Copertina
Autore Pierre Bourdieu
Titolo Il senso pratico
EdizioneArmando, Roma, 2005, Modernità e società , pag. 432, cop.fle., dim. 13,2x21,3x2,7 cm , Isbn 978-88-8358-402-2
OriginaleLe sens pratique
EdizioneLes Editions de Minuit, Paris, 1980
TraduttoreMauro Piras
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe sociologia , filosofia
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Indice

Prefazione                                       9

Parte I. Critica della ragione teorica          41

Premessa                                        43

Capitolo primo
Oggettivare l'oggettivazione                    50

Capitolo secondo
L'antropologia immaginaria del soggettivismo    68

Capitolo terzo
Strutture, habitus, pratiche                    83

Capitolo quarto
La credenza e il corpo                         103

Capitolo quinto
La logica della pratica                        125

Capitolo sesto
L'azione del tempo                             153

Capitolo settimo
Il capitale simbolico                          174

Capitolo ottavo
I modi di dominio                              189

Capitolo nono
L'oggettività del soggettivo                   210


Parte II. Logiche pratiche                     223

Premessa                                       225

Capitolo primo
La terra e le strategie matrimoniali           228

Capitolo secondo
Gli usi sociali della parentela                248
    Lo stato della questione                   250
    Le funzioni delle relazioni e
    il fondamento dei gruppi                   255
    L'ordinario e lo straordinario             273
    Strategie matrimoniali e riproduzione
    sociale                                    286

Capitolo terzo
Il demone dell'analogia                        305
    La formula generatrice                     317
    La partizione fondamentale                 335
    Soglie e passaggi                          342
    La trasgressione negata                    351
    Trasferimenti di schemi e omologie         377
    Il buon uso dell'indeterminazione          391

Appendice
La casa o il mondo alla rovescia               403

Pierre Bourdieu. Cenni bio-bibliografici       421
(a cura di Mauro Piras)

Bibliografia                                   423

Indice analitico                               426

 

 

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Pagina 9

Prefazione


Quali particolari affinità gli sembrava esistessero fra la luna e la donna?

La sua antichità nel precedere e sopravvivere a successive generazioni telluriche: la sua dominazione notturna: la sua dipendenza di satellite: il suo riflesso luminare: la costanza in tutte le sue fasi, il sorgere, il tramontare al momento stabilito, luna crescente e calante; l'invariabilità forzata del suo aspetto: la sua risposta indeterminata all'interrogazione non affermativa: il suo influsso sul flusso e riflusso delle acque: il suo potere di far invaghire, di mortificare, di rivestire di bellezza, di rendere folli, di incitare e coadiuvare alla delinquenza: la tranquilla imperscrutabilità del suo volto: la terribilità della sua isolata dominante implacabile risplendente vicinanza: i suoi auspici di tempesta e di bonaccia: lo stimolo della sua luce, del suo movimento e della sua presenza: l'ammonimento dei suoi crateri, i suoi mari aridi, il suo silenzio: il suo splendore, quando visibile: la sua attrazione quando invisibile.

J. Joyce, Ulisse


Il progresso della conoscenza, nella scienza sociale, presuppone un progresso nella conoscenza delle condizioni della conoscenza; perciò esso esige dei ritorni ostinati agli stessi oggetti (qui, quelli di Per una teoria della pratica e, secondariamente, della Distinzione), che sono altrettante occasioni di oggettivare in modo più completo il rapporto oggettivo e soggettivo con l'oggetto. E se bisogna tentare di ricostruirne retrospettivamente le tappe, è perché questo lavoro – che si esercita prima di tutto su chi lo compie, e che alcuni scrittori hanno tentato di inscrivere nell'opera stessa nel suo farsi, work in progress, come diceva Joyce — tende a far scomparire le proprie tracce. Ora, l'essenziale di ciò che cerco di comunicare qui, e che non ha nulla di personale, rischierebbe di perdere il suo senso e la sua efficacia se, dissociandolo dalla pratica da cui è partito e a cui dovrebbe ritornare, lo si riducesse all'esistenza irreale e neutralizzata delle "tesi" teoriche o dei discorsi epistemologici.

