Copertina
Autore Maeve Brennan
Titolo La visitatrice
EdizioneRizzoli, Milano, 2005, BUR , pag. 112, cop.fle., dim. 130x200x9 mm , Isbn 978-88-17-00702-3
OriginaleThe Visitor [1945]
PrefazionePaula Fox
TraduttoreAda Arduini
LettoreGiorgia Pezzali, 2005
Classe narrativa irlandese
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Pagina 17

Il postale correva verso Dublino, i passeggeri oscillavano e dondolavano al ritmo irregolare e tenevano gli occhi fissi davanti a sé, come se il più piccolo movimento potesse far perdere loro la pazienza. I bagagli erano stati precipitosamente ammucchiati in corridoio, e alcune persone abbandonarono il proprio posto e si misero là, in piedi, appoggiate ai vetri offuscati dal fiato e dal fumo.

Anastasia King ripulì un piccolo riquadro del finestrino e guardò fuori, ma nell'oscurità che sfrecciava via si distinguevano soltanto alcune luci isolate, sfocate dalla pioggia. Si girò verso il corridoio e prese una sigaretta.

Attorno a lei, nella cruda luce giallastra del vagone, le facce erano adombrate e chiuse, la loro indifferenza accentuata dal fragore assordante del treno. Il rumore alzava automaticamente una barriera di ostile irritazione che scoraggiava le anime socievoli. Lei ne era contenta.

Un uomo le parlo, avvicinandosi molto a causa del frastuono, e la fece trasalire.

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Pagina 28

Era novembre quando Anastasia tornò a casa da Parigi. Sedette in salotto, davanti al caminetto, di fronte alla nonna. Era una stanza enorme e piena di ombre, e a illuminarla c'erano soltanto il fuoco e una lampada. Il fuoco era caldo e vivo. Proiettava una luce tremolante fino all'angolo piu lontano e si tratteneva esitante sui vecchi disegni smorti della tappezzeria. Nella stanza nulla si muoveva, tranne le fiamme agitate del caminetto e il chiarore che emanavano. Quella luce lambiva ondeggiando il salotto, come un velo d'acqua sulle pietre.

All'improvviso Anastasia alzò gli occhi verso lo specchio appeso sopra la mensola del focolare. Non era appoggiato piatto al muro, la parte superiore pendeva lievemente in avanti. Rifletteva il tappeto a frange dove lei aveva giocato quand'era piccola, ascoltando le conversazioni che si intrecciavano sopra la sua testa. Lo fissò intensamente, pensando che da qualche parte, nelle sue profondità, doveva conservare un'immagine sbiadita dei volti che aveva rispecchiato.

Spesso aveva alzato lo sguardo e aveva visto suo padre e sua madre agitarsi là dentro, i loro visi a metà tra la luce e l'ombra, e a volte uno dei due aveva guardato in su e l'aveva scoperta a osservarli. In quelle serate aveva preso l'abitudine di scappare via dal fuoco e nascondersi dietro le pesanti tende della finestra, avvolgendosi nelle loro ampie profondità dall'odore stantio, al punto che i rumori della stanza le giungevano attutiti e solo la silenziosa piazza sottostante, immersa in una luce fioca, diventava reale, ma non troppo, con i suoi lampioni sparsi, gli alberi incombenti e i passanti intabarrati.

In piedi dietro la tenda, lei si avventurava in un mondo onirico; si immergeva deliberatamente in un sogno lungo, lunghissimo, che finiva all'improvviso e ricominciava di nuovo, fino all'istante della scoperta e al ritorno a casa, sana e salva, nel suo letto.

Si alzò, soprappensiero, attraversò la stanza e scostò di scatto le tende. Dietro, non c'era nessuno. Fuori, la piazza era sempre la stessa. I lampioni non erano più luminosi di come li ricordava, e gli alberi parevano identici. Dopo qualche istante, vide una figura solitaria avanzare nel buio.

Si girò e guardò lo specchio, che rifletteva soltanto poltrone vuote; e la luce del fuoco baluginava indifferente sui mobili lustri, come un tempo aveva fatto sui visi dei suoi genitori. Ecco lo sfondo, ed è sempre uguale. Lasciò ricadere le tende al loro posto e tornò alla poltrona.

La nonna si svegliò, accantonò il libro, si tolse gli occhiali e restò là, seduta, a rigirarseli in mano.

Disse: «Quanto hai intenzione di restare, Anastasia?»

Anastasia indietreggiò, stupefatta.

«Be', per sempre, nonna.»

Dopo un po', nel silenzio, aggiunse, in tono poco convinto: «Perché, nonna? Temo di non avere pensato a nient'altro che a venire qui. Dopo che lei è morta sono partita subito, non appena sono riuscita a sistemare le cose. Me l'aveva chiesto lei».

