Copertina
Autore Vincenzo Brancatisano
Titolo Una vita da supplente
SottotitoloLo sfruttamento del lavoro precario nella scuola pubblica italiana
EdizioneNuovi Mondi, Modena, 2010 , pag. 350, cop.fle., dim. 14x21x3 cm , Isbn 978-88-8909-172-2
LettoreGiorgia Pezzali, 2010
Classe scuola , lavoro
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Indice


    Introduzione                                      9

1   Volevo solo passare di ruolo                     13

2   Così uguali, così diversi                        59

3   La raccolta punti                               125

4   Addio POF — Dalla parte degli alunni            173

5   A che serve il sindacato?                       243

6   Come uscirne: la via europea contro
    l'abuso dei contratti a termine                 297

    Note                                            319

    Tabelle                                         337

    Bibliografia                                    341

    Indice dei nomi                                 345


 

 

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Pagina 9

Introduzione
Lettera a una professoressa
viceministro



Gentile Professoressa,

Le scrivo nel giorno del mio cinquantesimo licenziamento. Il dato avrebbe dell'incredibile in qualsiasi situazione lavorativa, specie se si pensa che anche il datore di lavoro è sempre lo stesso, ma non nella scuola pubblica dove il mio caso fra i docenti precari non rappresenta di certo un'eccezione. Insegno in terza fascia Discipline giuridiche ed economiche in provincia di Modena viaggiando quotidianamente da Bologna (mi è capitato anche di farlo su classi di cui Lei era la titolare presso l'Istituto Barozzi). I sentimenti che fino a oggi mi hanno accompagnato in questo momento cruciale dell'anno sono sempre stati alternativamente due: o sollievo per la fine di periodi lavorativi pesanti e magari carichi di frustrazioni, o tristezza e rassegnazione quando l'esperienza si è rivelata ricca soprattutto dal punto di vista umano. Quest'anno la sensazione provata è del tutto nuova: si tratta di rabbia, amara e rancorosa. Sono stati per me 17 anni senza regali: tutti i doveri sono stati pretesi con inutile pedanteria, e i diritti, anche quelli più sacrosanti, non sono mai stati dati per scontati. Per questo lavoro ho percorso più di 300.000 km in qualsiasi condizione meteorologica, facendomi carico di tutte le rilevanti spese di produzione di un reddito sensibilmente decurtato nella sua consistenza reale, ma sempre considerato nel suo valore nominale in sede di imposizione fiscale. Ho assistito impotente ai continui e ripetuti attacchi alla mia posizione in graduatoria conquistata con i titoli di merito e l'anzianità di servizio nella scuola pubblica: equiparazione del servizio prestato in comode e compiacenti scuole private, super punteggio ai sissini, doppio punteggio montagna e carcere (è più disagevole vivere e lavorare a Pavullo o fare 120 km quotidianamente per perdersi dentro le nebbie di Finale Emilia?), invasione massiccia da parte di riservisti invalidi provenienti sempre dalle stesse regioni (circostanza singolare e sospetta), non sono che esempi. L'anzianità di servizio che costituisce una preziosa risorsa e, se si vuole, determina anche un ritorno in termini di formazione per la Pubblica Amministrazione, è stata svilita dall'introduzione di criteri di valutazione, a volte inspiegabili, ma sempre conformi a meschini interessi di bottega. Tutto ciò ha generato un'inutile guerra fra poveracci e foraggiato le Università prodighe nell'elargire titoli a pagamento. E mentre tutti erano impegnati a scalare con queste regole e con enormi sacrifici anche economici le rispettive graduatorie, un imponente esercito di migliaia di insegnanti di religione ha ottenuto da un Parlamento trasversalmente salmodiante un posto di ruolo nella scuola pubblica di uno Stato laico e sovrano. Ho 48 anni e sono stanco, anche fisicamente. E se da un lato sono rassegnato al fatto di non poter dimostrare una relazione fra le stressanti condizioni lavorative di questi anni e le varie patologie contratte precocemente nel frattempo, rimane comunque certo che le mie energie, unitamente al mio entusiasmo, risultano ormai del tutto ridimensionate. Ritengo però, a questo punto, di aver acquisito pieno titolo per avanzare, suo cortese tramite, una richiesta precisa al mio ineffabile datore di lavoro: chiedo, interpretando, sono certo, il pensiero di migliaia di insegnanti che si trovano nella mia condizione, che questo Governo almeno dica, chiaramente e senza ipocrisie, quali sono le prospettive che hanno di fronte gli insegnanti con 15, 20 anni e più di precariato alle spalle; se il contributo di esperienza che siamo in grado di produrre costituisca o no per la scuola italiana un valore aggiunto meritevole di una considerazione prioritaria. In sostanza si chiede di essere messi in condizione di decidere se ha senso sacrificarsi ancora o se è meglio considerare chiusa definitivamente la partita senza sprecare altro tempo prezioso (abbiamo tutti una certa età!). Non sarà facile rinunciare dopo avere investito nella scuola la nostra intera esistenza professionale: insegnare è l'unica cosa che sappiamo fare, in tantissimi casi, mi si creda, anche molto bene e con passione, ma dopo tutto questo tempo l'incertezza risulta insopportabile e va a minare anche la dignità che qualsiasi lavoro, anche precario, dovrebbe assicurare. Che si trovi, dunque, un criterio chiaro ed equo per dire onestamente, da subito, chi è dentro e chi è fuori. Penso sia un atto dovuto anche dal punto di vista morale, una minima forma di rispetto, nei confronti di chi, come me, ha garantito per lungo tempo il funzionamento di un servizio fondamentale per questo paese. Sicuro che le sue indiscusse qualità umane e professionali le consentiranno di superare con successo anche la nuova e difficilissima sfida a cui è stata chiamata, la saluto cordialmente.

