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| << | < | > | >> |Indice9 Introduzione di John Brockman 13 Ringraziamenti Einstein secondo me 17 Einstein a casa sua (Roger Highfield) 26 L'uomo più libero di tutti (Gino C. Segrè) 34 Mentore e cassa di risonanza (John Archibald Wheeler) 42 Le mie bretelle di Einstein (George F. Smoot) 50 Einstein, Moe e Joe (Leon M. Lederman) 59 Il vero e l'assurdo (Charles Seife) 67 Albert Einstein: uno scienziato reazionario (Frank J. Tipler) 75 Helen Dukas: la bussola di Einstein (George Dyson) 82 I miei tre Einstein (Corey S. Powell) 91 In cerca di Einstein (Lee Smolin) 99 Einstein e la realtà assoluta (Anton Zeilinger) 107 Una passeggiata in Mercer Street (Steven Strogatz) 114 Cose e pensieri (Peter Galison) 120 Il piccolo Bernstein arrivò alla relatività (Jeremy Bernstein) 127 I libri in cantina (George Johnson) 133 Come insegnava (Leonard Susskind) 140 Verso un treno in corsa (Janna Levin) 147 La cravatta di Einstein (Marcelo Gleiser) 155 La più grande scoperta che Einstein non fece (Rocky Kolb) 162 Il dono del tempo (Richard A. Muller) 169 Volare via (Paul C. W. Davies) 178 Einstein ai confini della realtà (Lawrence M. Krauss) 184 Nessun inizio, nessuna fine (Paul J. Steinhardt) 191 Dov'è Einstein? (Maria Spiropulu) |
| << | < | > | >> |Pagina 9Introduzione
John Brockman
Quasi tutti i lettori conosceranno già piuttosto bene Albert Einstein, di cui abbiamo celebrato il centenario nel 2005. Non si tratta del centenario della nascita ma di quello del suo annus mirabilis, durante il quale pubblicò cinque articoli che modificarono per sempre la nostra percezione della realtà. Riprendiamo i fatti essenziali: Einstein nacque il 14 marzo 1879 a Ulm, nel Württemberg, in Germania, e morì il 18 aprile 1955 a Princeton, nel New Jersey. I cinque lavori del 1905 sono la sua tesi di dottorato sulla determinazione delle dimensioni molecolari e altri quattro, più famosi, elencati qui nell'ordine in cui furono proposti per la pubblicazione agli «Annalen der Physik»: - sui quanti di luce e l'effetto fotoelettrico (Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e trasformazione della luce, il saggio per il quale gli fu assegnato il Premio Nobel nel 1921); - sul moto browniano (Sul moto delle particelle sospese in liquidi in stato di quiete, alla luce della teoria molecolare del calore);
- due articoli sulla relatività speciale
(Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento
e
L'inerzia di un corpo dipende dal contenuto di energia?,
in cui appare la famosa equazione di materia ed energia, E=mc^2).
Negli anni successivi a questa spettacolare produzione, Einstein si dedicò principalmente a incorporare la forza gravitazionale nella teoria della relatività, e nel 1916 pubblicò I fondamenti della teoria generale della relatività. In questo saggio e in quello dell'anno successivo, intitolato Considerazioni cosmologiche sulla teoria generale della relatività, cercò in un certo senso di spiegare l'universo stesso. In quest'ultimo articolo introdusse la costante cosmologica, poi da lui ripudiata come il suo «più grave errore» ma rivalutata oggi da alcuni cosmologi perché riesce a descrivere l'accelerazione dell'espansione dell'universo, una scoperta recente. Einstein è chiaramente il personaggio più importante del ventesimo secolo. È diventato una vera e propria icona, al di là perfino (purtroppo, secondo alcuni) del suo genio scientifico. Pensiamo tutti di conoscerlo, pur vedendolo in modi diversi. Ho chiesto quindi agli autori che hanno collaborato a Einstein secondo me di rispondere alle seguenti domande: chi era Einstein per te? Che influenza ha avuto sulla tua visione del mondo, le tue idee, la tua scienza? Come ti ha ispirato da un punto di vista personale? Chi era il tuo Einstein?
