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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 9 Abbreviazioni 13 PARTE PRIMA Il quadro degli eventi Capitolo 1 Prologo 19 Capitolo 2 La conquista dell'impero (336-323 a.C.) 44 Capitolo 3 Epilogo: la prospettiva futura 240 PARTE SECONDA Studi tematici Capitolo 4 La Grecia continentale durante il regno di Alessandro 255 Capitolo 5 Alessandro e il suo impero 312 Capitolo 6 Alessandro e l'esercito 352 Capitolo 7 La divinità di Alessandro 378 Bibliografia 403 Note 437 Indice analitico 475 |
| << | < | > | >> |Pagina 191. L'eredità di FilippoIL PERIODO CHE VA dal 336 al 323 a.C. è concordemente definito come l'età di Alessandro. Fu contrassegnato da un'enorme espansione dei confini imperiali della Macedonia, e da un trasferimento e un impiego praticamente senza precedenti di risorse materiali e umane. Imperium terris, animos aequabit Olympo. La profezia fatta per la fondazione di Romolo si sarebbe potuta applicare anche più appropriatamente al caso di Alessandro. Il suo impero era mondiale in ogni senso, così come era sovrumano il concetto della sua persona e delle sue conquiste. Dopo morto, il suo nome rimase un simbolo evocativo di gloria universale, lodato o esecrato come il prototipo di conquistatore magnanimo o di tiranno dispotico; e troppo spesso la storia del suo regno ha coinciso con una biografia appena mascherata, tanto totalizzante era stato il suo ruolo. Questo saggio si propone di analizzare, senza alcun modello preconcetto della personalità di Alessandro o delle sue motivazioni, l'influsso da lui esercitato sul suo mondo. Il principio sine ira et studio costituisce forse un ideale impossibile, data la natura controversa e assai coinvolgente di alcuni degli argomenti in questione, ma sia lecito almeno il tentativo di darne un'interpretazione basata sulle fonti esistenti. Anche in esse troviamo naturalmente una certa dose di pregiudizio, ma abbiamo qualche speranza di riuscire a identificarne e ridimensionarne le distorsioni, sia apologetiche sia calunniose. La nostra trattazione storica del periodo non può essere che frammentaria, basandosi su episodi messi occasionalmente in rilievo dalla tradizione letteraria e sul ridotto numero delle prove documentarie che per un caso si sono salvate. Oltre il materiale di cui si dispone non si può andare. L'uomo Alessandro ci sfuggirà sempre, a causa del filtro deformante dei giudizi antichi (o moderni) e della nostra insufficiente documentazione, ma gli eventi del suo regno possono essere discussi nel contesto complessivo, dando un quadro a tratti sufficientemente chiaro. Il tema da svolgere è importante. Nel giro di un decennio, la faccia del mondo si trovò mutata, e gli avvenimenti e le forze in gioco meritano di essere trattati e discussi anche se la personalità dei principali attori rimane sfuggente. | << | < | > | >> |Pagina 1119) LA BATTAGLIA DI GAUGAMELAIN UN GIORNO IMPRECISATO di aprile l'esercito partì da Menfi, marciando di buon passo lungo un tragitto accuratamente predisposto: erano stati costruiti anche dei ponti di chiatte attraverso il Nilo e i suoi principali canali, per facilitare il passaggio (Arr., III, 6, 1). Alessandro attraversò il Sinai e si diresse verso la Fenicia. Niente viene ricordato di questo percorso se non una breve spedizione punitiva in Samaria, dove il governatore, Andromaco, venne catturato e giustiziato (v. sotto, p. 317). Entro l'estate si era temporaneamente installato a Tiro, dove rese onori a Melqart con un'altra grandiosa celebrazione. I re ciprioti di Salamina e Soli si misero particolarmente in vista: si erano premurati di ingaggiare i più celebrati attori del momento, Atenodoro e Tessalo, amico personale di Alessandro. Il richiamo rappresentato da Alessandro e il suo seguito fu irresistibile, e Atenodoro violò il contratto con cui era impegnato a partecipare alla festività di Dioniso ad Atene, scegliendo invece le competizioni teatrali in Egitto e in Siria (Plut., AL, 29, 5). Gli ateniesi gli inflissero una multa, ma non poterono fare molto per impedire ad attori professionisti e ad atleti di imitarne l'esempio. Essi stessi inviarono una delegazione ufficiale, guidata da Achille e Diofanto per congratularsi delle