Copertina
Autore Giuseppe Brillante
Titolo Birdwatching in Europa
SottotitoloI migliori luoghi per osservare gli uccelli in natura
EdizioneMuzzio, Roma, 2008, Natura , pag. 218, ill., cop.fle., dim. 13x19x1,5 cm , Isbn 978-88-96159-00-2
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe natura
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Austria/Neusiedler See - Sul lago dorato                        2
Croazia/Kopacki Rit - Guerra e pace                             6
Danimarca/Isole Faroe - Un mondo a parte                       10
Danimarca/Vejlerne - Equilibrio delicato                       14
Francia/Camargue - La città dei fenicotteri                    16
Francia/Lago del Der Chantecoq - Sosta a cinque stelle         22
Francia/Sept Îles - La Riserva delle sette isole               24
Francia/Baia della Somme - Wildlife in miniatura               26
Francia/La Crau - Una delle ultime steppe d'Europa             32
Gran Bretagna/Skomer - Il rifugio delle berte minori           34
Gran Bretagna/Bass Rock - L'isola delle sule                   38
Gran Bretagna/Loch Garten - Vita privata di un falco pescatore 42
Gran Bretagna/Isole Farne - Incontri ravvicinati               46
Gran Bretagna/Isole Shetland - La forza del mare               50
Grecia/Prespa - I laghi dei tre confini                        60
Grecia/Kastoria - Un gioiello a rischio                        66
Grecia/Kerkini - Omaggio alla bellezza                         68
Grecia/Dadia - La foresta dei rapaci                           74
Islanda/Nelle terre estreme                                    78
Italia/Delta del Po - Un paradiso per ogni stagione            88
Italia/Risaie lombardo-piemontesi - I borghi degli aironi      98
Italia/Sardegna - Dove volano i falchi della regina           102
Italia/Stelvio - Tra le vette del gipeto                      106
Italia/Gran Paradiso - Dove osano le aquile                   112
Norvegia/Runde - Fascino del Nord                             116
Norvegia/Varanger - Il fiordo delle meraviglie                120
Olanda/Friesland - Dove svernano le oche                      128
Olanda/Texel - La forza delle maree                           132
Polonia/Bialowieza - Nel regno del bisonte                    140
Polonia/Biebrza - La valle del croccolone                     144
Romania/Delta del Danubio - Dove muore il grande fiume        146
Spagna/Coto Doñana - Alla foce del Guadalquivir               150
Spagna/Monfragüe - Terra di avvoltoi                          158
Spagna/El Gordo - Il paese delle cicogne                      164
Svezia/Gotland - Il piacere della scoperta                    168
Svezia/Hornborga - Sulla rotta delle gru                      174
Svizzera/Val Roseg - Il bosco dei folletti alati              178
Svizzera/Da Ginevra a Neuchâtel - Mosaici d'acqua             182
Ungheria/Hortobágy - Tra le pieghe del tempo                  186

Elenco delle specie                                           195
Il taccuino del Birdwatching                                  203


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 0

Introduzione


Quattro anni di lavoro. È il tempo che ho impiegato a raccogliere il materiale per il libro che avete tra le mani. Ho avuto il privilegio di visitare i più importanti santuari del birdwatching in Europa, una cosa che già da sola mi ha ripagato degli sforzi e delle difficoltà affrontate. Ogni volta sono rimasto incantato davanti allo spettacolo delle scogliere vocianti stracolme di uccelli, della tundra segnata da un volo di cigni selvatici, delle lagune macchiate dal rosa dei fenicotteri, dei boschi in cui risuona il tamburellare dei picchi. E ogni volta ho provato una strana amarezza. Stiamo distruggendo la natura a un ritmo forsennato. Di questo passo non rimarrà nulla. Mi domando quale contributo posso dare io, che vivo di scrittura e fotografia, per fermare una tale follia. Allora provo a raccontare, dico alla gente di andare a vedere animali e paesaggi prima che scompaiano. Cerco di farlo al meglio, con in testa un pensiero: chi avrà più la stupidità di radere al suolo una foresta sapendo quale straordinaria miriade di forme di vita ospita o il coraggio di mangiare un pulcinella di mare dopo aver ammirato la sua buffa espressione da clown? Sono convinto che il solo modo per vincere la battaglia per la conservazione degli ecosistemi e degli animali che ci vivono sia farli conoscere alla gente. Perché nessun uomo salverà mai quello che non ama.

