Copertina
Autore Millo Borghini
Titolo L'Isola degli Angeli nudi
SottotitoloLa straordinaria avventura di una nave veneziana del XV secolo
EdizioneSpirali, Milano, 2007 , pag. 204, ill., cop.ril.sov., dim. 14,5x21,8x2 cm , Isbn 978-88-7770-803-8
LettoreFlo Bertelli, 2008
Classe narrativa italiana , viaggi , citta': Venezia
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Indice


Introduzione                                  7

        PARTE PRIMA

   I    Londra, 28 settembre 1432            17
  II    Pellegrini                           27
 III    Hôtel Dieu                           42
  IV    La fiera fredda di Chalon            47
   V    In prigione                          58
  VI    Verso casa                           70
 VII    Venezia, giovedì 23 aprile 1433      83
VIII    Giorni di attesa                    102
  IX    Un naufragio da riparare            119

        PARTE SECONDA

   X    Canarie                             129
  XI    Mari sconosciuti                    137
 XII    Naufragio                           146
XIII    Dall'inferno al paradiso            155
 XIV    Angeli nudi                         164
  XV    Norvegia e Svezia                   172
 XVI    Londra                              184

Glossario                                   191


 

 

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Pagina 7

Introduzione



Il libro racconta il terribile naufragio che nel dicembre del 1431, al largo della Norvegia, coinvolse una nave mercantile veneziana, causando la morte di quasi tutto l'equipaggio. Il fatto, storicamente accertato perché riportato nella relazione del capitano Pietro Querini e del suo scrivano di bordo, costituisce il primo contatto documentato tra la Repubblica di Venezia e i paesi dell'estremo Nord europeo, frequentato all'epoca solo dagli Anseatici e, sessant'anni prima di Colombo, con il misterioso oceano occidentale.

Nel racconto, il fatto storico s'intreccia con la vicenda umana di Bernardo di Cagliere, nocchiero della nave, che fu travolto da questo evento nella sua vita privata, uscendone infine arricchito umanamente e spiritualmente.

Da questo tragico evento derivò anche una curiosa e simpatica conseguenza alimentare che arricchì il patrimonio gastronomico del Veneto. Poiché infatti le isole Lofoten, ove avvenne il naufragio, erano e sono tuttora la patria del merluzzo che viene pescato ed esportato in gran quantità, e poiché i superstiti del naufragio ne riportarono in patria alcuni esemplari, si sviluppò in breve un importante scambio commerciale che viene ricordato periodicamente a Sandrigo, in provincia di Vicenza, considerata la patria del merluzzo alla veneta, con l'arrivo di delegazioni norvegesi.

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Pagina 47

IV
La fiera fredda di Chalon



Chalon era una piccola città fortificata da un giro di mura la cui pianta era arcuata a settentrione, ma rettilinea a mezzogiorno ove costeggiava la Saône, e la carovana entrò in città dal lato nord-occidentale attraverso la Porta di Pont ove convergevano le strade provenienti da Beaune e Autun. Il pomeriggio si stava rapidamente mutando in sera e nelle strette vie, fangose per i molti carri che vi transitavano, grande era la confusione, mentre dalle finestre delle case a traliccio filtravano le luci delle prime lucerne e il fumo azzurrino dei camini, sospinto a terra dalle folate di vento, spandeva un tiepido odore di legna e di casa.

Percorsero un buon tratto della Grande rue, svoltando poi a destra per recarsi in un ambiente ove le stoffe dovevano essere poste sotto pressa per ovviare ai danni del trasporto e, avendo collaborato allo scarico delle merci, che erano molte e assai pesanti, ricevettero qualche moneta che permise loro di acquistare una zuppa di fagioli per cena.

Più tardi, conosciuti alcuni operai delle Halles ospitati nell'edificio adiacente, si fermarono a dormire con loro in uno stanzone riscaldato da un gran camino "a tromba".

Gli operai che alloggiavano in quegli ambienti li informarono sulle modalità da seguire per essere assunti tra le maestranze della fiera, e il mattino seguente i tre amici si recarono al cantiere attraversando il ponte dello Châtelet che dalla Porta dei Cambi varcava il fossato esterno alle mura. L'area della fiera, attigua al palazzo del Bailli, era infatti esterna all'abitato, ma con fortificazioni in legno e muratura provviste di cammini di ronda per prevenire le incursioni che in passato avevano fatto molti danni, come quella del 1362, che aveva causato un vasto incendio.

