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| << | < | > | >> |IndiceJean-François Jarrige 3 Prefazione Pierre Cambon 9 Introduzione Omar Khan Masudi 13 Il Museo nazionale d'Afghanistan negli ultimi trenta anni Pierre Cambon 19 Missione di restauro a Kabul, aprile 2003: in un modo o nell'altro, la statua di Kanishka riprende vita... 20 Carta dei siti archeologici dell'Afghanistan Pierre Cambon 21 Cronologia degli scavi Pierre Cambon 22 Cronologia storica Jean-François Jarrige 25 Il tesoro di Fullol Paul Bernard 33 La colonia greca di Ai Khanum e l'ellenismo in Asia centrale Véronique Schiltz 45 Tillia Tepe, la «collina dell'oro», una necropoli nomade Pierre Cambon 55 Begram, antica Alessandria di Caucasia o capitale kushana Pierre Cambon 83 Viaggio in Afghanistan, anello di congiunzione dello spazio e nel tempo Catalogo 98 Tepe Fullol 102 Ai Khanum 126 Tillia Tepe 182 Begram Appendici Pierre Cambon 234 Tesori ritrovati, tesori restaurati Gonzague Quivron e Fabienne d'Allava 236 Dal restauro all'analisi, il caso di un bronzo di Begram Thomas Calligaro 240 Analisi dei materiali: Tillia Tepe, studio degli intarsi e dell'oro Pierre Cambon 244 Tillia Tepe, la connessione con l'Oriente 252 Legislazione afghana sulla tutela del patrimonio storico e culturale |
| << | < | > | >> |Pagina 9IntroduzionePIERRE CAMBON
Conservatore capo del Musée national des Arts asiatiques-Guimet
Su questo filo tematico dei «tesori ritrovati», le finalità della mostra si concentrano sulle collezioni del Museo di Kabul: con la presentazione di quattro siti, Fullol, Ai Khanum, Tillia Tepe e Begram, si richiama l'avventura archeologica condotta in Afghanistan, ma anche la storia del paese, dalle epoche più antiche ai regni dei re kushani, quando quelle regioni costituivano il centro di un impero nomade sconfinato, che si estendeva dall'India del nord fino all'Asia centrale. Attraverso raccolte di pezzi di grande bellezza che denotano la ricchezza del territorio afghano, ma che allo stesso tempo gettano nuova luce sulle culture che lo circondano, questi «tesori ritrovati» rappresentano anche l'epopea di una memoria e di un'identità, una «memoria ritrovata» che ha saputo superare quasi vent'anni di guerra. Mostrano il cuore di un Museo nazionale in piena ricostruzione, un museo fiero del proprio passato e delle proprie tradizioni, ma aperto anche alle future scoperte, agli scavi e alle ricerche che negli anni a venire dovranno far luce su una storia la cui scoperta è appena iniziata, ricerche che al momento vedono la partecipazione attiva della DAFA e dell'Istituto archeologico afghano. Così come i tesori dell'Oxus e di Mir Zakah, Fullol è frutto del caso, di una scoperta fortuita ma, a differenza dei due rinvenimenti citati, rimanda alla preistoria. Eco della civiltà cosiddetta della Battriana (2000 a.C.), questo tesoro rivela la porzione di Afghanistan situata a est dell'altopiano iranico e testimonia di un'arte animalista improntata alle tradizioni locali. Questi vasi in oro, che vantano un'estetica raffinata, sottolineano il ruolo cruciale svolto dalla Battriana negli scambi fra il Vicino Oriente, il Belucistan e la civiltà dell'Indo. Ai Khanum, alle porte della steppa, è un'«Alessandria» forse fondata da Alessandro, che prospetta una Battriana agli avamposti del mondo ellenizzato e del mondo sedentario. Evocazione di quel regno che paradossalmente ha saputo sbocciare ai confini del mondo greco e del quale gli autori classici cantano le mille città, Ai Khanum costituisce la più orientale punta di avanzamento dell'ellenismo, fino al cuore stesso dell'Asia. Se i conquistatori greci si arrestarono là dove si erano già fermati i persiani, la loro presenza in Asia centrale, all'origine di un regno particolarmente florido, sarà determinante per l'evoluzione dell'arte e della storia a sud della catena montuosa