Copertina
Autore Paola Capponi
Titolo I nomi di Orione
SottotitoloLe parole dell'astronomia tra scienza e tradizione
EdizioneMarsilio, Venezia, 2005, Crisis , pag. 182, cop.fle., dim. 155x213x14 mm , Isbn 978-88-317-8828-1
LettorePiergiorgio Siena, 2006
Classe miti , astronomia , classici greci
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Indice

  9 Premessa

    I NOMI DI ORIONE

 15 Il nome, il volto, il racconto
 15 L'immagine, tra continuità e cambiamento
 38 «Quando Orion dal cielo declinando imperversa»
 51 L'empietà di Orione
 81 Le stelle della scienza
 81 Antichi splendori. Forme di continuità
105 Inventario cosmico

115 Orione nel mondo popolare.
    Tra falce e rastrello, santi e pellegrini

118 Visione analitica e visione sintetica
128 I bastoni del ciclo
139 Tre del cielo
142 La falce e il rastrello:
    Orione e gli strumenti dell'agricoltura
149 Insegne e segnali
149 Particolari astronomici
150 Cenni ai nomi popolari antichi

155 Bibliografia
171 Indice dei nomi
175 Indice analitico

 

 

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Pagina 38

1.2. «QUANDO ORION DAL CIELO DECLINANDO IMPERVERSA»



Sottesa alla pluralità e alla ricchezza dei racconti mitici di cui Orione si è reso nei secoli protagonista, è spesso una visione del cielo, e in particolare di stelle e costellazioni, strettamente correlata alla terra, alla ciclicità del tempo stagionale. Gli astri sono signa, segni che lasciano presagire cambiamenti di ordine, in primo luogo, meteorologico, legati all'avvicendarsi del tempo stagionale, ma che implicano anche, come vedremo, una serie di trasformazioni importanti nei ritmi e nelle abitudini della vita quotidiana. In epoca romana, la levata eliaca di Vindemiatrix (eta Virgo) annunciava il tempo della vendemmia, mentre il tramonto della Bilancia anticipava l'autunno. Nel mondo classico la comparsa di Orione era associata all'arrivo della pioggia e del cattivo tempo, nell'antico Egitto preannunciava la piena del Nilo, e presso alcune tribù dell'America centrale era invece segnale della stagione secca. La costellazione è stata identificata, nella tradizione classica, con il nimbosus o aquosus Orion, presso gli egizi con il divino Osiride, e presso alcune tribù dell'America centrale con il giovane, assetato Asaré. Se ci spostiamo dall'emisfero boreale a quello australe il riferimento meteorologico è infatti capovolto e Orione, anziché annunciare la pioggia, segnala l'inizio della stagione secca; se ci riferiamo a tempi molto antichi, come nel caso del mito egizio, cambiano, a causa della precessione degli equinozi, i tempi di levata e di tramonto degli astri, per cui la stessa costellazione compare oggi in ritardo rispetto al passato

Se le condizioni meteorologiche annunciate dalla costellazione variano, si modificano nello spazio e nel tempo, costante rimane l'atteggiamento dell'uomo verso il cielo, teso a cogliere i segnali del cambiamento. Prima di essere una superstiziosa fede nella previsione del destino, la conoscenza del cielo era àncora di salvezza, possibilità di prevedere l'avvicendarsi dei cicli stagionali e di organizzare il lavoro.

Nei miti delle stelle gli arabeschi di virtuosismi poetici che raccontano di saghe, di dei ed eroi, non devono far dimenticare quei rapporti tra stelle e tempo del lavoro che non sfuggivano all'occhio dell'uomo del passato.

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Pagina 51

1.3. L'EMPIETÀ DI ORIONE



Orione, gigantesca figura che si staglia nel cielo invernale, sembra con la sua imponenza lanciare una sfida a Dio, arrogante e altero pare voler gareggiare con gli dei. È l'empietà, l'arroganza, uno dei tratti caratteristici dell'eroe in diverse versioni del mito. Della superbia del Gigante sono testimonianza alcuni passi biblici così come alcuni episodi del mito classico. Si tratta di tasselli che restituiscono l'immagine di un'opposizione, di uno scontro tra Orione e la divinità che può forse essere ricondotto allo sconvolgimento indotto dalle piogge e dalle tempeste, la cui forza distruttiva non è solo segnale di un'incipiente rinascita, ma è, nel presente, distruzione e rovina, rottura dell'ordine, momento di cambiamento gravido di paure e di speranze. Nella tradizione cristiana, biblica, così come nei riti pagani antichi o nelle tribù "primitive" il temporale, la tempesta, il turbine, la tromba d'aria erano fenomeni associati alle divinità, ai 'signori del tempo'. L'aria è la dimora dei demoni; i diavoli sono definiti da san Paolo «gli spiriti del male che sono nei cieli» (Efesini vi, 12).