La fiera fredda era da sempre meno frequentata rispetto alla calda che si teneva alla fine di agosto, ma si capiva subito che questa volta sarebbe stata, rispetto al solito, in tono ancora minore. Questo fatto, accennato dagli operai conosciuti la sera prima, lo si indovinava dalle espressioni preoccupate che i tre amici leggevano sul volto dei vari sovrintendenti ai lavori, perché quell'anno i venditori e visitatori stranieri erano pressoché assenti e i mercanti di stoffe, coi quali i tre erano giunti, erano stati una delle poche eccezioni. Il 1432 era stato un anno da dimenticare: il clima non aveva favorito né le mietiture né le vendemmie, e l'incerta situazione politica e militare avevano completato l'opera. Si era voluto indire la manifestazione a tutti i costi per non ripetere la scelta dell'anno precedente, allorché si era addirittura abolita la fiera calda, ma la situazione rimaneva precaria: le estati di quell'anno e degli anni successivi vedranno infatti molti altri annullamenti.

Al di là delle due piccole costruzioni poste all'ingresso e destinate, quando la fiera fosse aperta, ai sergenti incaricati all'ispezione delle merci in entrata e in uscita, si estendeva un grande prato, lungo come tutto il lato occidentale della città, ove si notava, accompagnato da un continuo vociare e batter di martelli, un gran movimento di operai e capomastri. Tutto intorno, sia presso il fossato sia dalla parte opposta, si distinguevano lunghe costruzioni in legno a un solo piano comprendenti a loro volta ambienti minori: erano le famose Halles delle quali avevano sentito parlare la sera avanti, contenenti le varie Loges destinate a singoli mercanti e nelle quali si scorgevano banchi e scaffali predisposti per le merci.

Le falde dei tetti, rivestite di muschio nelle parti rivolte a settentrione, sovrastavano insegne illustranti le merci che vi si commerciavano e Bernardo, più esperto nella lettura, le leggeva agli amici pur non comprendendone sempre il significato. Erano le botteghe dei Pelletiers, i mercanti di pelli, dei Selliers, i sellai, dei Merciers, che vendevano un po' di tutto, del Détail, per il dettaglio, e del Change, per il cambio di valuta, cosa necessaria data la presenza di stranieri. A sinistra, verso il fiume, le Halles Neuves di recente costruzione, con annesse le Cordonneries Mineures per il commercio delle scarpe, le taverne e le stufe, i bagni pubblici, celavano alla vista parte delle costruzioni religiose: il convento dei Carmelitani, la chiesa del Tempio e quella di San Giovanni di Maisel, con l'attiguo Hôpital.

Accanto alle Loges, destinate a mercanti ricchi o a commercianti del posto che non avendo grosse spese di trasferimento potevano permettersele, c'erano infine i Buffets (fig. IV), numerosi ripari a basso costo destinati a mercanti più modesti. Erano banchi di legno con un tettuccio di tela atto a difendere dal sole e dalla pioggia e che poteva essere regolato inclinando indietro o in avanti l'appoggio dei piccoli puntelli che reggevano due montanti obliqui.

I tre amici, difesi da pesanti vestiti di fortuna per ripararsi da freddo e umidità, furono assunti dai sergenti che si occupavano delle maestranze, e vennero subito aggregati ad altrettante squadre di operai.

Le strutture avevano bisogno di continue manutenzioni a causa dell'umidità dovuta al clima e soprattutto alle frequenti inondazioni causate dalle piene autunnali, primaverili, ma anche estive della Saône, come quella, alta nove piedi, che l'anno precedente aveva danneggiato la parte bassa dei tetti. Nicola era impegnato agli scavi di terra che dovevano rinforzare i drenaggi, mentre Bernardo e Andrea, che avevano una maggior esperienza da carpentieri, furono impiegati nella sostituzione di strutture in legno e nella sistemazione dei tetti. Il legname, proveniente dalle foreste ducali di Perrigny-sur-l'Ognon e di Bragny, appena scaricato da carri e barche veniva segato in assi della giusta misura, sollevato con l'ausilio di pulegge e fissato con chiodi e grappe di ferro alle "colonne", creando strutture a croce che rinforzavano le pareti. In certi casi s'irrobustivano le fondamenta anche con opere di muratura, controllando tuttavia che il legno della base del muro fosse ben sano. Sui tetti, oltre a sostituire le tegole di legno rinsecchite dalle intemperie, si ricavavano, a spese dei mercanti, anche lucernari: misura necessaria ove si vendevano articoli da esaminare con cura, come ad esempio le stoffe.

