Autore Ottavio Cappellani
Titolo La Sicilia spiegata agli eschimesi (e a tutti gli altri)
EdizioneSEM, Milano, 2019 , pag. 128, cop.rig.sov., dim. 13,7x18,7x1,5 cm , Isbn 978-88-93-90117-8
LettoreDavide Allodi, 2019
Classe regioni: Sicilia , citta': Palermo









 

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Indice


Dominazione siculogiapponese
    e il riso fritto di design                           5

Arancino o arancina?                                    17

La leggenda del mare fermo                              19

Oriente e Occidente                                     21

Il Grand Tour                                           29

La storia sommersa                                      39

Il carrubo                                              43

Redenzione dell'isola                                   45

La mafia e le vetrine e il kitsch                       47

Il barocco siciliano                                    55

Il baglio, i baroni normanni (altro che gattopardi),
    la città, l'Etna, l'entropia e l'Apocalisse         59

Il carretto siciliano, la Little America,
    i supereroi, il Far West (l'estremo Occidente)      67

Il cannolo                                              69

Le minnuzze di Sant'Agata                               71

Il liotro                                               79

L'educazione sentimentale e il balcone delle vergogne   81

L'armiere lirico                                        85

Sicilianitudine                                         89

Scunchiuduto                                            93

Agguato                                                 97

Cascate Paradiso                                        99

L'ilarotragedia                                        103

I giganti della montagna                               107

L'Odissea                                              113

Le travature                                           117

Perché la Sicilia e non il nulla                       119

Piccola guida antituristica                            123


 

 

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Pagina 5

Dominazione siculogiapponese
e il riso fritto di design



«Che ci fa una giapponese come te in una festa catanese come questa?»

(Risatina con mano alla bocca) «Sono venuta a vedere Sant'Agata.»

«Ma voi non siete, tipo, buddisti?»

«Shintoista. Ma festa in Giappone è famosa.»

«La festa di Sant'Agata è famosa in Giappone?»

«Sì.»

«Perché?»

«Perché c'è molta gente.»

«In Giappone? Pensavo ce ne fosse più in Cina.»

(Niente risatina) «No, la festa è famosa.»

(Annuisco) «Andiamo a vedere la festa allora.»

«Da dentro?»

«Non preoccuparti. È come Tokyo ma con più candele.»


La incontrai in cucina. Ufficialmente ero lì per cercare da bere, ufficiosamente per fuggire dalla claustrofobia aromatica della stanza dove si svolgeva il Concerto per Pianoforte a Piedi nudi, il che, più o meno, significava assistere a una composizione di musica contemporanea (noise o dodecafonica o atonale, come preferite) a piedi nudi, alla luce di molte candele.

Era una delle innumerevoli festicciole organizzate nelle case private e aristocratiche e intellettuali e artistiche, come in contrapposizione al "popolaccio" che si abbandona al folklore e alle credenze superstiziose per le strade inondate dalla cera sciolta dei "ceri" e dalla segatura, che illumina la notte con una nuance di giallo ottocentesco.

Fu quest'incontro a rivelarmi le somiglianze tra Sicilia e Giappone.

Similitudini così profonde da far sospettare, in una qualche epoca antichissima, una dominazione siciliana in Giappone o una dominazione giapponese in Sicilia.

Catania in greco antico si chiama Katane, come la spada dei samurai.

La cultura del pesce crudo esiste in Sicilia come in Giappone. Da noi il piatto nazionale è l' insalata di masculini, alici crude condite con olio, limone, sale e prezzemolo.

Siamo entrambe civiltà vulcaniche, sismiche e isolane.

Abbiamo entrambe un perverso culto dell' onore e della vendetta.

Yakuza e mafia non sono soltanto un fenomeno di criminalità organizzata, ma prosperano al liminare dei rapporti con le istituzioni.

E poi c'è il ruolo della donna, della quale, di questi tempi, se non sei giapponese è meglio non parlare. Potrebbero metterti alla gogna per una cerimonia del tè.


Lei mi spiegò che, in quanto discendente di due famiglie samurai, l'aristocrazia giapponese, lavorava per una zaibatsu, un grande gruppo finanziario e industriale in mano a famiglie di origine nobile.