I ventiquattro autori dei saggi di
Einstein secondo me
sono tra i fisici teorici e sperimentali, gli storici della scienza e gli autori
scientifici più brillanti al mondo. Ma questo libro non parla solo di fisica. È
una collezione di scritti personali, un'opportunità unica di
scoprire come giudicano l'eredità scientifica e filosofica di Einstein
e la sua influenza sulla loro vita e opera. Si tratta di Roger Highfield sul
mito di Einstein; John Archibald Wheeler (l'unico ad avere
conosciuto Einstein, anche se il premio Nobel Leon Lederman lo
incontrò una volta) sui loro colloqui a Princeton, quando Wheeler
era insegnante alla facoltà di fisica e Einstein all'Institute for Advanced
Study; Gino C. Segrè, Lee Smolin e Anton Zeilinger sulle difficoltà di Einstein
nei confronti della teoria dei quanti; George F. Smoot e Peter Galison sulla
combinazione in Einstein di pensiero
puro e osservazione fisica; Leon M. Lederman sulla teoria della relatività
speciale; Charles Seife sull'impiego da parte di Einstein dell'esperimento
mentale; Frank J. Tipler sul motivo per cui Einstein
dovrebbe essere considerato uno scienziato reazionario invece che
rivoluzionario; George Dyson sugli anni della giovinezza trascorsi a
Princeton e l'amicizia con Helen Dukas, l'amanuense di Einstein per
tanti anni; Corey S. Powell sul fondamento filosofico dell'impiego
della parola «Dio» da parte di Einstein; Steven Strogatz, George
Johnson e Jeremy Bernstein sull'influenza di Einstein sulla loro decisione di
dedicarsi alla fisica, quando erano giovani; Leonard Susskind sul modo di
pensare di Einstein; Janna Levin e Maria Spiropulu su come Einstein è visto oggi
dai fisici accademici; Marcelo Gleiser sul nuovo mondo einsteiniano di proprietà
misteriose ed effetti bizzarri; Paul C. W. Davies, Lawrence M. Krauss e Rocky
Kolb sull'accelerazione dell'espansione dell'universo e il ritorno in
auge della costante cosmologica di Einstein; Richard A. Muller sulla
natura misteriosa del tempo; Paul J. Steinhardt su una nuova cosmologia basata
su un universo ciclico e la sua relazione con il pensiero cosmologico di
Einstein.
E per me? Chi è Einstein? Ricordo il momento in cui seppi della sua morte. Mi arrestai bruscamente davanti al titolo di un giornale in un'edicola nella metropolitana di Boston. Avevo quattordici anni. Fu un attimo devastante, in cui provai autentico dolore e senso di perdita. | << | < | > | >> |Pagina 17Einstein a casa sua
Roger Highfield
C'è un ritratto dì Einstein diventato ormai classico. All'inizio un ottuso dislessico, ma riesce a superare quest'ostacolo per gettare le basi della teoria dei quanti, cambiare la nostra visione dello spazio e trasformare il tempo. Nonostante gli altissimi traguardi raggiunti, resta umile. Fa le linguacce ai fotografi. È spettinato. Detesta le calze. È un genio eccentrico dal cuore d'oro. È pacifista (salvo quando si tratta dei nazisti). Ha un viso da saggio coperto di rughe, i capelli bianchi e arruffati; sembrano quasi una criniera, qualcuno dice un alone. Quando descrive l'universo, Einstein ricorre a termini religiosi. Ha l'aura di un santo. Ma ha anche un segreto oscuro: è l'inventore della bomba atomica. L'immagine popolare di Einstein come archetipo dello scienziato eccentrico è nata mezzo secolo dopo le prime manifestazioni del suo incredibile genio creativo. Il saggio dalla chioma incolta, immortalato su migliaia di poster, tazze e magliette è un Einstein che, dal punto di vista scientifico, aveva già dato il meglio di sé, una versione sbiadita dell'originale. Dovremmo dimenticare il vecchietto scarmigliato che si aggira per Princeton senza calze e riportare in auge l'Einstein creativo. Alludo al giovane Einstein, che Paul Carter e io abbiamo cercato di descrivere nel nostro libro del 1993 Le vite segrete di Albert Einstein basato su conversazioni con i suoi familiari e con studiosi come Jürgen Renn, John Stachel e Robert Schulmann. Questo è l'Einstein appassionato. Un Einstein dal corpo muscoloso e forte nonostante la mancanza d'interesse per ogni forma di attività fisica. Aveva lineamenti regolari, occhi castani pieni di calore, una massa di riccioli scuri e dei baffi imponenti. Era un bell'uomo, gli piacevano le donne e l'attrazione era reciproca. E, naturalmente, era un genio. Questo si era capito molto presto. Einstein non era un idiota da bambino. Tendeva a ripetersi, ma non era dislessico, come spesso si afferma. I