I sergenti della fiera, ai quali spettava il controllo di tutto ciò che avveniva nel recinto, seguivano normalmente le varie fasi delle lavorazioni, ma ogni tanto c'erano anche ispezioni operate da tecnici, per lo più ricchi mercanti del ramo, che avevano in appalto questa funzione e provvedevano all'invio dei materiali da costruzione come sabbia, calce e mattoni.

Il freddo era intenso e nei momenti di riposo gli operai, riparati da chaperons con la cornette avvolta a turbante e dalle galoches per difendersi dal fango, ne approfittavano per scaldarsi presso i fuochi accesi con gli scarti della lavorazione, ma posti al centro del prato ben lontano dalle costruzioni in legno.

Poiché il lavoro era molto duro per il ritmo imposto dall'urgenza oltre che per le condizioni climatiche, ogni sera i tre erano assai stanchi, ma fortunatamente la giornata lavorativa in quel periodo dell'anno era breve perché si poteva lavorare solo alla luce del giorno.

A poco a poco arrivavano anche i primi mercanti: erano per lo più della Borgogna, perché gli stranieri, provenienti soprattutto da Fiandra, Impero e Savoia, erano molto pochi; ma correva voce che anche quelli di Chalon e dintorni, che giungevano in genere un poco più tardi, avrebbero in parte disertato l'appuntamento, supponendo che la mancanza di venditori stranieri avrebbe scoraggiato l'afflusso di clienti. Molte Loges erano infatti destinate quell'anno a rimanere vuote, e rimanevano inutilizzati perfino quei Buffets più a buon mercato che ogni anno venivano ceduti a mercanti più modesti col versamento del solo terrage, una sorta di plateatico.

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Pagina 146

XII
Naufragio



Una sera, mentre Caterina, riposte le stoviglie, si dedicava ai suoi ricami, Bernardo riprese così il racconto:

— Quando vedo tuto ben ordinà ne la credenza, penso a la confusion che gh'era su la nave, significando ormai il fin di tutto... Tute le robe eran travolte ne la sentina in un groviglio d'ogni gener e la cocca era ormai a rischio de profondarse, quando il giorno diciassette, e parve un segno, si bonaciò la rabiosa fortuna. Era però ciaro che per poter salvar la vita si dovea presto abandonar la nave drizzando a l'Irlanda, distante forse settecento miglia, imbarcandose su le due fuste: a dir una barca grande per quarantasette marinari e lo schiffo che ne tenea ventuno.

Sicome la più parte volea montar su la barca, ch'era più grande, il Patron, per prevenir le risse, decise allor che secretamente si dovesser notar i nomi di quei che volean salir sovra 'l schiffo e su la barca e che ogni cosa fosse cognita sol a Nicolò de Michiel scrivano, decidendo poi a sorte; e tutti acettaron.

Per metter a mar le fuste, che senza arboro non si potean solevar, i maestri d'ascia s'ingeniaron con paranchi ligà al castello di poppa e, fatta una gran avertura ne la banda, alfin le vararon. Le barche avean rate di cibo e bevande bastanti al numer dei ocupanti: lo schiffo ebbe trecento lire di biscotti a tocchi, otanta lire di formazo candioto, oto lire di persutti, quaranta lire di sebo da ripalmar, due lire di olio e sette caratelli di malvagia di Tiro, mentre la barca n'ebbe due volte a l'incirca. A le medesime andaron anca siroppo di gengevo verde e limon con alquante poche specie, mentre il Patron avea spartito a tutti li vestiti suoi.

Messe in mar le barche n'embrassammo lacrimando in silenzio: tanto contristà eran infatti gli spiriti nostri che non si potea mandar fora vose alcuna e le parole non sarian state bastanti al dolor, perché parea ch'eravam al punto di non più rivederse.


Ce ne partimmo dunque a l'alba del giorno diciotto ad afrontar quei mari ignoti lassando a l'orizonte la nave nostra senza arboro e viaggiando di conserva; ma ogni tanto le nebbie del mattin impedian la vista del schiffo, sicché lo perdemmo né più il vedemmo. Dopo ore alcune il mar s'incrudelì novamente, e il sequente dì, il diciannove, per riseccar la sentina fu d'uopo butar via la più parte del vino obligando a far rata di un quarto di tazza due volte il giorno.

