Copertina
Autore Andrea Camilleri
Titolo La pista di sabbia
EdizioneSellerio, Palermo, 2007, La memoria 717 , pag. 268, cop.fle., dim. 12x16,7x1,5 cm , Isbn 978-88-389-2216-9
LettoreGiorgia Pezzali, 2007
Classe narrativa italiana
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Pagina 9

Uno



Raprì l'occhi e di subito li richiuì.

Da tempo gli accapitava 'sta specie di rifiuto dell'arrisbiglio, che non era per prolungare qualichi sogno piacevole che oramà gli capitava di fari sempri cchiù raramenti, no, era pura e semprici gana di restare ancora tanticchia dintra al pozzo scuro, profunno e càvudo del sonno, ammucciato propio in funno in funno, indove sarebbi stato impossibile che qualichiduno l'attrovasse.

Ma sapiva d'essiri irrimediabilmente vigliante. Allura, sempre con l'occhi 'nserrati, si misi ad ascutari il rumore del mare.

Quella matina era una rumorata leggia leggia, squasi un fruscio di foglie, che s'arripitiva sempri uguali, signo che la risacca nel sò avanti e narrè mantiniva un respiro tranquillo. Epperciò la jornata doviva essiri bona, senza vento.

Raprì l'occhi, taliò il ralogio. Le sette. Fici per susirisi e in quel momento gli tornò a mente che aviva fatto un sogno del quale arricordava sulo come delle immagini confuse e staccate tra loro. Una magnifica scusa per ritardare tanticchia la susuta. Si stinnicchiò novamenti e richiuì l'occhi, tentando di mettiri in sequenza quei fotogrammi sparpagliati.


La pirsona che gli stava allato in una speci di grannissima spianata erbosa era 'na fìmmina, ora capiva che era Livia ma non era Livia, in quanto aviva la facci di Livia, ma il corpo era troppo grosso, sformato da un paro di natiche tanto enormi che la femmina faticava a caminare.

Del resto macari lui si sintiva stanco come doppo 'na longa passiata, per quanto non s'arricordava da quanto tempo erano 'n camino.

Allura le spiò:

«Ci vuole molto?».

«Ti sei già stancato? Nemmeno un bambino si stancherebbe così presto! Siamo quasi arrivati».

La voci non era quella di Livia, era sgraziata e troppo acuta.

Ficiro ancora un centinaro di passi e s'attrovaro davanti a un cancello di ferro battuto, aperto. Oltre il cancello continuava lo spiazzo erboso.

Che ci stava a fari quel cancello se a perdita d'occhio non si vidiva né una strata né 'na casa? Lo voliva spiare alla fìmmina, ma non lo fici per non risintiri la sò voci.

L'assurdità di passari attraverso a un cancello che non sirviva a nenti e non portava a nisciun posto gli parse talmente riddicola che fici un passo di lato per aggirarlo.

«No!» gridò la fìmmina. «Che fai? Non è permesso! I signori si possono irritare!».

La voci fu accussì acuta che a momenti gli spirtusava i timpani. Ma di quali signori parlava? Comunque obbedì.

Appena passato il cancello, il paesaggio cangiò, addivintanno un campo di corse, un ippodromo con la pista. Ma non c'era manco uno spettatore, le tribune erano vacanti.

Allura s'addunò che aviva gli stivali con gli speroni al posto delle scarpe e che era vistuto priciso 'ntifico come un fantino. Sutta il vrazzo aviva macari un frustino. Matre santa, che volivano da lui? Mai, in vita sò, era acchianato supra a un cavaddro! O forse sì, quanno aviva deci anni e sò zio l'aviva portato in una campagna indove...

«Montami» disse la voci sgraziata.

Si voltò a taliare la fìmmina.

Non era cchiù fìmmina, ma squasi un cavaddro. Si era mittuta a quattro zampe, ma gli zoccoli alle mano e ai pedi erano chiaramente finti, fatti d'osso, tant'è vero che li tiniva 'nfilati ai pedi come se erano pantofole.

Aviva sella e briglie.

«Montami, dai» arripitì.

Lui montò e quella partì al galoppo che parse un furgarone. Putupum, putupum putupum...

«Ferma! Ferma!».

Ma quella si misi a curriri cchiù forte. A un certo momento s'attrovò caduto 'n terra, col pedi mancino 'mpigliato nella staffa e la cavaddra che nitriva, no, arridiva arridiva arridiva... Po' la cavaddra-fìmmina di colpo sgonocchiò supra le zampe anteriori con un nitrito e lui 'mprovisamente libero, sinni scappò.


Non arriniscì ad arricordarisi altro, manco sforzannosi. Raprì l'occhi, si susì, annò alla finestra, spalancò le persiane.

E la prima cosa che vitti fu un cavaddro, stinnicchiato di fianco supra la rina, immobile.

Per un momento strammò. Pinsò di stari continuanno a sognare. Po' accapì che la vestia supra la rina era reale. Ma come mai quel cavaddro era vinuto a moriri davanti alla sò casa? Sicuramente, quanno era caduto, doviva aviri fatto un debole nitrito, bastevole a fargli inventare, nel sonno, il sogno della fimmina-cavaddro.

Si sporgi dalla finestra per vidiri meglio. Non c'era anima criata, il piscatore che ogni matina dai paraggi si partiva con la varcuzza era oramà un puntino nìvuro al largo. Supra la parte dura della rina, quella cchiù vicina al mare, gli zoccoli del cavaddro avivano lassato 'na serie d'impronte delle quali non si vidiva il principio.

Era vinuto da lontano, il cavaddro.

S'infilò alla lesta i cazùna e 'na cammisa, raprì la porta-finestra e dalla verandina scinnì nella spiaggia.

Quanno fu vicino all'armàlo e lo taliò, vinni assugliato da una botta di raggia incontenibile.

«Bastardi!».

La vestia era tutta 'nsanguliata, gli avivano spaccato la testa con qualichi spranga di ferro, ma tutto il corpo portava i segni di una vastoniatura longa e feroci, qua e là c'erano profunne ferite aperte, pezzi di carne che pinnuliavano. Era chiaro che a un certo momento il cavaddro, martoriato come s'attrovava, era arrinisciuto lo stessi a scappare era mittuto a curriri alla disperata fino a quanno non ce l'aviva fatta cchiù.

Era accussì arraggiato e sdignato che se avesse avuto tra le mano uno di quelli che avivano ammazzato il cavaddro, gli avrebbe fatto fari la stissa fine. Si misi a seguire le orme.

Ogni tanto s'interrompivano e al loro posto supra la rina c'erano i segni che la povira vestia era sgonocchiata, inginocchiandosi con le zampe di davanti.

Caminò per squasi tre quarti d'ora e finalmenti arrivò nel loco indove avivano massacrato il cavaddro.

La superficie della rina qui, per il violento trippistio che c'era stato, aviva formato come 'na speci e di pista da circo ed era segnata da orme di scarpe che si sovrapponevano e dai segni degli zoccoli. Sparsi torno torno c'erano macari 'na corda longa e spezzata, quella con la quale avivano tinuto la vestia, e tri spranghe di ferro macchiate di sangue asciucato. Accomenzò a contare le impronte delle scarpe e non fu 'na cosa facile. Arrivò alla conclusione che ad ammazzare il cavaddro erano state massimo quattro pirsone. Ma altre dù avivano presenziato allo spettacolo stannosene ferme ai bordi della pista e ogni tanto fumannosi qualichi sicaretta.

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