|
|
| << | < | > | >> |IndicePrefazione Davide Rampello Presidente della Triennale di Milano Prefazione Guido Paglia Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne Rai Introduzione Accendere fuochi nel freddo delle nostre case: il dispositivo "termico" della pubblicità italiana Gianni Canova 12 Scenari Segni e oggetti del desiderio Feticismo mediale, andata e ritorno Ugo Volli 19 Il dèmone del linguaggio Cinquant'anni di televisione e (quasi) altrettanti di pubblicità Massimo Scaglioni 31 Fantasmi e forme Delle biografie e delle storie di alcune cose visibili Carmelo Marabello 47 Le relazioni pericolose Economie politiche ed economie simboliche nella pubblicità televisiva Daniele Pittèri 55 Il sogno del consumo Arretratezze e ritardi del sistema pubblicitario italiano Vanni Codeluppi 71 Immagini di identità Pubblicità televisiva e realtà sociale Chiara Giaccardi 81 Ricezioni Tecnologie della ricezione Per una storia tecnologica della Tv Massimo Temporelli 99 Spazi e luoghi della ricezione Dal televisore a scomparsa alla scomparsa del televisore Vanni Pasca 115 Design della ricezione Il televisore: da totem del salotto borghese a schermo mimetizzato nella casa hi-tech Silvana Annicchiarico 121 Antropologie della ricezione La Tv del rifiuto Franco La Ceda Stefano Savona 127 Lessico della ricezione Massimo Scaglioni 142 Affetto Carmelo Marabello 142 Ascolto Carmelo Marabello 143 Eccitazione Matteo Guarnaccia 144 Gioco Serafino Murri 146 Identificazione Marco Bacci 148 Incantamento Sergio Di Lino 151 Indifferenza Carmelo Marabello 152 Interpellazione Massimo Galimberti 154 Meraviglia Matteo Guarnaccia 156 Parodia Antonio Scurati 158 Recrudescenza Carmelo Marabello 160 Ricordo Serafino Murri 161 Rifiuto Massimo Scaglioni 163 Ripetizione Pierpaolo De Sanctis 164 Scarto Ingrandimenti Interpunzioni del palinsesto Le sigle della pubblicità Ezio Alberione 169 Eufemismi e tormentoni Usi e abusi del linguaggio pubblicitario Emanuele Pirella 179 Testimonial di cartone Animazione e cartoons nella pubblicità televisiva italiana Bruno Di Marino 185 Foto di gruppo con signora Iconografia e stereotipi del femminile Susanna Zatta 191 Tutti figli di Carosello La "meglio gioventù" nei sogni della pubblicità Stefano Pistolini 197 "Per cinque secondi, linea alla regia" Spot e sport in Tv Roberto Ferrucci 203 La ragazza di Venus Tracce di estetica pop nella pubblicità televisiva italiana Matteo Guarnaccia 207 Insultiamoci così Il pudore dell'insulto nella retorica di Carosello Guia Croce 217 Ridere per ridere Discorsi comici sulla pubblicità da Carosello all'advertainment Matteo Di Castro 225 Pubbliflusso La spottizzazione della Tv Vanni Codeluppi 233 Multimedialità, interattività, ipertestualità La pubblicità fra vecchi e nuovi media Aldo Grasso 239 Dov'è finito il veleno per topi? Per una mappa delle assenze nella pubblicità televisiva Gianni Canova 249 Tutta la comunicazione è pubblicità, se non è amore Pubblicità e catastrofi, catastrofi della pubblicità enrico ghezzi 255 Dreams I sogni degli italiani in 50 anni di pubblicità televisiva È lí, e ci guarda Silvana Annicchiarico e Gianni Canova 266 Lo schermo inventato Karim Azzabi 268 Stanza dei nutrimenti Stefano Giovannoni272 Stanza degli affetti e dei sentimenti Ciprì e Maresco 274 Stanza dei rimedi, dei rifugi e dei ripari Denis Santachiara 276 Stanza delle nostalgie Italo Lupi 278 Stanza delle comunicazioni e delle relazioni Fabrizio Plessi 280 Stanza delle maschere e dei trucchi Franca Bertagnolli282 Stanza dell'altrove Stalker 284 Stanza delle (tele)visioni Mario Bellini 286 Stanza delle cose Karim Azzabi 288 Apparati L'anima del commercio e l'anima del servizio pubblico La pubblicità televisiva nei regolamenti Rai-Sacis Paola Ambrosino 293 Cronologia parallela Massimo Scaglioni 305 |
| << | < | > | >> |Pagina 19Ugo VolliSEGNI E OGGETTI DEL DESIDERIO
Feticismo mediale, andata e ritorno