A setentrion xe tenebria continua per ventun ore e nei dì sequenti, andando al fin del mese, a stento si potea sostener il grandissimo freddo. Dovendo remar per ore sei continue con poco cibo né sonno alcuno, per l'estrema debolezza si principiava a perder i sentimenti de' piedi a cagion de le leggere e bagnate vesti, sicché alcuni, non potendo soportar oltre, si solevavan come mati criando parole senza senso e li si dovea ligar par salvar la fusta e slongar la vita dei altri. Ma non potendo noi far nient'altro, in breve cadean poi morti a l'improviso. I primi furon quei che ne la nave eran soliti ber molto vino, o stavan appresso il fuoco senza moderazion alcuna perché, anca se per natura erano assai robusti, per il variar d'una estremità a l'altra non eran atti a tolerar tali accidenti.

Tutti avean una gran rabia di fame, ma era la sete il peggior suplizio, sicché alcuni, per calmar questa voglia e sendo spinti in questa estrema necessità, si miser a ber de l'acqua salmastra e così uno avanti l'altro, secondo la loro complession, andavan mancando di questa vita. Savendo noi qual sarìa stà la conclusion ne aconciavam a tenerli con la forza, ma quei si liberavan come mati e parean morsi da rabiosi cani.

Per calmar la sete studiavamo de magnar poco perché i cibi, soto sal, peggioravan l'arsura e divisammo alfin di ber l'orina; ma chi che ne avea poca la chiedea ai compagni che la volean tener sol per sé medesimi. Aggiungevamo a la detta il siroppo de gengevo e de limon per migliorarne il savor, e anca se il sol pensar mi dà angustia e nausea, la bevanda ancor calda n'era ben accetta. In quei momenti eravam senza vergogna, né repulsion, né freno alcuno e per calmar la sete se sarìa podesto far qualunque violenza.

Quando poi tal giorno cadean morti due compagni, tal altro giorno tre o quattro, subito li gettavamo in mar con un rapido funeral senza pietà alcuna, ma solo per rason di spazio e per conservar la vita dei altri. In tutti andava a mancar l'ultima parte di umana pietà e il solo e unico pensier era salvar la vita, anca se ciò parea sempre più incerto, mentre i compagni, i fratelli nostri, eran soltanto inimici che potean robar cibo e bevande. Non avevam memoria dei insegnamenti che il nostro Redentor Signor Gesù Cristo e i nostri padri ne avean lassà in tanti secoli e in pochi dì, senza avederne, eravam diventà simili a bestie.

— Par grazia di Dio non soportai mai tali angustie aspettando ogn'ora la morte, ma si puoi capir la condizion vostra! — esclamò Caterina venendogli appresso e stringendogli la mano. — Un cristian non ha da esser giudicà in quei casi!

— Non se posson aprovar queste cose — rispose il giovane assumendo un'espressione ancor più severa — bisognarìa par contro mantener la nostra umanità in ogni ocasion, anca quando la natura supera la rason.

Bernardo continuò: — Il mar, sempre più rabioso nel mentre che le forze nostre calavan sempre più, cominciò a levar così alto che le onde parean montagne e molto maggiori che mai per avanti le avessim vedute e con l'oscurità de la notte longhissima sembrava di profondar sul fondo marino. Si vedean alzar sovra la testa muri altissimi d'acqua ricoverti di schiuma in guisa di liquido canal, mentre la barca ritornava in alto subitamente, piegandose a risentirne in tutte le fitture con paurosi cigoli che s'intendean nel gran fragor e più volte i compagni ormai quasi mezi morti cadean fora bordo scomparendo tra i flutti. In quei momenti parea quasi veder la Morte spuntar da le onde e più volte vidi le squamate code de' mostri dei abissi, infernali animai che aspettavan la fin nostra per divorarne. Aparve anca un giorno, mentre la fortuna parea mitigarse, un'isola che a l'apressar per prender terra profondava a l'improviso in fondo al mar: or comprendo che sicuramente era l'isola-balena, racontà da i marinari.

Ogni istante era pien d'orrore e il tempo correa più lento. Le notti eran longhisime e con le poche ore de ciaro non si potea contar il tempo: ore? giorni? mesi? Eravam tutti persi e confusi... Solo dopo alquanto tempo potemmo capir: era passà il Nadal di Nostro Signor senza avederne, e facendone conto ci parve che ormai era il quatro di genaro.

Quel dì in tale orror d'acqua e di morte apparve, come avvien ne' sogni, una vaga chiarezza sul mar... Una nube su l'acqua? una vision? il porto ultimo de la Morte? Tenemmo ben verti i oci nostri...