Penso anche che un'altra maniera sia quella di creare un indotto economico. Un turismo naturalistico intelligente porta denaro alle comunità locali che considereranno così l'ambiente non come qualcosa da sfruttare fino all'esaurimento, ma come una ricchezza da tutelare. Il migliore esempio è la caccia alle balene. Ora che il whale watching, l'osservazione dei cetacei, sta prendendo piede attirando frotte di curiosi disposti a pagare per vederli sono sempre di più quelli pronti a credere che investire nella protezione dei mammiferi marini sia più sensato che ucciderli, trascinandoli sul baratro dell'estinzione. Lo so, l'ultimo concetto può sembrare volgare. Bisognerebbe capire che la vita, di qualunque tipo, ha un valore intrinseco e che le meraviglie della Terra vanno salvaguardate perché sono uniche in tutto l'Universo. Ma ciò richiede una sensibilità che si forma soltanto lavorando duro sulle prossime generazioni. Un percorso che va fatto, ovviamente, ma il problema è che a quel punto potrebbe già essere troppo tardi.

Ecco quindi la filosofia che mi ha guidato. Per questo colgo l'occasione per ringraziare l'editore Franco Muzzio per il suo costante impegno a favore della conoscenza della natura. Il libro non pretende di essere esaustivo. La scelta dei luoghi ha seguito tre criteri: l'importanza dell'area dal punto di vista ornitologico, la facilità di osservazione e la concentrazione di specie. Inoltre, data la mole di lavoro, qualche errore può sfuggire. Se è capitato chiedo scusa ai lettori. Spero in compenso di aver regalato loro la voglia di prendere un binocolo, un manuale e avventurarsi alla scoperta del mondo degli uccelli. Così forse un giorno saranno molti di più quelli capaci di farsi ammaliare dalle bellezze del Pianeta rispetto a quanti le distruggono cementificando e sparando. È soltanto un augurio? Mi piacerebbe davvero poter pensare che è, invece, una promessa.

Giuseppe Brillante

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 88

Delta del Po - Un paradiso per ogni stagione


Non occorre andare tanto lontano per trascorrere qualche super giornata di birdwatching. Forse non ce ne rendiamo conto, ma uno dei luoghi migliori in Europa dove osservare gli uccelli si trova nel nostro Paese. Anche gli stranieri, ben più abituati degli italiani a viaggiare in cerca di uccelli, stanno iniziando a scoprirlo in questi ultimi anni, e ne rimangono entusiasti: c'è chi non esita a paragonarlo alla Camargue, al Delta del Danubio o agli altri grandi santuari della natura che ogni appassionato non manca di conoscere. Lo spettacolo offerto dal Delta del Po è davvero di quelli che lasciano senza fiato, quale che sia la stagione. Gli immensi stormi di anatre nei mesi invernali, i marangoni minori che nidificano accanto alle spatole e agli aironi rossi, le passeggiate nei boschi allagati in primavera accompagnati dai trilli dell'usignolo di fiume, le meravigliose colonie di gabbiani corallini e gabbiani rosei, il brulicare dei trampolieri tra le salicornie in una mattina di fine estate, i voli delle albanelle e dei falchi di palude sopra i canneti... non basterebbero pagine per descrivere il grande show del Delta, l'abbondanza di vita che regna in quest'angolo d'Italia, stretto tra la Pianura Padana e l'Adriatico.

