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| << | < | > | >> |Pagina 9Che la 'ntricata foresta dintra alla quali lui e Livia si erano vinuti ad attrovari, senza sapiri né pircome né pirchì, fosse virgini non c'era nisciun dubbio pirchì 'na decina di metri narrè avivano viduto un cartello di ligno 'nchiovato al tronco di un àrbolo supra il quali ci stava scrivuto con littre marchiate a foco: foresta vergine. Parivano Adamo ed Eva in quanto erano tutti e dù completamenti nudi e si cummigliavano le cosiddette vrigogne, le quali, a pinsarici bono, non avivano nenti di vrigognoso, con le classiche foglie di fico che si erano accattate da 'na bancarella all'entrata a un euro l'una ed erano fatte di plastica. Siccome erano rigide, davano tanticchia di fastiddio. Ma quello che cchiù fastiddiava era il caminare a pedi nudi. A mano a mano che Montalbano procidiva, sempri cchiù si faciva pirsuaso che in quel posto c'era già stato 'na vota. Ma quanno? La testa di un lioni 'ntravista 'n mezzo all'àrboli, che non erano àrboli ma felci gigantesche, gli fornì la spiegazioni. «Lo sai, Livia, dove ci troviamo?». «Lo so, in una foresta vergine. C'era il cartello». «Ma si tratta di una foresta dipinta!». «Come dipinta?». «Siamo dentro al "Sogno di Yadwigha", il celebre quadro di Rousseau il Doganiere!». «Ma ti sei ammattito?». «Vedrai se non ho ragione, tra un poco dovremmo imbatterci in Yadwigha». «E come mai conosci questa donna?» spiò Livia sospittosa. E 'nfatti, doppo picca, s'imbattero in Yadwigha che, a vidirli, sinni ristò supra al divano, stinnicchiata nuda com'era, ma si portò l'indici al naso facenno 'nzinga di stari 'n silenzio e dissi: «Sta per cominciare». Supra a un ramo si posò 'n aceddro, forsi un usignolo. Fatto 'na speci d'inchino all'ospiti, attaccò Il cielo in una stanza. L'usignolo era cchiù che bravo a cantare, 'na sdillizia, faciva modulazioni squasi 'mpossibbili macari a Mina, era chiaro che 'mprovisava, ma con una fantasia d'autentico artista. Po' ci fu un botto, un secunno, un terzo cchiù forti di tutti e Montalbano s'arrisbigliò. Santianno, accapì che era scoppiato un grannissimo temporali. Uno di quelli che segnano la morti della stati. Ma com'è che 'n mezzo a tutta quella battaria continuava a sintiri, e da vigliante, all'aceddro che cantava Il cielo in una stanza? Non era possibbili. Si susì, taliò il ralogio, erano le sei e mezza del matino. S'addiriggì verso la verandina, la friscata proviniva da quella parte. E non si trattava di 'n aceddro, ma di un orno che sapiva friscare come a 'n aceddro. Raprì la porta-finestra. Nella verandina, corcato 'n terra, ci stava un cinquantino malo vistuto, la giacchetta strazzata, la varba longa che pariva Mosè, 'na massa di capiddri cinirini arruffati. Allato a lui, un sacco. Un vagabunno, era chiaro. Appena che vitti a Montalbano, si susì a mezzo e dissi: «L'ho svegliata? Mi scusi. Mi sono riparato qua per la pioggia. Se le do fastidio, vado via». «Ma no, resti pure» fici il commissario. Era ristato colpito da come parlava quell'omo. A parti il taliàno pirfetto, era la sò voci educata che gli aviva fatto 'mpressioni. Gli parse malo chiuirigli la porta-finestra 'n facci, perciò la lassò mezza aperta e si annò a priparare il cafè. Si era vivuta la prima cicarata, quanno gli venni 'na speci di rimorso. Ne inchì 'n'autra e la portò all'omo. «Per me?» spiò quello sbalorduto, susennosi addritta. «Sì». «Grazie, grazie!». Mentri s'arricriava sutta alla doccia, pinsò che forsi quel povirazzo va a sapiri da quann'era che non si lavava. Quanno ebbi finuto, tornò nella verandina. Chioviva della bella. «Se la vuole fare una doccia?». L'omo lo taliò 'mparpagliato. «Dice sul serio?». «Sul serio». «Non sogno altro, sa? Lei non immagina quanto gliene sarò grato».
