Copertina
Autore Ori Brafman
CoautoreRom Brafman
Titolo Sway
SottotitoloIl richiamo irresistibile dell'irrazionale
EdizioneNuovi Mondi, Modena, 2009 , pag. 240, cop.fle., dim. 14x20,8x2 cm , Isbn 978-88-8909-161-6
OriginaleSway [2008]
TraduttoreMauro Gurioli
LettoreGiorgia Pezzali, 2009
Classe psicologia
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Indice


PREFAZIONE                                        7

Una casetta nella prateria a Tel Aviv.
L'amianto e gli interventi a cuore aperto.
L'O-ring ignorato.
La diagnosi sul paziente sbagliato.
Lo scontro tra psicologia e affari.

Capitolo 1
ANATOMIA di un INCIDENTE                         17

Decollare a Tenerife.
I compratori di uova troppo sensibili.
Il fascino della tariffa fissa.
Ti piacerebbe un'assicurazione così?
Addio, Martha's Vineyard.

Capitolo 2
La PALUDE dell'OBBLIGO ALLA COERENZA             37

Giocare per non perdere.
La strategia "Fun-n-Gun".
Solo i Gators ne uscivano vivi.
La banconota da 20 dollari... che ne vale 204.
La fine della "Great Society".
"Non sappiamo nemmeno dov'è il tunnel".

Capitolo 3
l'HOBBIT e l'ANELLO MANCANTE                     55

Il vero Indiana Jones.
Caccia all'anello mancante.
Lo Stradivari in metropolitana.
Cosa c'è in quell'hot dog da 5 centesimi?
Homer Simpson e l'Uomo di Piltdown.
Una bevanda a prezzo scontato fa calare il QI?
Shakespeare si sbagliava.
Un confronto paleontologico all'americana.

Capitolo 4
MICHAELJORDAN
e il COLLOQUIO DA PRIMO APPUNTAMENTO             85

La maledizione della seconda scelta.
Il professore "freddo".
Gli innamorati del college e i selezionatori
  del personale hanno qualcosa in comune.
Quando una bella foto è come un tasso
  d'interesse migliore.
L'effetto "specchio specchio delle mie brame".
La soluzione di Joe Friday.

Capitolo 5
EPIDEMIA BIPOLARE e l'EFFETTO CAMALEONTE        115

Una rivoluzione nella psichiatria.
I confetti di zucchero e il Prozac.
Come ingannare i comandanti dell'esercito
  israeliano.
Essere belli al telefono.
Quanto ti senti vecchio?
Il ponte dell'amore.

Capitolo 6
In FRANCIA, il SOLE RUOTA INTORNO alla TERRA    141

Chi vuol far fesso un milionario?
La spartizione della torta.
I rivenditori d'auto sentimentali.
Il dialogo come cura per criminali e investitori.
La giustizia russa.
La razionalità dei Machiguenga.

Capitolo 7
RICOMPENSE e COCAINA                            165

L'enigma tossico della Svizzera.
Ribellarsi al test GMAT.
La forza del centro di piacere.
Sconfiggere l'altruismo.
Festa grande alla "Commie High".
Il fattore anticipazione.

Capitolo 8
UNA GIUSTIZIA DISCORDANTE                       181

La conferenza della Corte Suprema.
La pressione dei pari e i fondi di bottiglia.
Ferris Bueller e il recalcitrante.
"Non ci importa del nome che date alle patatine".
Il capitano non è Dio.
Pensare a voce alta, ma non solo.
Giustizia è fatta.

EPILOGO                                         115

Nuotare con la corrente di marea.
Il potere della lungimiranza.
Economia zen.
Il pensiero propositivo.
Ciò che un uomo butta, per una donna è
  un capolavoro.
L'elettricista, il bancario e
  l'informatore farmaceutico.
Il vero avvocato del diavolo.

NOTE                                            119



 

 

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Pagina 7

Prefazione


Quando eravamo piccoli mia madre aveva due idoli e sperava con tutto il cuore che avremmo tentato di emularli.

Il primo - e quanto al primato non c'era davvero storia - era Laura Ingalls de La casa nella prateria che, agli occhi di nostra madre, era l'immagine della perfezione. Quando osavamo risponderle a tono, lei ci apostrofava severa: "Laura Ingalls parlerebbe mai così?". Dimenticavamo di fare i compiti, lasciavamo i piatti sporchi nell'acquaio o, più in generale, combinavamo qualche guaio... e Laura Ingalls, viaggiando dalle praterie americane del XIX secolo fino alla Tel Aviv degli anni '80 del XX, veniva ad ammonirci di rigare dritto.

La seconda figura eroica era Reli, cugina di nostra madre, un avvocato arrogante che si aggiudicò il titolo di miglior diplomata alla facoltà di Legge di Harvard. E anche ai nostri occhi Reli era diventata colei capace perfino di camminare sulle acque.