Professor S. M.

Bologna, 30 giugno 2006

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Pagina 13

Capitolo 1
Volevo solo passare di ruolo



                                                            "Si sta come
                                                               d'autunno
                                                            sugli alberi
                                                              le foglie"

                                                      Giuseppe Ungaretti



Se telefonando

«Buongiorno, signora.»

«Professoressa, prego.»

«Mi scusi, professoressa, sono la supplente, disturbo?»

«La supplente?»

«Sono la sua supplente.»

«Ah, cara, mi dica.»

«Ecco... vorrei dirle che mi trovo bene nelle sue classi, sono contenta che mi sia stata offerta questa opportunità grazie alla sua malattia...»

«Ma come si permette?»

«Perché, lei sta male... sul serio?»

«Caspiterina, sto male sì. Sto malissimo.»

«Wow... scusi, volevo dire mi dispiace.»

«Va bene, va bene, mi dica.»

«Ecco... volevo sapere per quanto ne ha ancora.»

«La mia dottoressa dice che potrei rientrare già dopodomani.»

«Azz... le venisse un accidente.»

«Prego?»

«Mi scusi professoressa, mi riferivo alla mia gatta, non sta buona. Allora lei è praticamente guarita...?»

«Praticamente.»

«N00000000000. Ti preeeeeeeego.»

«Ce l'ha sempre con la gatta?»

«Sì... sta torturando i miei pantacollant.»

«Allora la lascio alla sua gatta e ai suoi pantacollant. Mi raccomando, mi faccia trovare il registro a posto e non mi lasci compiti da correggere, ché non sto poi benissimo.»

«Eddaaaaaaaaaaaai.»

«E vai lo dice a sua sorella.»

«È pure sorda.»

«Ah, bella gatta che ha.»

«Professoressa, visto che non si è rimessa completamente, non potrebbe per favore prolungare la sua malattia, non potrebbe chiedere al suo medico di darle altri sette giorni? La preeeeego-mi-servono-quei-due-punti-per-chiudere-l'anno.»

«Deve chiudere l'anno?»

«Se non lavoro altri sette giorni perdo due punti e lei non sa in quanti stiamo su quei due punti in graduatoria. E poi lei insegna in montagna, ... quei punti valgono oro. Orooo.»

«Per via dell'aria buona? Non ci conti, vede come mi ammalo spesso.»

«Sopra i 600 metri sul livello del mare i punti di servizio raddoppiano. Non ha saputo della legge 143? Il servizio di montagna è stato supervalutato per legge.»

«Vale anche per me? Posso andare prima in pensione? Aumenta lo stipendio da fame?»

«No, no, è un aiuto per noi precari. Siamo finalmente stati premiati per le nostre capacità. Non ci ho capito molto ma chi insegna in pianura secondo i nostri parlamentari è meno bravo rispetto agli altri.»

«Il Presidente della Repubblica ha firmato pure questa legge?»

«Pare di sì, ma era quello di prima e forse non l'ha letta, macchissenefrega? A me sta bene così e se lei mi fa continuare la supplenza io scavalcherò un sacco di concorrenti e il prossimo anno passerò di ruolo, specie se mi daranno il pettine nella provincia attigua.»

«Il pettine?»

«Sì... sì. Per ora io sono solo sulla coda.»

«Povero gatto.»

«Quella maledetta coda voluta dalla ministra, maledizione a tutti i politici. Non bastavano i sissini e il doppio canale.»

«Il Presidente ha firmato pure la... coda?»

«Già, ma ora noi gli faremo firmare il pettine, cosa crede, stiamo facendo ricorso, vogliamo il pettine, lo dice la Costituzione che ci spetta il ruolo per via del pettine. Ma va tutto in fumo se lei guarisce.»

«Se me lo avesse chiesto prima, avrebbe evitato di buttare i suoi pantacollants. Va bene ci penserò.»

«Graaaazie.»


Quanti buchi, professore?

