la sua
morte orizzontale chiude il ballo senza musica. Rassegnato,
l'altro si sistema il cappello a larghe tese e consacra la
sua vecchiaia al racconto di quel duello tanto rigoroso.
Questa è la storia dettagliata e completa della nostra
malavita. Quella delle rissose canaglie di New York è più
vertiginosa e rude.
|
<< |
< |
> |
>> |
Pagina 57
GO WEST!
Se negli affollati teatri della Bowery (i cui spettatori
vociavano «Su lo straccio!» al minimo ritardo del sipario)
abbondavano quei melodrammi di cavalieri e sparatorie, la
ragione era semplicissima: l'America subiva allora il
fascino dell'Ovest. Al di là dei tramonti c'era l'oro del
Nevada e della California. Al di là dei tramonti c'era la
scure che abbatte i cedri, l'enorme faccia babilonica del
bisonte, il cappello a larghe tese e il trafficato letto di
Brigham Young, i riti e l'ira dell'uomo rosso, l'aria
limpida dei deserti, la sconfinata prateria, la terra
essenziale la cui vicinanza accelera il battito del cuore
come la vicinanza del mare. L'Ovest chiamava. Un rumore
continuo e cadenzato popolò quegli anni: erano le migliaia
di americani che occupavano l'Ovest. In mezzo a loro,
intorno al 1872, c'era il sempre allampanato Bill Harrigan,
in fuga da una cella rettangolare.
|
<< |
< |
|