Nonostante in terza superiore mio fratello Ori un pensierino a studiare Legge l'abbia fatto, nessuno di noi intraprese la carriera forense. Tuttavia, considerando anche Reli, agli occhi di una madre ebrea noi rappresentiamo l'equivalente della Santa Trinità: Reli l'avvocato, Rom lo psicologo (lo definiremo "dottore") e Ori, l'uomo d'affari.

In un certo senso, questo libro è nato dai diversi percorsi che abbiamo seguito nella vita. Mentre Rom stava conseguendo il dottorato in psicologia, Ori conquistava il master in business administration. Durante il primo giorno di lezione col professor Roberto Fernandez, aspettandosi di trovarsi immerso nel mare della finanza, dell'economia e della contabilità, Ori si rese conto che quel mare non era affatto calmo. Fernandez aveva una voce in grado di attraversare sette muri ed era circondato da un'aura che ti teneva in bilico sul bordo della sedia. Quel primo giorno disse alla classe di nuovi alunni affamati di sapere: "Ho una notizia da darvi: le persone non sono affatto razionali". E così dicendo, fece partire un filmato pieno d'interferenze, girato negli anni '50, in cui veniva mostrato un intervento a cuore aperto. "Vedete quella sostanza bianca che stanno versando nel cuore del ragazzo?", illustrava Fernandez. "È amianto". Gli studenti rimasero senza fiato, incapaci di reagire.

"Dico sul serio", tuonò. "Com'era prevedibile, i pazienti a cui era stato somministrato l'amianto iniziarono a morire". L'ospedale, tuttavia, aveva continuato a utilizzare quel procedimento. "Quante volte", chiese Fernandez alla classe, "chiudiamo un occhio di fronte alle informazioni oggettive?".

Poi cambiò argomento e distribuì delle copie di una tabella piena di dati d'ingegneria meccanica che riguardavano un sigillo di gomma sintetico denominato O-ring. "Date un'occhiata a questo grafico", disse. "Rappresenta la probabilità che si verifichi un guasto meccanico quando la temperatura diminuisce sensibilmente". I dati evidenziavano che, in corrispondenza dello zero termico, l' O-ring perdeva la propria flessibilità e funzionava male. Nessuno degli studenti sapeva come venisse usato. Scoprirono che l'O-ring in questione rientrava nel progetto dello shuttle spaziale Challenger. La notte prima del lancio, gli ingegneri dell'azienda che aveva fabbricato l'O-ring consigliarono vivamente di rimandare la partenza, poichè non avevano prove esaustive sul fatto che il pezzo avrebbe resistito alle basse temperature previste per il giorno seguente. Tuttavia, nonostante le loro preoccupazioni, la dirigenza decise di procedere ugualmente al lancio.

Mentre la classe di Ori ascoltava come ipnotizzata, Fernandez attaccò con altre storie analoghe di comportamenti irrazionali: produttori esecutivi costretti ad assumere attrici evidentemente non adatte alla parte, un industriale che aveva fabbricato consapevolmente freni per gli aerei che potevano incendiarsi, e molto altro ancora.

Fernandez insisteva sul fatto che, sebbene la maggior parte di noi si ritenga razionale, in realtà siamo molto più inclini di quanto pensiamo a comportarci in modo irrazionale. Si trattava di una riflessione che Ori avrebbe condiviso per molto tempo dopo aver terminato il corso di studi, una riflessione che ci fece anche capire quanto le nostre future professioni avessero molti più punti in comune di quanto pensassimo all'inizio.

Fernandez entrava costantemente nel nostro vocabolario personale. Riferendoci a qualcuno che stava agendo in modo evidentemente irrazionale, dicevamo: "Questa è una situazione Fernandez al 100%". E ovunque guardassimo trovavamo situazioni di questo genere: nelle nostre vite, nelle storie che leggevamo sui passi falsi delle prime 500 aziende della classifica della rivista Fortune e anche nelle azioni dei politici.

Nel frattempo, pur non raggiungendo mai gli standard di Laura Ingalls, il destino volle che diventassimo entrambi scrittori e l'idea che ha portato alla creazione di questo libro scaturì in seguito a una conversazione a cena tra Ori e un medico che si era occupato di ostetricia per quasi trent'anni. Il dottor Jenkins possedeva tutte le qualità che si spera di trovare in uno specialista: era paziente, ascoltava, era intelligente e soprattutto era un medico di grande esperienza. Si poteva contare su di lui per prendere la decisione giusta. La conversazione si spostò sulle dinamiche di gruppo e sul fatto che le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nei processi decisionali. Senza pensare, Ori disse: "Sono sicuro che nella sua professione è molto diverso, siete tutti scienziati".