dell'Hindukush: come spiegare, altrimenti, la successiva comparsa di un'arte «greco-buddhistica», o di quella scuola «greco-afghana» che si ritrova a Hadda, e anche oggi negli scavi di Kabul? Alcuni reperti del sito di Ai Khanum denotano la purezza della tradizione ellenica, ma anche la simbiosi operatasi con tradizioni più orientali (la placca con Cibele), mentre i lingotti d'oro del tesoro di Ai Khanum richiamano la ricchezza dei condottieri greci e la loro inclinazione a coniare monete. Questi pezzi testimoniano poi l'avventura unica di quello che prima della guerra civile sembrava il più grande scavo della DAFA, uno scavo iniziato da Daniel Schlumberger su invito del re afghano. Ultima grande scoperta prima dell'invasione sovietica e degli anni di caos che sono seguiti, il tesoro di Tillia Tepe è di fatto una necropoli nomade che risale all'incirca all'anno zero della nostra era. Sei tombe rimaste intatte rivelano il fasto incredibile dei corredi funerari che accompagnavano nella morte questi principi, dei quali non si può certamente dire che appartenessero a dinastie «barbare», stando alla raffinatezza e all'inventiva della loro oreficeria tempestata di pietre preziose, ma portano alla luce anche alcuni pezzi greco-romani, indiani e persino cinesi, che denotano come questi principi avessero contatti con i massimi imperi del mondo sedentario. Se Tillia Tepe ben giustifica il proprio nome di «collina dell'oro», è tuttavia ai suoi occupanti che si devono gli sviluppi intervenuti nella storia afghana: è infatti a causa della pressione crescente di queste popolazioni nomadi, che fossero sciti o yuezhi, che verso il 150 a.C. scomparve definitivamente la Battriana greca a nord dell'Hindukush. È a questo crescente afflusso di popoli e di tribù originarie del nord che si deve la nascita dell'impero kushano (secoli I-III). Certo, l'esatta origine dei principi di Tillia Tepe rimane ancora oggi oggetto di dispute accademiche, non di meno il tesoro sottolinea il ruolo dell'Afghanistan quale tappa essenziale lungo la via delle steppe, quella via che attraversa l'Eurasia dalle sponde del Mar Nero e dal Chersoneso fino alla penisola coreana. Se i gioielli, sullo sfondo di influenze attinte dal repertorio delle steppe e del mondo iranico, evocano immediatamente l'oro degli sciti, così come già l'avevano rivelato i kurgani, i sepolcri funerari presenti in Ucraina e nella Russia del sud, in compenso la corona richiama molto curiosamente la tradizione che si ritrova in Corea nel periodo dei tre regni (secoli I-VII): cosa tutto sommato non così illogica, se si pensa che il coreano appartiene al ceppo delle lingue uralo-altaiche allo stesso modo del magiaro, del turco e del mongolo. Fullol, Ai Khanum e anche Tillia Tepe illustrano gli esordi della storia afghana a nord dell'Hindukush. Con il tesoro di Begram il centro del potere si sposta a sud, all'epoca delle dinastie kushane, dopo che, verso l'anno 30 d.C., l'ultimo re indo-greco della valle di Kabul, Hermaios, scompare sotto la spinta nomade: i reperti rinvenuti in due camere sigillate nel sito di Begram, l'antica Alessandria del Caucaso, testimoniano appunto la potenza dei conquistatori kushani. E al momento degli scavi effettuati dalla DAFA nel 1937/1939, sul sito dell'antica capitale dell'attuale provincia di Kapisa, la città di Kapisa, che si rivelò l'esistenza di un tesoro, oggi ripartito fra il Museo nazionale di Kabul e il Musée Guimet. La mostra, con l'eccezionale ricongiungimento di alcuni tra piu emblematici dei pezzi appartenenti alle collezioni afghane e al lotto di Parigi, mira a rendere giustizia a questo insieme superbo, che mostra l'Afghanistan ai confini di tre mondi, la Grecia, la Cina e l'India. Accanto ad avori indiani fra i più antichi che si conoscano e ciotole laccate cinesi in parte scomparse, un ricco insieme di vetri, bronzi e