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| << | < | > | >> |IndiceVII Premessa 3 1. Lo stato vivente 1.1 Un'ipotesi di lavoro 16 2. La memoria e gli strumenti 2.1 I molti codici del DNA 2.2 L'evoluzione del DNA 59 3. La rete e l'individuo 3.1 Reti 3.2 Omeostasi e regolazione 5.3 La forma e lo sviluppo 118 4. Evoluzione 4.1 Breve storia delle teorie del Novecento 4.2 Il percorso incompiuto 4.3 Biforcazioni 151 5. Per il disordine benevolo 5.1 Geni e culture 5.2 Biotecnologie 5.3 Ecosistemi e ambiente 171 Scheda 1 Correlazioni 1 Stato vivente e teoria della complessità 2 DNA come sistema complesso 3 Misure sul DNA 4 Altri tipi di analisi 195 Scheda 2 Bioinformatica 1 Complessità degli algoritmi 2 Allineamento di biosequenze 3 Genome Rearrangement 4 Alberi filogenetici ?17 Scheda 3 Reti 1 Tre modelli alle equazioni differenziali ordinarie di una rete metabolica semplice 2 Un modello ad automi cellulari di un mezzo eccitabile 239 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina VIIPremessaLe scienze biologiche fino alla seconda metà dell'Ottocento sono state prevalentemente descrittive, nonostante che l'approccio sperimentale di tipo galileiano sia molto precedente (ricordiamo a questo proposito ad esempio l'impostazione metodologica innovativa di Lazzaro Spallanzani). La fase descrittiva degli studi biologici tuttavia è andata accumulando un patrimonio enorme di osservazioni su innumerevoli ed articolati aspetti delle forme della vita e anche, ma solo in parte, delle sue funzioni, anche se di queste raramente alla descrizione seguiva la spiegazione. Contrastavano con questa tendenza prevalente le teorie evolutive, a cominciare da quella di Lamarck, che avevano introdotto i concetti di storia e narrazione (Gagliasso), già allora specifici delle scienze della vita, tentando anche spiegazioni delle dinamiche dei cambiamenti che andavano raccontando. Lo stesso Darwin, tuttavia, si fermava, dubbioso, di fronte all'impresa di spiegare le cause della variazione e soprattutto i meccanismi con i quali viene tramandata di generazione in generazione. Questo anche perché il metodo galileiano, da tempo usato in fisica e chimica, di modificare gli oggetti della ricerca, in modo che il risultato della modificazione permettesse di confermare o invalidare un'ipotesi di partenza, era ben lungi dall'essere universahnente applicato in biologia. Inoltre, e questo fatto ha acceso un lungo dibattito sulla legittimità di chiamare teoria la proposta concettuale di Darwin, la formalizzazione matematica delle «leggi» che governano l'evoluzione era completamente assente. Ci volle un fisico, Gregorio Mendel, formatosi alla scuola di Vienna dove lavoravano personaggi del calibro di Doppler, Unger ed altri, perché il metodo sperimentale moderno, corredato da una formalizzazione matematica di carattere probabilistico, fosse utilizzato per la spiegazione dei processi ereditari. I risultati di Mendel e dei mendeliani che operarono all'inizio del 1900 introdussero nella teoria evolutiva, in particolare ad opera di Hugo de Vries, i concetti, appunto formalizzati, di caso e di discontinuità, apertamente antitetici all'impostazione darwiniana classica, innescando un aspro ma fruttuoso dibattito sul ruolo reciproco in biologia di queste categorie. Da questo, ebbe poi origine una formalizzazione matematica assai complessa della teoria evolutiva grazie ad alcune geniali estrapolazioni all'evoluzione dei dati che Mendel aveva ottenuto sulla segregazione dei caratteri in generazioni successive di incroci programmati, detta «sintesi moderna», dal titolo di un famoso libro di Julian Huxley. Questa formalizzazione permetteva di fatto un'unificazione concettuale del mendelismo e del darwinismo, in cui convivevano le antinomie di cui sopra come aspetti complementari e non contraddittori della vita. Il formalismo matematico potente della genetica di popolazioni e di una disciplina in qualche modo da essa derivata, la genetica dei caratteri quantitativi, nato da una collaborazione fra fisici, matematici e biologi, ebbe poi applicazioni in una serie di campi come l'ecologia, l'etologia, l'epidemiologia, la paleontologia, l'antropologia e tuttora conserva un suo potere euristico e una sua validità applicativa. A partire dagli anni cinquanta e in particolare dalla scoperta, anch'essa dovuta ad una interazione fra biologi e fisici, questa