L'espressione del dottore si fece seria mentre spiegava che i medici non sono affatto immuni alle forze irrazionali. E visto che in questo caso sono in gioco delle vite, le ripercussioni dei comportamenti irrazionali possono essere devastanti.

Basti pensare a quanto accaduto al dottor Brian Hastings, medico di pronto soccorso. Quest'ultimo raccontò una storia che dimostra come i comportamenti irrazionali siano in grado di mandare fuori strada persino il più professionale dei medici.

Al pronto soccorso era giunta una donna in preda a una crisi di panico, sostenendo che la figlioletta di due anni, Amy, avesse dei terribili dolori di stomaco. I dolori addominali possono essere sintomo di una condizione benigna come l'indigestione, ma la donna era preoccupata che potesse trattarsi di qualcosa di più grave. Normalmente, i medici avrebbero dovuto iniziare a fare esami per valutare i sintomi di Amy.

Il dottor Hastings fece una pausa poi elencò rapidamente le procedure che i medici del pronto soccorso avrebbero potuto attivare. Tuttavia, anziché concentrarsi su Amy, i dottori focalizzarono la propria attenzione sulla madre, che era confusa e agitata e appariva oltremodo preoccupata. In pratica, sembrava il tipo di genitore che aveva reazioni eccessive. I medici decisero di rimandare Amy a casa.

Il giorno seguente Amy e sua madre si presentarono di nuovo al pronto soccorso. I medici sapevano che per curare un bambino è assolutamente essenziale prestare ascolto ai genitori, i quali in genere sono perfettamente in grado di percepire quando c'è qualcosa che non va nel figlio. Al contempo, tuttavia, i medici ora avevano ancor più prove del fatto che la madre di Amy stava reagendo in modo eccessivo: era tornata in ospedale e mostrava tutti i sintomi tipici dell'ipocondriaco che viene definito "frequent flyer" (per la frequenza assidua con cui si reca al pronto soccorso, NdT). Ancora una volta, i medici mandarono a casa Amy senza sottoporla ad alcun esame.

Il terzo giorno iniziò più o meno nello stesso modo dei precedenti: Amy e sua madre tornarono. I medici si convinsero ancora di più che la madre stava reagendo in modo eccessivo. Soltanto quando Amy perse conoscenza i dottori si resero conto che c'era qualcosa che non andava, ed era molto grave. Ma ormai era troppo tardi.

Il dottor Hastings scosse la testa mentre ricordava: "L'abbiamo persa".

Se avessero considerato la situazione da tutti i punti di vista, i medici del pronto soccorso avrebbero riconosciuto la necessità di tenere Amy almeno sotto osservazione. Al contrario, essi ignorarono i segnali di avvertimento, rimandando più volte a casa la piccola. Nel momento in cui etichettarono la madre di Amy come "frequent flyer", furono stregati dall'incantesimo di una forza irrazionale che definiamo il pregiudizio della diagnosi: in altre parole, nel momento in cui etichettiamo una persona o una situazione, tendiamo a ignorare tutti i dati di fatto che contraddicono la nostra diagnosi.

Per quale motivo quei medici, qualificati e dotati di esperienza, fecero una scelta che contraddiceva anni e anni di carriera e che in ultima istanza costò la vita a una bambina? Volevamo capire il meccanismo sotteso a questa situazione e alle infinite altre in cui le persone deviano dal sentiero del ragionamento logico. Quali sono le forze psicologiche alla base dei nostri comportamenti irrazionali? In che modo queste forze si insinuano in noi? In quale momento siamo più vulnerabili a esse? Come influenzano la nostra carriera, come plasmano le nostre relazioni lavorative e personali? In quali casi mettono a rischio le nostre finanze o addirittura la nostra vita? E perché non ci rendiamo conto di quando deviamo dalla retta via?

In questo libro esploreremo alcune delle forze psicologiche che mettono i bastoni tra le ruote al pensiero razionale. In tutti i contesti che abbiamo analizzato - in modo trasversale rispetto a campi d'azione, nazioni e culture - abbiamo osservato persone che abbandonavano i comportamenti razionali in modi molto simili tra loro. Tutti siamo sensibili all'influsso di atteggiamenti di questo tipo. Tuttavia, comprendendone meglio la forza seduttiva, è meno probabile rimanerne vittima.

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Capitolo 3

L'HOBBIT e L'ANELLO MANCANTE


Era una scena come quelle che si vedono nei film e per completare il quadro bastava solo aggiungere la colonna sonora di Indiana Jones.

