Copertina
Autore Pierre Bourdieu
Titolo Il mondo sociale mi riesce sopportabile perché posso arrabbiarmi
Edizionenottetempo, Roma, 2004, Ritratti , pag. 56, cop.fle., dim. 140x200x5 mm , Isbn 978-88-7452-018-3
OriginaleSi le monde social m'est supportable, c'est parce que je peux m'indigner [2002]
PrefazioneAntoine Spire
TraduttoreStefano Chiodi
LettoreRiccardo Terzi, 2004
Classe sociologia
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Indice

I fondamenti del pensiero di Pierre Bourdieu
di Antoine Spire                                7

Il mondo sociale mi riesce sopportabile
perché posso arrabbiarmi                       13



 

 

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Pagina 17

PIERRE BOURDIEU - Sí, mi fa piacere che lei abbia pronunciato ancora una volta due parole come rivelare, svelare, e non denunciare, il che è molto importante, perché si pensa che svelare equivalga a denunciare. Un problema sta nel fatto che le cose svelate dalla sociologia sono sia implicite sia rimosse, e che il semplice fatto di svelarle possiede un carattere di denuncia. Inoltre chi legge o sente parlare di ciò che viene svelato, si sente colpito in cose molto profonde che non vuole conoscere, anzi, non solo non vuole conoscerle, non vuole proprio saperne. E cosí si attribuiva al sociologo l'intenzione di denunciare. Dicendo svelamento penso che lei abbia già fatto un passo importantissimo verso ciò che credo sia la verità del mio modo di operare. E in che consista questo lavoro di svelamento è presto detto: mettere in luce - era una delle intenzioni tradizionali della filosofia - cose che in certo modo tutti conoscono, ma poste a un livello di profondità tale da non permettere una facile ricerca.

Per far capire quel che ho da dire in sociologia potrei usare la parabola di Socrate e del piccolo schiavo: ritengo che il sociologo sia qualcuno che a prezzo di un lavoro d'inchiesta, di interrogazione, utilizzando mezzi e tecniche moderne, fa nascere dagli altri qualcosa che essi sanno senza saperlo.

ANTOINE SPIRE - Allora perché le cose nascoste? Perché vi sono cose che non si dicono in questa guerra del gusto o guerra sociale? Perché?

PIERRE BOURDIEU - Le cose nascoste possono essere inconsce o implicite. Vi sono cose implicite che è difficile conoscere perché non sempre si possiedono gli strumenti o il tempo per esplicitarle - il privilegio degli intellettuali è avere tempo. Già Platone lo diceva: la skholę, vale a dire insieme il tempo libero e la scuola. Sono uomini di scuola che possono prendersi il tempo di ragionare, di interrogare, di riflettere su se stessi, sugli altri ecc.

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Pagina 20

PIERRE BOURDIEU - Si, si, penso sia vero quello che dice. Uno dei miei contributi riguarda proprio questo punto: ho cercato di dire che il "soggetto" degli atti sociali - uso il termine tra virgolette - non è un soggetto, non è un io cosciente che si pone fini espliciti, calcola i suoi mezzi in funzione di fini posti in modo esplicito, ecc. Non è un attore razionale - il che non vuol dire che sia un meccanismo che risponde automaticamente, come una macchina, agli stimuli esterni. Č quel che chiamo un habitus, vale a dire una storia incorporata, una storia fatta corpo, inscritta nel cervello ma anche nelle pieghe del corpo, nei gesti, nella maniera di parlare, nell'accento, nella pronuncia, nei tic, in tutto ciò che siamo. Questa storia incorporata è il principio a partire dal quale rispondiamo...

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Pagina 22

PIERRE BOURDIEU - Quando i filosofi parlano di potere, lo cercano da qualche parte, pensano sempre allo Stato, a luoghi in cui si incarna il potere, ma il potere è in realtà inafferrabile, è ovunque e in nessun luogo. Ma ciò non vuol dire che non sia piuttosto in certi luoghi che in altri, in una struttura vi sono punti centrali. E dunque, costruire una genealogia del dominio, come lei dice, vuol dire al tempo stesso cercare il potere sia nei meccanismi sociali che producono strutture, che nella testa degli individui. Attraverso l' habitus, attraverso questa sorta di storia incorporata, siamo sempre esposti al rischio di divenire complici dei vincoli che pesano su di noi, di collaborare al dominio su noi stessi. Penso che il momento centrale del mio lavoro sia l'analisi dei fondamenti delle forme simboliche di dominio; la violenza simbolica del potere di tipo coloniale, del dominio culturale, della mascolinità, sono altrettanti poteri che hanno in comune il fatto di essere esercitati in qualche modo da struttura a struttura. Sono poteri che risiedono in strutture oggettive, nella struttura dei salari, dei rapporti di forza coloniali, nella struttura del potere universitario, ecc., e si trovano al tempo stesso nella testa degli agenti. Queste strutture possono funzionare solo con la complicità di agenti che hanno interiorizzato le strutture secondo cui il mondo è organizzato. Tutte le lotte simboliche iniziano sempre con una denuncia che io chiamo oggettivista, denuncia delle forme oggettivate del dominio perché queste sono visibili, le si può toccare. Si dice "Abbasso lo Stato!" Ora, lo Stato agisce solo con ciò che ha messo di sé nel nostro cervello, e dunque condizione di qualsiasi lotta organizzata è una sorta di psicoanalisi della mente umana. Diciamo che una lotta politica organizzata comincia con se stessi.

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Pagina 32

Si tratta del problema centrale che le scienze sociali - al pari delle scienze psicologiche - hanno sollevato sin dal loro apparire nel mondo intellettuale: il problema della relazione tra storia e verità, tra storicità e verità. Se è vero che la verità è storica, che essa ha delle condizioni sociali di produzione, c'è allora una verità? Č un problema che si sono posti filosofi come Wittgenstein. Si possono fondare le verità matematiche su una specie di assolutismo platonico? Si può sfuggire al relativismo diversamente che presupponendo o un soggetto trascendentale o verità e valori eterni, irriducibili alle condizioni storiche del loro emergere, che diventano a questo punto semplici accidenti? Io penso di si. Credo che la sociologia possa rispondere positivamente, con una risposta scientifica, alla questione della verità. Tutto questo può sembrare arrogante, e per questo faccio una battuta d'arresto, come al circo in certi casi si fanno rullare i tamburi. La sociologia permette di descrivere le condizioni sociali nelle quali si instaurano degli universi in cui per trionfare, quali che siano le ragioni che muovano a cercare il trionfo, occorre avere ragione, occorre avere delle ragioni. Prendo un esempio semplice: un mondo matematico è un universo in cui si può essere mossi da pulsioni, si vuole essere i primi, si vuole avere la medaglia Fields, si vuole uccidere un collega, ma dove, se si vuole uccidere, occorre inventare un teorema, una refutazione. Per vincere si è obbligati a piegarsi alle leggi che in quel contesto esigono forme, coerenza, logica, una forma di discussione: non si può dire qualsiasi cosa. Lottare per la verità, che io chiamo la Realpolitik della ragione, vuol dire lottare perché si verifichino condizioni sociali favorevoli all'instaurarsi di universi sociali sottoposti a questo genere di regole. Quando ad esempio mi occupo di una riforma dell'istruzione, io lotto per la verità, e lo stesso accade quando rendo esplicito, come sto facendo ora, il funzionamento di questo universo.

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