Ennò, quell'orno parlava troppo bono per essiri quello che appariva. Lo
scanosciuto si calò a pigliari il sacco e seguì il commissario. Ma se era uno
'struito, aducato, come mai si era arriduciuto accussì?
Quanno niscì dal bagno, l'omo si era cangiato la cammisa, macari chista però coi polsini e il colletto sfilacciati. Sorridì a Montalbano. «Mi sento ringiovanito». E po', facenno un mezzo 'nchino: «Permette? Mi chiamo Savastano». «Piacere. Montalbano» fici il commissario pruiennogli la mano. L'autro, prima di stringirgliela, fici un gesto 'stintivo: si passò il palmo supra ai cazùna, come per puliziarlo. Sorridì ancora, gli ammancava un denti di davanti. «La conosco, sa? Una sera, in un bar, l'ho vista in televisione». «Senta» tagliò Montalbano. «Io devo andare in ufficio». L'omo accapì a volo. Si calò a pigliari il sacco, niscì nella verandina. «Le dispiace, commissario, se resto ancora qua fino a che spiove? La mia diciamo abitazione è a due passi, ma con questa pioggia... Lei perciò chiuda pure». «Senta, se vuole l'accompagno con la mia macchina». «Grazie, ma le verrebbe difficile». «Perché?». «Abito in una grotta a mezza costa nella collina di marna proprio dietro la sua casa». Certo, stari dintra a 'na grutta era sempri meglio che corcarisi cummigliato di cartoni sutta alle colonne del municipio. «Resti quanto vuole. Arrivederla». Cavò fora dalla sacchetta il portafogli, pigliò un biglietto di vinti euri, lo pruì all'omo. «No, grazie, lei ha già fatto anche troppo per me» arrefutò quello arresoluto. Montalbano non insistì. Chiuienno la porta-finestra sintì che l'omo aviva ripigliato a friscari.
Per essiri bravo, era bravo. Squasi quanto l'usignolo del sogno.
Appena che misi pedi dintra al commissariato, Catarella posò il ricevitori del tilefono e sclamò: «Ah dottori dottori! Propio a lei di vossia nella sò casa stavo per chiamando!». «Che fu?». «Un micidio ci fu! Fazio ura ura in loco annò! Voliva che macari lei vossia annasse in loco seco con lui in loco! Per questa scascione io le stavo per tilefonanno a lei nella so casa in capo di matino!». «Vabbeni, dov'è il loco?». «Me lo scrissi supra a un pizzino. Eccolo quane. Villino Pariella, contrata Tosacane». «E dov'è 'sto villino Pariella?». «In contrata Tosacane, dottori». «Sì, ma la contrada dov'è?». «Boh».
«Senti, chiamami a Fazio e passamillo».
Seguenno le 'struzioni di Fazio, arrivò al villino Mariella, Catarella non ce l'avrebbe fatta mai a diri un nome giusto, doppo un tre quarti d'ura di machina, pirchì c'era trafico assà e l'acqua di celo, che continuava a cadiri abbonnanti, rallintava la vilocità di tutti. Il villino, a un piano, stava propio davanti alla strata che costeggiava la pilaja. Il cancello era rapruto e sutta al porticato, allato ad autre dù auto, ci stava quella della polizia. Siccome che non si voliva vagnare, continuava a chioviri a retini stise, trasì macari lui con la machina e la parcheggiò di scianco all'autre. Stava scinnenno, quanno vitti a Fazio affacciarisi dalla porta. «Buongiorno, dottore». «Il giorno ti pari bono?». «Nonsi, ma accussì si usa diri». «Che successe?». «Hanno ammazzato al propietario del villino, il raggiuneri Cosimo Barletta». «Chi c'è dintra?». «Gallo, il morto e il figlio Arturo che è stato lui che ha attrovato a sò patre ammazzato». «Hai avvertito a tutti?». «Sissi. Cinco minuti fa». Trasì nel villino seguito da Fazio. Nella prima càmmara, chiuttosto granni e chiaramenti adibita a càmmara di mangiare, ci stavano Gallo e un quarantino occhialuto, sicco e anonimo, vali a diri propietario di una di quelle facce che te le scordi un secunno doppo che l'hai vidute, bono vistuto, pirfettamenti in ordine, che si stava fumanno 'na sicaretta e che non pariva per nenti ammarraggiato per quello che era capitato al patre. «Sono Arturo Barletta». «Scusi, chi è Mariella?». L'autro lo taliò 'mparpagliato. «Non so... non saprei...». «Mi perdoni, gliel'ho domandato perché dato che il villino si chiama così...». Arturo Barletta si battì 'na mano supra alla fronti. «Sa, in momenti come questi uno non... Mariella era il nome della mia povera mamma». «E morta?». «Sì. Cinque anni fa. 