Nell'autunno del 2004 la dottoressa Dean Falk, docente di Antropologia ed esperta in medicina legale, era a casa seduta di fianco al computer. Quando squillò il telefono, il primo pensiero che le passò per la mente fu: "Spero non sia un operatore di telemarketing". Non avrebbe mai potuto immaginare quanto sarebbe cambiata la sua vita dopo quella telefonata. "Salve", disse l'uomo all'altro capo del filo. "Mi chiamo David Hamlin e lavoro per la National Geographic Society".

Come se le stesse leggendo nella mente, si affrettò ad aggiungere: "E non voglio venderle riviste".

Hamlin tratteneva a stento il proprio entusiasmo:

"Sono almeno due mesi che muoio dalla voglia di parlarle. Non c'ero ancora riuscito perché ciò che sto per dirle era top secret. Ma adesso non è più un segreto, quindi sono libero di parlargliene".

"Mi sta prendendo in giro? Dice sul serio?"

Hamlin rise. "Posso assicurarle che sono serio. Sono appena tornato dall'Indonesia, dove abbiamo fatto delle riprese per la National Geographic Television", disse. "La sto chiamando perché Mike Morwood, il capo spedizione, mi ha consigliato di rivolgermi a lei". Hamlin iniziò a raccontare alla Falk di un ritrovamento inatteso che Morwood (allora un antropologo australiano poco conosciuto) aveva fatto sulla remota isola di Flores, nel mar di Giava.

Come ci spiegò in seguito la Falk, la cosa interessante di Flores e delle isole che le assomigliano è che in fatto di evoluzione sono grandi equalizzatori. In pratica, le specie piccole diventano più grandi mentre quelle grandi rimpiccioliscono. Il punto di convergenza corrisponde, più o meno, alle dimensioni di un pastore tedesco. Nessuno sa esattamente perché si verifichi questo fenomeno tipicamente insulare, ma gli scienziati ipotizzano che sia il risultato di un adattamento genetico all'ambiente, che presenta un numero relativamente basso di predatori ma una scorta di risorse limitata.

In effetti, nel corso di vari decenni gli antropologi che hanno lavorato a Flores hanno portato alla luce resti ossei che sarebbero potuti uscire da Alice nel paese delle meraviglie: dalle lucertole lunghe un metro e 80, ai ratti giganti, agli elefanti nani. Ma tra queste ossa sono stati ritrovati anche sofisticati utensili in pietra, alcuni vecchi di centinaia di migliaia di anni. Utensili che, si è pensato, soltanto l'uomo avrebbe potuto realizzare. L'inghippo, però, è dato dal fatto che l'uomo non giunse sull'isola se non 40.000 anni fa.

"Per un periodo molto, molto lungo non abbiamo traccia di ominidi", ci spiegò la Falk, "ma soltanto di utensili". Ma qualcuno doveva pur aver forgiato quei manufatti, qualcuno che possedeva sia intelligenza sia destrezza manuale. Eppure non esistevano prove archeologiche che dessero qualche indizio sull'identità di quel qualcuno.

E a questo punto entra in gioco la scoperta di Morwood. Una scoperta che, dal punto di vista antropologico, fu sbalorditiva. Un ritrovamento che non solo avrebbe risolto il mistero degli utensili sofisticati ma che avrebbe anche fatto ulteriormente luce su una parte della nostra storia evolutiva.

La Falk non sospettava di imbattersi, grazie a una scoperta significativa, anche in una sottocorrente psicologica che un secolo prima aveva fuorviato un'intera comunità antropologica. Si tratta di una forza che altera regolarmente la nostra percezione degli altri e delle nostre esperienze, che ha fatto sì che centinaia di persone ignorassero un violinista prodigioso che teneva un concerto gratuito, che ha dotato una bevanda energetica del potere di modificare il quoziente intellettivo degli studenti e che ha svolto un ruolo determinante nella truffa più grande della storia della scienza.

Anche se non lo sapeva ancora, la Falk stava per essere testimone di uno dei tanti corsi e ricorsi storici. Intorno alla metà del XIX secolo, il mondo scientifico era nel pieno di una rivoluzione. Quando furono ritrovate le ossa di un antico ominide in Germania, nella valle di Neander, gli scienziati si lambiccarono il cervello per formulare un'ipotesi su che tipo di creatura fosse. Le sue caratteristiche erano molto simili alle nostre, ma nello scheletro c'era qualcosa di ben poco umano. Il naso era particolarmente pronunciato, il cranio era più spesso, la forma del corpo maggiormente tarchiata. In altre parole, appariva simile a quello che oggi abbiamo in mente come stereotipo del cavernicolo.

Gli scienziati, inizialmente, pensarono che i resti appartenessero a un soldato russo morto prematuramente durante le guerre napoleoniche. Ma L'origine della specie di Darwin aprì uno scenario del tutto nuovo. Osservando infatti i resti alla luce della teoria evoluzionistica, gli scienziati congetturarono che fossero appartenuti a un antenato recente dell'uomo moderno: una specie completamente nuova, che oggi conosciamo col nome di Neanderthal.