Per comprendere quanto paradossale sia il rapporto della pubblicità col sistema dei media - un paradosso che nella nostra società è ormai difficile cogliere per eccessodi assuefazione -, è utile considerare il suo funzionamento in maniera molto generale e perfino, in un certo senso, superficiale. Possiamo partire da una semplice constatazione empirica: nel nostro mondo hanno grande rilievo due serie di testi, legate fra loro da una serie di riferimenti incrociati. Per testo intendiamo qui semplicemente qualunque fenomeno artificiale che veicoli del senso: non si tratta di una definizione esaustiva, i nostri testi possono essere case oltre che disegni, automobili e cibi invece che film o poesie. Senza pretendere di esaurire le funzioni di questi oggetti, li consideriamo però qui nella loro funzione comunicativa. La prima di tali serie di testi socialmente diffusi è quella delle merci e dei servizi: può essere inconsueto ma non è improprio considerarli tutti come testi per la loro ricchezza strutturale, per il fatto di includere spesso immagini e scritte, soprattutto per la capacità di assumere senso agli occhi di chi li acquista e li consuma, al di là della loro utilità materiale. Ci interessa qui che siano testi vendibili, i quali tipicamente si trovano in esposizione sugli scaffali dei negozi, cioè esibiscono la loro superficie significante in vista del rapporto economico (l'acquisto) per cui sono stati prodotti. Da un certo punto di vista decisivo, quelli che vediamo nei negozi, nelle agenzie di viaggio, nei centri commerciali, sono dunque testi desideranti, strutturalmente incompleti e bisognosi di essere redenti da un atto di consumo, senza il quale sarebbero distrutti e dimenticati. La comunicazione intrinseca dei testi merci (li chiameremo così nel seguito per semplicità) è un atto illocutivo che dice "comprami", la cui "felicità" (come la teoria degli atti linguistici chiamava con singolare penetrazione il successo delle azioni realizzate per mezzo del linguaggio, per esempio Austin 1962) consiste dunque nell'acquisto. La seconda serie di testi, costituita da quelli pubblicitari, appare invece su supporti mediali, cioè in luoghi fisici (per esempio i muri di certe case, gli striscioni appesi sulle strade, le pagine dei giornali), in luoghi temporali (si tratta di un ossimoro voluto, è interessante considerare come spazi i frammenti di flusso mediatico: si pensi alla radio ma anche alla televisione), che possono o meno costituire luoghi virtuali (televisione, cinema, ma anche Internet). Questi supporti mediali si presentano generalmente come dotati di un'altra funzionalità, e il loro carattere di mezzo ci assicura che essa è in prevalenza comunicativa. I giornali affermano implicitamente di essere degli strumenti di informazione, le televisioni e le radio si giustificano con l'intrattenimento, mentre muri e ponteggi e altri analoghi supporti fisici hanno invece evidenti utilità materiali, ma il loro rapporto con la pubblicità è normalmente meno intenso e più problematico. L'analisi economica mostra invece che spesso anche i supporti della pubblicità di natura francamente mediale vanno visti come gli striscioni appesi in strada o i cartelloni che ospitano affissioni: senza pubblicità non esisterebbero. L'aspetto correlativo di questa dipendenza dei mezzi dalla pubblicità sta nel fatto che mentre i testi in generale hanno un prezzo positivo (costano cioè una certa cifra a chi nei loro confronti vuole assumere il ruolo di lettore o spettatore: il costo del biglietto del cinema, o dell'acquisto di un libro, dell'abbonamento televisivo o dell'accesso a Internet), la pubblicità ha un prezzo negativo, in termini banalmente algebrici: l'accesso a un mezzo costa meno, fino alla gratuità totale, quando esso si fa supporto alla pubblicità. Insieme ai romanzi dei farmacisti di paese e a certi ponderosi e inutili saggi accademici, i testi pubblicitari sono i soli che pagano per farsi leggere, invece di essere pagati. Anch'essi dunque sono in un certo senso testi desideranti, strutturalmente incompleti, che non bastano a se stessi ma cercano attivamente un certo pubblico, senza cui non possono raggiungere la loro felicità. Questa ricerca avviene in due modi, uno esterno e uno interno al messaggio pubblicitario vero e proprio: quello esterno è assicurato dalla selezione di supporti adatti, cioè capaci di assicurare il massimo di "contatti" utili a parità di costo, dove l'utilità dei contatti, cioè dei lettori, riguarda in realtà l'altra serie dei messaggi, quella oggettuale, e la loro incompletezza; sono utili