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| << | < | > | >> |IndicePrefazione di Valerio Caprara 7 Introduzione 9 Il fantasma e le emozioni 11 Il fantasma 11 Le emozioni 12 Il potere del racconto 15 Dismetaforia 20 Il racconto mancato 20 Le immagini del mondo post-storico 24 Il racconto del potere 26 Il reality iperreale 29 Dal reality al reality 30 La pluralità dell'essere 32 Necessità della seduzione 35 Il grande significante 41 Fine della metafisica dell'identità 43 Dalla psicoanalisi freudiana alla psicoterapia immaginativa 44 La psicoterapia immaginativa 46 Mappa concettuale 46 Adolescenza e antagonismo preideologico 48 La grande sorella 49 I laboratori della follia 50 Un esempio di psicoterapia immaginativa 52 Conclusione 59 Il racconto della psichiatria 59 Appendice prima Immagini dai film 63 Appendice seconda Schede filmografiche 65 Magnolia 67 La città incantata 69 The acid house 72 Elephant 74 Il mistero di Sleepy Hollow 78 The Hours 79 Mulholland drive 82 L'uomo che non c'era 86 La 25a ora 88 Eyes wide shut 91 East is east 93 Holy smoke 94 Il gusto degli altri 95 Il talento di Mr. Ripley 96 L'uomo del treno 96 E morì con un felafel in mano 98 Ora o mai più 99 Ovosodo 102 Rosetta 103 Together 105 L'ultimo bacio 108 Come te nessuno mai 109 Ricordati di me 113 Il favoloso mondo di Amélie 116 Caterina va in città 117 Tutto su mia madre 119 |
| << | < | > | >> |Pagina 9La pratica medica ha messo a punto una serie di metodiche per le urgenze: "Chirurgia d'Urgenza", "Medicina d'Urgenza", "Ostetricia d'Urgenza", ecc. Per quanto riguarda la psichiatria, la sola urgenza specifica che sono tentato di riconoscere è il cinema, la necessità dell'uso della cinematografia. Questo saggio nasce dalla necessità di raccontare brevemente l'esperienza di un lavoro svolto per quattro anni da un'Unità Operativa di Salute Mentale di Napoli tra gli studenti delle scuole superiori e dell'Università di Napoli. Il tentativo messo in piedi è quello di usare il cinema come mezzo iniziale di intervento terapeutico, servendosi di teorie interpretative innovative. Cineforum, discussioni, seminari psico-educativi di carattere interattivo, psicoterapia di gruppo, uso innovativo delle tecniche di psicodramma, fino alla formulazione di un nuovo modello di psico-terapia. Le modalità di intervento sono andate modificandosi e affinandosi man mano che procedevamo nel lavoro, che possiamo definire di prevenzione psichiatrica. L'obiettivo era e rimane, infatti, quello di prevenire, per quanto possibile, il disagio adolescenziale e il possibile insorgere di disturbi psichici negli adolescenti. La realtà caotica e per alcuni versi degradata della metropoli napoletana addizionava ulteriori peculiari contraddizioni a quelle tipiche di quest'età. Le pagine che seguono propongono un'ipotesi di lavoro, un modello di intervento che parte dal cinema e ne usa i testi come grimaldello psicoanalitico e terreno di incontro con i propri fantasmi. Alla fine di un percorso sperimentale durato quattro anni è possibile ora abbozzare le tecniche di un nuovo modello terapeutico che prenderà il nome di psicoterapia immaginativa. Questo testo è l'ideale prosecuzione de L'io mancante, libro scritto da me, Aldo Carotenuto, Aldo Masullo e Sergio Piro, nel quale veniva formulata una nuova teoria della malattia mentale. L'essere è solo linguaggio, non dandosi altro nell'esperienza umana che cada fuori dall' interpretare/intenzionare. E l'io è l'eco incerta del linguaggio. Una forma di resistenza. L'essere, infatti, è il luogo delle differenze, delle distanze, intreccio di profili sempre cangianti, che continuamente si dissolvono e si ripristinano in un groviglio di nuovi. L'essere è possibilità e apertura; quando si fa struttura