compagni di scuola alle elementari lo prendevano in giro affibbiandogli il soprannome «Biedermeier» («tonto»), perché sembrava ottuso. Ma sua madre Pauline scriveva nell'agosto 1886 che il bambino, allora di sette anni, era «ancora una volta» il primo della classe e che aveva ricevuto una pagella «splendida». Crebbe in una famiglia che lavorava nell'ingegneria elettrica, un settore di tecnologia avanzata per quei tempi. Nonostante la predilezione per le espressioni tratte dal linguaggio religioso, Einstein trovava impossibile credere in una divinità antropomorfa e nella vita dopo la morte. Affermò che la lettura di articoli scientifici di divulgazione aveva messo bruscamente fine alla sua «religiosità» a dodici anni. Decise che i racconti della Bibbia non potevano essere veri e divenne un fanatico pensatore libero, sicuro com'era che gli avessero mentito fino ad allora. Non fu l'inventore della bomba atomica. Trasformò, invece, la nostra visione di spazio e tempo. I suoi grandi lavori scientifici ebbero inizio nel 1905 quando, a soli ventisei anni, attraversò una fase di creatività intensa. Come quasi ogni altro scienziato e matematico, fu più produttivo negli anni della giovinezza. | << | < | > | >> |Pagina 26L'uomo più libero di tutti
Gino C. Segrè
«È l'uomo più libero che abbia mai conosciuto»: così viene descritto Albert Einstein da Abraham Pais nella sua biografia. Pais, illustre fisico e collega e amico di Einstein all'Institute for Advanced Study di Princeton, lo conosceva bene, bene quanto un giovane poteva conoscere il grand'uomo negli anni del declino. Passeggiavano spesso insieme - Pais riaccompagnava Einstein dall'ufficio dell'Institute alla casa di Mercer Street - discutendo sulla teoria dei quanti e sulla relatività mentre ne approfittavano per fare un po' di moto. Pais era spesso la terza persona presente quando Niels Bohr, in visita a Princeton, riprendeva il dibattito ventennale con Einstein sull'interpretazione probabilistica della meccanica dei quanti; entrambi erano avvolti in una nube di fumo prodotta dalle pipe. In seguito, Pais rielaborò quella prima dichiarazione, affermando che per «uomo più libero» intendeva che Einstein era «padrone del suo destino» più di qualunque altro uomo mai conosciuto. Questa libertà, che si manifestava sotto forma d'indipendenza, distingueva Einstein dalle altre grandi figure del ventesimo secolo. Il ritornello reso famoso da Janis Joplin - «Freedom's just another word for nothing left to lose» [«Libertà significa non avere nulla da perdere»] - non è valido nel suo caso. Einstein aveva molto da perdere. La libertà personale, politica e intellettuale gli costava, ma era disposto a pagarne il prezzo perché rinunciarvi era inaccettabile. La predilezione di Einstein per l'indipendenza si manifestò presto. Durante l'adolescenza, i rovesci dell'attività paterna spinsero la famiglia a trasferirsi da Monaco di Baviera all'Italia settentrionale; il giovane Einstein invece restò lì per finire gli studi, e andava a trovare i famigliari quando poteva. A sedici anni, tuttavia, stanco della Germania e della rigidità del suo sistema educativo, abbandonò il Gymnasium di Monaco, rinunciò alla cittadinanza tedesca e continuò gli studi alla Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo. Cinque anni dopo, nel 1901, ottenne la cittadinanza svizzera. Anche se Einstein continuava a considerarsi svizzero e viaggiava con un passaporto svizzero, acquisì di fatto la cittadinanza tedesca (o, per essere più precisi, prussiana) quando divenne membro dell'Accademia delle Scienze prussiana nel 1913, una posizione che accettò a condizione di poter conservare anche la cittadinanza svizzera. Questa doppia nazionalità gli rimase fino al 1923, quando fu costretto ad accettare formalmente la cittadinanza tedesca. Nel 1914, all'inizio della Prima guerra mondiale, Einstein era il direttore dell'Istituto di Fisica Kaiser Wilhelm e professore all'Università di Berlino. Due mesi dopo lo scoppio del conflitto, il suo collega di Berlino Max Planck firmò con migliaia di altri accademici tedeschi un Appello al mondo della cultura (An die Kulturwelt! Ein Aufruf), un documento con cui si contestavano le accuse rivolte alle truppe tedesche riguardo alle atrocità commesse in Belgio, la distruzione di opere d'arte, il rogo della biblioteca di Lovanio e la fucilazione di civili. In chiusura, il manifesto smentisce le denunce