Una miriade di specchi d'acqua

Come è ovvio, quando si parla di un delta sono le zone umide a dominare il paesaggio: nel caso del delta padano, i canali e i bracci del Po si alternano ad acquitrini, a paludi e soprattutto alle valli, aree di acqua salmastra che l'uomo crea per la pesca ma che sono naturalmente sfruttate da migliaia di uccelli. Poi ci sono le lagune, separate dal mare da cordoni di dune: lagune che possono essere vive, quando le onde entrano ed escono, o morte, quando sono chiuse (e allora sono chiamate pialasse). Tra lagune e valli ecco canneti, boschetti di salici e ontani, formazioni di pini domestici, scampoli di macchia mediterranea. E poi barene, argini, lingue di sabbia, banchi di fango tra uno specchio d'acqua e l'altro. Questa grande varietà ambientale da secoli è regolata dall'infinita lotta tra uomo e natura: sarebbe sbagliato, infatti, pensare che il delta padano sia un' area dove la natura regna incontrastata. Da sempre l'uomo ha plasmato la geografia della zona, giocando a braccio di ferro con la forza del fiume e del mare, creando terra e acqua là dove meglio credeva. Provate ad andare al museo allestito nel Castello estense di Mesola, ultimo borgo del Ferrarese prima del confine con il Veneto: rimarrete a bocca aperta di fronte alle antiche mappe che rivelano le molteplici forme assunte dal delta nel corso dei secoli. Ancora oggi, l'uomo è attore fondamentale nel delineare il paesaggio deltizio: non solo per i tanti centri abitati che costellano la pianura veneta e romagnola, ma anche per l'azione esercitata sulle acque del fiume grazie ai cantieri idrovori, agli argini di contenimento, alle chiuse, alle casse di espansione. Mezzi e strutture per proteggere gli uomini dalle piene, ma adatti anche a creare ambienti dove ospitare i visitatori alati.


Numeri da record

Grazie alla varietà degli ambienti, l'avifauna del delta è ricca e composita: negli ultimi decenni, sono state segnalate oltre 300 specie, di cui più di 150 nidificanti e 180 svernanti. La punta di diamante sono naturalmente gli uccelli acquatici, i cui numeri lasciano senza parole in primavera come in inverno. Molte specie hanno qui l'unica area di nidificazione in Italia, o comunque la più importante: è il caso non solo del marangone minore, che nel delta ha il solo sito riproduttivo dell'Europa occidentale, ma anche della spatola, della pernice di mare, della sterna zampenere, della beccaccia di mare. Per il fraticello si tratta addirittura della più importante area di riproduzione europea.

Anche il fenicottero ha iniziato a metter casa nell'area, pochi anni fa, mentre sono ormai numerose le garzane, con tutte le nove specie europee di aironi nidificanti, e le colonie di gabbiani e sterne, rappresentati con nove specie (quelle di gabbiano corallino sono tra le più importanti d'Italia). Numerosi poi i visitatori di passaggio e gli svernanti, anatre e trampolieri prima di tutto. Nei mesi invernali la concentrazione di avifauna acquatica è spesso impressionante: non è raro che oltre 50mila uccelli affollino le valli e le lagune (in un recente censimento condotto nella sola area del parco romagnolo ne sono stati contati quasi 120mila). Tante naturalmente le rarità, che ogni anno non mancano mai di stupire i birdwatcher più esperti.

Anche i rapaci sono ben rappresentati: non è difficile scorgere falchi cuculi e falchi pescatori in periodo di migrazione, mentre d'inverno sono state avvistate aquile anatraie e aquile di mare. Insomma, un paradiso per ogni stagione, che non manca di riservare sorprese anche per quanto riguarda le specie più piccole, soprattutto in primavera e in autunno.

È necessario precisare che con il nome di delta si indica in realtà una zona ben più ampia della Foce del Po, zona che comprende aree umide anche più a sud del delta vero e proprio. In particolare, il delta geografico, con tutti i rami attivi del fiume (Po di Levante, Po di Maistra, Po di Pila...), è quasi interamente compreso in Veneto (provincia di Rovigo) e tutelato da un parco regionale; in Emilia Romagna (province di Ravenna e Ferrara) sono invece ubicate le zone umide del delta storico (come il Po di Volano), quelle lungo la Riviera Adriatica, da Comacchio a Cervia, e anche alcune aree dell'entroterra ferrarese, tutte protette da un secondo parco regionale.