e identità comincia la patologia. La malattia mentale, infatti, non è la perdita dell'identità ma l'eccesso di identità: una forma chiusa e rigida dell'essere che, senza aperture, non comunica più con il mondo e si predispone al delirio. La psicoterapia immaginativa punta a smantellare le identità, a riaprire ciò che è chiuso, far respirare ciò che soffoca. Essa si avvale delle immagini per sommuovere il mondo emotivo del paziente, soprattutto del cinema, come mezzo preferenziale per incontrare i propri fantasmi. | << | < | > | >> |Pagina 11Nel racconto di Oscar Wilde Il fantasma di Canterville, lo spirito di un assassino vaga dannato senza pace, atterrendo gli ospiti di una casa. Una bambina lo salverà con il suo pianto e le sue preghiere donandogli la pace. Il pianto e la preghiera, suggerisce Oscar Wilde, sono il mezzo per uscire dalla propria identità costipata. È il traboccamento dell'essere che ci consente di passare oltre. Wilde sembra dirci che bisogna fare appello al proprio mondo intimo e infantile, al residuo smarrito della nostra semplicità infantile, costantemente repressa e alla fine dimenticata. È quella la risorsa trascurata che dobbiamo riattivare in noi: dare voce al sentimento. Dice il fantasma alla fanciulla: "... dovrai piangere per me e per i miei peccati, perché io non ho lacrime, e dovrai pregare con me per l'anima mia, poiché io non ho fede...". Ma dare voce al fondo elementare e antico del proprio essere intimo è spaventevole. "... vedrai figure tremende nelle tenebre – continua il fantasma – e voci malvagie ti sussurreranno nelle orecchie, ma non ti faranno del male, poiché le forze dell'inferno non possono sconfiggere la purezza di una fanciulla". La bambina tornerà da questo viaggio dall'oltretomba con uno scrigno di gioielli, dono del fantasma finalmente liberato e riappacificato. Superare il terrore, prendere per mano i propri fantasmi, è la strada ardua per tornare arricchiti dal buio delle proprie paure. Qualcosa di più ci dice Almodóvar, nel film Tutto su mia madre. Il grande regista spagnolo ci presenta in questo film una serie di personaggi imprigionati in un dolore personale che non riescono a superare. Ma il miracolo della guarigione avviene quando ciascuno di questi personaggi comincia a interessarsi ai tormenti degli altri, a commuoversi e ad appassionarsi agli altri. Alzare lo sguardo dai propri fantasmi e dal proprio dolore, per guardare solidali quello degli altri è il medicamento inatteso per la propria sofferenza. Scriveva Kafka che davanti alle sofferenze del mondo ci si può tirare indietro, certo, siamo liberi di farlo, e questo si addice alla nostra natura, ma precisamente questo tirarsi indietro è forse l'unica sofferenza che potremmo evitare. | << | < | > | >> |Pagina 43Alla morbida luce del tramonto delle ideologie salvifiche del ventesimo secolo, ogni grande pensatore ha gettato una manciata di terra sulla tomba della dialettica, in un funerale filosofico che ripete ormai da anni la sua luttuosa lamentazione. Funerale al quale i francesi (Deleuze, Baudrillard, Lyotard e altri) si sono presentati vestiti a festa, senza tenersi a braccetto, ma ognuno col proprio seducente sorriso solitario. La morte della dialettica ha trascinato con sé, sotto terra, la metafisica dell'identità. L'uomo è apertura, possibilità, molteplicità mutante, fluttuazione di intensità. La fine della metafisica dell'identità impone la necessità di una svolta nelle pratiche psichiatriche, soprattutto in psicoterapia. La seduzione, l'amore, la creazione artistica, la preghiera, il pianto... innumerevoli sono i momenti di superamento dell'identità. Ma a questi momenti occasionali bisogna aggiungere un'attenzione, uno sforzo, una pratica quotidiana di vita. La