All'epoca, si credeva che l'evoluzione fosse una sorta di progressione lineare (mentre la teoria moderna considera l'evoluzione stessa come qualcosa di simile a un albero genealogico assai più complesso). Secondo tale logica, gli scienziati si rendevano conto che c'era un gap evidente nella progressione, un balzo che portava dalle scimmie al Neanderthal, che aveva sembianze molto più umane. Questo "anello mancante" divenne una sorta di Santo Graal per gli scienziati europei.

Ma non si può individuare un "anello mancante" se non si ha assolutamente idea di ciò che si sta cercando. Per scovare la misteriosa creatura gli scienziati realizzarono l'equivalente di uno di quegli identikit che utilizza la polizia: pensarono che dovesse avere un cervello grande, ma l'aspetto fisico di una scimmia. Con questo identikit, iniziarono a scavare.

Nello stesso periodo, un giovane e precoce studente olandese di nome Eugene Dubois iniziava a subire il fascino dell'evoluzione. E in effetti, successivamente, Dubois avrebbe compiuto una delle scoperte più importanti di tutti i tempi, che avrebbe avuto implicazioni sorprendenti per Dean Falk e la scoperta dell'isola di Flores nel XXI secolo.

All'età di 29 anni Dubois si era già laureato in Medicina con il massimo dei voti, si era sposato, aveva avuto una figlia ed era già docente universitario. Col passare degli anni gli scienziati europei avevano continuato a scavare, ma il risultato dei loro sforzi era una catasta di rocce e poco altro. L'anello mancante continuava a essere inafferrabile.

Dopo aver trascorso mesi e mesi a esaminare tutta la letteratura e le teorie sull'argomento, Eugene Dubois giunse alla conclusione che gli scienziati stavano cercando nei posti sbagliati. Decise di abbandonare la carriera professionale e con la sua famiglia si trasferì nelle Indie Orientali, dove nel corso degli anni erano stati ritrovati molti resti di scimmie antropomorfe preistoriche. Dubois era sicuro che l'anello mancante si trovasse lì, in attesa di essere portato alla luce.

Dal momento che aveva pochissimi fondi, non era sostenuto dal governo e non aveva supporto logistico, per la famiglia Dubois la vita era tutt'altro che semplice. Eugene si ammalò di malaria, e in seguito a una malattia tropicale lui e la moglie persero un figlio neonato. Il lavoro era estenuante: avventurarsi in un territorio impervio e inesplorato, calarsi in grotte mai visitate prima, trovarsi persino ad affrontare le tigri... Ma dopo tre anni di ricerche Dubois fece il colpaccio. Nell'ottobre del 1891 si trovava, col suo gruppo di esplorazione, in una regione chiamata Ngawi, comunemente nota con l'appellativo di "inferno di Giava". Si trattava di un luogo molto caldo, desolato, conosciuto per le antiche eruzioni laviche che vi si erano verificate.

Sembrava un giorno come tutti gli altri, quando improvvisamente gli esploratori si imbatterono per caso in quello che a prima vista aveva l'aspetto di un guscio di noce di cocco. Osservando meglio si accorsero che si trattava di qualcosa di molto più importante: era un teschio. "Nella zona nei pressi della riva sinistra del fiume...", riferiva Dubois, "è stata portata alla luce una bella calotta cranica". Era evidente che non si trattava del teschio di una scimmia antropomorfa: "Quanto alla specie, il cranio si distingue da quello degli scimpanzè viventi in primo luogo poiché è di dimensioni maggiori, inoltre la calotta è ben più alta".

Vicino al luogo del ritrovamento, Dubois scoprì un osso appartenente agli arti inferiori che era evidentemente parte dello scheletro della stessa creatura del teschio. Tuttavia sembrava che il femore avesse subito una grave frattura, come se fosse stato colpito da una punta di freccia e in seguito fosse guarito. Si trattava di una elemento significativo, poiché dimostrava che la creatura doveva essere stata curata dalla propria comunità: se ciò non fosse avvenuto, la ferita l'avrebbe resa immobile e non sarebbe sopravvissuta tanto a lungo da veder guarire la frattura.

Dubois sapeva di essersi imbattuto in qualcosa di molto importante. Tutti i pezzi, messi assieme, portavano a un'unica conclusione: si trattava di una nuova specie preistorica, più avanzata delle scimmie antropomorfe ma non ancora simile all'uomo. E questa creatura, che rappresentava una diversa fase dell'evoluzione, era molto più simile a noi di quanto chiunque potesse immaginare. Era persino in grado di camminare eretta. "Dalla struttura complessiva del femore si può stabilire chiaramente", scriveva Dubois, "che questo osso svolgeva lo stesso ruolo meccanico che svolge nel corpo umano".