"Anca voi la vedete?". Alcuni miravan fisso senza speranza di veder un porto; altri, quasi morti, non potean ormai veder più niente...

"Xe un'isola, un'isola... la terra!".

Riassumendo speranza e forza, pigliammo i remi per aprossimar al tanto desiderato terren, remando in quella direzion... Ma una nebia improvisa nascose tutto per un momento che parea eterno.

"Riappare, ecco... là a prora... soto vento!". Tutti s'aconciavan con forza ai remi, ma correnti e fatiga contrastavan la via. Drizzammo prora verso lo scoglio e in ore due di lotta lo apressammo... La costa era alta, predosa e tuta coverta di neve. Ma ormai venìa sera e non si vedea più niente...

Finita la longhisima notte l'isola era ormai scomparsa, ma altra ne aparìa più lungi con monti più bassi e rivolgemmo a quella direzion. Siccome s'intendea che gnanca sta volta si potea arivar col ciaro e per non smarrir lo scoglio durante la sequente notte, prendemmo rotta col bossol nostro e con le vele a poppa a circa quatro ore del mattin si pervenne al detto terren.

Se capìa d'esser giunti a riva dal gran rumor di onde contro scogli e secche d'un luogo predoso, che xe la cosa più paurosa che possa capitar al marinaro, massime di notte e in incogniti luoghi. Con gran terror, ormai certi di romper contra detti scogli ove le onde ne condusean, ne ritrovammo a breve spinti con gran fracasso per ogni dove, travolti e immersi da onde a strisciar con violenza con colpi, cigoli e crepiti che parean sfondar la barca a colpi di maglio. Senza nulla scorger nel buio non si potean prevenir le terribil percosse, che con gran forza sembravan inabissar la barca in punto da rivoltarse, per tornarla poi miracolosamente dritta. Ma subito eravam di nuovo presi a gorgo in un tal frastuono che aparìa d'esser giunti ormai a la porta de l'inferno.

Quando sarìa finito il terribil turbine che risciava di butarne fora bordo e che parea non aver più fine? Dovea forse chetarsi con la morte nostra? L'orror era tal che la certezza d'esser giunti al fatal passo fasea quasi desiderar la morte, anca se al momento non v'era tempo a la preghiera...

Dopo minuti alcuni trovammo al fin la forza di vodarse piangendo a la gloriosa Vergine Maria e al suo Figliuol onipotente e Redentor Nostro e allora, avendo tocco in una di quelle secche, un colpo di mar, stendendose sotto il fondo, ne sollevò spingendone fuor di quella, onde ci vedemmo franchi dal periglio. E avvenne che l'onda, a sembianza d'un divino aiuto, pur empiendo tutta la fusta ne menasse a l'unico lito, suscitando in noi una novella forza che condusse a ferir la rena con la prora.

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Pagina 164

XIV
Angeli nudi



A poco a poco, pur con lo scoglio de l'incognita favella, principiammo a capirse col socorso de' due compagni e di Messer Querini che potea parlar latino. La sera se fasea ritrovo ne la casa di Olavo, il principal pescador del villaggio ch'era l'ostiero del Patron, e in tal ocasion studiavam di cognoscer ove eravam giunti, mentre tutti volean saver de' nostri travagli e de la patria nostra.

L'isola era la più meridional di tute le altre, ch'eran più grandi, non lungi da la terra che i naviganti ciaman Culo Mundi, oltre la qual forse non xe più niente, e il capo lor, Olavo, era vassallo, parimenti a i altri scogli, a un Rettor Vicereal. Noi mostravam invece dove xe posta Venezia e per far ciò si fece anca un disegno che, andando addietro, menava da la Norvega fin a Britannia, Franza, Spagna e al Mediterraneo mare e quando cognobber che anca il padre mio l'era pescador parean mostrar ancor più amicizia domandando che pesca se fasea a Venezia.

Volean saver le rotte, gli ocorsi guasti e le terribil fortune, e quando si fece mente a le voragin che più volte ne avean ingoià e mandà fora, inteser subito e si ralegraron per lo scampato periglio. Dicean ch'era un'orribil corrente ben conosciuta e asassina di molti lor compagni nomata maelstrom che vuol significar inferno, un mostro da le molte braze mortali e peggior inimico che quasi mai ne lassava in vita. Ma chi potea scamparne andava poi a incontrar a ocidente il miracoloso paese di Udrost ove il formento cresce in gran copia, i pesci van da sè medesimi a riempir le reti e una capra manda fora il latte da le mammelle tutte d'oro.