Alcune cavità del suo registro personale consentono al professore di aprirlo, infilandoci il pollice, in corrispondenza di una delle tante classi che gli sono state assegnate. Se ha cinque classi gli spetteranno quattro buchi, se ne ha otto occorrerà un registro con sette fessure. Se ha solo due classi, un buco potrà bastare. Negli ultimi tempi, i buchi sono stati sostituiti da una linguetta adesiva: chi ha detto che le riforme della scuola non riescono mai a far cambiare le cose?

Per il professore precario i buchi sono i mesi dell'anno trascorsi in qualità di estraneo all'amministrazione dopo che l'amministrazione lo ha usato e poi gettato. Rappresentano anche uno stato di perenne attesa che si trasforma — parole di Luciano Gallino — in una "ferita dell'esistenza, una fonte immeritata di ansia, una diminuzione dei diritti di cittadinanza". Quando l'anno scolastico finisce, nessuno si ricorda di lui. Anche l'assegno sostitutivo delle ferie maturate e non godibili perché licenziati finisce per produrre un'umiliazione involontaria. I buchi sono i periodi vuoti di una carriera traballante, privi di stipendio e di contributi pensionistici; rappresentano la rinuncia a un libro o a un cinema perché costano troppo, la negazione di un credito perché mancano le garanzie. Il buco è quello che faresti nella pancia a chi è responsabile di un sistema nel quale non un datore di lavoro privato riprovevole ma lo Stato, che crea norme e principi, assume e licenzia per dieci-venti-trent'anni consecutivi quelli che si presume reputi i suoi dipendenti migliori, visto che sono chiamati a insegnare ai bambini a leggere e a scrivere nonché a trasformarli in giovani con una coscienza e una preparazione da spendere.

Sarebbe sbagliato concepire la scuola come un gigantesco ufficio di collocamento anche se i sindacati hanno sempre incoraggiato l'idea, soprattutto nei diretti interessati, che il comparto potesse e addirittura dovesse assorbire un numero infinito di lavoratori. Utilizzare la scuola come strumento irrinunciabile dello stato sociale, come ammortizzatore e fornitore di reddito per una fetta consistente della popolazione è stata una scelta scellerata che prima o poi sarebbe arrivata a presentare il conto. Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, del resto, è stato chiaro: "Per la scuola", ha tuonato in un'intervista, "è finita un'epoca. Non sarà più un ammortizzatore sociale, se lo mettano in testa tutti, sindacati compresi se non vogliono risultare impopolari al Paese". Questa considerazione, tuttavia, non giustifica l'utilizzazione massiva e perenne di personale precario a fronte della persistenza di un numero straordinariamente alto di posti di lavoro scoperti e dunque disponibili per le assunzioni in ruolo. Solo chi non conosce la scuola potrebbe pensare che l'assunzione annuale di circa 150.000 professori precari risponda davvero all'esigenza transitoria di sostituire personale temporaneamente assente. Un linguaggio tecnico reso volutamente incomprensibile anche per i diretti interessati parla di "organico di fatto", che non corrisponderebbe all'"organico di diritto", e ha indotto a pensare che non si possano assegnare al ruolo (oggi è più corretto parlare di tempo indeterminato) i posti che sembrano liberi ma che in realtà non lo sono. Ma la realtà è che gli eventi imprevisti, quali l'eccesso di bocciature estive o la variazione inattesa del numero di alunni iscritti, giustificano un assetto davvero residuale dell'organico di fatto che non spiega i motivi del ricorso esorbitante e pluridecennale ai contratti a tempo determinato, utilizzati invece nella peraltro errata convinzione che mantenere come precari i dipendenti della scuola pubblica comporti davvero un risparmio e non uno sperpero delle risorse pubbliche. È significativo che lo stesso ministero che dà lavoro ai precari della scuola parli apertamente di "esercito di riserva" di marxiana memoria nel momento in cui scrive in un documento ufficiale che "è dunque coerente e congeniale con questo quadro l'esistenza di un esercito di riserva di insegnanti non di ruolo, abilitati a vario titolo, composto da supplenti annuali e incaricati fino al termine delle attività didattiche".

