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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 Le Opere Parigine 7 La Mnemotecnica classica 8 La Lingua Imaginale 8 Retorica classica e retorica bruniana 9 Idee archetipiche, noemi e realtà materiale 10 Il vero secondo Bruno 11 L'arte della memoria e la lingua imaginale 12 DE UMBRIS IDEARUM 15 Al lettore amico e studioso 17 A Enrico III 18 Merlino all'artista 18 Merlino al giudice sobrio 18 Merlino al giudice competente 19 Dialogo introduttivo 21 Ermete 29 Trenta intenzioni delle Ombre 33 Trenta concetti di idea 50 La combinazione originata dall'incontro della prima ruota con la seconda 62 L'arte della memoria 63 PARTE PRIMA I Arte e natura 63 II Mente divina e mente umana 63 III Intelligenza ed arte 64 IV Arte e strumento 64 V Definizione di arte, le conoscenze innate 65 VI Clavis Magna, arte della memoria e arte di pensare 65 VII Natura maestra d'arte 66 VIII Operatore e strumento 66 IX Natura principio fisico diffuso e concentrato in ogni cosa 67 X L'arte della Clavis Magna 67 XI Scrittura ed engrafia 68 XII Classificazione delle immagini 68 XIII Sigilli, note e caratteri 69 XIV Le diverse categorie di immagini 70 XV Le immagini sono indispensabili ma non sufficienti 70 XVI Difficoltà di articolare la lingua imaginale 70 XVII Il Nesso 71 XVIII Il Soggetto 72 PARTE SECONDA Premessa 73 I soggetti 74 Gli aggiunti 82 Lo strumento 88 TERZA PARTE § I, § 11, § 111, § IV, § V, § VI 103 Prima operazione sui suoni - La fissazione delle ruote 106 Il movimento delle ruote 113 [...] |
| << | < | > | >> |Pagina 7Nel 1582 videro la luce ben quattro opere di Bruno: Il Candelaio, il De Umbris Idearum, il Cantus Circaeus ed il De Architectura Lulliana. Il Candelaio mostra con ironia, che spesso si fa sarcasmo, la stupidità e l'ignoranza dell'uomo comune, il quale - perso nei sogni di potenza e di felicità riposti nella cultura, nel danaro, nell'amore o nelle arti magiche - diventa incapace di vedere la realtà. In questa condizione di letargo, coloro che dormono più profondamente interpretano la parte della vittime mentre coloro che dormono meno profondamente sono quelli che profittano di tale situazione. È evidente che a tutto ciò l'unica soluzione può derivare dal risveglio dell'intelligenza, risveglio dell'intelligenza che possa mettere a fuoco la situazione nel suo complesso e non solo nell'immediatezza del rapporto con l'altro. "Svegliatevi - sembra dire Bruno agli spettatori - rendetevi conto che avete smarrito la strada del ragionare e cominciate a cercare un Maestro. E non un maestro come Manfurio il quale è solo una biblioteca parlante, ma qualcuno che abbia già interiorizzato quanto appreso e sappia contestualizzare nel tempo presente l'insegnamento del passato, cioè uno che possegga l'arte del pensare". Nel De Architettura Bruno espone la parte dell'insegnamento della Clavis Magna che deriva dal lullismo, vale a dire essenzialmente la logica nell'aspetto combinatorio dei concetti, argomento che rientra nel terzo libro della Clavis Magna.
Nel
De Umbris Idearum
e nel
Cantus Circaeus
Bruno espone alcune tecniche psicotrope che mirano a trasformare la memoria
naturale in memoria artificiale, altrettanto precisa ed affidabile quanto i
mezzi materiali impiegati nella registrazione e nella conservazione dei dati,
cioè la scrittura. Questa scrittura interna, che in termini greci si chiama
engrafia,
è utile ad ogni persona e richiede solo l'adozione di alcune tecniche di
rappresentazione per immagini di concetti normalmente consistenti in parole.
L'adozione di questo tipo di memoria va accompagnata dall'acconcia
sistemazione dei dati che si vogliono conservare e quindi dall'arte di disporre
in ordine le informazioni, di cercarle quando servono: dall'arte cioè di
cercare, di trovare, di inventare.
In appendice a
Il Primo Libro della Clavis Magna
sono riportate, integralmente tradotte dal testo latino
Ad Herennium,
le poche pagine in cui sono raccolte le regole della mnemotecnica classica. In
buona sostanza la tecnica di memoria consiste nel rappresentare per immagini, il
più vivaci possibili, quanto ci si propone di ricordare sfruttando i vantaggi
della memoria visiva rispetto alla memoria delle parole. Le immagini di memoria
vanno conservate poi in luoghi di memoria che rappresentano ambienti ben
conosciuti e successivamente vanno riconvertite in parole seguendo un ordine
fisso.