medaglioni in gesso mostra i legami con Alessandria e il mondo romano. Se i bronzi richiamano certe statuette ritrovate a Taxila (nell'odierno Pakistan) e i medaglioni ricordano gli scavi del Chersoneso, i vetri, per la raffinatezza delle tecniche e la sorprendente varietà, paiono essere gli esemplari più antichi dei vetri greco-romani. Di un'arte della quale è testimonianza il vetro del faro di Alessandria, che rimane l'unica traccia attualmente nota a fornire una rappresentazione del volume di quel monumento al tempo considerato una delle sette meraviglie del mondo greco-romano. Paradossalmente, quindi, Begram si configura come una tappa obbligata per chi si interessi di arte greco-romana, così come di arte indiana. C'è poi una storia che rimane enigmatica, una storia che evidenzia le attuali lacune nella conoscenza sia dell'impero kushano sia delle civiltà circostanti, e costituisce quindi uno stimolo a proseguire le ricerche. Sebbene i pezzi greco-romani o cinesi siano datati con precisione all'inizio dell'era cristiana, il lotto degli avori costituisce oggetto di controversie, e il senso stesso di «tesoro» non mette fine agli interrogativi. La mostra, presentandolo nel suo insieme ma anche inserito nella continuità dei «tesori ritrovati», dovrebbe consentire di affrontarlo sotto una diversa luce, a quasi settant'anni di distanza dalla sua scoperta. Sarà questa inoltre l'occasione per un intervento di restauro e di pulilitura che ne consentirà la ricollocazione nelle gallerie del Museo nazionale di Kabul, al momento della nuova installazione di tutte le sue collezioni. Fullol, Ai Khanum, Tillia Tepe, Begram sono tutti nomi che scandiscono la storia afghana, richiamando un passato particolarmente brillante, forieri forse di ulteriori future scoperte che andranno a trovare posto nel Museo di Kabul: la civiltà della Battriana delle origini, le influenze ellenistiche ai margini dell'Indo, l'eco di quel mondo delle steppe le cui interferenze strutturano la tradizione afghana dall'alba dei tempi. Se Fullol mostra l'Afghanistan fra l'Iran e l'India, Tillia Tepe rimarca come sia anche aperto verso il nord e verso l'Asia centrale, una costante della sua storia che tornerà in seguito con i regni turchi e l'impero mongolo. Quanto ad Ai Khanum, questa città denota l'impatto della spedizione di Alessandro Magno, il ruolo dell'ellenismo nell'Asia orientale, un ruolo paradossale, tanto fu radicato, e che i legami con l'impero romano vedranno riattivare, come illustra Begram. Di tutti questi elementi l'impero kushano saprà produrre una sintesi, sostenendo in seguito, nell'epoca dell'imperatore Kanishka, il buddhismo e favorendo la fioritura di un'arte «greco-buddhistica»: evento fondante per tutta l'Asia dell'est, che da solo meriterebbe un'altra esposizione, quando i lavori di restauro delle collezioni del Museo di Kabul, attualmente in corso, lo renderanno possibile. La mostra del 2001, «Afghanistan, une histoire millénaire», richiamava la ricchezza del patrimonio proveniente dal territorio afghano, attraverso le collezioni conservate in Francia, in Russia e negli Stati Uniti, sull'onda emotiva della distruzione dei Buddha di Bamian. Nel 2006, «Afghanistan, i tesori ritrovati», presentando le collezioni afghane del Museo di Kabul in piena ricostruzione, mette in luce la bellezza e l'originalità di un patrimonio la cui riscoperta si deve in parte agli scavi e in parte alla casualità. L'esposizione ci mostra dunque un Afghanistan al cuore stesso dell'Asia, grazie a reperti straordinari che sottolineano il carattere unico di un patrimonio che occorre saper proteggere per le generazioni a venire, in ragione sia della sua qualità sia della sua fragilità, essendo la bellezza qualcosa di così raro e spesso effimero, ma fondamentale tanto per la pace dello spirito quanto per l'armonia del mondo. | << | < | |