e afferma che la terra che aveva dato vita a Beethoven e Goethe sapeva rispettare l'eredità culturale dell'Europa. Poco tempo dopo, G. F. Nicolai, un altro professore berlinese, elaborò un contro-manifesto che criticava il tono militaristico e nazionalistico della dichiarazione precedente. La sua replica esortava gli europei a unirsi per evitare gli orrori che sarebbero inevitabilmente seguiti. Mettendo in guardia contro i pericoli della guerra, il suo appello racchiude questa nota profetica: «È quindi non solo auspicabile, ma una necessità urgente che gli uomini istruiti di tutte le nazioni facciano pesare la propria influenza affinché, qualunque sia l'esito della guerra, i termini della pace non diventino fonte di conflitti futuri». Questo contro-appello non fu pubblicato perché riuscì a ottenere solo quattro firme. Una fu quella di Einstein. | << | < | > | >> |Pagina 34Mentore e cassa di risonanza
John Archibald Wheeler
[...] L'occasione successiva in cui consultai Einstein a proposito delle ricerche mie e di Feynman fu verso la fine degli anni quaranta, dopo che avevo smesso di dedicarmi agli studi sulle armi durante la Seconda guerra mondiale. Feynman era di passaggio a Princeton e venne con me in Mercer Street. Questa volta l'argomento era la fisica classica, quindi l'allergia di Einstein alla meccanica dei quanti non sarebbe dovuta essere chiamata in causa dalla discussione. Feynman e io avevamo deciso di eliminare i campi dalla teoria elettromagnetica, e scoprimmo con gioia che l'intera teoria poteva effettivamente essere formulata come una teoria dell'«azione a distanza» senza campi, sempre che accettassimo la realtà di «effetti anticipati», quelli in cui l'effetto precede la causa. Una delle conclusioni più intriganti del nostro lavoro era che, in un mondo con poche particelle, il tempo avanzava e indietreggiava con la stessa facilità, rendendo normali le influenze del futuro sul passato. Invece, nel nostro mondo reale di infiniti trilioni di particelle, l'effetto combinato di tutti gli assorbitori di radiazioni lontani impedisce gli effetti nel passato, producendo il flusso di tempo a senso unico che conosciamo. Era naturale che volessimo discuterne con Einstein. Annuì dichiarandosi d'accordo. Aveva sempre creduto, disse, che le leggi fondamentali dell'elettromagnetismo non mostrassero nessuna propensione particolare a essere applicate al futuro invece che al passato. Il flusso unidirezionale osservato, proseguì, era di origine statistica. Accadeva, ne era convinto, a causa del grande numero di particelle nell'universo che possono interagire reciprocamente. Questa fu l'incredibile, eccellente intuizione di Einstein. Feynman e io avevamo fatto calcoli interminabili; Einstein aveva supposto il risultato. In effetti, grazie a una precedente conversazione con Einstein, ero già al corrente di un articolo che aveva scritto con il fisico svizzero Walter Ritz nel 1909. Era un saggio insolito per due motivi: primo, proponeva opinioni, non risultati dimostrabili; secondo, i due autori non erano d'accordo. Nell'articolo, Ritz affermava che l'irreversibilità della natura (ovvero, il flusso unidirezionale del tempo) era uno dei princìpi fondamentali della natura. Einstein obiettava invece che «l'irreversibilità si basa solamente su considerazioni legate alle probabilità». Il lavoro che io e Feynman svolgemmo quarant'anni dopo confermava l'opinione di Einstein. | << | < | > | >> |Pagina 82I miei tre Einstein
Corey S. Powell
È morto da mezzo secolo, eppure Albert Einstein è ancora bravissimo nei coups de théâtre. Arriva inaspettatamente quando porto fuori la spazzatura. Un'occhiata fugace al cielo stellato diventa una visione da capogiro: stelle alimentate dalla fusione, la cui massa è tenuta insieme dalla curvatura spazio-temporale, e che emettono luce a 299792 chilometri al secondo. Balza fuori dalle rocce scolorite dal sole quando mi reco a Mount Wilson, in California, dove Edwin Hubble capì per primo che l'universo si espandeva e trasformò quindi la teoria generale della relatività in un tracciato dell'origine e destino del cosmo. E mi saluta dalle fotocopie sbiadite degli Einstein Archives all'Institute for Advanced Study di Princeton, con le parole ancora fresche e vivaci delle lettere scritte a Franklin Roosevelt, Sigmund Freud, Bertrand Russell, bambini ossequiosi, anche a gente strampalata che voleva ridicolizzare le sue teorie.