vittorie di Alessandro. I rappresentanti della Lega di Corinto si erano radunati ai giochi dell'Istmo del 332 e avevano votato la risoluzione di mandare una corona d'oro in onore delle sue conquiste compiute «per il bene e la libertà della Grecia» (Curz. R., IV, 5, 11; Diod., XVII, 48, 6). Ad Atene si ritenne prudente fare la stessa cosa (IG, II2,1496, righe 52 sgg.), e nell'estate del 331 la delegazione ufficiale fece la sua doverosa comparsa a Tiro. Oltre a porgere le congratulazioni, sollecitò il rilascio dei prigionieri di guerra catturati al Cranico, e Alessandro acconsentì alla richiesta, concedendo ciò che aveva categoricamente rifiutato nel 333 (Arr., I, 29, 6). Il cambio di atteggiamento era certamente connesso con la mutata situazione nella Grecia vera e propria. Dal 332 era in corso una guerra a Creta tra le forze macedoni e l'esercito mercenario del re spartano Agide, e c'era pericolo che le ostilità si diffondessero anche nel continente. Alessandro aveva reagito incaricando l'ammiraglio Anfotero, al comando di una grande flotta, di intervenire a Creta e sostenere gli alleati macedoni nel Peloponneso (v. sotto, pp. 272 sgg.), ma non aveva alcuna intenzione di affrontare di persona la questione. Le sue attenzioni erano incentrate esclusivamente sulla successiva campagna contro Dario, e le uniche risorse che poteva dirottare sull'occidente erano navi e denaro. | << | < | > | >> |Pagina 22019. L'ultimo annoNELLA PRIMAVERA DEL 324 l'esercito lasciò Susa e la maggior parte delle forze di terra, al comando di Efestione, marciò direttamente verso il Golfo Persico. Quanto ad Alessandro, fece imbarcare la sua guardia di fanteria e alcuni contingenti dei Compagni e partì per la foce dell'Euleo (Karun), ripercorrendo l'ultimo tratto del viaggio di Nearco. Come aveva fatto in India, si spinse in mare aperto e navigò con un esiguo squadrone fino alla foce del Tigri. La maggioranza della flotta invece prese un canale che collegava l'Euleo con il basso Tigri, e l'esercito si radunò vicino al grande estuario in cui poi il Tigri sfociava. Fu questo il sito destinato a una nuova Alessandria, la futura Spasinou Charax. Vi fu trapiantata la popolazione di una città della zona, Durine, in modo da dotare la fondazione di manodopera agricola e in uno speciale quartiere chiamato Pelleo, dal nome della capitale macedone, furono insediati alcuni gruppi scelti di militari macedoni ormai giunti in età di congedo (v. sotto, p. 340). Ben pochi di quei coloni forzati saranno stati soddisfatti della propria sorte, e il malcontento fra le truppe non potè che aumentare. Dal punto di ricongiungimento, Alessandro seguì il Tigri verso nord entrando in Mesopotamia. Procedendo, provvide a demolire la serie di cataratte artificiali che rendevano il fiume non navigabile. Era la fine della primavera e la portata del fiume era notevole, l'acqua fluiva a torrenti sopra le dighe di sbarramento attraverso le quali, nelle stagioni più miti, veniva fatta in parte defluire fino ai canali d'irrigazione. I locali spiegarono che quel sistema di dighe serviva anche da difesa contro un attacco navale, ma Alessandro ordinò sdegnosamente di rimuovere le dighe in modo che il Tigri fosse accessibile alle sue flotte. In parte questa decisione fu presa con l'intento di preparare da subito l'offensiva contro l'Arabia prevista per l'anno successivo, durante la quale sarebbe stato necessario far giungere un'armata dalla Mesopotamia, e a quello scopo Alessandro intendeva rendere praticabile il fiume; il Tigri avrebbe ricevuto traffico navale da entrambe le direzioni, mentre il nuovo insediamento alla foce del fiume sarebbe servito da arsenale. Non ebbe alcuna esitazione a distruggere opere di vitale importanza per l'irrigazione pur di migliorare la navigabilità. Sull'Eufrate invece non c'erano barriere artificiali al trasporto navale e i preparativi per la spedizione ebbero effetti positivi, migliorando il sistema di canali esistente, così da garantire sempre un flusso d'acqua adeguato (v. sotto, p. 236). Una volta che la campagna fosse cominciata, niente doveva impedire il passaggio delle sue flotte. Furono anche organizzate spedizioni di ricognizione, e la costa araba venne sorvegliata fino agli stretti di Hormuz. Il fervore e il livello dei preparativi (v. sopra, pp. 211-13} testimoniano eloquentemente dell'importanza che i nuovi progetti di conquista avevano agli occhi di Alessandro. Erano ancora proiettati su scadenze future non definite, ma determinavano già le azioni presenti. | << | < | > | >> |Pagina 378CAPITOLO 7