Impadronitosi fin da ragazzo dell'arte della memoria, ben presto Bruno realizzò che era possibile trasformare in immagini qualsiasi termine della lingua naturale e sostituire quindi il noema sonoro con quello visivo. Un insieme di parole, però, non è ancora una lingua perché occorre dare loro un ordine, cioè una grammatica, per formare dei concetti e strutturarli in frasi e queste poi a loro volta andranno strutturate secondo le regole della sintassi per formare un vero discorso. La grammatica della lingua imaginale gli era familiare perché bastava completare, con opportuni accorgimenti, le immagini di memoria per avere i diversi casi della declinazione latina e sostituire ai loci che rappresentavano ambienti reali con altri loci geometrici di forma costante, idonei a contenere qualsiasi frase. Lo studio delle opere di Raimondo Lullo gli fornì alla fine anche la bramata sintassi, grazie alle ruote di logica elaborate da questo suo predecessore. A questo punto era nata la lingua per pensare, svincolata dalle pastoie della lingua naturale. | << | < | > | >> |Pagina 15| << | < | > | >> |Pagina 21Ermete - Va' avanti tranquillo, poiché riconosci che unico è il sole e unica l'arte. L'identico sole magnifica le gesta di uno e espone al biasimo le azioni vergognose di un altro. Della sua presenza si rattristano i notturni barbagianni, rospi, basilischi, gufi, tutti esseri solitari e notturni sacri a Plutone, invece esultano il gallo, la fenice, il cigno, l'oca, l'aquila, la lince, l'ariete e il leone. Quand'egli sorge chi opera nelle tenebre si rifugia nelle tane, mentre l'uomo e gli animali diurni escono per le loro attività. Questi invita al lavoro, quelli spinge all'ozio. Al sole si volgono il lupino e l'elitropia, mentre nella direzione opposta guardano erbe e fiori notturni. Innalza i vapori rarefatti in forma di nuvole, a terra invece rovescia quelli condensati in acqua. Distribuisce agli uni una luce perenne e continua, agli altri alternata a fasi di oscurità. L'intelletto che non erra insegna che esso sta fermo, ma il senso fallace fa credere che si muova. Sorge sulla parte esposta della terra che gira, mentre tramonta su quella opposta. In apparenza egli gira intorno ai circoli che dicono artici per la distinzione in destra e sinistra, ma a molti altri sembra percorrere un arco che passa sopra o sotto. Egli appare più grande alla terra che occupa il punto più alto del suo giro, ma sembra più piccolo a quella regione che occupa il punto più basso (proprio perché è più distante da esso). In alcune porzioni dei semicerchi viene a mancare lentamente invece in altre velocemente. Egli risulta più boreale "per la terra che si protende verso l'Austro, ma più australe per la terra che volge verso Borea. Per chi ha un orizzonte ad angolo retto riceve una latitudine uguale da una parte e dall'altra, ma disuguale per chi l'ha obliquo. A coloro che abitano lo spazio tra i due paralleli mediani di questa mole distribuisce tenebre sempre pari alla luce, agli altri invece con tempi determinati. Se la divina terra che ci nutre sul suo dorso gli mostra la nostra fronte, ci fa ricevere raggi obliqui, invece perpendicolari per quelli cui fa esibire la sommità del capo. Anche certi vicini corpi di mondi (che molti considerano esseri animati e divinità secondarie sottoposte ad un solo principe) ricevono luce da lui al cosiddetto auge o all'apogeo, invece gli altri che l'hanno in opposizione la ricevono a medie latitudini (così le chiamano) e a intervalli. Quando la luna (che molti filosofi considerano un'altra terra) riceve in pieno la luce nel suo emisfero rivolto al sole, la terra, triste per l'interposizione di quel globo, mostra all'emisfero opposto della luna la faccia in ombra rivolta verso di lui. Perciò il Sole che rimane sempre uno e identico si presenta sempre diverso per gli uni e gli altri secondo come sono disposti. Analogamente dobbiamo ritenere che quest' arte solare sarà diversa per gli uni e gli altri. - Filotimo: Ermete, che vai dicendo fra te? Che libro è quello che tieni in mano? - Ermete: È il libro sulle Ombre delle Idee raccolte per la scrittura interna. Sono incerto se debba essere pubblicato oppure restare in eterno nelle stesse tenebre in cui un tempo fu nascosto. - Filotimo. Perché mai? - Ermete: Perché l'autore (come dicono) mira a un bersaglio ambito da Sagittari armati di molte specie. - Filotimo: Ma se tutti dovessero temere ed evitare il pericolo, nessuno mai avrebbe tentato imprese importanti e niente di buono e di bello si sarebbe mai realizzato. Come dissero i sacerdoti egiziani, la provvidenza degli dei non smette di mandare agli uomini alcuni Mercuri in tempi stabiliti, benché sappiano in precedenza che l'accoglienza loro riservata sarà nulla o pessima. L'intelletto tuttavia non cessa di illuminare sempre, a somiglianza del sole sensibile, benché né sempre né tutti ce ne accorgiamo. - Logifero: Mi troverei senz'altro d'accordo con chi pensa che queste pagine non vanno divulgate, ma sento che Filotimo ha dei dubbi a questo proposito. Se avesse udito con le sue orecchie ciò che noi abbiamo ascoltato, di sicuro preferirebbe gettarle sul fuoco piuttosto che pubblicarle. Infatti finora non hanno portato altro che guai al loro autore. Ora non so cosa si possa sperare per il futuro, a parte quei pochi che da soli possono intendere questi temi, gli altri non potranno affatto dare un giudizio obbiettivo. - Filotimo: Senti cosa dice? - Ermete: Sì, ma per potere udire di più, discutete tra di voi. - Filotimo: Disputerò allora con te, Logifero, e per prima cosa affermo che il tuo dire non genera alcuna convinzione che il laccio del tuo ragionamento non possa confermare piuttosto nel parere opposto. Infatti quei pochi che avranno compreso questa tua invenzione, e tra loro ci siamo Ermete ed io, l'esalteranno con grandi lodi, mentre quelli che non l'avranno capita non la potranno né lodare né biasimare. | << | < | > | >> |Pagina 63L'arte riposa all'ombra delle idee se sollecita la sonnolenta natura e la precede; o la guida quando tenderebbe a sbagliare; o la rinforza quand'è stanca o la corregge quando sbaglia, o la segue quand'è perfetta e ne emula l'industriosità.