'Na disgrazia». «Che disgrazia?». «Annegò in mare. Ebbe forse un malore mentre nuotava. Proprio qui davanti». «Dov'è?» spiò Montalbano a Fazio. «In cucina. Venga». Nel salone c'erano 'na scala che portava al piano di supra, a mano manca 'na porta che dava 'n cucina e a mano dritta 'n'autra porta che si rapriva sul bagno. La cucina era spaziusa e normalmenti quelli che bitavano nel villino dovivano mangiari lì. Era in pirfetto ordine, fatta cizzione che supra alla tavola c'era 'na tazza arrovisciata dalla quali era nisciuto fora tanticchia di cafè che macchiava la tovaglia. Il fu raggiuneri Cosimo Barletta era stato ammazzato mentri sinni stava assittato di traverso a vivirisi il cafè che l'assassino non gli aviva dato il tempo di finiri. Un solo colpo alla nuca, sparatogli a mezzo centilimetro di distanza. Squasi 'n'esecuzione. Il colpo l'aviva fatto cadiri dalla seggia e ura il catafero sinni stava stinnicchiato 'n terra di scianco coi pedi sutta alla tavola. Per taliarlo 'n facci, macari il commissario dovitti mittirisi affacciabocconi. Ma c'era picca da vidiri, la pallottola, trasuta dal cozzo, era nisciuta proprio supra al naso, portannosi appresso 'n occhio e parti della fronti. Certamenti l'assassino, a meno che non fusse stato un nano, aviva tinuto la canna tanticchia rivolta verso l'alto, masannò la traiettoria avrebbi dovuto essiri diversa. Però non c'era tanto sangue 'n terra. Il commissario tornò nella càmmara di mangiare. Arturo fumava 'n continuazioni. «Si segga, per favore. Vorrei farle qualche domanda». «A disposizione». «Mi hanno detto che è stato lei a scoprire suo padre assassinato». «Sì». «Mi racconti com'è andata». «Io abito a Montelusa e...». «Che fa?». «Sono impiegato come contabile in una grossa società edile, la "Primavera siciliana". Conosce?». «No. E sposato?». «Sì». «Ha figli?». «No». «Vada avanti». «Con papà ci telefonavamo ogni giorno. Mi chiamò ieri sera per avvertirmi che veniva a dormire qui perché stamattina avrebbe voluto mettere in ordine il villino». «In che senso?». «Be', l'estate è finita e allora...». «D'inverno non ci veniva mai?». «Come no! Ogni sabato. Ma siccome negli ultimi tempi c'era stata mia sorella e i suoi due figli, forse avevano messo un po' in disordine e mio padre invece era...». «Come si chiama sua sorella?». «Giovanna. È sposata con un rappresentante di commercio ed abita anche lei a Montelusa». «Vada avanti». «Ecco, papà mi telefonò ieri sera e...». «A che ora?». «Poco dopo le nove. Aveva già cenato a casa sua a Vigàta e...». «Si era risposato?». «No». «Viveva solo?». «Sì». «Quanti anni aveva?». «Sessantatré». «Continui». «Che le stavo dicendo? Sa, lei, mi scusi, m'interrompe continuamente e allora io...». «Mi stava dicendo che suo padre le telefonò dopo le nove». «Ah, ecco. E mi disse che avrebbe dormito qui. Allora io gli dissi che stamattina sarei venuto ad aiutarlo». «Con sua moglie?». Arturo Barletta parse tanticchia 'mpacciato. «Con mia moglie mio padre non...». «Capisco. E allora?». «Stamattina alle otto sono arrivato e...». «In macchina?». «Sì. Quella verde. Quella amaranto è di papà. La porta era chiusa. Ho aperto con la mia chiave e...». «Anche sua sorella