L'unica differenza rilevante era costituita dalla struttura del cranio e dalle sue dimensioni, più ridotte rispetto a quelle dell'uomo moderno. L'anello mancante, anziché avere un cervello grande e una struttura fisica da scimmia antropomorfa, presentava un corpo simile all'uomo e un cervello più piccolo.

Dubois era esaltato dal ritrovamento: documentò tutti gli avvenimenti, tracciò schizzi dettagliati e verificò accuratamente i suoi risultati. Tuttavia, la reazione che Dubois ricevette dalla comunità scientifica non fu quella che si aspettava.

Un esperto mise in dubbio le dimensioni del cranio, qualificando i resti ritrovati come appartenenti a una moderna vittima di microcefalia (una malattia neurologica che determina la riduzione delle dimensioni del cervello) "di un tipo insolitamente oblungo". Un altro esperto riteneva che si trattasse di un fossile di un "gibbone gigante di qualche tipo". Un altro ancora insisteva dicendo che il cranio e il femore non avevano alcuna relazione tra loro.

Dubois tentò di difendere il suo ritrovamento, ma per anni la scoperta restò quasi completamente ignorata.

Se consideriamo questa storia alla luce di ciò che abbiamo appreso sull'obbligo alla coerenza, è facile capire perché gli scienziati abbiano liquidato Dubois senza troppi complimenti. Gli antropologi di quel periodo erano fedeli a un determinato punto di vista sull'evoluzione. Un ominide col cervello piccolo, che camminava su due gambe e apparteneva a una comunità era semplicemente improponibile per la loro prospettiva.

Era molto più semplice liquidare ciò che aveva trovato Dubois dicendo che si trattava di un essere umano anormale o di uno strano gibbone anziché modificare la teoria sull'evoluzione umana.

Dubois era perplesso e offeso. Era orgoglioso di essere un uomo di scienza, per cui si aspettava che gli altri scienziati rispettassero la sua rigorosa metodologia. Dopotutto, aveva attentamente documentato ogni aspetto dello scavo, realizzando tra l'altro disegni molto dettagliati sul ritrovamento. Ciononostante, il fossile di quello che oggi conosciamo come Homo erectus - una delle scoperte più clamorose di tutta la storia dell'antropologia - rimase nascosto nella casa di Dubois per decenni.

Il modo in cui gli scienziati si rapportarono a Dubois nel XIX secolo risulta cruciale per capire la prossima forza di cui ci occuperemo. Anche la loro sbrigativa reazione può essere spiegata in parte dall'obbligo alla coerenza rispetto a una credenza preesistente, c'era anche un'altra forza in gioco. Ecco dunque che l'obbligo alla coerenza si fonde con l'influsso dell'attribuzione di valore ovvero la nostra tendenza ad attribuire a qualcuno o a qualcosa certe qualità in base al valore percepito anziché in base a dati oggettivi.

Per capire come tale forza abbia influenzato irrazionalmente la comunità antropologica, dobbiamo fare un salto avanti nel tempo rispetto a Dubois; fino al presente e fino a Washington D.C.

Una mattina del gennaio 2007, la stazione della metropolitana di L'Enfant Plaza stava per riempirsi di musica. Esattamente alle 7:51, in piena ora di punta, un uomo dall'aspetto ordinario che indossava i jeans e un cappellino da baseball estrasse con nonchalance il suo Stradivari da 3,5 milioni di dollari e si preparò a suonare. Quell'uomo era Joshua Bell, uno dei migliori violinisti viventi, che si esibisce regolarmente nelle sale per concerti più prestigiose del mondo facendo registrare sempre il tutto esaurito.

All'insaputa di tutti i pendolari, Beli prendeva parte a una ricerca realizzata in incognito dal Washington Post. La performance di Bell nella metropolitana iniziò con le sonate e le partite per violino (senza accompagnamento) di Bach, tra i pezzi più impegnativi che siano mai stati composti per questo strumento. Il concerto continuò per altri 43 minuti, ma quella mattina di gennaio non ci fu alcun applauso scrosciante. Nessun flash di macchina fotografica. Uno dei migliori musicisti del mondo stava suonando gratis nella stazione della metropolitana, ma sembrava che non importasse a nessuno. Delle 1.097 persone che passarono, quasi nessuna si fermò. Un uomo ascoltò per qualche minuto, un paio di bambini si fermarono a guardare e una donna, che riconobbe per caso il violinista, rimase a fissarlo incredula. Ora, forse i pendolari avevano troppa fretta per prestare attenzione a Bell. Probabilmente se ci fossero state le telecamere, oppure se la gente avesse saputo che quell'uomo era un prodigio vivente, qualche persona in più si sarebbe fermata ad ascoltare. Ma pensate a come si presentava Joshua Bell ai passeggeri della metropolitana. Non era vestito in modo formale, non era sul palcoscenico. Sembrava in tutto e per tutto un banale musicista di strada . Anche se il suono che produceva non era certamente da violinista mediocre, senza rendersene conto i pendolari attribuivano alla qualitià dell'esibizione il valore che percepivano (suggerito dal cappellino da baseball, dai jeans e dalla collocazione nella metropolitana). Passando davanti a Bell, quasi nessuno dei passeggeri rivolgeva uno sguardo nella sua direzione. Anziché udire un concerto meraviglioso, essi ascoltavano semplice musica di strada. I pendolari di Washington D.C. che snobbarono la performance di Bell furono influenzati irrazionalmente dall'attribuzione di valore, e fecero lo stesso errore degli antropologi che ignorarono la scoperta di Dubois.