Nel corso degli anni, queste sue visite si sono consolidate in un
ritratto del mio Einstein o, più precisamente, dei miei tre Einstein,
legati tra loro ma distinti, che immagino uno dentro l'altro alla stregua delle
sfere celesti di Aristotele. L'Einstein simbolico mi colpisce per l'influenza
tremenda esercitata sulla cultura popolare; l'Einstein scienziato mi parla di
formule e teorie complesse; l'Einstein
filosofo mi tocca il cuore, mettendo alla prova le mie idee di bellezza e
spiritualità. Il fattore di coesione è il dono miracoloso di Einstein per le
invenzioni più temerarie. Nei discorsi pubblici, nelle
teorie, nelle riflessioni religiose gettava uno sguardo penetrante
sulle definizioni esistenti, rifiutava le idee preconcette e ridefiniva
liberamente i termini - spazio e tempo, pacifismo, Dio - in cerca
di significati più profondi.
L'Einstein simbolico mi diede le sue lezioni più indimenticabili mentre crescevo, proprio com'è accaduto a milioni di altri ragazzi brillanti a scuola negli ultimi ottant'anni. Chi non conosce tutti i vari aneddoti? Einstein esordì (questo dice la leggenda, anche se non è proprio così) come bambino «lento» ma, crescendo, diventò un genio generoso. Era così in anticipo sulla sua epoca, tanto sfasato rispetto ai colleghi da dover accettare un umile impiego all'ufficio brevetti svizzero mentre cercava di svelare i misteri di E = mc^2. Einstein incoraggiò lo sviluppo della bomba atomica, poi trascorse gli ultimi anni a difendere la pace e la cooperazione internazionale. Era una presenza ultraterrena, rappresentata visivamente da quella criniera di capelli indomabili, e insieme autore di epigrammi alla portata di tutti: «Dio è complicato, ma non è cattivo», oppure «Per punirmi per il mio disprezzo nei confronti dell'autorità, il Destino ha fatto di me un'autorità». Non importa che molti aspetti della biografia popolare di Einstein siano al limite della caricatura. Il messaggio che trasmettono resta valido. Questo Einstein mi ha insegnato che i grandi successi sono inestricabilmente legati a una sana dose d'irriverenza per le idee più tradizionali. Per me, Einstein era una sorta di hippie della fisica, un uomo la cui creatività era inseparabile dal rifiuto di piegarsi alle regole accademiche e di accettare comode certezze. Mi ricorda Bob Dylan e la sua elettrizzante Like a Rolling Stone o John Lennon che usa il feedback della chitarra e la graffiante arte Fluxus di Yoko Ono. Einstein sarebbe facilmente potuto scendere a compromessi, concentrandosi sulla fisica applicata e insegnando. Scelse invece la strada della libertà di pensiero che finì per produrre la relatività speciale. Ancora mi stupisce l'energia solerte che gli permise di restare fedele alle sue abitudini di pensatore libero anche quando il suo ruolo nel mondo, e il mondo che lo circondava, cambiarono. La sua fama aumentò sistematicamente dopo la pubblicazione della relatività speciale nel 1905 e accelerò bruscamente quando pubblicò la teoria generale della relatività nel 1915. Il crescendo s'intensificò quando l'illustre scienziato inglese Arthur Eddington esaminò le osservazioni raccolte durante un'eclisse solare nel 1919 e dichiarò che la gravità del sole aveva curvato la luce delle stelle vicine esattamente nel modo previsto