ha la chiave?». «Sì, penso di sì». «Entrando, non ha notato nulla di strano?». «No... Mi scusi, sì». «Cioè?». «Che le imposte erano chiuse e la luce era accesa. Ma pensai che papà dormisse ancora e che si fosse dimenticato di spegnerla. Sono salito di sopra, il letto era in disordine ma lui non c'era. Allora sono ridisceso, sono entrato in cucina e l'ho visto». «Che ha fatto?». «Non ho capito». «Che ha fatto? Si è messo a gridare? È corso da suo padre per vedere se era ancora vivo? O che altro?». «Non ricordo se ho gridato. Sono sicuro però di non avere toccato mio padre». «Perché? Penso sia istintivo». «Sì, ma vede, m'è bastato chinarmi e guardarlo per... Non aveva più mezza faccia e mi sono subito reso conto che non...». «Mi dica che ha fatto». «Sono uscito di corsa dalla cucina. Non reggevo alla... Sono venuto qua e vi ho chiamato». «Con quello?» spiò Montalbano facenno 'nzinga verso il tilefono che c'era supra a un tavolinetto. «Sì». «Lei mi ha detto che appena entrato ha notato la luce accesa. Si ricorda se anche in cucina era accesa?». «Mi pare di sì». «Doveva per forza essere accesa, dato che le persiane sono chiuse». «Sarà stata accesa». «Andiamo di sopra?» fici Montalbano a Fazio. Acchianaro la scala. Al piano di supra c'erano dù càmmare di letto matrimoniali, 'na càmmara singola ma addotata di un letto a castello e un bagno. La prima càmmara matrimoniali aviva il letto disfatto, come aviva ditto Arturo. Il quali però si era scordato di diri che arrisultava evidenti che in quel letto avivano dormuto dù pirsone. Le autre dù càmmare erano in ordine, nel bagno 'nveci i dù granni asciucamani bianchi di spugna erano ancora umidizzi. Erano stati in dù a farisi la doccia. Scinnero novamenti nella càmmara di mangiare. «Suo padre aveva un'amante?». «Ch'io sappia no». «Fatto sta che stanotte qualcuno ha dormito con lui. Non ha visto il letto?». «Sì, ma non ci ho fatto caso». «Senta, non si offenda, non necessariamente la persona che ha dormito con suo padre doveva essere una donna». Arturo Barletta fici un accenno di sorriso. «A mè patre piacivano sulo le femmine». «Ma se mi ha appena detto che non aveva un'amante!». «Perché ho pensato che lei si riferisse a una fissa. Lui era... insomma, non se ne perdeva una, se poteva. E gli piacevano picciotte. Mia sorella ha spesso litigato con papà per questo motivo». «Che faceva suo padre?». Arturo Barletta ebbi 'na liggera esitazioni. «Tante cose». «Me ne dica qualcuna». «Mah... aveva un magazzino di legname all'ingrosso... era in società in un supermercato... era proprietario di una decina di appartamenti affittati sia a Vigàta che a Montelusa... ». «Quindi era ricco». «Direi benestante». «Vorrebbe dare un'occhiata intorno e dirmi se manca qualcosa?». «L'ho già fatto mentre vi aspettavo. Non mi pare che manchi niente». «Aveva nemici?». «Be'... non l'escluderei». «Perché?». «Papà non aveva un carattere facile. E quando si trattava di fare un affare, non guardava in faccia a nessuno». «Ho capito». Fici 'na pausa, po' s'arrivolgì a Fazio. «Ci sono segni d'effrazione alla porta o alle finestre?». «Nessun segno, dottore». «Quindi gli avrà aperto papà» 'ntirvinni Arturo. Montalbano lo taliò pinsoso. «Lei dice? Può avergli aperto la persona che ha dormito con suo padre. E non è nemmeno da escludere la possibilità che l'assassino avesse la chiave». L'autro non replicò. «Dia a Fazio i suoi recapiti e quelli di sua sorella» dissi il commissario. E po', arrivolto a Fazio: «Io me ne torno in ufficio. Resta tu ad aspettare il pm e gli altri. Ci vediamo più tardi. Buongiorno».
Stava chiovenno cchiù forti di prima.
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