Non è facile rievocare gli effetti sociali prodotti, nell'ambito intellettuale francese, dalla comparsa dell'opera di Claude Lévi-Strauss, e le mediazioni concrete attraverso le quali si è imposto a tutta una generazione un nuovo modo di concepire l'attività intellettuale contrapposta dialetticamente alla figura dell'intellettuale "totale", decisamente rivolto alla politica, incarnata da Jean-Paul Sartre. Questo confronto esemplare di certo ha contribuito non poco a incoraggiare, tra molti di coloro che si orientavano allora verso le scienze sociali, l'ambizione di riconciliare le intenzioni teoriche e quelle pratiche, la vocazione scientifica e quella etica, o politica, così spesso separate, in un modo più umile e responsabile di svolgere il loro compito di ricercatori, sorta di mestiere militante, lontano tanto dalla scienza pura quanto dalla profezia esemplare.

Lavorare, nell'Algeria in lotta per la sua indipendenza, ad un'analisi scientifica della società algerina significava tentare di comprendere e di far comprendere i fondamenti e gli obiettivi reali di questa lotta, obiettivi che erano palesemente differenziati sul piano sociale, se non antagonisti, al di là dell'unità necessaria a livello strategico, e cercare così non, ovviamente, di orientarne il corso, ma di renderne prevedibili, dunque più difficili, le probabili derive. Perciò non posso rinnegare, nelle loro stesse ingenuità, degli scritti che, per quanto allora mi siano sembrati realizzare la cercata riconciliazione fra l'intenzione pratica e quella scientifica, devono molto al contesto emotivo in cui sono stati composti; meno ancora posso rinnegare le anticipazioni o, più esattamente, gli avvertimenti con cui si concludevano i due studi empirici sulla società algerina, Travail et travailleurs en Algérie (Lavoro e lavoratori in Algeria) e Le déracinement (Lo sradicamento), anche se essi sono serviti in seguito (soprattutto il secondo) a giustificare alcune delle derive che si sforzavano di prevenire.

Se e superfluo ricordare che, in un tale contesto, in cui il problema del razzismo si poneva in ogni momento come una questione di vita o di morte, un libro come Razza e storia era ben altro che una presa di posizione intellettuale contro l'evoluzionismo, è più difficile comunicare lo choc inseparabilmente intellettuale ed emotivo suscitato dal vedere analizzare come un linguaggio che ha in sé la sua ragione e la sua ragion d'essere le mitologie degli Indiani d'America. Ciò soprattutto dopo aver letto, nel corso della ricerca, molte delle innumerevoli raccolte di fatti rituali, registrati spesso senza ordine né metodo, e destinati ad apparire totalmente privi di senso, di cui traboccano le biblioteche e le bibliografie dedicate all'Africa del Nord. La minuziosità e la pazienza rispettose con cui Claude Lévi-Strauss, nel suo seminario al Collège de France, scomponeva e ricomponeva le sequenze in apparenza prive di senso di quei racconti non poteva non apparire come la realizzazione esemplare di una specie di umanesimo scientifico. Se azzardo questa espressione, malgrado tutto ciò che essa può avere di derisorio, è perché mi sembra esprimere in modo abbastanza preciso quella specie di entusiasmo metascientifico per la scienza con cui ho intrapreso lo studio del rituale cabilo, oggetto che avevo inizialmente escluso dalle mie ricerche, in nome dell'idea che porta oggi alcuni, soprattutto nelle ex colonie, a considerare l'etnologia una sorta di essenzialismo fissista, attento agli aspetti della pratica più adatti a rafforzare le rappresentazioni razziste. E infatti quasi tutti i lavori parzialmente o totalmente dedicati al rituale disponibili quando preparavo la mia Sociologie de l'Algérie (Sociologia dell'Algeria) mi sembravano colpevoli, almeno nella loro intenzione oggettiva e nei loro effetti sociali, di una forma particolarmente scandalosa di etnocentrismo, quella consistente nell'esporre, senza altra giustificazione che un vago evoluzionismo frazeriano fatto apposta per giustificare l'ordine coloniale, delle pratiche destinate ad essere percepite come ingiustificabili. È per questo che mi orientai allora in tutt'altra direzione, indicata da alcuni lavori esemplari: quelli di Jacques Berque, le cui Structures sociales du Haut Atlas (Le strutture sociali dell'Alto Atlante), modello, particolarmente prezioso in questo campo, di metodologia materialista, e i cui splendidi articoli, Qu'est-ce qu'une tribu nord-africaine? (Che cos'è una tribù nord-africana?) e Cent vingt-cinq ans de sociologie maghrébine (Centoventicinque anni di sociologia magrebina), mi hanno fornito innumerevoli stimoli e preziosi punti di riferimento; quelli di André Nouschi, i cui studi di storia agraria mi hanno incitato a cercare nella storia della politica coloniale e in particolare nelle grandi leggi fondiarie il principio delle trasformazioni subite dall'economia e dalla società contadina, e questo fino alle regioni in apparenza meno direttamente toccate dalla colonizzazione; quelli di Emile Dermenghem e Charles-André Julien che, in ambiti diversi, hanno orientato il mio sguardo di debuttante.