Paola Mastrocola, docente di lettere e scrittrice di successo, è intervenuta sul quotidiano La Stampa con un articolo intitolato "L'innocenza perduta dei giovani precari". Qui la professoressa Mastrocola, insegnante di ruolo nel liceo scientifico di Chieri, contesta i suoi colleghi precari della scuola sottolineando la differenza abissale che intercorrerebbe tra l'attuale generazione di venti-trentenni e la sua, quella degli anni Settanta. Oggi i giovani sono attratti e ossessionati dal posto fisso mentre allora, è questa la sua tesi, era un incubo da cui fuggire a gambe levate. Neppure allora, racconta, era facile trovare un lavoro dopo la laurea e per questo molti si accontentavano di "lavoretti insulsi, mal pagati o spesso gratuiti". Una generazione di supereroi? "Non lo eravamo per nulla", spiega la scrittrice, "però non eravamo affetti da vittimismo. Non ci sembrava mai di essere dei poveri derelitti. Non ci veniva neanche in mente di definirci precari e di prendercela con gli altri, di protestare ad esempio contro lo Stato colpevole di non assicurare a tutti il posto fisso". I laureati di allora avevano "a dirla tutta, un vero e proprio orrore del posto fisso". Che "voleva dire essere vecchi, irrimediabilmente cresciuti". Loro avevano "il mito della reversibilità: ci piaceva pensare che tutto poteva ancora ribaltarsi". E mentre a quel tempo i figli non avevano alcuna voglia di sistemarsi nonostante le pressioni contrarie delle famiglie, adesso, invece, si assisterebbe a un paradosso, a una "inversione generazionale: oggi che le famiglie sono disposte a tollerare dei figli disoccupati, i figli si battono per avere il posto fisso subito".

L'articolo, condivisibile nella parte in cui si riferisce ai giovanissimi che hanno appena iniziato a lavorare dopo la laurea e che si autodefiniscono precari della scuola prima ancora di aver concluso un anno di lavoro, appare ingeneroso laddove non denuncia le gravissime discriminazioni di cui sono vittime i lavoratori precari della scuola. A molti di loro, per esempio, piacerebbe assentarsi da scuola per qualche anno per portare a compimento un dottorato di ricerca come lei stessa ha ammesso di aver potuto fare, affidando la testimonianza alla prima pagina del suo La scuola raccontata al mio cane, libro imperdibile per chiunque voglia cogliere il disastro cui è destinata quasi irrimediabilmente la scuola italiana. Occorre sapere che, a differenza di quanto è consentito ai professori di ruolo e alla stessa professoressa Paola Mastrocola, che rimpiange il "bellissimo dottorato in letteratura italiana" che "per tre anni, quasi quattro" le ha consentito di astrarsi "felicemente in un altro mondo" e di studiare "la tragedia italiana del Cinquecento, nonché la teoria della tragedia della Poetica di Aristotele", "un abissamento beato, una privilegiata vacanza nel Regno delle Lettere", ai professori precari tutto questo non è concesso. Infatti, se disertano per un anno le patrie aule, rischiano di non lavorare più, rimanendo fagocitati da graduatorie infernali. Né possono assentarsi dal lavoro per partecipare a un concorso o al funerale di un congiunto, se non a pena di perdere diritti, soldi e dignità. Ma di questo parleremo più avanti.


Alla vigilia della grande mattanza

"È stato detto, e non è vero, che licenzieremo 87.000 insegnanti", aveva tuonato in Parlamento il ministro dell'Istruzione alla vigilia dell'attuazione dei tagli alla scuola pubblica che sarebbero culminati nella cancellazione di decine di migliaia di posti di lavoro. A costo di stipare gli alunni oltre i limiti imposti dalla decenza e dalla sicurezza in aule spesso fatiscenti, il Governo ha fatto fuori un bel po' di cattedre. Le classi con più di 30 alunni, replica la ministra, sono meno dell'1 per cento. Parlare per percentuali è tuttavia fuorviante perché non dà l'idea della realtà. L'1 per cento delle 374.000 classi della scuola pubblica corrisponde a 3.740 classi. Moltiplicando per 30 si deduce che ben 112.000 alunni sono colpiti dal sovraffollamento. Numeri che si aggiungono a quelli ben più alti delle classi con 29, 28, 27 alunni, che per un'utenza difficile come quella degli istituti professionali si traducono nell'impossibilità di svolgere una seria attività didattica e formativa. Ad ogni modo coloro che da anni vi insegnavano, perché chiamati dallo Stato dopo avere superato i concorsi richiesti e non perché passavano di là per caso, sono rimasti nell'autunno 2009 senza lavoro dopo avere bruciato le migliori energie. Migliaia di famiglie sono ora sul lastrico, la protesta si è spostata dalle piazze ai tetti degli edifici. La mannaia ministeriale si abbatterà sulla scuola con rinnovata violenza non appena entreranno in vigore, entro il 2010, i nuovi indirizzi, i nuovi quadri orario, gli accorpamenti di discipline, la riduzione dell'orario scolastico settimanale. Roberto Tripodi, dirigente scolastico e presidente dell'associazione delle scuole autonome della Sicilia, nonché consulente della V Commissione Legislativa Regionale, ha sollevato "qualche perplessità" sulla validità di una riforma delle superiori che non spiega "come utilizzare il 10 per cento dei docenti in servizio che sarebbero divenuti di colpo soprannumerari". Stiamo parlando, precisa, "di circa 25.000 docenti a spasso dal 1 settembre 2010", che si aggiungono alle 42.100 cattedre già tagliate. Il Consiglio di Stato, nell'adunanza del 9 dicembre 2009, ha contestato al ministro Gelmini un eccesso di delega. I giudici amministrativi hanno riscontrato che il taglio di discipline e di ore settimanali di lezione andrebbe al di là della definizione dei curricula vigenti nei diversi ordini di scuola e prima di dare l'ok ha chiesto chiarimenti alla ministra. Che peraltro conferma che non si tratta di licenziamenti. Infatti, come si può definire "licenziato" un professore precario "assunto — parole sue — senza giusta causa?"