___________________________________________________________
CHECK LIST

Tutto l'anno: cormorano, marangone minore, tarabuso, airone bianco maggiore, garzetta, fenicottero, volpoca, moretta tabaccata, fistione turco, talco di palude, beccaccia di mare, avocetta, fratino, pettegola, gabbiano corallino, beccapesci, forapaglie castagnolo, basettino.

Primavera/estate: airone rosso, sgarza ciuffetto, nitticora, cicogna bianca, spatola, mignattaio, cavaliere d'Italia, pernice di mare, gabbiano roseo, stema comune, stema zampenere, fraticello, mignattio piombato, gruccione, salciaiola, cannareccione.

Migrazioni/inverno: oca selvatica, oca lombardella, fischione, altre anatre, limicoli.

___________________________________________________________



Una realtà composita, quindi, con molteplici possibilità di visita: difficile condensare in poco spazio i migliori itinerari per i birdwatcher. Sono tante infatti le zone che possono regalare emozioni e permettere l'avvistamento delle oltre 300 specie segnalate nell'area.

Lo spettacolo comincia

Le osservazioni possono iniziare alla Foce dell'Adige, poco a sud di Chioggia. Davanti ai canneti di Valle Morosina, sostando sull'argine del fiume, si scopre facilmente una bellissima colonia mista di aironi cenerini e aironi rossi che sembra quasi accogliere il birdwatcher in visita al delta. Proseguendo verso sud, è da non perdere la strada che da Portesine (località in riva all'Adige) va fino al Po di Levante, "tagliando" le valli: in ogni stagione si possono fare eccellenti avvistamenti. In estate, per esempio, nidificano avocette, volpoche, pettegole, fraticelli; in autunno e primavera è comune vedere stormi di trampolieri, tra cui totani mori e gambecchi; in inverno non mancano svassi, strolaghe e anatre. Una volta giunti al Po di Levante, si prosegue verso l'Isola di Albarella in un ambiente dove sono comuni i fenicotteri e varie specie di gabbiani. Si torna poi indietro sulla statale Romea, si fa qualche centinaio di metri verso sud e si devia ancora verso il mare e la località di Porto Levante: da qui inizia la via delle Valli di Porto Viro, un' altra zona che regala belle osservazioni. La strada serpeggia tra argini e lagune; alcune torrette permettono anche la vista dall'alto. Tra le specie più comuni non solo le beccacce di mare, le volpoche, le avocette, ma anche moltissime specie di anatre, gabbiani, cormorani, trampolieri, nonché falchi di palude e passeriformi di canneto. Prima di arrivare a Ca' Pisani-Ca' Venier, dove la strada è bloccata dal Po di Venezia, la Golena di Ca' Pisani offre camminamenti e capanni.

Arrivati all'incrocio, si può svoltare a destra e proseguire per Mea, dove in inverno svernano oche lombardelle e selvatiche, pavoncelle e pivieri dorati; o girare a sinistra, proseguendo verso Ca' Zuliani e Boccasette.

Dopo Boccasette la strada rettilinea sembra quasi voler sprofondare nel delta: è questa una delle zone più interessanti, visitata da migliaia di limicoli e sterne sia in estate sia in autunno (spesso sono presenti anche alcune rarità). Ritornati a Ca' Zuliani, è consigliabile seguire le indicazioni per Pila, punto estremo delle terre emerse: nella valle omonima nidificano moltissime specie, tra cui spesso anche la sterna zampenere e la pernice di mare.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 98

Risaie lombardo-piemontesi - I borghi degli aironi


Alcuni l'hanno definito il mare a quadretti. Altri, meno poetici, una fucina di zanzare assatanate. Quel che è certo è che il triangolo del riso italiano, tra Vercelli, Novara e Pavia, non è noto solo ai buongustai. Anche per gli appassionati di natura le risaie tra Piemonte e Lombardia emanano un fascino speciale: per quell'infinita distesa di specchi d'acqua solcata da piccoli argini di terra e radi boschetti, in cui crescono le più pregiate qualità del cereale; e poi, per i suoi innumerevoli abitanti alati.