Io le dissi che in quanto discendente di una famiglia aristocratica siciliana ero bravissimo a fare debiti.

Mi disse che il suo lavoro consisteva nello studio e nell'applicazione della Tradizione al Marchio. La festa di Sant'Agata era un perfetto esempio di fidelizzazione al brand, che rivelava il suo potere esercitato attraverso l'inconscio collettivo, e della successiva contemporaneizzazione dello stesso, essendo - asseriva - in principio una festa dedicata a Iside.


«Perché siete così strani, in faccia?»

«Anche tu sei molto strano in faccia. Domani mi accompagni a Noto?»


Guidai fino a Noto ("ridente - quasi sghignazzante - cittadina incastrata nella splendida cornice della val di Noto, il cui centro storico barocco è una bomboniera") parlando con un essere umano le cui ossa e cartilagini del viso sembravano provenire da un altro pianeta.

«Come mai l'interesse per il barocco?»

(Risatina con la mano alla bocca) «No, non mi interessa il barocco. Sono minimalista. Bauhaus.»

Stavo per lanciarmi nella mia solita pippa sul Bauhaus come architettura del nuovo schiavismo (cosa della quale, me ne rendo conto adesso, la japanetta era pienamente consapevole) quando disse: «Dobbiamo bussare per farci dare le figurine».

«Eh?»

(Risatina) «Figurine. Come i calciatori.»

«Pardon?»

«I cattolici hanno le figurine. Dobbiamo bussare alle chiese per farci dare le figurine dei santi. Perché le chiese sono chiuse?»

«Le chiese chiuse?»

«Non stanno sempre aperte?»

«Aspetta. Sei voluta venire a Noto per prendere i santini?»

(Risatina con entrambe le mani davanti alla bocca) «Sì. A Noto ci sono tantissime chiese. Io faccio raccolta di figurine cattoliche.»

«Ma da quando?»

«Da piccola sono stata alle scuole cattoliche. Come l'imperatrice. Molte famiglie samurai mandano i figli nelle scuole cattoliche. Come l'imperatrice.» (Sì, ripetuto due volte.)

«L'imperatrice è andata alle scuole cattoliche?»

(Risatina) «Sì. Anche all'università del Sacro Cuore.»

«Cioè, siete cattolici?»

«No. Shintoisti. Però le figurine mi piacciono. Sono come i manga. Faccio raccolta anche delle figurine dei manga.»

«Alla tua età?»

(Risatine) «Sì, sono brand.»

«...»

«E funzionano.»


La accompagnai dunque nel giro delle chiese di Noto, tutte chiuse in quel primo pomeriggio feriale.

Riporto soltanto il dialogo con il primo prete.


Toc toc.

Nulla.

TOC TOC.

«E un attimo...»

Io annuii alla giapponese: «Arriva».

(Risatine)

«Sì?»

«Ehm... buonasera padre, volevamo un santino della vostra parrocchia.»

«Un santino? Volete chiedere una grazia?»

«No, lei» indicando la giapponese «ha fatto le scuole cattoliche.»

«Brava!» Gli occhi del prete si illuminarono.

«Sì, ma sono shintoista. Faccio raccolta delle vostre figurine come i manga» disse la giapponese.

SLAM.

«Alla prossima chiesa fai parlare me.»

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Pagina 21

Oriente e Occidente



È da molto tempo che ci sminnittiano la minchia con questa faccenda delle due Sicilie: quella orientale e quella occidentale.

Ma vogliamo parlare della Sicilia davvero?

Allora è necessario sottolineare che, pur nella differenza tra Sicilia orientale e Sicilia occidentale, esiste un'unica e sola e splendente ed eterna Sicilia.

Quella orientale.


La Sicilia occidentale, i palermitani per intenderci, non sono siciliani. Sono un po' africani e un po' sardi. I greci a Palermo non sono mai arrivati, e questo li pone fuori da qualsiasi geopsichica occidentale.

C'è chi si indigna, ma non è colpa mia, è colpa dei palermitani: all'epoca della dominazione ellenica in Sicilia, i palermitani erano alleati dei cartaginesi e hanno respinto i greci.