psicoterapia immaginativa nasce dall'intenzione di aiutare i pazienti nel difficile ma necessario percorso di superamento della propria stasi identitaria. L'ambizione è quella di curare la sofferenza oscura con tecniche innovative che puntino direttamente al cuore dell'essere, al suo immaginario, alla sua profondità palpitante troppo spesso soffocata, e svitarla dal tempo immobile. Insomma una pratica terapeutica che aiuti ciascuno all'attraversamento del "deserto che si stende al di là delle antiche rovine dell'io". | << | < | > | >> |Pagina 52La descrizione di un attacco di panico fatto da Elena, una paziente, mi fece intuire un percorso terapeutico diverso da quelli tradizionali ed un primo elementare uso della psicoterapia immaginativa. La paziente mi narrava come alcune volte, sentendo l'avvicinarsi di un attacco di panico, riuscisse a procrastinarlo. La necessità di differire l'attacco era dettata dal fatto che la paziente si trovava in mezzo a persone e/o in situazioni pubbliche che rendevano increscioso il devastante attraversamento della morte che è l'attacco di panico. Non c'erano dubbi sul fatto che si trattasse di un reale attacco di panico; l'evento descritto era quello classico del disturbo: ripetersi improvviso e inaspettato di crisi di terrore, con desiderio di fuga e sensazione di morte imminente, paura di impazzire, alterazioni neurovegetative quali palpitazione, ipertensione, sudorazione, sensazione di svenimento e soprattutto dispnea, difficoltà a espirare. Eppure il fatto che la paziente riuscisse a differire l'evento traumatico significava inequivocabilmente che la coscienza era implicata nel processo, la coscienza era compromessa nel disturbo, partecipe, se non autrice, della morte temporanea del soggetto. Successivamente ho verificato che anche altri pazienti affetti da AP avevano avuto esperienze di "dilazione" dell'attacco di panico. La paziente che aveva narrato con precisione le modalità del suo disturbo era una ragazza di notevole intelligenza e di estrazione sociale e culturale elevata. Con lei sperimentai il primo esempio di psicoterapia immaginativa. Si trattava di una tecnica elementare: Elena doveva lavorare sulla respirazione che come sapete è alterata nel ritmo e nella capacità soprattutto di espirare. Consigliai alla paziente di immaginare la situazione classica della beatitudine, quella propagandata da tutti i media e dal cinema: trovarsi su una spiaggia bianca in riva al mare e respirare a ritmo delle onde che si infrangono sulla battigia. L'immagine doveva dettagliarsi come in una panoramica cinematografica. La soggettiva (l'inquadratura dal punto di vista del soggetto) doveva prima fissarsi sulle onde, sul loro rumore e sul loro ritmo, poi doveva risalire come in una carrellata all'indietro, sulla spiaggia deserta, senza esseri umani, allargarsi con un campo lungo sulla immensa distesa di sabbia fino al perdersi dello sguardo. Primo piano poi di se stessa distesa, piedi nell'acqua; panoramica del corpo; dettaglio delle onde che lambiscono i piedi; contrappunto del rumore ritmico delle onde. Respirazione che si uniforma a tale ritmo. Panoramica lenta a ventaglio fino a risalire al cielo e fissarsi su di esso. Questa prima rudimentale tecnica di psicoterapia immaginativa ottenne facilmente risultati positivi grazie alla disponibilità, alla compiacenza e alla intelligenza di Elena. Ma era una tecnica che riguardava il superamento di un attacco di panico in atto, non la guarigione dal suo ripetersi; non era, insomma, il superamento del disturbo. Era necessaria un'analisi rapida delle cause esistenziali a monte del processo di sofferenza, che prevedessero l'uso di tecniche tradizionali come l' analisi del profondo e delle dinamiche preconscie. |