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| << | < | > | >> |IndiceIX Presentazione di Nicola Acocella e Maurizio Franzini La solitudine del riformista PARTE PRIMA Il nucleo ragionevole dell'economia politica 9 1. Per una sintesi dei paradigmi economici 17 2. Le parole dell'economia politica 20 3. «Indistruttibile» Joan Robinson, addio 23 4. Morte di un grande economista. La solitudine insidiata di Sraffa 26 5. Il ritorno della mano invisibile 29 6. Com'è arcaica la nuova economia PARTE SECONDA Errori da manuale 37 1. Errori da manuale 39 2. Tra verbosa babele e speculazione «ottimale» 41 3. Speculazione tracotante 44 4. Praticoni pittoreschi 47 5. Se bastasse diminuire il numero degli zeri 49 6. Suggerimenti per futura memoria 52 7. L'ipocrisia e il libero scambio 54 8. E' intangibile la signoria del dollaro? PARTE TERZA Le idee e gli interessi 61 1. Interventi e spontaneismo di mercato 64 2. Scribacchini o jettatori 67 3. Le «pene» del moderno capitalismo 70 4. Politica economica, tecnica, cultura 74 5. Miti e monete 77 6. Il pallottoliere dell'informazione e le mode della politica 80 7. I casi d'Italia, rivisitati 83 8. Riconversione o erogazioni per l'industria? 90 9. Un messaggio non pervenuto PARTE QUARTA Privilegio e povertà 97 1. L'assistenza negata 100 2. Casa, pensioni e Welfare... 104 3. Rabbiosa serietà due mesi dopo 106 4. Altro che uguaglianza delle posizioni di partenza l09 5. La mezza pera di Luigi Einaudí 111 6. Un «patto» senza basi 114 7. Gli sperperi dei nove 117 8. Economia reale e tassi «esplosivi» 120 9. La «strategia globale» del signor Baker 123 10. I ricchi hanno un alibi PARTE QUINTA L'abitudine di agire di rimessa 129 1. Che spregiudicato quell'economista, ha scoperto la legge della giungla 132 2. Il «furore» del '29, il ristagno dell' '86 135 3. Inflazione di giudizi nel campo di sinistra 138 4. Processo a Berlinguer 140 5. I nostalgici della mano invisibile 143 6. Il sindacato del dopo crisi 146 7. Scelte, non eccessi di autocritica 150 8. Il vestito di Arlecchino PARTE SESTA Istituzioni e regole del gioco 155 1. Le ipocrisie del «patto sociale» 159 2. Son bastati cinquant'anni 163 3. Le delusioni non fanno storia 166 4. Due stili 168 5. Condizioni di lavoro e assenteismo 183 6. La Montedison e il ministro 187 7. Il vento neoliberista di Mediobanca 189 8. Com'è statico il precariato 192 9. Protagonisti contro lo sfascio 194 10. Un cammino difficile 197 11. Pressioni indecenti della Cee 200 12. L'ovvio elevato a grandezza PARTE SETTIMA Il rifiuto di essere succubi: per una politica economica alternativa 205 1. Il falso dell'unità economica 216 2. La politica contro l'inerzia della crisi 220 3. Il rifiuto di essere succubi 222 4. Non esistono armi segrete 225 5. Contratti e occupazione 230 6. Cupidigíe di reaganismo 232 7. Le armi spuntate contro l'inflazione 235 8. Babele economica 238 9. E' consentito discutere di protezionismo economico? 241 10. Primo, secondo, terzo, quarto... 244 11. Umanesimo del Welfare |
| << | < | > | >> |Pagina 3 [ riformista ]Il riformista è ben consapevole di essere costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi, ...La derisione è giustificata, in quanto il riformista, in fondo, non fa che ritessere una tela che altri sistematicamente distrugge. È agevole contrapporgli che, sin quando non cambi il «sistema», le sue innovazioni miglioratrici non fanno che tappare buchi e puntellare un edificio che non cessa per questo di essere vetusto e pieno di crepe (o «contraddizioni»). Egli è tuttavia convinto di operare nella storia, ossia nell'ambito di un «sistema», di cui non intende essere nè l'apologeta, nè il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell'immediato e non desiderabili "in vacuo". Egli preferisce il poco al tutto, il realizzabile all'utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione radicale del «sistema». | << | < | > | >> |Pagina 90 [ teoria economica ]È cosa ben nota che l'influenza della teoria economica, ai fini della soluzione di problemi concreti di politica economica, si manifesta generalmente con notevole ritardo, quando si manifesta. A chiusura della "Teoria generale", J.M. Keynes pose l'affermazione, divenuta celeberrima, secondo la quale «gli uomini della pratica, i quali si credono affatto liberi da qualsiasi influenza intellettuale, sono usualmente schiavi di qualche economista defunto (...) Non però immediatamente, ma dopo un certo intervallo».| << | < | > | >> |Pagina 91 [ Hotelling, Dupuit, infrastrutture ]Si trattava di stabilire se la costruzione a New York di una galleria per il traffico sotterraneo attraverso l'Hudson dovesse essere condizionata o meno all'accertamento che l'ammontare dei pedaggi imposti e di prevedibile riscossione fosse sufficiente a coprire le spese per la costruzione e la gestione della galleria. Hotelling dimostrò in modo analitico (senza mancare di richiamarsi all'opera del francese Jules Dupuit che aveva sostenuto una tesi analoga, con differenti tecniche espositive) che non soltanto la costruzione della galleria doveva dipendere dalla sua utilità pubblica e non dai pedaggi conseguibili, ma che questi costituivano comunque un modo irrazionale di finanziamento delle infrastrutture pubbliche.Il metodo efficiente di amministrare un ponte o altre opere analoghe, egli scriveva, «è di porlo liberamente a disposizione del pubblico, almeno sino a quando il suo uso non si accresca in maniera tale da portare ad un affollamento eccessivo. Un ponte aperto al libero transito viene costruito con costo non maggiore di quello di un ponte su cui si applicano diritti di pedaggio e viene gestito con un costo minore; ma la collettività, che in un modo o nell'altro deve pagare il suo costo, si avvantaggia in misura maggiore del ponte aperto al libero traffico». | << | < | > | >> |Pagina 249 [ teoria economica, emarginazione, benessere sociale ]La consapevolezza «dei limiti delle nostre capacità a formare una rappresentazione coerente e unificata dell'intero mondo economico» costituisce un elemento di forza, non di debolezza, della indagine economica. È un atteggiamento che pone al riparo da fragili certezze (l'inefficienza dello Stato, la forza creativa del mercato, il parassitismo arrogante della burocrazia); ma non attenua l'impegno per un miglioramento sociale inteso non come strategica acquisizione del consenso, ma come sforzo di attenuazione delle molteplici forme di emarginazione degli esseri umani. Nell'individuarle, nel ricercare i mezzi per ridurle o eliminarle, chi si dedichi a questa indagine non è mosso da alcuna schumpeteriana ostilità intellettuale verso l'attuale sistema economico, ma dal convincimento di essere il fiduciario di una «civiltà possibile». È il discostarsi da questi fondamenti che ha indotto a prospettare l'istanza del benessere sociale come un'assordante e straripante richiesta a «volere di più», dimenticando quanto sia tuttora abissale il divario tra «chi ha» e «chi non ha».| << | < | |