Non sarei mai potuto giungere allo studio delle tradizioni rituali se la stessa intenzione di "riabilitazione" che mi aveva portato a escludere all'inizio il rituale dall'universo degli oggetti legittimi, e a guardare con sospetto tutti i lavori che lo accoglievano, non mi avesse spinto, a partire dal 1958, a tentare di sottrarlo alla falsa sollecitudine primitivista: a forzare, fin nei suoi ultimi trinceramenti, il disprezzo razzista che, con la vergogna di sé che giunge ad imporre alle proprie vittime, contribuisce a interdire loro la conoscenza e il riconoscimento della loro tradizione. Infatti, per quanto grande sia l'effetto di licitazione ed istigazione prodotto, più inconsciamente che consciamente, dal fatto che un problema o un metodo si costituisca come altamente legittimo nel campo scientifico, ciò non poteva far dimenticare del tutto l'incongruità, se non l'assurdità, di un'indagine sulle pratiche rituali condotta nelle tragiche circostanze della guerra. Ne ho rivissuto recentemente l'evidenza ritrovando delle fotografie di giare murate decorate di serpenti e destinate a ricevere il grano per la semenza, che avevo fatto negli anni sessanta nel corso di un'indagine condotta nella regione di Collo, e che devono la loro buona qualità, per quanto realizzate senza flash, al fatto che il tetto della casa a cui erano incorporati questi "mobili" immobili (perché "murati") era stato distrutto quando gli abitanti ne erano stati espulsi dall'esercito francese. Non c'era dunque bisogno di una particolare lucidità epistemologica né di una speciale vigilanza etica o politica per interrogarsi sulle determinanti profonde di una libido sciendi così evidentemente "fuori luogo". Questa inevitabile inquietudine trovava una certa pacificazione nell' interesse sempre mostrato dagli informatori nei confronti di questa ricerca quando diventava anche la loro, cioè uno sforzo per riappropriarsi di un senso ad un tempo "proprio ed altro". Resta il fatto che è stato senza dubbio il sentimento della "gratuità" dell'indagine puramente etnografica ad incitarmi ad intraprendere, nel quadro dell'Institut de Statistique di Algeri, con Alain Darbel, Jean-Paul Rivet, Claude Seibel e un gruppo di studenti algerini, le due indagini che dovevano servire da base alle due opere dedicate all'analisi della struttura sociale della società colonizzata e delle sue trasformazioni, Travail et travailleurs en Algérie e Le déracinement, così come a diversi articoli più etnografici, in cui tentavo di analizzare gli atteggiamenti temporali che fondano le condotte economiche precapitalistiche.

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Premessa


«In che modo posso seguire una regola?» – se questa non è una domanda riguardante le cause, è una richiesta di giustificare il fatto che, seguendo la regola, agisco così.

Quando ho esaurito le giustificazioni arrivo allo strato di roccia, e la mia vanga si piega. Allora sono disposto a dire: «Ecco, agisco proprio così».

L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche


In ciò l'uomo si differenzia dagli altri animali, nell'essere il più portato ad imitare (mimetikotaton) e nel procurarsi per mezzo dell'imitazione (dia mimeseos) le nozioni fondamentali.

ARISTOTELE, Poetica


Di tutte le opposizioni che dividono artificialmente la scienza sociale, la più fondamentale, e la più rovinosa, è quella che si instaura tra il soggettivismo e l'oggettivismo. Il suo stesso ritornare incessante in forme appena rinnovate basterebbe a provare che i modi di conoscenza da essa distinti sono egualmente indispensabili ad una scienza del mondo sociale non riducibile ad una fenomenologia sociale né ad una fisica sociale. Per superare l'antagonismo che oppone questi due modi, pur conservando le acquisizioni di ognuno di essi (senza omettere ciò che la lucidità interessata produce sulla posizione opposta), bisogna esplicitare i presupposti che hanno in comune in quanto modi scientifici di conoscenza, entrambi opposti al modo pratico di conoscenza che fonda l'esperienza ordinaria del mondo sociale. Ciò presuppone che vengano sottoposte ad un'oggettivazione critica le condizioni epistemologiche e sociali che rendono possibile tanto il ritorno riflessivo sull'esperienza soggettiva del mondo sociale quanto l'oggettivazione delle condizioni oggettive di tale esperienza.