1.3.1. Kesil: sfide bibliche

Il primo chiaro indizio del fatto che Orione, sin dall'antichità, sia stato identificato con un eroe sacrilego è nell'Antico Testamento, dove è indicato con la parola kesil, ossia 'empio'. L'identificazione delle costellazioni citate nel testo biblico è piuttosto discussa e ostacolata dal fatto che non solo le diverse versioni spesso siano in contraddizione tra loro ma che anche all'interno della stessa versione possano essere offerte traduzioni diverse della stessa parola. Nel caso specifico, è ormai comunemente condiviso che con Kesil si sia voluto indicare Orione, ma non mancano comunque, per questa costellazione come per le altre cinque citate nell'Antico Testamento, interpretazioni discordanti.

I passi dell'Antico Testamento in cui si fa riferimento a Orione si trovano nel libro di Giobbe (IX, 9 e XXXVIII, 31) e nel libro di Amos (v, 8) e, secondo alcuni, come vedremo, nel libro di Isaia (XIII, 10). Ho cercato di passare in rassegna alcune traduzioni di questi passi per mettere in evidenza, accanto alla complessiva concordanza delle versioni, le possibili divergenze.

Nel libro di Amos leggiamo:

            Colui che fa Pleiadi e Orione
            e che sovverte in mattino l'ombra di morte
            e che il mattino in notte ottenebra
            è lui che chiama le acque del mare
            e le riversa sulla faccia della terra:
            Signore è il suo Nome.

            (Amos v, 8)

In questo passo Amos si rivolge a Dio dicendo «colui che fa la Kimah ed il Kesil». L'identificazione delle due costellazioni Kimah e Kesil è tutt'altro che univoca. Nella traduzione dei Settanta, ad esempio, si evita di tradurre le due parole di cui, probabilmente, sfuggiva l'esatto significato. La Vulgata traduce Kesil 'Orione' e Kimah 'Arturo', anche se in un altro passo di Giobbe, la stessa parola, Kesil, è tradotta 'Arturo'. Analogamente, i due passi del libro di Giobbe in cui si parla di Kesil sono stati variamente interpretati. Nel primo si legge:

            Egli forma l'Orsa e l'Orione,
            le Pleiadi e le costellazioni del Sud.

            (Giobbe ix, 9)

In questo caso nella versione dei Settanta Kesil è identificato con 'Espero', mentre nella Vulgata con 'Orione'. Se però leggiamo la traduzione offerta dai Settanta e dalla Vulgata di un altro passo del libro di Giobbe in cui di nuovo ricorre la parola Kesil noteremo che la parola Kesil è tradotta 'Orione' dai Settanta e 'Arturo' dalla Vulgata.

Nei tre passi esaminati prevale dunque, a parte due eccezioni ('Espero' nei Settanta - Giobbe ix, 9 - e 'Arturo' nella Vulgata - Giobbe xxxviii, 31 -), l'identificazione di Kesil con Orione (due volte nella Vulgata - Amos v, 8 e Giobbe ix, 9 - e una nei Settanta - Giobbe xxxviii, 31 -).

