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| << | < | > | >> |IndicePrefazione all'edizione italiana, di Paule Braudei p. 7 Premessa 23 I. Tre definizioni: l'avvenimento, il caso, il sociale 27 II. La storia alla ricerca del mondo 51 III. Geostoria: la società, lo spazio, il tempo 67 |
| << | < | > | >> |Pagina 27Lo storico non è colui che sa, è colui che cerca Lucien FebvreHo la pretesa di spiegarvi il tempo presente, al di là dei fatti contingenti e dei mutamenti della vita attuale. [...] Ma la mia pretesa, di fatto, si fonda su una grande fiducia e inoltre il viaggio al quale vi invito non è per nulla nuovo; questo lo rende meno attraente, ma anche meno rischioso, in quanto molte tappe del nostro tragitto sono già state individuate con precisione. Ho parlato di grande fiducia. Ma quale fiducia? Quella che io ripongo nella storia, strumento di conoscenza e di misura delle cose. Forse non la storia dei vostri ricordi di scuola, visto che da allora tutto è cambiato - e molto più di quanto pensiate: voi stessi, per incominciare, e la storia con voi. La storia che io auspico è una storia nuova, imperialista e anche rivoluzionaria, capace, per rinnovarsi e compiersi, di saccheggiare le ricchezze delle vicine scienze sociali; una storia, ripeto, che è profondamente cambiata, che ha fatto notevoli passi avanti, lo si voglia o no, nella conoscenza degli uomini e del mondo: in una parola, nell'intelligenza stessa della vita. La definirei una grande storia, una storia profonda. Una grande storia vuol dire una storia che punta al generale, capace di estrapolare i particolari, di superare l'erudizione e di cogliere tutto ciò che è vita, seguendo a proprio rischio e pericolo le sue strade maestre di verità. Ogni epoca ha forse la storia che merita, la fonte di luce che conviene alla sua vista e che le permette di procedere. Alle epoche felici, troppo pacifiche, bastano lampade minuscole. Ma perché la grande storia possa proiettare le sue luci, rese necessarie dalle circostanze e quasi certamente benefiche, occorre che avvengano grandi cataclismi, sciagure in cui l'uomo e i popoli percepiscono istintivamente la tragicità del destino. Grande storia, ma anche storia profonda; una espressione che presto vi sarà familiare, seguendo il filo delle mie riflessioni. Con questa definizione, unicamente ad alcuni storici di oggi e di ieri, intendo una storia degli uomini vista nelle sue realtà collettive, nell'evoluzíone lenta delle strutture, parola che assumo nel significato di moda: strutture degli Stati, delle economie, delle società e delle civiltà... . | << | < | > | >> |Pagina 34Potenza e magia degli avvenimenti! Eppure, per quanto avvincenti, essi non rappresentano l'intera storia del tempo che passa, ma ne rispecchiano soltanto la superficie. La storia non è narrazione di avvenimenti puri e semplici; non è soltanto misura dell'uomo, dell'individuo, bensì di tutti gli uomini e delle realtà della loro vita collettiva. Su questo punto mi soffermerò ripetutamente nel corso del libro.Non tutti gli storici lo sanno. Si tenga presente che alla base di qualsiasi trattazione storica c'è una documentazione attinente sia agli eventi, sia ad una aneddotica, sia alla vita vissuta. Il primo lavoro dello storico inizia con l'inventario e con la critica di questa documentazione. E' vero che la nostra ricerca si riferisce ad avvenimenti privi dell'alone che circonda l'attualítà, disposti secondo prospettive spesso mutevoli, ma pur sempre definibili come tali. Il secondo lavoro consisterebbe nel cercare, accanto ai primi, dei fatti minori che non riguardino le azioni straordinarie o i personaggi illustri, ma gli atti della vita quotidiana. A questo scopo, «il prezzo del ferro o il tasso di rendita o il prezzo del pane ci fanno capire molte più cose della descrizione di una battaglia o dell'incontro di due sovrani», notava Anatole France in una rubrica che teneva ne «La Vie littéraire». Questi piccoli fatti ci permettono di cogliere la realtà della storia collettiva, della storia profonda. Ma, mi duole ripeterlo, non tutti gli storici si impongono queste ricerche supplementari e determinanti. La storia evenemenziale, che non ritengo in alcun modo trascurabile (mi limito a considerarla una categoria della storia ma non la storia tutta intera) esercita su di loro, come del resto sui contemporanei, un fascino esclusivo. Questo genere di storici, e con essi i contemporanei, non si chiedono se al di fuori di quella scena si rappresentino o si siano rappresentate altre storie, drammi ancora in parte immersi nell'oscurità, ma non per questo meno reali. Costoro non si chiedono se, sotto la superficie, esista una profondità della storia. | << | < | > | >> |Pagina 41Ma è proprio vero che il mondo degli uomini è proprietà esclusiva del caso, della sua inesauribile inventiva? Certamente si, se consideriamo isolatamente ciascun avvenimento o piccolo destino individuale. Un numero inverosimile di dadi, sempre in movimento, dominano e decidono di ogni singola esistenza. Lo sappiamo benissimo e non possiamo farci quasi nulla. Tutti crediamo alla sorte e al Caso oppure alla Provvidenza, all'uno o all'altra non cambia molto. Andrò o non andrò a passare la domenica sulle rive dell'Oise? Domandina innocente, che resta in sospeso, legata a una quantità di minimi particolari della mia vita: e chi mai può soppesarli tutti? Ma agli sportelli della Gare du Nord il numero dei biglietti per l'Isle-Adam è esattamente prevedibile, salvo un margine di errore di poche unità. Incertezza dunque nel campo della storia individuale; ma nell'altro, in quello della storia collettiva, semplicità e coerenza quasi totali. La storia è si «una povera piccola scienza congetturale» quando ha per oggetto individui isolati dal gruppo, quando tratta di avvenimenti, ma è molto meno congetturale e ben più razionale sia nei procedimenti sia nei risultati, quando prende in esame i gruppi e il ripetersi di avvenimenti. La storia profonda, la storia su cui si può costruire è la storia sociale.