Candide garzette e tozze nitticore, grandi aironi cenerini e piccole sgarze ciuffetto: pochi sanno che, grazie al riso, l'Italia ospita una delle maggiori popolazioni di aironi di tutto il continente. Non par vero ai trampolieri di trovare a portata di becco tanto cibo (tra le verdi pianticelle di riso vivono rane, rospi e piccoli pesci); e data l'abbondanza, nella zona proliferano le colonie di nidificazione, dette garzaie, che spuntano ovunque si trovi una macchia di salici, di ontani o di robinie. Certo, è un pallido residuo di quello che doveva essere la Pianura Padana prima che l'uomo intervenisse bonificando il territorio. Un paesaggio di infinite aree umide, paludi e acquitrini, sulle cui sponde crescevano rigogliosi boschi di salici e pioppi affollati da migliaia di aironi. Ma anche oggi, tra campi di mais e grano, si può cogliere qualcosa di quel fascino speciale.

Vita nascosta lungo il Sesia

Trascorrere una mattina di primavera lungo il Sesia (la Sesia, secondo i locali) è il modo migliore per capire quanta vita sia nascosta in questo angolo di pianura. Ci si apposta nel capanno allestito dal Parco delle Lame del Sesia, poco lontano da Oldenico, nel Vercellese, facendo attenzione a posteggiare l'auto dove indicato e a procedere lungo l'argine senza rumore, e ci si mette a guardare: in mezzo al fiume, l'Isolone di Oldenico, riserva naturale speciale, ospita una delle più grandi città degli aironi italiane. È tutto un brulicare di vita: i piccoli degli aironi cenerini, ai piani alti degli alberi, reclamano il cibo; le garzette e le nitticore, più in basso, sono ancora in cova; qua e là compaiono cormorani, sgarze ciuffetto, aironi guardabuoi. Il cielo è costellato da voli di uccelli che fanno la spola tra i nidi e le risaie: ce ne sono anche alcuni dal curioso becco ricurvo verso il basso, gli ibis sacri (quelli dei geroglifici, per intenderci). Scappati da qualche giardino zoologico, dal 1995 si sono perfettamente adattati alla vita della garzaia: il Parco delle Lame del Sesia ospita l'unica colonia italiana, con circa 160 individui e 40 coppie nidificanti. L'area protetta tutela zone estremamente importanti per l'avifauna: non solo un tratto del fiume e l'isolone, ma anche tre riserve naturali speciali nei dintorni, non accessibili al pubblico: la Garzaia di Carisio, la Palude di Casalbeltrame e la Garzaia di Villarboit.

Basta perdersi su qualche strada tra le risaie per fare ottimi avvistamenti. A ovest di Vercelli, per esempio, attorno ai paesi di Crova e Veneria; oppure a sud di Novara, dove Borgolavezzaro si è recentemente autodefinito "borgo degli aironi". Ma un po' ovunque ci siano campi allagati si può incrociare lo sguardo di un airone o di qualche trampoliere che qui si ferma durante la migrazione primaverile. Il momento in cui le ampie, basse e larghe vasche di terra vengono riempite d'acqua, in aprile, corrisponde infatti al passaggio di molti limicoli, che dalle zone di svernamento stanno volando verso i luoghi di riproduzione artici. Le risaie in corso di riempimento, con acqua bassa e libera sufficiente per muoversi e cercare cibo, costituiscono un'occasione inattesa per rifocillarsi prima di proseguire il viaggio: ecco allora stormi di piro piro boscherecci e di piovanelli pancianera, accompagnati da pittime reali, combattenti e gambecchi. Frequenti sono anche gli avvistamenti di cavalieri d'Italia, che restano a nidificare in zona. Ma sono gli aironi i veri protagonisti.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 106

Stelvio - Tra le vette del gipeto


L ultimo gipeto delle Alpi fu abbattuto nel 1913. Da allora, per molti decenni, il volo di questo magnifico avvoltoio ha smesso di solcare i nostri cieli. Oggi il gipeto è tornato, grazie soprattutto a un progetto internazionale di reintroduzione partito una decina di anni fa. La storia di questo grande avvoltoio merita di essere raccontata perché rappresenta in modo esemplare la lotta per la sopravvivenza della natura, che contrappone quelli che distruggono a quelli che dedicano la propria esistenza al tentativo di salvare sia le specie sia gli habitat.