Il discorso fila. Scopo di questo libro è verificare se sia davvero possibile catalogare come lavoratori non stabili insegnanti che hanno trascorso quasi senza soluzione di continuità buona parte della propria carriera e della propria esistenza nelle aule delle nostre scuole. Peraltro, l'avere stabilito all'interno del cosiddetto decreto salva precari di fine 2009 (salvare da cosa se non dai licenziamenti?) una norma che esclude espressamente il riconoscimento degli scatti di anzianità in favore di chi il lavoro a termine non l'ha ancora perso dimostra come la precarizzazione del lavoro scolastico serva solo per pagare meno chi lavora. La norma contrasta comunque con la giurisprudenza comunitaria la quale, come dimostreremo più avanti, stigmatizza la discriminazione rispetto ai lavoratori stabili e biasima esplicitamente legislatori e sindacati firmatari di contratti collettivi che escludono la progressione di carriera dei lavoratori a tempo determinato. Ma la stessa norma tradisce lo spirito di chi l'ha redatta nel momento in cui parla di "costante erogazione del servizio scolastico ed educativo". Come può una costante erogazione del servizio conciliarsi con la transitorietà delle esigenze che, sola, giustificherebbe dal punto di vista giuridico il ricorso alla reiterazione dei contratti a termine, la quale appare spesso palesemente abusiva? Nel dibattito parlamentare sulla conversione in legge del decreto in questione la norma è sparita a seguito di contestazioni anche accese. Il pressappochismo dei mass media, che hanno usato un'enfasi pari a quella accordata alla norma (inutile) secondo la quale i contratti dei docenti a tempo determinato "si trasformano in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo", ha indotto molti precari a ritenere risolta la questione. Ma farebbero male, questi ultimi, a confidare nella via legislativa per il riconoscimento degli scatti di anzianità e di carriera. La relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto citato sottolinea infatti il rapporto diretto che intercorre tra il trattamento economico dei docenti a tempo determinato e la discontinuità del rapporto di lavoro, tanto che a ogni nuovo contratto si deve pensare "allo stipendio iniziale del docente di ruolo, non essendo configurabile per i rapporti di lavoro del personale supplente un'effettiva progressione di carriera". A fuoco lento, insomma, si rigira la stessa frittata. Dunque, solo la via giudiziaria potrebbe consentire ai singoli interessati di ottenere il riconoscimento degli scatti di anzianità. E con buone probabilità di successo, visto che i primi risultati ottenuti presso molti tribunali, come pure si vedrà più avanti, sono quanto meno eclatanti.


Se lo Stato dà il cattivo esempio

Nella scuola pubblica italiana si perpetra una delle più gravi forme di sfruttamento del lavoro. Centinaia di migliaia di insegnanti precari vengono spremuti e mal pagati da un datore di lavoro, lo Stato, che pure si arroga il diritto di scrivere leggi contro lo sfruttamento e la violazione dei diritti. "Lo Stato diffonde l'area del precariato e il senso della precarietà dai piccoli comuni ai grandi ospedali. E lo fa davvero sfacciatamente", scrive Aris Accornero. Se la reiterazione a tempo indeterminato del licenziamento di tanti lavoratori venisse perpetrata da un imprenditore privato in un settore diverso da quello scolastico i sindacati griderebbero allo scandalo, convocherebbero conferenze stampa, avvierebbero procedimenti legali, bloccherebbero la produzione e pianterebbero grane a non finire. Nel 2006 lo Stato ha mandato i suoi ispettori del lavoro a fare luce sui contratti aleatori dei precari del Gruppo Atesia e gli ispettori hanno preteso che quei contratti fossero trasformati in rapporti a tempo indeterminato perché da troppo tempo (alcune decine di mesi) i lavoratori erano occupati in pianta stabile dall'azienda. Nel comparto della scuola pubblica, invece, vigeva fino a pochi mesi orsono un contratto collettivo nazionale di lavoro dove si leggeva che "in nessun caso il lavoro a tempo determinato si può trasformare in lavoro a tempo indeterminato".

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Pagina 173

Capitolo 4
Addio POF - Dalla parte degli alunni



                        "Quanto sopravviverò nel mio ruolo di supplente?
                                            Non credo sarà facile per me
              arrivare all'ultima ora indenne agli attacchi, resistente.
                  La verità? C'è una novità, ho qualcuno che mi ascolta,
   che mi domanda 'allora da che pagina a che pagina 'sta volta?' ma chi
       ha la luna storta dichiara apertamente 'lei non conta niente...'"