«Davvero?»

Con voce gentile la signora King disse: «Sai, Anastasia, quando hai deciso di andare a vivere con tua madre a Parigi, hai fatto una scelta importante. Avevi sedici anni, non eri una bambina. Sapevi che cosa aveva fatto. Eri consapevole dell'effetto che questo avrebbe avuto su tuo padre».

Si rigirò in mano gli occhiali, assorta.

«Non lo sapevi in che stato era, quando ti ha accompagnata a Parigi? Quando ha cercato di convincerti a tornare qui ed è dovuto ripartire solo?»

«Oh, nonna» esclamò Anastasia, «come potevo lasciarla?»

«Non voglio discutere di questo. Ho intenzione di essere molto pratica con te, Anastasia.»

Aveva un tono molto pratico.

«Sai bene che, scappando via a quel modo, come una pazza, tua madre ci ha disonorati tutti.»

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Pagina 48

In un angolo buio della chiesa c'era la mangiatoia. Anastasia riuscì a intravederla, prima di andarsene. La finestra del seminterrato era illuminata quando arrivò a casa. Katharine sta bevendo il tè, pensò, ed entrò silenziosa, e attraversò l'ingresso di soppiatto. Sentì l'immobilità della casa che si addensava lentamente attorno a lei mentre saliva le scale. Com'era silenziosa, nell'oscurità. Ogni curva delle scale era un buio nuovo, e provò sollievo quando arrivò all'ultimo pianerottolo e accese la luce della sua camera. In quella luce gialla improvvisa la stanza le parve irreale. Era come una scenografia, chiara all'occhio e familiare, ma fuori posto e troppo ordinata. Lasciò cadere sul letto cappello e cappotto. Faceva molto freddo. Per scaldarsi si strofinò le mani e sedette accanto al tavolino dei regali. Ce n'erano tre a testa per la nonna e per Katharine, e uno per la signorina Norah Kilbride, che sarebbe venuta alla cena natalizia. Anastasia restò seduta e nella propria immobilità udì l'eco di tutto quello che aveva fatto. Ormai era la mattina di Natale, la mattina magica dell'infanzia, e pensò a tutte le mattine di Natale del passato, quando si era rigirata nel sonno e aveva avvertito accanto al letto gli spigoli dei pacchetti.

Uno dei regali di Katharine era lungo e piatto, i guanti. Uno era piccolo e squadrato, la spilla. Uno era oblungo, l'acqua di colonia. Non avrei dovuto comprare tante cose. Li prese in mano e corse giù d'un fiato, timorosa. Nei sogni si scendono le scale sfiorando appena i gradini con piedi da ballerina, la mano leggera sulla ringhiera. In quelle notti il cuore balza in petto dalla paura.

Katharine era seduta al tavolo della cucina e mangiava una grossa fetta di pane tostato con la marmellata. Era stata anche lei alla messa di mezzanotte, con la sorella. Non si era tolta il cappello. Ce l'aveva ancora posato piatto sulla testa, come una nave a vele spiegate. Gli abiti neri e ordinati cadevano diritti sulla sua figura. La lunga messa, l'incenso, le avevano dato un'aria da domenica mattina, e l'espressione pia da giorno di festa. Il suo grosso libro delle preghiere, gonfio di immagini sacre, cartoline ricordo, altre preghiere copiate e infilate dentro per ogni eventualità, era posato accanto al piatto e ai guanti di lana nera.

Rivolse ad Anastasia un sorriso allegro. Si strofinò le mani per ripulirle dalle briciole.

«Bene» disse. «Bene, bene, bene.»

«Buon Natale» esclamò Anastasia e le posò in grembo i regali. «Dopo tutte le nostre preghiere, ci meritiamo un tè.»

Prese una tazza e si sedette al tavolo. Katharine la guardò e smise di sorridere. Abbasso lo sguardo, tremante, sui regali.

«Perché hai fatto una cosa del genere? Perché mai?»

La sua voce era più acuta del solito e niente affatto cordiale.

«Buon Natale» disse Anastasia con voce squillante e un sorriso. «Non è una serata deliziosa? È piena di stelle e c'è anche la luna. Non sono cose utili, Katharine, le ho scelte perché sono frivole, spero che non ti dispiaccia. Vuoi aprirli, adesso, o vuoi che lo faccia io?»

Katharine disse lentamente: «Chi l'avrebbe mai pensato. Era questo che combinavi lassù nella tua camera, tutta sola?»

Sistemò i pacchetti sul tavolo, con attenzione. Iniziò a scartare quello piccolo e squadrato, e a un tratto tirò fuori un grande fazzoletto bianco e si soffiò il naso e scoppiò a ridere. Alzò gli occhi, piena di calore. Che faccia sciocca, preoccupata, onesta.

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