Il modo di conoscenza che si può chiamare fenomenologico ha per oggetto la riflessione su un'esperienza che, per definizione, non si riflette, la relazione primaria di familiarità con l'ambiente familiare, e porta così alla luce la verità di tale esperienza che, per quanto illusoria possa sembrare da un punto di vista "oggettivo", rimane perfettamente certa in quanto esperienza. Ma esso non può andare oltre una descrizione di ciò che caratterizza l'esperienza "vissuta" del mondo sociale, cioè il fatto di coglierlo come evidente, come ovvio (taken for granted); questo perché esso esclude il problema delle condizioni di possibilità di tale esperienza, cioè la coincidenza delle strutture oggettive e delle strutture incorporate che genera l'illusione della comprensione immediata, caratteristica dell'esperienza pratica nell'universo familiare, e esclude così da questa ogni domanda sulle proprie condizioni di possibilità. E, in senso più profondo, anche perché il modo di conoscenza fenomenologico, come la conoscenza pratica che prende per oggetto, esclude ogni interrogazione sulle proprie condizioni sociali di possibilità; più precisamente, sul significato sociale della epochè — pratica necessaria per accedere all'intenzione di comprendere la comprensione prima o, se si vuole, sul rapporto sociale del tutto paradossale che il ritorno riflessivo sull'esperienza doxastica presuppone.

L'oggettivismo, che ha il progetto di determinare regolarità oggettive (strutture, leggi, sistemi di relazioni, ecc.) indipendenti dalle coscienze e dalle volontà individuali, introduce una discontinuità netta tra la conoscenza scientifica e la conoscenza pratica, rigettando allo stato di "razionalizzazioni", "prenozioni" o "ideologie" le rappresentazioni più o meno esplicite di cui questa si arma. Esso ricusa così il progetto di identificare la scienza del mondo sociale con una descrizione scientifica della sua esperienza prescientifica o, più precisamente, di ridurre la scienza sociale, come Schütz e la fenomenologia, a «costrutti di secondo grado, cioè costrutti dei costrutti fatti dagli attori sulla scena sociale» o, come Garfinkel e l'etnometodologia, a "resoconti dei resoconti" (accounts) prodotti dagli agenti. Esso solleva, almeno oggettivamente, la questione rimossa delle condizioni particolari che rendono possibile l'esperienza doxastica del mondo sociale. Così, per esempio, ricordando che la comprensione immediata è possibile se e soltanto se gli agenti concordano oggettivamente in modo tale da associare lo stesso senso allo stesso segno, parola, pratica o opera, e lo stesso segno allo stesso senso o, in altri termini, da riferirsi, nelle loro operazioni di codifica e decodifica, ad un solo e identico sistema di relazioni costanti, indipendenti dalle coscienze e dalle volontà individuali ed irriducibili alla loro esecuzione in pratiche o opere (per esempio, la lingua come codice o cifra), la semiologia saussuriana (o i suoi derivati, come lo strutturalismo antropologico) non contraddice l'analisi fenomenologica dell'esperienza primaria del mondo sociale come comprensione immediata; essa ne definisce solo i limiti di validità, determinando le condizioni particolari in cui tale esperienza è possibile (cioè la coincidenza perfetta dei codici impiegati nella codifica e nella decodifica) e che l'analisi fenomenologica ignora.

Resta il fatto che, in tutte queste operazioni, l'oggettivismo non prende affatto in esame ciò che è inscritto nella distanza e nell'esteriorità rispetto all'esperienza primaria, distanza che è insieme condizione e prodotto delle operazioni di oggettivazione: dimenticando ciò che l'analisi fenomenologica dell'esperienza del mondo familiare ricorda, cioè l'apparenza di immediatezza con cui il senso di questo mondo si mostra, esso omette di oggettivare la relazione oggettivante, cioè la rottura epistemologica che è anche una rottura sociale. E, poiché ignora la relazione tra il senso vissuto esplicitato dalla fenomenologia sociale e il senso oggettivo costruito dalla fisica sociale o dalla semiologia oggettivista, esso si vieta di analizzare le condizioni di produzione e di funzionamento del senso del gioco sociale che permette di vivere come ovvio il senso oggettivato nelle istituzioni.

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