infatti i contatti con coloro che potrebbero assicurare la felicità dei messaggi oggettuali con un atto d'acquisto, cioè massaie per i pelati, giovani per le sneakers, madri per i pannolini e così via. I mezzi da questo punto di vista non appaiono più solo come supporti, ma anche come filtri. In ciò è essenziale il loro contenuto, che è capace di selezionare certi lettori invece di altri. Non a caso, questo è lo stesso meccanismo che agisce nella seconda modalità, quella interna, con cui i testi pubblicitari ricercano attivamente il loro pubblico. Tutti i testi hanno la capacità di indicare, per il modo in cui sono fatti, un lettore modello (Eco 1979). La base di questa selezione interna del pubblico sta nel carattere oppositivo del senso: un oggetto diventa testo attivando delle differenze (per esempio scegliendo dei colori, delle forme, ma anche dei contenuti, delle storie, dei personaggi) tra i molti altri che sarebbero possibili. A tutti i livelli il testo seleziona ciò che dice e come lo dice. Di conseguenza individua implicitamente un certo numero di conoscenze, ma anche di interessi e dunque di desideri, che sono necessari per comprenderlo ed accettarlo. Concretamente, un testo userà un certo idioma, un certo linguaggio cinematografico o stile musicale, svilupperà certi argomenti - e non altri. Per questa ragione parlerà solo a coloro che avranno sufficiente familiarità con quei codici e saranno sufficientemente interessati a quei contenuti. Il desiderio testuale è sempre selettivo e la selezione è implicita nella forma del testo stesso, nelle categorie che esso elabora. | << | < | > | >> |Pagina 255enrico ghezziTUTTA LA COMUNICAZIONE È PUBBLICITÀ, SE NON È AMORE
Pubblicità e catastrofi, catastrofi della pubblcità
Si diceva degli Scetioti che se taluno sorprendeva la loro pratica, vale a dire arrivava a conoscerla, essi non la tenevano più per una virtù ma per un peccato... (da Detti e fatti dei Padri del Deserto) Pubblico, pubblicità, pubblicare, pubblicizzare, essere pubblico, avere pubblico (ma anche, in questo momento: "io pubblico"). In questo (corto)circuito c'è (o meglio, si aggira) tutta la televisione. (Avvertimento, per togliere ogni suspense, e per non permettermi di infliggervi pubblicità impropria o mascherata. In questo testo più del solito! vorrei abbondare di parentisi, o almeno voglio in partenza. Primo, perché mi (quindi vi) domando come si possano leggendo a voce o mentalmente (che è la stessa cosa) marcare certe parentisi, ridondanti o peggio tagliaonde fino a ridurre oceani e spiagge immense a reticolo di bacini. Secondo, perché le parentisi hanno troppo a che vedere con questa storia della pubblicità, dentrofuoriun testo micrologicamente sterminato che chiamiamo 'televisione' (così si continua a chiamare, come il telefono: pubblica o privata, grande o piccola, brutta o bella, magnifica o orrenda, in diretta o registrata, a colori o in biancoenero, fiction o non fiction, news o varietà; tutte queste differenze e alternative cadono mentre si dicono, perché si dice solo 'televisione'. Oggetto che diventa soggetto, appunto cortocircuito che rende indifferente qualunque verbo e predicato, e tutti i verbi sopporta. Non se ne deduce un modo verbale suo proprio. Essa è l'improprio, quanto di più vicino all'impersonale esista (per pullulante che sia di facce e di cose, di epifanie e di famosi per quindici secondi minuti ore anni). "Si trasmette, vanno o va in onda, ha(nno) detto la (in) Tv". Non si usa il pur dicibile "televedo", né un similtelefonico "televisiono". È indicibile, soprattutto da se stessa. Si può solo contornarla, guardarla vederla, assistervi, desisterne, (creder di) accenderla/spegnerla, amarla/odiarla, eccetera. Guardo (o no) la Tv, come il film (pellicola sinuosa, che si sposta o ci fa mirabolare che un movimento comunque vi sia: 'cinema') e come infine lo 'spettacolo', qualunque spettacolo. Non c'è neanche un modo più individuato e precisamente qualificante e legato a essa - nel senso di chi la guarda o in quello di ciò che è guardato - per assumerla soggettivamente in quanto oggetto. Potrei (dovrei) forse dire 'telesono', e forse almeno un po' mi avvicinerei a quella distanza, includerei mangerei assumerei quel 'tele', l'a-distanza