                                                         Samuele Bersani



Compiti ingrati

«Mamma, mi interroghi?»

«Certo, su cosa?»

«La maestra Franca ha detto di studiare i verbi.»

«La maestra chi?»

«Franca, la maestra di italiano.»

«Ma non si chiamava Anna Maria?»

«Quella era l'anno scorso.»

«Ah. Che verbi devi studiare?»

«I tempi dell'indicativo.»

«Ancora? Ma non li avevi già fatti l'anno scorso?»

«Li abbiamo fatti in terza ma la nuova maestra ha detto che non li abbiamo fatti bene e dobbiamo rifarli.»

«Come non li avete fatti bene? La maestra Eloisa ci ha insistito tanto.»

«Guarda che Eloisa era in seconda, in terza c'era Sara.»

«Ah, caspita, non mi ci raccapezzo più con queste insegnanti...»

«Ma è facile mamma. Antonella in prima, Eloisa e a un certo punto Sara in seconda, Sara e poi Wilma in terza, Anna Maria in quarta, Franca quest'anno.»

«Argh... Vabbè dài, dimmi la terza persona singolare imperfetto indicativo del verbo avere.»

«Non me li devi chiedere così.»

«E come?»

«Mi devi chiedere "l'imperfetto indicativo del verbo avere". Io avevo, tu avevi, egli aveva...»

«Ma te li ho sempre chiesti in quell'altro modo!»

«Perché la maestra Anna Maria li chiedeva così.»

«Anche Wilma!»

«Vero, ma la maestra Cinzia ce li chiede in quest'altro modo.»

«Cinziaaaaaa???? Ma non era Franca?»

«Domani c'è la supplente.»


Scuola precaria

A scuola, stando alle tabelle pubblicate nel primo capitolo di questo libro, un insegnante su sei è precario: il rapporto arriva a uno su cinque se si considerano anche i supplenti temporanei. Sarebbe una marea, ma non è così. Il dato è molto più devastante sotto ogni profilo, non ultimo quello legato alla dispersione studentesca e all'insuccesso scolastico di un numero consistente di alunni. La proporzione descritta non rende tuttavia l'idea di quanto sia grave la situazione. Le statistiche riescono spesso a edulcorare la realtà e a preservare chi descrive in maniera inesatta certi fenomeni dal rischio di doverne render conto. In realtà è altissimo il numero delle singole classi dove gli insegnanti precari superano la soglia del settanta-ottanta per cento del corpo docente. In alcuni casi si arriva al cento per cento, per non parlare delle scuole dove alla precarietà dei docenti si aggiunge quella del capo d'istituto, che spesso è un "insegnante incaricato", dei bidelli, del personale amministrativo e degli assistenti di laboratorio. Per non parlare dei tutor e degli educatori prestati dalle cooperative sociali e che vanno e vengono dalle aule. Come se non bastasse, nell'anno scolastico 2009-2010 nelle scuole pubbliche italiane ci sono 182.478 alunni disabili con 90.469 docenti di sostegno. Tuttavia, commenta Legambiente che ha redatto un apposito rapporto, "solo poco più della metà dei docenti che operano con gli alunni con handicap sono docenti stabili e in grado di assicurare un minimo di continuità". L'altra metà "è costituita da docenti a tempo determinato e quindi con nessuna garanzia di continuità, spesso mancanti della necessaria specializzazione". Migliaia di docenti senza alcuna abilità riconosciuta, e spesso alla prima esperienza lavorativa, vengono chiamati a sostenere bambini e ragazzi affetti da patologie più o meno gravi e spesso stipati negli istituti professionali dove si raggiungono percentuali altissime di alunni portatori di handicap. I licei e gli istituti tecnici non vietano l'accesso ai disabili, ma se i genitori trovano un clima ostile è difficile che iscrivano un figlio disabile a un istituto del genere. Sulla "diluizione" del numero degli alunni disabili in istituti diversi da quelli professionali è iniziato un dibattito anche all'interno degli enti locali, alcuni dei quali si sono impegnati a sostenere finanziariamente i licei per l'acquisto di supporti che per ora sono appannaggio dei professionali. Ma le buone intenzioni devono ora fare i conti con i tagli alla spesa pubblica e rischiano di rimanere tali.