volta ambedue sperimentali, della struttura prevalente del DNA, nacque la biologia molecolare. Questa disciplina, la cui base era stata in qualche modo prevista ancora da un fisico, Erwin Schrödinger, in una serie di lezioni poi raccolte in un volume intitolato, non a caso, Cos'è la vita?, ha determinato un salto qualitativo nella nostra conoscenza dei processi biologici di base ed ha dato luogo allo sviluppo di mezzi potenti di modificazione degli esseri viventi, le moderne biotecnologie. Negli ultimi venti anni del secondo millennio, in particolare, l'accumulazione dei dati sulle strutture/funzioni della vita ha subito un'accelerazione esponenziale, mentre i primi prodotti biotecnologici invadono il mercato e promettono di cambiare in modo forse determinante il nostro stesso modo di vivere. Questo impressionante afflusso di conoscenze e di spiegazioni di singoli processi vitali, tuttavia, mentre ha reso non più sufficienti i formalismi precedenti della biologia, non ha ancora dato luogo ad una sintesi convincente che permetta una revisione e l'aggiornamento delle teorie evolutive e fornisca strumenti metodologici adeguati per modulare gli effetti dei nostri interventi in campo biotecnologico, sulla salute e sull'ambiente, resi possibili dai potenti strumenti della biologia molecolare e delle discipline ad essa collegate. Non è sufficiente per questo la concezione essenzialmente meccanica e deterministica della vita che, introdotta agli inizi degli anni settanta, sull'onda dell'ottimismo positivista della genetica molecolare, è purtroppo ancora quella dominante in molti testi e soprattutto nei mezzi di comunicazione di massa. Simbolo di questa concezione è stato il «dogma centrale della biologia molecolare», enunciato nel 1958 (il termine dogma non era, naturalmente, scelto a caso). Sembrava allora di poter affermare con sicurezza che forma, funzione, dinamica degli esseri viventi fossero essenzialmente determinati dalla «memoria» contenuta nel DNA. Ne derivava una forte se non assoluta capacità predittiva della vita una volta che i «messaggi» contenuti nel DNA fossero stati definitivamente decifrati, il che, secondo i sostenitori di questa visione avrebbe permesso di «migliorare» gli esseri viventi, umani inclusi, senza pericoli di effetti secondari negativi. Questo, probabilmente non a caso, avveniva in un momento in cui la giovane industria farmaceutica, sorta di fatto a partire dagli anni quaranta, era in pieno boom e stava nascendo, in un'atmosfera di grandi speranze, l'industria biotecnologica avanzata, basata sull'uso delle tecniche di modificazione del materiale ereditario. Proprio i dati della biologia molecolare che vanno accumulandosi a velocità incredibile giorno per giorno stanno smentendo questa ipotesi di lavoro semplicistica e confermano invece una serie di caratteristiche specifiche della vita, fra cui, in particolare, la permanente convivenza di ordine e componenti casuali. Si può anzi affermare che organizzazione e plasticítà sono ambedue componenti essenziali per l'esistenza stessa della vita. È proprio questo aspetto fondamentale che ha attirato sulla biologia l'interesse di studiosi di altre discipline scientifiche, dalla fisica alla matematica, all'informatica ed anche di alcune aree «umanistiche» (epistemologia, linguistica, sociologia, economia, psicologia ecc.). La fisica e la matematica in particolare trovano collegamenti importanti con la biologia per il parallelo svilupparsi nei campi rispettivi delle ricerche di dinamica non lineare e, in genere, sul comportamento dei sistemi complessi. Si va così creando un'area di interfaccia, che tuttavia ha bisogno urgente di un terreno concettuale e di un linguaggio comune che permetta la formulazione di una «sintesi del secondo millennio» di quello che chiamerò da ora in poi «lo stato vivente» della materia, sintesi naturalmente, davvero non definitiva come si conviene ad una scienza, la biologia, che tratta appunto di fenomeni in continuo cambiamento. Il modo più diretto per raggiungere questo obiettivo pare, ad un biologo come lo scrivente, quello di tentare una sintesi aggiornata delle caratteristiche fondamentali dei sistemi biologici, utilizzando anche categorie e parametri appartenenti alle così dette «scienze esatte». Il tutto reso, per quanto possibile, comprensibile a chi, pur appartenendo ad aree di ricerca non matematizzate, ad