Un'arte siffatta per ricercare le cose in genere è senz'altro l'architettura
discorsiva, che quando si fa tendenza dell'anima raziocinante promana da
Quello che sta all'origine della vita del mondo al principio della vita di tutti
e di ciascuno. Non si appoggia a nessun potere né scaturisce da una particolare
facoltà: ma abita l'intera psiche come sua essenza. Né temo che i fatti
smentiscano le mie parole, difatti se
Piuttosto non è chiaro che qualità possieda il principio che muove
l'anima in generale rispetto a tutte e ciascuna funzione e in che
modo ciò avvenga. Ci si chiede infatti perché l'anima si riveste di
un'arte? Con quale arte l'anima si veste di un'arte? È forse giusto
non chiamare arte la tecnica con cui madre natura tramite la ripetizione delle
azioni si sforza di farsi esperta?
Poiché molti artisti usano uno strumento, e tuttavia la loro arte non è
lo strumento, ma viene eseguita con uno strumento, non è forse lecito dire che
prima delle molteplici arti esiste quella che definirei
arte strumentale?
Non è forse giusto chiamare arte quella che fabbrica lo strumento delle arti?
Cosa sarà se non è un'arte? Ma se lo strumento non ha preceduto ciò per cui era
necessario che fosse costruito, prova a dirmi che funzione deve aver preceduto
l'arte. Infatti in cosa preesisteva l'arte strumentale oltre che nello
strumento? Fuor di dubbio nel soggetto fisico preesistente. Quello fu formato in
una certa posizione perché fosse adatto all'intima dominazione del primo
strumento. Se poi al filosofo grossolano piace denominare l'essenza di qualcosa
in primo luogo dall'aspetto esteriore, lasciamo correre, poiché è consuetudine
porre la funzione delle cose artificiali nella loro forma esteriore, dato che
l'arte non scende nell'intimo della materia. Ma costui è lontano dalla nostra
intenzione, sicché non può capire.
Ma se le cose stanno così come pare a coloro che filosofano meglio, non c'è
altra definizione per quello che in primo luogo è
l'arte: una facoltà naturale nata insieme alla ragione, coi semi dei principi
primi. In queste conoscenze innate risiede
il potere di lasciarsi sedurre dalle lusinghe dei diversi oggetti esteriori,
essi sono illuminati dall'intelletto agente come da un sole radioso, e ricevono
l'influsso delle idee eterne quasi col concorso delle stelle, mentre tutte le
cose sono fecondate contemporaneamente dall'Ottimo Massimo e sono ordinate per
conseguire il proprio fine secondo capacità. Si mostra così chiaramente che non
è azzardato voler chiamare la dedalea natura fonte e sostanza di ogni arte.
Considera pertanto con quale possibile intendimento abbiamo affermato che
l'arte in certe cose vince la natura in altre da quella è superata. Questo
infatti può accadere solo quando si veda che la natura mostra nelle conseguenze
remote effetti maggiori che in quelle vicine. E si dice che essa stessa ha
perpetuato nella medesima specie una forma sostanziale e non può averla
perpetuata secondo il numero. In queste cose la facoltà dell'arte si arresta.
La forma esteriore e la figura dell'inventore della
Clavis Magna,
tramite l'arte è affidata alla dura pietra, o al diamante. Ugualmente le
condizioni, le procedure e il nome dell'
arte della memoria
e dell'
arte di pensare
vengono affidati agli oggetti perché siano perpetuati, siccome la natura non
potrebbe conservarli, giacché lo stomaco della mutevole materia a tempo debito
digerisce ogni cosa.
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