da Einstein. D'un tratto Einstein passò dalle riviste di fisica alle prime pagine dei quotidiani del mondo intero, trasformandosi nella prima star della scienza sui mass media moderni. L'adulazione lo cambiò ma non in modo narcisistico. Continuò a seguire un sentiero risolutamente indipendente nel campo della fisica, cercando un'unica teoria per tutte le leggi della natura. Pochi lo seguirono, e i suoi molti tentativi (pubblicati) di elaborare una teoria dei campi unificati si rivelarono frustranti vicoli ciechi. Perseverò comunque, chiedendo perfino - secondo quanto si dice - un notes sul letto di morte nella speranza che un ultimo lampo d'ispirazione gli consentisse di portare a termine il progetto degli ultimi trent'anni. Anche quando l'ispirazione scientifica di Einstein si affievolì, la fama espose un altro aspetto della sua grandezza: una profonda consapevolezza della responsabilità che la celebrità comportava. Sapeva bene di essere diventato il volto pubblico della scienza, un ruolo che trattava con irriverenza giocosa ma sincera. Il geniale personaggio dello «zio Albert» smentiva l'immagine stereotipata dello scienziato come materialista privo di sentimenti. (Pensate a quante foto di Einstein in bicicletta o che fa una linguaccia sono ancora oggi appese nelle camere degli studenti). Quelle famose citazioni riguardanti Dio hanno lo stesso effetto, ancora più forte. Quando Einstein parla di Dio, si tratta per me di un atto simbolico oltre che teologico. Era evidente per lui che una scienza che ignora o - almeno apparentemente - rifiuta la religione non sarebbe mai stata pienamente soddisfacente per il pubblico, né per lui stesso. Anche in politica Einstein calcolò attentamente l'interazione tra la propria autorità e il disprezzo per l'autorità. Era sempre stato un antinazionalista e pacifista convinto, violentemente contrario alla Prima guerra mondiale e sconvolto dal sostegno che il conflitto aveva ottenuto da molti colleghi tedeschi. Ora restava fedele a quegli ideali ma riconosceva il pericolo della fiducia cieca nei confronti dell'ideologia, perfino di un'ideologia idealistica come il pacifismo. Durante una conferenza tenuta nel 1931 al California Institute of Technology, spiegò la propria reinterpretazione di quel termine: «Non sono solo un pacifista, ma un pacifista militante. Sono disposto a combattere per la pace... Non è meglio per un uomo morire per una causa in cui crede, come la pace, invece che soffrire per una causa in cui non crede, come la guerra?» Quando si profilò la minaccia di una bomba atomica nazista, firmò la lettera stilata dal fisico Leo Szilard che chiedeva al presidente Roosevelt di promuovere un progetto americano per la bomba atomica. Eppure restò fedele alle proprie convinzioni, sostenendo alla fine del conflitto la necessità del disarmo e di un intervento dei governi internazionali per mantenere la pace.
Chi, tra gli scienziati della generazione successiva a quella di Einstein,
seppe usare in modo altrettanto efficace la tribuna pubblica
offerta dalla celebrità? Guardate gli scienziati più famosi, come
Stephen Hawking, per esempio, o James Watson. Contribuiscono al
progresso con idee meravigliose, ma pochi di loro intervengono con
decisione nelle questioni politiche e sociali.