esempio in campo umanistico, prova interesse per la nuova biologia, ne trae stimoli e, forse, analogie utili per il suo lavoro. Si potrebbe forse così dare una svolta alla discussione attuale sui limiti da porre e sulle modalità da seguire nelle nostre interazioni con l'ambiente e con i nostri simili riportandola sul terreno concreto della conoscenza dei processi vitali su cui vorremmo intervenire. Evitando in questo modo, se possibile, di restare nelle secche della contrapposizione, millenaria, fra chi crede ciecamente nella positività dell'uso dei risultati della scienza per la modificazione del Mondo e chi invece li demonizza come opera di diaboliche magie. Questo volume vorrebbe quindi tentare da un lato un inizio di sintesi teorica delle conoscenze sullo stato vivente fin qui acquisite, offrendo a studenti e studiosi di biologia, fisica, informatica, matematica e delle scienze umane interessate a quelle della vita in genere alcuni strumenti per la costruzione di una conoscenza di interfaccia ormai richiesta da molti e resa concreta dalla costruzione di una serie di istituzioni scientifiche che lavorano nel campo dei cosiddetti «sistemi complessi» da alcuni anni. Per questo il volume è stato strutturato in cinque capitoli, il primo dei quali offre una proposta teorica che poi viene documentata negli altri, scritti tutti, almeno spero, in linguaggio comprensibile anche a chi non ha familiarità con la matematica, la fisica, l'informatica. Per chi poi voglia affrontare un primo approfondimento dei concetti proposti con gli strumenti offerti da chi, appartenendo a queste ultime discipline, si interessa di biologia, il testo è corredato da tre schede estese di più forte formalizzazione. | << | < | > | >> |Pagina 31. Lo stato vivente1.1 Un'ipotesi di lavoro L'umanità si è chiesta da sempre se le leggi che regolano la struttura e la dinamica della materia non vivente siano applicabili alla vita e, nel caso di una risposta affermativa a questo quesito, se siano sufficienti per la sua descrizione e spiegazione. Per un lungo tempo, chi difendeva l'unicità della vita ha invocato la presenza in essa di entità non materiali (lo spirito vitale, la «entelechia» ecc.), essenzialmente imprevedibili e del tutto inconoscibili da parte dell'uomo. Dall'altra parte della barricata si è da sempre collocato chi tendeva a ridurre gli esseri viventi alla condizione di macchine sofisticate ma comunque sufficientemente semplici da poter essere modificate a volontà ed in modo prevedibile da chi ne conoscesse il progetto di base. Questa ultima interpretazione è diventata largamente prevalente soprattutto nella seconda metà del Novecento, quando i potenti metodi della genetica e della biologia molecolare hanno indotto a pensare che un essere vivente potesse essere semplicemente assimilato ad una somma di molecole con un ordine precostituito le cui regole fossero tutte depositate nel DNA e che quindi singole molecole fossero modificabili su basi concettuali e con processi completamente assimilabili a quelli coinvolti nella progettazione e nella modificazione-miglioramento di una qualsiasi macchina prodotta dall'uomo. Uscendo da questa logica, inizieremo in questo capitolo un percorso in cui tenteremo di capire insieme se lo «stato vivente» (gli stati viventi) è distinguibile ed identificabile per caratteristiche strutturali e dinamiche ben defite né più né meno di come è avvenuto ed avviene per altri stati della materia (stato liquido, solido, gassoso ecc.). Presupposto concettuale di questa operazione è quindi, innanzitutto, l'accettazione del fatto che i sistemi viventi sono materiali e come tali sono descrivibili usando anche gli strumenti concettuali della fisica e della matematica. | << | < | > | >> |Pagina 13[...] Possiamo quindi concludere in altre parole che la vita sul nostro pianeta è organizzata su una scala gerarchica di reti dinamiche a diversi livelli di aggregazione, tutti con le stesse regole generali di comportamento ma anche con regole aggiuntive livello per livello.A ben vedere, anzi, sul nostro pianeta alla struttura gerarchica ora descritta se ne è sovrapposta un'altra, dopo la comparsa dei primi organismi dotati di sistema nervoso. Un sistema nervoso che, come vedremo in seguito è anch'esso dotato di deposito di memoria e di strumenti (i neuroni) i cui pattern di attivazione forniscono prodotti che, grossolanamente, si