I abitanti de le isole son di bello aspetto: alti, robusti di complession e con longhi capelli e barbe massime biondi ma anca rossi e scuri; le mugier farebber infatti gran maraviglia qui a Venezia senza dover sbiancarse i capei al sol come fate voi e neppur slongar l'altezza con quelle strane suole... Ma la bellezza lor xe ne l'animo pulìo e generoso, perché tuti son creature innocenti e semplici di cuor. Cognoscon il danaro, ma usan barattar le cose, e non pensando mai di esser robati anca perché nessuno in quei luoghi il farebbe, non seran mai le porte de la casa e lo fan sol per non far entrar dentro le bestie.

Le vesti son di lana grossa e di poco costo che vien da Dacia, Ingliterra e altri luoghi, massime di color rosso, azzurro e berretin o di rossa e nera pelle per ripararne da la piova e da le onde. Le mugier ne portan l'una sovra l'altra e per le feste le decoran in varie guise con ori e argenti.

Eravam dunque, Nicolò di Michiel e mi, ne la casa d'un pescador. L'ostiero nostro se ciamava Erik e avea una mugier di nome Karen e quattro figlioli, due masci e due pute. Ogni notte il paron si levava molto presto coi masci, che se ciamavan Sigurd e Fritjof, e ne andava a pescar mentre la mugier sua con le pute, tutte bellissime, stavan a dormir senza che alcun avesse angustia pensando che due foresti incogniti quali eravam fosser restà a casa con elle. Ho trascurà da dir infatti che ne la picoa casa tutti dormivan ne la stanza medesima in letti dentro al muro e che ognuno, prima de corgarse, come xe normal costume, se cavava tute le vesti. I primi giorni assai ne rimanemmo in maraviglia perché le pute si mostravan nude e senza timor, ma l'uso ne fece poi così natural cosa che il facevam anca noi medesimi senza ritegno né pudor alcuno. Lo stesso ne fu racontà dai altri che al par di noi eran molto sorpresi.


In ugual modo fanno il bagno di vapor. Questo avvien ne la casa che ciaman stufa, con dentro de le banche di legno e un fogolar sul qual pongon pietre a scaldar sul fuoco. Quando esse son ben calde, da certi mastelli versan sovra de l'acqua finché la stanza s'empie de vapor e ne stan dentro alcun tempo. Tutti, masci e mugier, per andar al bagno che avvien il giovedì, escon ignudi da le case, con un mazzo d'erbe ne la dritta man per far netto il sudor e frustar il corpo, mentre con l'altra nascondon, ma solo un poco, le posteriori parti. Una volta finìo tutto trascorron la strada nel contrario, perché par che in tal guisa il diverso clima sia molto salutar. Anca in oriente ho veduto far di questi bagni, ma in quei paesi tuti van con le vesti e si spoglian quando son entrà ne la casa.

Queste cose avegnon però senza licenzia alcuna al sesso, perché non son usi a la fornicazion anca pel freddo che va a calmar le voglie e perché la lor mente, visina a la natura in un Terrestre Paradiso, non cognosce le umane nostre malizie. A Venezia invece le mugier non marità, per non esser criticà da la gente, non escon sole di casa e quasi non escon mai del tutto.

A la Santa Messa, per contro, le mugier di Rustene son vestìe in modo adatto a l'ocasion: portan infatti longhe vesti e per non divagar lo sguardo o parlar con alcun nascondon anca il viso con un bereto fatto in guisa di elmo con celata.

— Xe veramente molto strano questo paese: da noi sarìa impossibil una tal condizion e se non me la racontaste voi non la credarìa...

— Eppur xe proprio vero e in quel luogo tutto xe in tal armonia, da parer sempre normal cosa.


In questo Paradiso eravam tuti amisi, e vi devo far, Caterina, una confession. I terribil fatti avean creato una tal voglia di casa che me piaseva spesso star con Brigida, la puta minor de l'ostiero mio, che avea ventitré ani ed era di gentil e inocente disposizion. Ma non dovete, Caterina, star a pensar che mi avesse amor par ea: eravam fuor dal mondo nostro, tra i angeli di quel Paradiso, e ciapandone la man me parea di tornar a Venezia, ne la diversa vita nostra e di risanar i umani sentimenti che il naufragio avea tolto. Infatti principiava a ritrovar il perduto sonno e rimarrà par la vita la memoria di questa puta che, rasonando a gesti, solevava l'animo da tal condizion.

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