che fino a oggi finge di decantarne il risonare magico ('visione') per tenerlo piuttosto a bada e slontanarlo e ridurlo a una 'trasmissione' o 'illustrazione' di qualcosa (sia pure 'tutto il mondo') o a una (ancor barbaramente rozza e troppo visibile) connessione con qualcosa e con il qualcosa che è lo spettacolo di qualcosa. Lo spettacolo, distanza dal desiderio ma anche distanza nel desiderio e distanza che è il desiderio in sé (che sono l'immagine e la visione in sé), goffamente oggettivata fino a poco più di un secolo fa in forme troppo precisamente e riconoscibilmente e isolatamente 'spettacolari' (gli spettacoli, artistici o meno), appare per la prima volta - pateticamente e penosamente o ridicolmente mascherato all'infinito - visibile proprio nella sua indifferente spettralità, e né la macchinosità merceologica né la sostanza politica della cosa Tv riescono a tacitare o a velare il complotto che la (e vi, si, ci!) tesse). Terzo: mentre partecipano al dispiegarsi di un sistema di differenze da identificare elaborare ridurre in formule da ricostruire o a equazioni da risolvere, le stesse parentesi inducono un piccolo sospetto che le equazioni stiano lì (lì) anche per dissolversi e dissolvere e essere dissolte). | << | < | > | >> |Pagina 266è lì, e ci guarda[...] Ma è anche molto altro, la pubblicità. Nell'ultimo mezzo secolo, dai primi Caroselli degli anni Cinquanta agli spot dei giorni nostri, la pubblicità televisiva ha modificato la Tv e i suoi palinsesti. Ha trasformato le nostre modalità di percezione. Si è implicata con le estetiche del visuale. Ha influenzato l'economia simbolica così come quella politica e monetaria.
E ha ridefinito - attraverso i suoi modelli di consumo - la nostra
soggettività e il nostro sistema di relazioni col mondo.
La mostra Dreams. I sogni degli italiani in 50 anni di pubblicità televisiva intende raccontare tutto questo attraverso un percorso espositivo che si articola sull'alternanza di stanze e piazze. Le stanze, appositamente progettate da architetti, designer, registi e videoartisti, sono spazi d'autore che cercano di interpretare i modi in cui la pubblicità ha contribuito a ridefinire i comportamenti, i consumi e l'immaginario in relazione ad alcune figure o funzioni-chiave quali l'alimentazione, la comunicazione, la memoria, il desiderio, la nostalgia, la percezione dell'altrove e - più in generale - la costruzione dell'identità.
Le
piazze
sono pensate invece come spazi pubblici virtuali che offrono al visitatore la
possibilità di confrontarsi con alcuni snodi imprescindibili nella storia della
pubblicità e nell'evoluzione dei suoi linguaggi (la serialità, l'animazione, il
trattamento del corpo, e così via), sullo sfondo della parallela evoluzione del
costume e della società italiana.
Tanto nelle stanze quanto nelle piazze si è applicata quella strategia comunicativa che gli studiosi americani chiamano remediation: la pubblicità è stata sottratta cioè al suo consueto canale televisivo e ricollocata, trasferita o rispalmata su altri supporti. Di volta in volta l'acqua, il legno, la tela, la stoffa, la plastica, la luce. L'intento era quello di sottrarla almeno per una volta - in occasione dei suoi 50 anni - al suo destino di testo desiderante per considerarla invece come un oggetto in sé: non proiettata fuori di sé (verso le merci che deve far vendere, verso i consumatori che deve spingere a comprare), ma come rivolta su se stessa, intenta ad osservarsi, e a confrontarsi con lo sguardo di altri media, con altre estetiche, con altre modalità di percezione, con altri e diversi modi di rappresentazione e di relazione fra l'io (di chi la guarda) e il mondo (che essa stessa continuamente guarda, spia e ridisegna). Non solo fabbrica del desiderio, insomma, ma anche oggetto del desiderio. Nella consapevolezza che il desiderio dura finché non consuma il proprio oggetto. Perché è questo il paradosso della pubblicità: che può essere quello che è solo se e nella misura in cui accettiamo che sia lì, a portata d'occhio, ma rinviando all'infinito quel gesto necrofilo e fatale che la trasforma a sua volta in oggetto di consumo. O, una volta per tutte, in oggetto consumato.
Silvana Annicchiarico e Gianni Canova, curatori della Mostra
|