Dietro all'Einstein simbolico si trova l'Einstein scienziato, l'uomo le cui scoperte teoriche giustificano la fama e le sue conseguenze. Anche in questo caso, era più di un semplice radicale superficiale. Il fisico Banesh Hoffman, collaboratore e biografo di Einstein, diede di lui una definizione azzeccata chiamandolo «creatore e ribelle». Einstein distrusse le certezze classiche, ma solo per creare certezze ancora più forti. Isaac Newton aveva immaginato un universo costruito sullo spazio assoluto, un metro invisibile rispetto al quale si può misurare ogni movimento. Einstein sostituì quello di Newton con un universo basato sulla legge assoluta, sostenendo cioè che la velocità della luce e altre forze fondamentali della fisica restano identiche da qualunque prospettiva si guardino. L'alternativa - che le leggi fisiche cambino con il movimento relativo dell'osservatore rispetto a qualche schema di riferimento impossibile da rilevare e da conoscere - sembra oggi assurda. Eppure tutti i filosofi naturali precedenti, fino ad Aristotele e anche prima, accettavano una versione di questa ipotesi. | << | < | > | >> |Pagina 91In cerca di Einstein
Lee Smolin
Nel mio ufficio è appesa la stampa originale di una fotografia di Albert Einstein, scattata dal fotografo canadese Yousuf Karsh. Mi è stata regalata da un caro e vecchio amico, che conosceva il fotografo, per darmi il benvenuto in Canada. L'ho appesa al posto d'onore, ma la guardo di rado. Mostra un vecchio che fissa l'obbiettivo con un misto di tristezza e intensità. Gli si può leggere negli occhi un'intelligenza profonda e uno spirito ribelle attenuato dal tempo, o forse solo dalla rassegnazione di doversi piegare ancora una volta ai voleri del suo pubblico. Guardandola ora, sono sicuro più che mai di non aver mai conosciuto nessuno come lui. [...] Einstein nel frattempo mi aveva convinto del fatto che la meccanica quantistica fosse insufficiente e dovesse essere sostituita da una nuova teoria. Lo penso tuttora. Non ebbi mai dubbi sul fatto che Einstein avesse ragione. Anche se rispetto i miei colleghi, che non sono d'accordo, trovo quasi incomprensibile il loro modo di pensare. Pur cercando di capirli, trovo sciocco pensare che la natura sia un vettore in uno spazio complesso costituito da dimensioni infinite, alla stregua dell'universo aristotelico di sfere concentriche circondate dalla volta celeste con la Terra al centro. Il fatto che le misurazioni diano valori finiti è solo una conseguenza delle nostre manipolazioni? L'universo ha forse atteso per quasi 14 miliardi di anni che i discendenti delle scimmie decidessero di fare esperimenti per far crollare la sua funzione d'onda? Il mondo è solo informazione che aspetta di essere decodificata? Ho lavorato con la meccanica quantistica tutta la vita e non la capisco, proprio come non la capivo il primo anno che mi sono avvicinato a essa. È una magra consolazione che neanche Einstein la capisse. Da quel momento in poi, Einstein divenne una sorta di mentore immaginario. La sua esigenza di chiarezza sopra tutto, e l'insistenza nel seguire il cammino della verità basandosi sul proprio giudizio senza lasciarsi influenzare da ciò che le persone intorno a lui facevano o pensavano, furono il mio modello. La sua ostinata indipendenza mi convinse che esiste almeno una possibilità di riuscire nella scienza trovando la propria strada.
Allo stesso tempo, ammetto che la mia carriera è stata possibile perché
non
ho seguito Einstein. Se il mio approccio alla fisica avesse avuto la stessa
purezza morale del suo e se avessi rifiutato di lavorare sulla fisica dei quanti
solo perché la trovavo inaccettabile - se avessi insistito per lavorare solo
sulle idee che mi avrebbero
permesso di inventare una teoria per sostituirla - probabilmente
avrei subito il suo stesso destino, cioè non avrei trovato un mio
ruolo accademico dopo la laurea. Invece, compii una deviazione
dalla quale sto emergendo solo ora. Decisi che un attacco frontale
alla teoria dei quanti non presentava grandi vantaggi, né scientifici
né professionali; m'interessai invece al problema della compatibilità tra teoria
dei quanti e gravità. Poiché la gravità era l'unica forza
fisica che non si era riusciti a incorporare nella meccanica quantistica, pensai
che probabilmente si sarebbero potute trovare delle
idee per giungere a una teoria sostitutiva estendendo la meccanica
dei quanti alla gravità e alla relatività generale. Questo era certamente un
metodo che avrebbe fatto ridere Einstein, e non penso
che il nostro successo parziale gli avrebbe fatto cambiare idea.
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