possono chiamare «pensieri». Naturalmente i neuroni che fungono da supporto materiale ai pensieri hanno una struttura e funzioni simili alle altre cellule, ma la formazione dei pattern ha sue regole autonome ed i sistemi nervosi di diversi individui appartenenti alla stessa specie (e non soltanto) comunicano tra loro. Si formano così reti «sociali» di sistemi nervosi, che in una serie di animali (alcuni insetti per esempio) sono fortemente connesse e estremamente complesse. Nel caso degli esseri umani i diversi sistemi sociali hanno sempre comunicato tra di loro e, dato che gli uomini hanno imparato a conservare i pensieri su supporti materiali (dalle pietre scolpite ai moderni strumenti informatici), si è costruita una memoria di specie. Questa dà stabilità e funzionalità ai pensieri che vengono scambiati nella rete, tanto che i loro movimenti e interazioni non sono più interamente controllabili dagli autori (basti pensare da questo punto a certe dinamiche delle borse o alle ondate di notizie che ogni tanto ci investono). Si è così costituita quella che è stata chiamata da Vernadiskji la «noosfera», sistema organizzato di pensiero che ha una crescente influenza sui suoi stessi supporti materiali e su tutta la vita del nostro pianeta. In conclusione, nonostante quindi che i sistemi dinamici parzialmente ordinati siano osservabili nel mondo non vivente, solo la vita ha le caratteristiche di individualità (compartimentazione) e di organizzazione gerarchica a cui si aggiunge la permanenza dello stato di disordine e di vincoli probabilmente alla base della origine della vita, che dura fino al giorno d'oggi. L'ipotesi che meglio spiega la concomitanza di queste caratteristiche è che tutto ciò sia dovuto alla presenza di una memoria capace di riprodurre continuamente i vincoli che stanno alla base dello stato correlato. Come è noto, questa memoria esiste e viene riprodotta attraverso la replicazione del DNA. Il DNA quindi, come vedremo in seguito, può essere considerato come un serbatoio di strumenti (le proteine per le quali possiede l'informazione), strumenti che non sono in un numero infinito e che possono interagire solo in determinate condizioni come abbiamo discusso. Da quanto si è detto sembra in conclusione emergere una caratterizzazione abbastanza coerente della materia «allo stato vivente» che può essere riassunta nella tabella 1.1 e nella figura 1.2. Come si vede, ripetiamo, mentre quasi tutte le caratteristiche sono singolarmente presenti in specifici sistemi non viventi, l'insieme non lo è né lo sono alcuni elementi originali che abbiamo discusso nel testo. Si delinea così un'ipotesi di base che deve essere però provata e documentata analizzando a fondo la struttura e la dinamica dei sistemi viventi. È quanto cercherò di fare nei prossimi capitoli. Tabella 1.1 Alcune caratteristiche specifiche dello stato vivente I sistemi viventi sono: - aperti, in quanto scambiano materia ed energia con l'esterno; - fuori dall'equilibrio; - costituiti da elementi interconnessi; - si autoorganizzano; - non sono additivi, nel senso che l'entropia di un sistema non è uguale alla somma delle entropie dei subsistemi componenti; - hanno una storia temporale e quindi un presente, un passato, un futuro; - sono in una condizione di disordine con vincoli (correlazioni) o, come si dice, «al confine fra ordine e caos»; - si «inventano» dal punto di vista strutturale, energetico e funzionale quando si fondono; - sono «compartimentati» (individui) e si scambiano segnali filtrati con l'esterno; - sono dotati di capacità «omeostatica» ed «omeorretica», e cioè di meccanismi di plasticità che permettono di stabilizzarne gli equilibri dinamici; - si adattano quindi alle condizioni esterne; - sono organizzati per aggregazione in ordine gerarchico in cui sorgono regole di «divisione del lavoro fra i componenti»; - l'ordine gerarchico è mantenuto attraverso diversi livelli di connessioni; - sono dotati di una «memoria» materiale replicabile e trasmissibile di generazione in generazione (il DNA) degli strumenti disponibili che a sua volta determina i vincoli. Figura 1.2 L'ordine gerarchico della vita molecole | cellule --> cellule nervose | | organismi --> sistemi nervosi individuali | | popolazioni --> sistemi nervosi sociali | | ecosistemi | | | biosfera --> noosfera |
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