Non a caso è stata scelta Palermo come capoluogo siciliano: i palermitani sono storicamente pronti a vendersi a un alleato sbagliato, e sono anche profondamente confusi.

Non mi credete? Volete la prova della confusione mentale nella quale vive il popolo palermitano?


Palermo è l'unico posto al mondo dove non hanno capito che la cotoletta si frigge. La friggono ovunque. La friggono in America, la friggono in Austria, la friggono in Cina, la fanno di topo ma la friggono.

È un concetto semplice: la cotoletta va messa in padella, con olio o burro, e fritta. Non bisogna avere particolari competenze, né un importante patrimonio genetico, né una vasta eredità culturale per capirlo: se non è fritta, non è cotoletta.

Il palermitano no, non ci arriva.

Non ci mette neanche l'uovo. La passa nel pangrattato e via. La mette... non sa neanche lui dove metterla... sul termosifone... sulla piastra... al forno... la phona...

Il delirio è che pretenda di chiamare "cotoletta" il suo pezzo di carne defunta spolverato di mollichine. Cotoletta alla palermitana. E soprattutto che sia convinto di mangiare davvero una cotoletta.

Allo stesso modo, il palermitano è convinto di essere siciliano.


Avete visto un teatro greco nel Palermitano?

No. E sapete perché? Perché non ce ne sono.

E senza la commedia greca non ci si può definire siciliani. Essa è appunto l'uovo dove bisogna passare due volte la carne del pensiero.

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Pagina 28

Mettetevi in testa una cosa: la Sicilia è al centro del Mediterraneo, non il siciliano.

Il siciliano sta nel buco del culo del mondo.

"Il siciliano è il divano orientale occidentale di cui parlava Goethe!"

E questo è vero, nel senso che il siciliano è proprio il divano... sul quale le altre culture poggiano il culo.

Il siciliano, naso all'insù, inspira quest'aria e pensa di essere un illuminato.

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Pagina 29

Il Grand Tour



Prima del cosiddetto Grand Tour, la Sicilia se ne stava bella tranquilla per i fatti suoi. Si guardava intorno con la consapevolezza che il suo mondo di riferimento era finito. Per così dire, decadeva serenamente.

Per primi avevamo sperimentato l'impero, la democrazia, l'aristocrazia e tutte le forme di potere che la compresenza di più uomini in uno stesso territorio poteva inventarsi.

E quindi insomma ce ne stavamo per i fatti nostri, facendoci cullare dolcemente dalla fine dell' Homo sapiens sapiens...

...quando qualche esaltato nordico, cultore soprattutto della lingua tedesca, decise che la cultura classica andava riscoperta.

Wiederentdeckung!

Così i teutonici iniziarono a planare in quest'isola, abitata dalla Storia e dagli dèi stessi, con la convinzione di spiegare loro la cultura a noi.

Era nato il Grand Tour.

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Pagina 53

In Sicilia le culture si sono succedute, non si sono mai sintetizzate.

Ve lo avevo già detto, mi pare. Strano che ancora non l'abbiate capito.

Voglio dire: è per questo che si sono succedute. Perché la successiva ha puntualmente rotto il culo alla precedente.

E quando hanno coabitato (ricordate i cartaginesi a Palermo e i greci a Catania) si sono divisi il territorio, i marciapiedi: qui comando io, qui il pizzo lo prendo io.

Erano i soldati a conquistare la Sicilia, non i filosofi o i drammaturghi.


La mafia è la vera sintesi delle culture che si sono succedute in Sicilia. Suona sgradevole ma è così.

Ed è per questo che, in un mondo che si va globalizzando, ve lo dico fin da adesso, fra un paio di secoli la mafia vincente sarà la mafia scandinava.

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Pagina 79

Il liotro



Il liotro, l'elefante in pietra lavica simbolo di Catania, è stato la prima insegna di un privé per scambisti della storia.

Oggi è posizionato dinanzi alla cattedrale di Sant'Agata: tra il liotro e le spoglie della Patrona, una ventina di metri circa, sta tutta la storia della morale.

Il suo nome è una contrazione di Eliodoro, mago, negromante e discepolo degli ebrei, almeno tali erano le accuse con le quali fu condannato a morte da Leone II il Taumaturgo.

