Copertina
Autore Elias Canetti
Titolo Il frutto del fuoco
SottotitoloStoria di una vita (1921-1931)
EdizioneAdelphi, Milano, 1992 [1982], Biblioteca Adelphi 120
OriginaleDie Fackel im Ohr [1980]
TraduttoreAndrea Casalegno, Renata Colorni
LettoreRenato di Stefano, 1993
Classe biografie , narrativa tedesca , narrativa bulgara
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Pagina 27

Il signor Hungerbach si comportava esattamente così. Bussò alla porta e 'di colpo' fu nella stanza. Strinse con forza la mano di mia madre ma, invece di guardare lei, mi fisso negli occhi e si mise ad abbaiare. Non era possibile fraintendere le sue frasi brevissime e spezzate; ma non parlava, abbaiava. Dal momento del suo ingresso fino a quello del congedo - si trattenne un'ora intera - non smise un attimo di abbaiare. Non faceva domande e non si aspettava risposte. Neppure una volta domandò alla mamma, che dopo tutto ad Arosa era stata in cura insieme a lui, come stesse in salute. Non mi chiese il mio nome. In compenso potei riascoltare da cima a fondo tutto ciò che un anno prima mi aveva tanto inorridito nel corso del mio violento colloquio con la mamma. Una dura disciplina il più presto possibile, ecco la cosa migliore. Niente università. I libri buttarli via, dimenticare quell'inutile ciarpame. Nei libri ci son solo sciocchezze, conta solo la vita, l'esperienza e il lavorar sodo. Lavorare finché fan male le ossa. Tutto il resto non è lavoro. Chi non ce la fa, chi è troppo debole, che vada pure a fondo, non merita altro. Non è il caso di starci a piangere sopra. Di uomini al mondo ce ne sono anche troppi. I buoni a nulla devono soccombere. Ma forse, non si poteva escludere, sarei ancora riuscito a combinare qualcosa. Malgrado gli inizi completamente sbagliati. In primo luogo, però, dovevo dimenticare tutte quelle sciocchezze che non avevano niente a che fare con la vita, la vita com'è davvero. La vita è lotta, lotta senza quartiere, ed è un bene che sia così. L'umanità, altrimenti, non potrebbe progredire. Una razza di deboli si sarebbe estinta da un pezzo, senza lasciare traccia.

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Pagina 103 [ massa ]

«Ma allora quel che conta è solo credere nella propria causa. E magari l'avversario crede nella causa opposta!».

Lo dissi esitando, tastando il terreno, non avevo intenzione né di criticarlo né di metterlo in imbarazzo. Non ci sarei riuscito, del resto, era troppo sicuro di sé, volevo solo arrivare a una cosa che sentivo in maniera indistinta e che, dall'epoca di Francoforte, non aveva cessato di occupare la mia mente anche se non riuscivo a capirla bene. Ero stato "afferrato" dalla massa, era un'ebbrezza, nella massa ti perdevi, dimenticavi te stesso, ti sentivi immensamente dilatato e al tempo stesso appagato, qualsiasi cosa sentissi, non la sentivi per te stesso, era l'esperienza più altruistica che tu avessi mai conosciuto, e poiché l'egoismo che ti era stato inculcato da tutti ti circuiva di continuo e in fondo ti "minacciava", avevi bisogno di quella frastornante esperienza altruistica come dello squillo di tromba del Giudizio Universale, e dunque ti astenevi dal disprezzare la massa o dallo sminuirla. Al tempo stesso sentivi però di non essere più padrone di te, di non essere libero, ti stava succedendo qualcosa di inquietante, per metà vertigine, per metà paralisi, com'era mai possibile tutto questo insieme? Che cos'era?

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Pagina 131 [ massa/personalità ]

L'illuminazione che ricordo con tanta chiarezza ebbe luogo nella Alserstrasse. Era notte, nel cielo mi colpiva il riverbero rosso della città, lo contemplavo guardando in alto. Dato che non facevo attenzione a dove mettevo i piedi, incespicai lievemente più volte e, proprio mentre stavo incespicando, la testa in su, il cielo rosso sopra di me (che in realtà così non mi piaceva), mi balenò improvvisamente l'idea che esistesse una pulsione di massa in perpetuo contrasto con la pulsione della personalità e che tutto il corso della storia umana potesse essere spiegato mediante il conflitto fra queste due pulsioni. Magari non sarà stata un'idea nuova; ma per me lo era, perché mi colpì con violenza inaudita. Mi sembrava che tutto ciò che stava capitando nel mondo si potesse ricondurre a quel principio. La massa esisteva: l'avevo già constatato a Francoforte, e a Vienna l'avevo sperimentato di nuovo; qualcosa costringeva gli uomini a farsi "massa", era un fatto evidente, inconfutabile; poi la massa si scomponeva di nuovo nei singoli, questo era altrettanto evidente; e così pure che quei singoli aspiravano a ridiventare massa.

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