Tutto ciò che era associato al fossile dell' Homo erectus veniva percepito dalla comunità scientifica come cosa di poco conto in quanto Dubois, il suo scopritore, era praticamente un Signor Nessuno. Gli scienziati europei considerarono con sprezzante scetticismo l'eventualità che "l'inferno di Giava" potesse essere il luogo che aveva dato i natali a un antenato dell'uomo. Inoltre, il cervello fossile era troppo piccolo per risultare adeguato ai preconcetti antropologici che avevano portato alla realizzazione dell'identikit dell'anello mancante. Era come se Dubois avesse in mano uno Stradivari e nessuno gli prestasse attenzione peché indossava il cappellino da baseball e i jeans, standosene in una stazione della metropolitana.

Comunque, è facile capire perché gli scienziati e i passeggeri della metropolitana abbiano reagito in quel modo. L'attribuzione di valore, dopotutto, funziona come una scorciatoia di pensiero, determinando a cosa vale la pena prestare attenzione.

Quando veniamo in contatto con un nuovo oggetto, una nuova persona o una nuova situazione, il valore che attribuiamo al nuovo elemento influenza la percezione che manterremo di quest'ultimo, che si tratti dell'ignorare un oggetto antico insolitamente conveniente che troviamo al mercato delle pulci, o dell'ammirazione per una borsa firmata molto costosa che vediamo in una boutique di lusso. Immaginate, per esempio, di imbattervi in un armadio antico gettato per strada. Pensate che in realtà possa trattarsi di un tesoro raro oppure la vostra reazione istintiva è che debba necessariamente avere qualcosa che non va?

Allo stesso modo, l'attribuzione di valore influenza la nostra percezione delle persone. È possibile che rifiutiamo un prodotto o un'idea che ci vengono presentati dalla persona "sbagliata", oppure che seguiamo ciecamente il consiglio di qualcuno che teniamo in grande considerazione.

Ciò non significa che i titoli di una persona non valgano nulla o che il prezzo di un prodotto molto spesso non sia un valido indizio del suo valore effettivo. Tuttavia, quando teniamo troppo in considerazione l'idea dell'etichetta col prezzo (reale o metaforica che sia), compromettiamo la nostra razionalità.

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Capitolo 7

RICOMPENSE e COCAINA


Che si tratti degli amministratori delegati delle prime 500 aziende della classifica di Fortune o di presidi di scuole superiori, i dirigenti sono alla continua ricerca di strategie per aumentare la motivazione delle persone. Ma esiste davvero un effetto collaterale nascosto di bonus e incentivi capace di stimolare a una prestazione migliore? Quali sono le conseguenze involontarie del fatto di offrire alle persone una ricompensa in denaro?

Per adottare una prospettiva unica sulla relazione esistente tra motivazione e ricompensa, facciamo visita all'Università di Zurigo, i cui ricercatori hanno scoperto alcune cose sorprendenti. La Svizzera evoca l'immagine di verdi pascoli idilliaci, di catene montuose innevate e uomini vestiti coi lederhosen (i caratteristici pantaloni di cuoio) che suonano gli alphorn.

L'ultima cosa a cui viene da pensare è un mucchio di container pieni di acque di scolo tossiche. Negli anni '40, allarmati dalle atrocità della Seconda Guerra Mondiale, i leader politici svizzeri iniziarono a sviluppare un programma nucleare. In perfetto accordo con la cultura nazionale, l'obiettivo prioritario del programma cambiò ben presto, divenendo più pacifico: generare energia elettrica. Oggi vi sono cinque impianti che forniscono circa il 40% di tutta l'energia elettrica della Svizzera. Il Paese ha un programma energetico relativamente sostenibile, ma ogni volta che c'è di mezzo l'energia nucleare sorge il problema delle scorie che da qualche parte devono pur stare.