Un tempo, nel Vecchio Continente, il gipeto era diffuso sui principali sistemi montuosi dell'Europa meridionale e centrale, con un areale quasi continuo dalla Penisola Iberica ai Balcani. A causa della caccia e dei bocconi avvelenati, spesso destinati dagli allevatori ai lupi e alle volpi, fu sterminato. Attualmente sopravvivono alcune popolazioni isolate sui Pirenei (una ventina di coppie sul versante francese e un centinaio su quello spagnolo), in Corsica (10 coppie), in Grecia (a Creta quattro o cinque coppie). Quanto all'Italia, era presente oltre che sulle Alpi, anche in Sicilia e Sardegna.

Poi, come abbiamo già detto, nel nostro Paese si estinse definitivamente. Almeno fino a quando una trentina di anni fa in Svizzera si cominciò a parlare di reintroduzione. Furono formate coppie riproduttrici con esemplari in cattività e si diede avvio al rilascio con la tecnica dell' hacking: due giovani di circa tre mesi, in grado di nutrirsi ma non di volare, vengono introdotti in un nido artificiale su una parete rocciosa. Per un breve periodo vengono riforniti di cibo, finché non sviluppano comportamenti istintivi.

Nel 1986 furono rilasciati i primi avvoltoi negli Alti Tauri (Austria), l'anno dopo in Alta Savoia (Francia), poi in Engadina (Svizzera), nel Parco nazionale del Mercantour (al confine tra Francia e Italia) e in quello delle Alpi Marittime (Piemonte). Fino alle liberazioni nel 2000 nel Parco nazionale dello Stelvio (Lombardia e Trentino-Alto Adige). Nel 1998 nacque il primo piccolo sulle montagne della Savoia, a cui fece seguito un secondo, l'anno successivo, nello Stelvio. La scelta di coinvolgere il nostro Paese nel programma di reintroduzione la fecero soprattutto gli avvoltoi, che fin dall'inizio mostrarono una marcata preferenza per i versanti alpini meridionali: quasi la metà degli esemplari liberati fino al 1994 fu rintracciata in territorio italiano.

Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti. Oggi la popolazione delle Alpi si aggira sui 100 individui, molti dei quali sono nati in libertà. Nel Parco nazionale dello Stelvio si riproducono almeno quattro coppie. Vedere questi maestosi uccelli non è facile, ma ci sono alcuni luoghi in cui le possibilità di avvistamento sono più alte.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 112

Gran Paradiso - Dove osano le aquile


Vette maestose, canaloni, praterie d'altitudine e foreste, regno dell'aquila reale e dello stambecco. Il Parco nazionale del Gran Paradiso, che prende il nome dalla sua vetta più alta (4061 metri), è stato istituito nel 1922 su un territorio che godeva da almeno una settantina di anni di una certa protezione. Era una Riserva reale di caccia dove si recava spesso Vittorio Emanuele II. Il principale merito dell'area protetta è quello di aver salvato dall'estinzione gli stambecchi, ormai scomparsi da tutto l'arco alpino. Oggi questi ungulati sono cresciuti di numero e, insieme ai camosci, costituiscono forse la principale attrazione naturalistica.

Anche gli uccelli sono numerosi (95 le specie censite, di cui 75 nidificanti), ma più difficili da osservare che nelle foci dei fiumi o nelle paludi.

La specie simbolo è senza dubbio l'aquila reale, presente con 23/24 coppie. I luoghi migliori per vederla sono, in Val d'Aosta, la Valle di Cogne e i valloni laterali che si diramano, dove sono presenti almeno tre coppie, la Valsavarenche e, nel versante piemontese, l'alta Valle dell'Orco.

Con un po' di fortuna è possibile scorgere in volo la caratteristica sagoma a croce del gipeto. Scomparso dall'area protetta nel 1912, questo avvoltoio sta gradualmente tornando sulle Alpi grazie a un progetto internazionale di reintroduzione. L'ultimo esemplare valdostano fu ucciso in Val di Rhémes, dove, forse per una sorta di espiazione simbolica, oggi si trova un centro visite con un'esposizione sulla sua storia. Il primo avvistamento al Gran Paradiso è datato 1989; da allora il rapace viene osservato con regolarità soprattutto in inverno. Il numero dei rilevamenti è altissimo: ben 280 nel 2007.