Illusioni statistiche

È un disastro, ma grazie alla media statistica dei dati relativi al totale degli istituti, la percentuale scende di colpo. Questo perché ci sono classi dove invece la proporzione si capovolge. Ma ciò che conta ai fini di un'analisi seria è la singola classe. L'universo, per gli studenti, è rappresentato dalla classe, non dalla media delle classi. È il consiglio di classe l'organo competente a programmare l'attività didattica, a prendere decisioni di ogni tipo, a promuovere e a bocciare, a stabilire se la scuola ha garantito o meno la continuità didattica e con essa un buon dialogo educativo e formativo. Il consiglio di classe è sovrano e spesso nelle riunioni di inizio anno programma attività destinate a infrangersi contro il turn over. Il valzer dei docenti sovrasta l'armonia del concerto. Ogni insegnante ha un numero multiplo di classi: due, tre, e si arriva anche a diciotto nei tanti casi in cui per la singola materia sia prevista solo un'ora settimanale sulle diciotto previste dal contratto di lavoro. Se in un istituto in cui lavorano cento docenti (solo) venti fossero precari, e ciascuno di questi avesse cinque, sei, sette classi se non di più, è automatico che la precarietà dei venti andrebbe in metastasi e conquisterebbe il tessuto del cento per cento delle classi dell'istituto. Poniamo che in Italia ci siano 100.000 classi con l'80 per cento dei docenti assunti a tempo determinato. Servirebbe a poco sapere che in altre 100.000 classi i docenti sono tutti di ruolo. Sarebbe interessante solo per chi ama le medie statistiche. Le classi sono per la precisione 374.946 e poiché sono 140.000 i docenti precari annuali (cui si aggiunge la massa indefinita di supplenti temporanei), ciascuno dei quali ha a sua volta un numero multiplo di classi, non saremmo lontani dalla verità se affermassimo che tutte le classi italiane sono investite dalla precarietà.

Non servono le illusioni statistiche. Né agli studenti né ai docenti precari, con buona pace dei maître à penser che ritengono si possa parlare di lavoro temporaneo giustificato da esigenze transitorie. Può essere mai "transitoria" l'esigenza di costituire intere classi con personale in gran parte precario, poi chiamato in massa a esaminare altri studenti agli esami di Stato? "Ogni anno cambio sede di servizio, cioè cambio colleghi, dirigente scolastico, studenti", ci ha spiegato la professoressa Daniela Rovatti, che si definisce precaria preistorica. "Non riesco mai a progettare un lavoro a lungo termine con i miei alunni, in quanto quasi sicuramente li perderò l'anno successivo. E questa situazione, dopo tanti anni, comincia a pesarmi molto". Inoltre, "quando, finalmente, sarò immessa in ruolo, dovrò sostenere quello che si definisce l'anno di prova. Ora mi chiedo: dopo aver prestato servizio nella scuola per tanti anni sempre con supplenze annuali, ricoprendo gli incarichi che mi venivano via via affidati come coordinatore di classe, referente di un progetto, referente per alunni segnalati, eccetera, cosa dovrò ancora 'provare'?"

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Capitolo 5
A che serve il sindacato?



                                       "La lotta di classe non c'è più,
                        ma la lotta per l'uguaglianza comincia adesso."

                                                             Tony Blair



Abbiamo tutti una salute di ferro

«Professore, lei ci deve portare i documenti di rito.»

«Guardi che mi sono sposato l'anno scorso.»

«Ma che ha capito? Che lei è sposato l'ho letto sul suo fascicolo.»

«Eh, sa, due stipendi precari in famiglia rendono meno precaria la famiglia. Quando finisce un contratto c'è l'altro che va avanti, si fa staffetta, dove mangia uno mangiano due...»

«Sì, e tanto va la gatta al lardo... Mi dica, com'è che non ha portato i documenti di rito.»

«Ancora?»

«La sifilide, professò. Con tutti questi ragazzi qua è pericoloso. Deve dimostrare di essere immune da patologie.»

«Ho solo l'aiddiesse, ma sifilide non ne tengo, segretà.»

«L'aiddiesse non è richiesto, professò, e neppure le lastre per la tubercolosi ci vogliono più. Deve portare solo il certificato di sana e robusta costituzione della Saùb.»

«Ma trattasi di certificato fascista, il Fascismo è morto, e neppure il Regno si sente tanto bene.»

«Ma quale Regno e Regno... siamo ormai una Repubblica e pure Seconda.»

«Appunto, quel certificato era richiesto da un Regio decreto.»

«Lei viene da Reggio? Ma qui è diverso, siamo rigorosi, con le malattie infettive nin si scherza, sta arrivando la I.A.»

«Perché era in gita?»

«È l'influenza, l'influenza A. La suina, professò. Mi raccomando in classe, gestisca bene le etichette respiratorie.»

«Le etichette cosa?»

«Lei non legge le circolari che inviamo in classe? Trattasi del fatto che quando un ragazzo starnutisce, il fazzoletto di carta appena usato dev'essere gestito secondo normativa interministeriale.»

«Ovvero essere gettato nella spazzatura, come ho detto stamattina ai ragazzi. Senta, piuttosto, il professor Menghetti mi ha detto proprio stamattina che a lui non è stato chiesto il certificato di robusta costituzione.»