| << | < | > | >> |Pagina 44Non costruiremo una storia completa, se non coglieremo i fatti sociali in tutto il loro spessore, se non affronteremo i fenomeni umani di massa, cercando gli uomini laddove, ostinatamente, si vuole vedere soltanto l'uomo, soprattutto se non utilizzeremo i risultati e gli strumenti delle altre scienze sociali attigue ai cantieri della storia. Paradossalmente è proprio al recente sviluppo delle scienze sociali che si deve l'attuale - e grave - crisi della storia, almeno in Francia, dove gli sforzi della «Revue de synthèse», stretta intorno al suo decano Henri Berr, e delle «Annales d'histoire économique et sociale», con Marc Bloch e Lucien Febvre, tendono a creare una forma di storia nuova e rivoluzionaria.| << | < | > | >> |Pagina 51[...] Ma sorvoliamo su un problema per noi troppo vasto. Il mondo degli uomini sul quale opera la storia deve essere studiato alla stregua delle realtà fisiche. Dobbiamo osservarlo, procedere a deduzioni, collegare i risultati per mezzo di ipotesi provvisorie, avanzare per tentativi, sperimentare, cercare delle leggi. Come i fisici, anche noi storici dobbiamo adottare un atteggiamento scientifico; osservare con distacco, concludere senza preconcetti, prescindere dalle passioni, dai calcoli personali, dalle singole posizioni morali e sociali. Lo storico non deve giudicare, deve spiegare e capire. Non vogliamo più sentir parlare di un Tribunale della storia con la T maiuscola. Scrive Aldous Huxley. «Quasi tutte le discussioni in materia di storia, non dimentichiamolo, sono discussioni di fatti personali. Così, tanto Findlers Petri quanto Spengler credono ai ricorsi ciclici della storia e, sia detto tra parentesi, ci crediamo anche noi. Ma i loro cicli non sono gli stessi, perché diverse sono per norme che caratterizzano la civiltà e la barbarie o, termini, i loro gusti in fatto di letteratura». Riprendendo più avanti, lo stesso discorso, scrive: «Ahimè, non esiste una verità storica - riguardo al passato non vi sono che opinioni più o meno accettabili che variano di generazione in generazione. La storia è una funzione, in senso matematico, dell'ignoranza e dei pregiudizi personali degli storici». Anche se in questa invettiva c'è una parte di verità, sono persuaso che non tutto sia giusto. Personalmente sarei incline a mettere in bilancio, oltre all'ignoranza e ai pregiudizi, ciò che chiamerei (altro modo di esplicitare il termine giudizio) la posizione di vita degli storici ovvero la somma dei loro opportunismi, dei partiti presi politici, religiosi e sociali. Pregiudizi di cui ci si deve sbarazzare senza esitazione. Urge che lo storico, nell'atto stesso di iniziare un libro o un discorso, si spogli di se stesso, eserciti su di sé una sorveglianza continua, indichi esplicitamente la propria posizione personale. I calcoli dei fisici tengono conto della posizione dell'osservatore in quanto essa condiziona e determina la sua verità. Lo stesso vale per lo storico, per lo studioso di scienze sociali. Ogni scienza storica del sociale postula queste condizioni generali. Tralascio invece le condizioni che riguardano gli aspetti specificamente tecnici del mestiere. Ma come potremo assolvere fino in fondo a tali obblighi? Liberandoci dei nostri pregiudizi? E se fosse una pretesa infantile? Ascoltiamo allora Georges Duhamel: «L'imparzialità storica è un inganno. Il vero storico non è un notaio, è un poeta. Si innamora di Anna Bolena, odia Jane Seymour. Resuscita Filippo II col fermo proposito di punirlo. Rappresentare, ritrarre non significa forse soddisfare una passione?». Con queste premesse, dove andrebbe a finire una storia fondata sulla ragionevolezza? Si ha un bel dire che la storia di cui parla Duhamel concerne soltanto l'individuale e l'evenemenziale: questi tipi di approccio hanno trovato già da un pezzo degli strenui e zelanti difensori. Lo stesso Anatole France diceva a L. Bourdeau (1888): «Create pure la scienza della storia: avrete il nostro plauso. Ma lasciateci la grande seducente arte di Tucidide e di Augustin Thierry. La storia narrativa è, per sua essenza, inesatta. L'ho affermato e non lo ritratto, ma essa è ancora, insieme alla poesia, l'immagine più fedele che l'uomo abbia tracciato di se stesso. E' un ritratto. La vostra storia statistica (quella di Bourdeau) sarà sempre e soltanto una autopsia». | << | < | > | >> |Pagina 66Il vero fine della storia non è tanto il passato - un mezzo più che uno scopo - quanto la conoscenza degli uomini, compito collettivo, punto di incontro e di convergenza delle scienze sociali e anche di chi, come noi, le pratica. Potremo infatti spiegare la storia soltanto se spiegheremo anche il mondo.| << | < | |