Nel 1993 il governo svizzero individuò due piccole cittadine come potenziali ricettacoli di scorie, ma non sapeva come avrebbero reagito gli abitanti: si sarebbero sentiti oltraggiati? Oppure, comprendendo l'importanza del programma energetico nucleare della nazione, si sarebbero "sacrificati per la squadra"?

Due ricercatori dell'Università di Zurigo erano ugualmente curiosi di dare una risposta alla domanda, e ci provarono chiedendo ai residenti delle due cittadine: "Immaginate che la Cooperativa nazionale per lo stoccaggio delle scorie radioattive, dopo aver completato le trivellazioni preliminari, proponesse di costruire il deposito per le scorie a basso e medio livello di radioattività nel vostro comune di residenza. Immaginate che gli esperti della federazione esaminassero la proposta, e che il parlamento federale decidesse di realizzare il sito di stoccaggio presso la vostra comunità". Nel corso di un incontro che si teneva in municipio, veniva chiesto ai cittadini se avrebbero accettato o rifiutato la proposta.

Naturalmente, molte persone erano atterrite di fronte alla prospettiva di ritrovarsi il deposito di scorie così vicino a casa. Al contempo, tuttavia, vuoi per un senso di obbligo verso la società, vuoi per orgoglio nazionale, oppure semplicemente perché pensavano che fosse la cosa giusta da fare, il 50,8% di coloro che risposero accettava di farsi carico di questo rischio per il bene comune. L'altra metà, quelli che dichiaravano di volersi opporre alla realizzazione della struttura, rappresentava comunque un ostacolo significativo per il governo.

Per valutare se il problema poteva essere risolto, i ricercatori presero in esame una soluzione apparentemente razionale per sensibilizzare al bene comune anche coloro che erano contrari allo stoccaggio delle scorie. Parlarono a un gruppo di individui della stessa comunità, prospettando il medesimo scenario ma aggiungendo questa postilla: "Inoltre, il parlamento ha deciso di risarcire tutti i residenti della comunità ospitante con 5.000 franchi (circa 2.175 dollari) all'anno per ogni persona... utilizzando il denaro versato da tutti i contribuenti svizzeri". Anche a questi soggetti fu chiesto, durante un incontro in municipio, se avrebbero accettato o meno questa proposta.

Ora, da un punto di vista strettamente economico, un incentivo monetario dovrebbe contribuire a fa digerire meglio il fatto spiacevole di vivere nei pressi di una struttura di stoccaggio di scorie nucleari. In effetti, siamo automaticamente portati a credere che il modo migliore per convincere qualcuno a fare qualcosa di poco gratificante o difficile sia offrirgli qualche tipo di incentivo finanziario. Ecco perché i datori di lavoro concedono dei bonus quando i loro dipendenti si accollano lavori più impegnativi o che richiedono più tempo; ed ecco perché i genitori accordano la "paghetta" ai figli se accettano di svolgere qualche compito ingrato. Secondo questo modo di ragionare, più alta è la ricompensa, più le persone dovrebbero aver voglia di fare quello per cui vengono offerti loro dei soldi.

E indipendentemente dalla cifra che viene offerta, adottando un punto di vista razionale una somma qualsiasi è meglio di niente. In altre parole, i circa 2.175 dollari offerti dai ricercatori svizzeri probabilmente non erano sufficienti per convincere tutti i residenti, ma era ragionevole pensare che avrebbero fatto cambiare idea almeno ad alcuni di coloro che erano contrari.

Non è esattamente quel che accadde.

Per qualche strano motivo, nel momento in cui i ricercatori introdussero nell'equazione la ricompensa in denaro, la percentuale delle persone pronte ad accettare la proposta anziché aumentare si dimezzò.

Anziché essere motivati dall'incentivo finanziario, i cittadini, ragionando in modo irrazionale, rifiutarono in massa le scorie nucleari: solo il 24,6% di coloro che avevano ricevuto l'offerta monetaria accettò l'ipotesi di ritrovarsele stoccate vicino alla propria città (rispetto al 50,8% che si era dichiarato d'accordo in assenza di quell'incentivo economico). Oltre a contraddire le leggi della teoria economica, questa reazione era priva di senso.

Persino quando i ricercatori resero l'offerta più allettante (portandola prima a 4.350 e poi a 6.525 dollari) la gente del posto rimase salda nella propria opposizione. Soltanto uno degli abitanti interpellati cambiò idea e accettò la proposta quando aumentò la quantità di denaro. I manager, i genitori e naturalmente anche gli economisti basano da tempo le loro scelte sull'assunto che gli incentivi monetari accrescano la motivazione. Ma gli psicologi hanno recentemente scoperto che la connessione tra questi due fattori è più ingannevole di quanto sembri.

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