Fu Eliodoro stesso, secondo la leggenda, a scolpire l'elefante nella sciara e a usarlo come cavalcatura volante: andava e tornava da Costantinopoli in una sola notte.

Ucciso Eliodoro, l'elefantino fu buttato fuori dalle mura, dove nelle notti di luna piena si davano convegno i neopagani in feste di carattere orgiastico.


Nel XII secolo fu riportato all'interno delle mura.

Nel XVI secolo fu posto nella posizione attuale.

Nel XVIII secolo Vaccarini ci costruì intorno una fontana.


Dell'obelisco che gli misero in groppa ci sono due versioni. La prima è che fu portato in città dai crociati, la seconda è che fosse un oggetto di scena di un circo.

Dietro le storie e le leggende del liotro c'è tutta la verità sui rapporti tra la Chiesa Romana d'Oriente e quella d'Occidente.

Si dice che il liotru riprenderà vita al cominciare dell'Apocalisse.


Da qualche tempo in qua, la notte si muove.

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Pagina 113

L'Odissea



La gente ne capisce molto di "classicità". Tantissimo, proprio.


Acitrezza. Un giorno qualsiasi.

Ho sentito *** dire: «Su queste coste ha passeggiato persino Ulisse».

È vero. I tre Faraglioni, secondo la leggenda, sono le pietre che Polifemo scagliò contro l'imbarcazione di Ulisse e dei suoi compagni quando, dopo averlo accecato, riuscirono a fuggire dalla grotta del Ciclope aggrappati al ventre delle pecore.

Adesso... Voi questo... lo chiamate passeggiare?

Ulisse odiava la Sicilia. Era un luogo che gli stava sui coglioni, nel quale gli successe di tutto e le cui coste rappresentavano l' ostacolo da affrontare per ritornare a Itaca.

Passeggiare?

Arrivano ad Acitrezza, vengono sequestrati da un gigante con un occhio solo, cannibale, che si sbrana alcuni di loro, e quando finalmente riescono a scappare lui gli tira pietrone alte decine di metri.

Via, via, via... minchia... via, via, via!


Arrivano su un'altra costa, li prende Circe, una che prima li droga e poi li stupra (immaginiamo dovesse essere davvero brutta, altrimenti che bisogno aveva di drogare dei soldati e dei marinai per poterseli fare...).

Via, via, via...


Arrivano allo stretto di Messina e Scilla e Cariddi li risbattono sull'isola.

Ulisse: «Dove siamo, Antifo?»

Antifo si gratta la testa.

Ulisse: «Antifo?»

Antifo: «Sì?»

Ulisse: «Ti ho chiesto: dove siamo?»

Antifo: «Be; Ulisse... secondo i miei calcoli dovremmo ancora essere... ecco...»

Ulisse: «Minchia no!»

Antifo: «Eh... mi sa di sì...»

Ulisse: «Minchia, ancora in Sicilia? Via, via, via!»

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Pagina 119

Perché la Sicilia e non il nulla
(un capitolo con molti corsivi barocchi)



Perché esiste la Sicilia? Questo triangolo incastonato nel Mediterraneo?

Chiunque venga in Sicilia torna a casa con alcune domande che non dovrebbero essere contemplate nella quotidianità delle vite odierne.

Ovviamente sto parlando della Sicilia, e non dei siciliani.

Sto parlando del creato, non delle creature.

Una delle cause per cui l' essere della Sicilia non viene compreso sta nel fatto che si cerca di capirla a partire dai siciliani. Gli abitanti non sono nient'altro che una conseguenza dell'isola. Della sua necessarietà.

È il creato il problema, non la creatura.

L' autocoscienza del siciliano, oggetto di sterminata (che parola deliziosa: sterminata) letteratura, è una bazzecola se si pone l'attenzione innanzitutto alla materia sulla quale esso poggia i piedi.


Iniziamo da una domanda: a cosa serve conoscere la Sicilia?

Ha una qualche utilità oltre a quella turistica?

La risposta è: sì.

Perché?

Perché è l'unico spazio a partire dal quale la conoscenza - e intendo la conoscenza universale - è possibile.

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