La divinità di Alessandro
NELLO SVILUPPO DEL culto del sovrano il regno di Alessandro rappresenta uno spartiacque. Dopo la sua morte il conferimento di onori divini ai monarchi viventi divenne pressoché usuale. Prima di tale periodo, questo fenomeno è menzionato molto raramente dalle fonti, e i pochi casi attestati hanno suscitato da parte di qualche studioso moderno un certo scetticismo. Che Alessandro abbia mutato l'intero clima di pensiero, creando un precedente per l'adorazione del sovrano come dio incarnato e anticipando in questo senso i culti dei successivi governanti ellenistici, è fuor di dubbio. Molto meno chiaro è il processo di trasformazione nel corso del regno e in quale misura Alessandro credesse nella propria divinità. L'aspetto che si presenta subito è quello della sua profonda consapevolezza di una discendenza eroica (in quanto argeade, faceva risalire la propria stirpe a Eracle e in definitiva a Dioniso); un altro elemento è la sua convinzione di essere in qualche modo il figlio di Zeus, pari quindi almeno a Eracle; infine, c'è la sua concezione d'incarnare un dio tra gli uomini. Queste categorie sono fondamentalmente differenti e rappresentano diversi aspetti del pensiero religioso greco, ma nella mente di Alessandro dovettero fondersi tra loro. La sua assunzione di un ruolo potrebbe aver condotto automaticamente all'altro; con il tempo, proclamandosi figlio di Zeus e in virtù anche delle tante adulazioni in questo senso, è possibile che egli stesso abbia cominciato a credere alla propria divinità. Originariamente, c'era sempre stata una chiara distinzione tra dio e uomo, basata sull'invalicabile discriminante tra mortalità e immortalità. Per definizione gli dèi erano senza età ed estranei alla morte, laddove i mortali erano per definizione soggetti all'una e all'altra. | << | < | > | >> |Pagina 400APPENDICE B
Atene nel 324-23 a.C.: alcuni problemi di prosopografla
NEL 1918 B. LEDNARDOS pubblicò una dedica efebica rinvenuta nel santuario
di Anfiarao a Oropo, (Cfr. Reinmuth 1971, pp. 58-82, n. 18). L'epigrafe elenca
gli efebi della tribù leontide insieme ai loro lochagoì e termina nominando un
certo numero di ufficiali premiati con la corona per i loro servigi. Vi sono
anche gli ufficiali dell'ephebeia e tre generali: due dei nomi inclusi ci
riguardano in particolar modo: Leostene, figlio di Leostene, di Cefale, che era
il generale responsabile della chóra; e Filocle, figlio di Formione, di Ereade,
che svolgeva la funzione di kosmetés. I due uomini furono immediatamente
identificati con Leostene, l'eroe della guerra lamiaca, e con Filocle, il
generale che comandava Munichia quando Arpalo chiese di entrare ad Atene, e di
cui è nota una carica attinente all'efebia al tempo del suo processo nel 323
(Din., III, 15). A questo punto fu un naturale corollario datare l'iscrizione
all'anno magistratuale 324-23, quando Diceogene, che l'epigrafe attesta come
generale al Pireo, risulta documentato come detentore di questo grado, molto
probabilmente proprio presso il Pireo (IG, II, 1631, righe 380-81).
Sfortunatamente questa identificazione comporta gravi problemi storici. Reinmuth
(pp. 67-68) nega che questo Filocle possa essere lo stesso dell'affaire Arpalo,
obiettando che ben difficilmente avrebbe potuto essere eletto kosmetés se era
stato ignominiosamente allontanato dall'incarico (Din., IlI, 15) e condannato
per corruzione. Per risolvere l'incongruenza, dovremmo presumere che Filocle sia
stato reintegrato nella carica prima della fine dell'anno magistratuaìe, il che,
se pure non si può escludere a priori, rimane non documentato e comunque
altamente improbabile. Jaschinski (1981, pag 51-54) si è spinto oltre negando
anche l'identificazione di Leostene. Qui sta il punto chiave. Se Leostene non è
il generale acquartierato al Tenaro, non v'è ragione valida per mantenere la
datazione dell'epigrafe al 324-23.
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