Cosa si nasconde nelle foreste

I boschi del parco ospitano il picchio nero, il picchio verde, il picchio rosso maggiore e il picchio rosso minore. È accertata la presenza dello sparviere, dell'astore, della civetta nana e della civetta capogrosso, mentre nei lariceti sono comuni la cincia dal ciuffo, la cincia bigia alpestre e la cincia mora. Più elusivi, il rampichino alpestre, il picchio muratore, il crociere, il ciuffolotto, la ghiandaia e la nocciolaia.

Ai margini della foresta di conifere, tra i cespugli di rododendro e di mirtillo, si nasconde il fagiano di monte (150/200 coppie). Il periodo migliore per osservare questo tetraonide è la primavera quando i maschi, all'alba, si esibiscono in caratteristiche parate per convincere le femmine ad accoppiarsi.

Incontri d'alta quota

La zona oltre il limite della vegetazione è il regno del sordone, del culbianco, del fringuello alpino, del gracchio alpino (particolarmente numeroso e facile da avvicinare intorno al Rifugio Vittorio Sella), del gracchio corallino (una bella stazione si trova in alta Valnontey), della coturnice e della pernice bianca. Sebbene quest'ultima abbia nell'area protetta una sua roccaforte (sono forse più di 200 le coppie presenti), la sua osservazione è sempre problematica a causa del piumaggio mimetico in ogni stagione: bianco candido in inverno, bruno-rossiccio in estate. Comunque, si può provare a battere il fondo della Val di Rhémes, oltre il rifugio Benevolo, e la parte alta del Colle del Nivolet. Le zone d'alta quota, specie se accolgono al loro interno gole e pareti rocciose, sono l'ambiente di nidificazione ideale del picchio muraiolo dalle splendide ali rosso carminio, che quando vola più che un uccello sembra una farfalla.


___________________________________________________________
CHECK LIST

Tutto l'anno: gipeto, aquila reale, fagiano di monte, pernice bianca, coturnice, civetta capogrosso, picchio nero, spioncello, merlo acquaiolo, sordone, culbianco, stiaccino, cincia bigia alpestre, cincia dal ciuffo, picchio muraiolo, corvo imperiale, nocciolaia, gracchio alpino, gracchio corallino, fringuello alpino. crociere, venturose, organetto.

Primavera/Estate: merlo dal collare, codirossone.

___________________________________________________________



Uno dei luoghi dove il suo avvistamento è molto probabile è il sentiero che in Valsavaranche si dirige verso il pianoro del Nivolet. Per poterlo scorgere mentre si sposta in cerca di cibo di roccia in roccia servono molta pazienza e un po' di "mestiere". Su queste stesse pareti nidificano rondine montana, rondone maggiore e corvo imperiale, il cui richiamo inconfondibile risuona un po' ovunque. I ripidi costoni dell'alta Valle dell'Orco ospitano una delle due coppie di gufo reale presenti entro i confini del parco nazionale. Vedere questo maestoso rapace è un evento del tutto eccezionale e fortuito, ascoltarne il potente lamento, al contrario, è abbastanza semplice, in particolare all'inizio della primavera, all'alba e al tramonto. Nel fondovalle, lungo i Torrenti Savara e Valnontey, si possono compiere incontri emozionanti con il merlo acquaiolo.


___________________________________________________________
IN PRATICA

Il Parco del Gran Paradiso è visitabile tutto l'anno, anche se la primavera e l'estate sono i periodi migliori perle osservazioni. L'area protetta include 5 valli: tre valdostane (Valsavarenche, Valle di Cogne, Val di Rhémes) e due piemontesi (Valle dell'Orco e Valle Soana). Il versante vadostano si raggiunge con la A5 da Aosta (uscita Aosta ovest); quello piemontese con la SS460 da Torino o con la SS565 e poi la SS460 da Ivrea.

___________________________________________________________

| << |  <  |