«Menghetti è di ruolo, professò.»

«Scusi, segretà, gli insegnanti di ruolo non hanno malattie?»

«E come faccio a saperlo io, professò?»

«Già, come fa a saperlo lei?»


Sui tetti perché non protetti

Se, per protestare, i precari salgono sui tetti, preferendo questa scelta quasi estrema alla più tradizionale occupazione di piazze e cortei vorrà pur dire qualcosa. La situazione ormai esplosiva del precariato scolastico deve farci riflettere sulle responsabilità dei sindacati della scuola, fosse solo per mettere in luce l'inefficacia della loro azione. Sono stati utili ai precari della scuola, i nostri sindacati? Se il ruolo del sindacato è prestare un servizio di consulenza in merito ad esempio alla periodica compilazione della domanda di iscrizione o di aggiornamento delle graduatorie, certamente il ruolo delle associazioni sindacali è stato determinante e insostituibile per molti docenti incapaci di fare da soli. Pure la richiesta dell'assegno di disoccupazione, la domanda per un trasferimento di sede o per un passaggio da una cattedra all'altra o infine per un'assegnazione provvisoria diventano momenti talmente destabilizzanti nella vita di un supplente che se non ci fossero i sindacati in tanti rischierebbero un crollo emotivo. Ma è davvero questo il ruolo del sindacato? Certo è che grazie a questo tipo di consulenze le organizzazioni attirano centinaia di migliaia di supplenti i quali spesso si tesserano a questa o a quella sigla. Poco importa, per loro, che questa si collochi a destra o a sinistra. L'importante è che il sindacato si dimostri efficiente nello sbrigare le pratiche e abbia una sede non lontana da casa. Il numero delle tessere acquisite determina l'accesso e la forza contrattuale di un'organizzazione nell'ambito della contrattazione con la controparte. La vita o la morte di un sindacato è condizionata dal numero di tessere.

È sufficiente leggere le tante conversazioni nei siti dedicati ai supplenti per rendersi conto del motivo per cui i precari si avvicinano ormai ai sindacati. C'è una guerra in corso, una lotta tra poveri, e ogni precario sa che per raggiungere il più ambito tra gli obiettivi, ovvero l'accesso al ruolo, è necessario vincere tutte le battaglie contro i colleghi. Occorre raccogliere ì punti necessari per non farsi raggiungere o addirittura superare dai propri compagni di sventura e dunque viene meno, nel settore di cui trattiamo, l'elemento essenziale su cui in genere si impernia l'azione sindacale, cioè la solidarietà. Il più grande e quasi tragico paradosso è che, pur formando un esercito affollatissimo di lavoratori, i docenti precari non esprimono l'identità tipica della parte contrattuale. La controparte di ciascuno dei precari, infatti, non è solo il datore di lavoro ma è costituita da tutti gli altri colleghi. Questo non perché ci sia una graduatoria da rispettare, com'è normale che sia, ma soprattutto perché ciascuno di loro rientra in una categoria di precari diversa da quella in cui si sono infilati i colleghi, per cui ogni ipotetica battaglia che un sindacato volesse fare a favore di una categoria di precari ritenuti vittima di una normativa ingiusta frustrerebbe le aspettative di altri precari, portatori a loro volta di ulteriori esigenze poiché colpiti da altre norme reputate altrettanto ingiuste. Così chi si è abilitato con il concorso ordinario combatte contro chi ha conseguito l'abilitazione con il concorso riservato o contro i sissini o contro i riservisti oppure contro i docenti di sostegno o i lavoratori appartenenti a categorie protette, ecc. Ciò spiega il motivo per cui i sindacati ci pensano non due ma mille volte prima di reagire energicamente contro leggi palesemente folli che si abbattono a giorni alterni sui supplenti. Puntualmente si ritrovano spiazzati da un Tribunale, da un Tar o dalla Corte Costituzionale, che dà ragione alle vittime dell'ingiustizia. Queste però, nel frattempo, hanno dovuto pagare un avvocato per vedere tutelati dei diritti sacrosanti. Ma a che serve il sindacato se alla fine occorre farsi giustizia da soli? Se decine di migliaia di precari della scuola sono intrappolati in una miriade di processi intentati contro il datore di lavoro vuol dire che il sindacato ha ormai poco margine di manovra nella gestione dei conflitti che dovrebbero essere di sua competenza. La sua credibilità agli occhi degli interessati, costretti a scegliere ogni volta strade alternative, è in caduta libera. È la stessa Uil Scuola ad ammettere che ammonta a 638 mila euro la cifra spesa dai precari della scuola nel 2009 per i ricorsi giudiziari. Il dato, spiega il sindacato, è ricavabile moltiplicando una spesa media di 100 euro per il numero dei ricorsi notificati al Ministero dell'Istruzione, 6.381 nel 2009, secondo i dati forniti da quest'ultimo.

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