I dizionari e i commenti biblici per lo più avallano questa identificazione anche se non mancano di sottolineare residui margini di incertezza. Ricordo qui quanto si legge alla voce «Orione» nell' Enciclopedia della Bibbia: «Così si interpreta comunemente l'ebraico Kesil nei quattro passi biblici in cui compare con altri nomi di stelle; ma non vi è certezza di questa identificazione». Nel Lexique Biblique l'accostamento Kesil-Orione è proposto con prudenza: «ORION - nom d'une constellation. Il est possible qu'elle soit citée dans la Bible». Sull'incertezza dell'identificazione delle costellazioni nell'Antico Testamento insiste La Sainte Bible che specifica: «L'identification de ces constellations n'est que probable: il y a désaccord entre les versions comme entre les traducteurs anciens ou récents. Par exemple certains modernes proposent la constellation du Lion au lieu de l'Ourse, Sirius au lieu d'Orion. Mais les Anciens considéraient Sirius comme le chien d'Orion et pouvaient les identifier». Favorevole all'identificazione Kesil-Orione è il Dizionario Enciclopedico della Bibbia che ricorda come nella Peshitta la parola kesil sia tradotta con gabbara ossia 'uomo forte' che corrisponde al nome arabo di Orione, 'il gigante'. La traduzione della Peshitta potrebbe quindi essere un'ulteriore conferma dell'identificazione Kesil-Orione. Va inoltre ricordato che anche dai commentatori moderni sono state proposte traduzioni diverse. Schiaparelli, ad esempio, ricorda i nomi di due studiosi che identificano Kesil con altre stelle, Sirio e Canopo; in un commento più recente al libro di Amos è proposta l'identificazione con Canopo. A queste incertezze va aggiunta la dubbia interpretazione del passo di Isaia (xiii, 10) dove il plurale kesilim è stato diversamente interpretato nelle versioni antiche: alcuni lo hanno inteso come plurale di Orione, altri come collettivo indicante l'insieme delle stelle.

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1.3.2. Così Aurora dalle dita di rosa scelse Orione. Orione nei poemi omerici

I poemi omerici sono sicuramente tra le testimonianze più antiche del mito di Orione. Omero cita la costellazione in due luoghi dell'Iliade e in quattro dell'Odissea. Riferimenti espliciti al mito si intrecciano con citazioni di carattere più strettamente astronomico. Vorrei qui brevemente ricordare i passi in cui il riferimento alla costellazione non coinvolge il mito per poi passare a esaminare i versi in cui Omero parla invece direttamente delle vicende e delle caratteristiche dell'eroe.

I passi sono due, uno dell'Iliade (libro xviii) e uno dell'Odissea (libro v). Nel primo caso si tratta della descrizione delle costellazioni scolpite sullo scudo di Achille: Raffigurò la terra e il cielo e il mare, e poi il sole instancabile e la luna piena e tutte le costellazioni che incoronano il cielo, le Pleiadi, le Iadi e il grande Orione e l'Orsa - che chiamano anche il Carro - l'Orsa che gira su se stessa rivolta ad Orione ed è la sola che non si bagna nelle acque di Oceano. (Il. xviii, 483 -489)

Nel secondo, di un richiamo all'importanza del cielo per la navigazione:

Col timone tracciava la rotta con arte, seduto, né gli calava sulle palpebre il sonno mentre guardava le Pleiadi, Boote che tardi tramontava e l'Orsa, a cui danno anche il nome di Carro e che ruota attorno a un medesimo punto spiando Orione: essa sola non ha parte ai lavacri di Oceano. (Od. v, 270-275)

Le due descrizioni, pur nella diversità del contesto in cui sono inserite, sono piuttosto simili. Felix Buffière, commentando questi due passi, scrive in proposito che i versi dell'Iliade dedicati alla costellazione incisa sullo scudo erano così belli che furono ripresi e incastonati nell'episodio del viaggio di Ulisse dell'Odissea, quasi senza modifiche: «Les quatre vers où il a décrit les constellations gravées par Héphaistos sur le bouclier d'Achille [...] étaient si définitifs, que l'Odyssée les a repris pour les enchasser dans un de ses épisodes: la navigation d'Ulysse sur son radeau». Pur essendo modificati alcuni particolari (diverso è l'ordine in cui sono ricordate le costellazioni: nell'Iliade sono ricordate Pleiadi - Iadi - Orione - Orsa mentre nell'Odissea Pleiadi - Boote - Orsa - Orione) gli ultimi quattro versi mostrano una perfetta corrispondenza tra i due poemi: «Mais ensuite l'Iliade et l'Odyssée reprennent en choeur: "et l'Ourse qu'on appelle aussi le Chariot, la seul des étoiles / qui jamais ne se plonge aux bains de l'Océan / mais tourne en méme piace en guettant Orion"». Le osservazioni astronomiche di Omero, pur non essendo riunite in un'unica opera espressamente dedicata alla scienza astronomica, filtrano comunque attraverso versi, come questi, che Buffière definisce «passages ensorceleurs qui hantent les mémoires».

La costellazione è ricordata da Omero anche in altri quattro passi in cui il poeta cita esplicitamente le vicende o i tratti salienti dell'eroe mitico. Incontriamo Orione per la prima volta nell'Odissea nelle parole di Calipso. Nel v libro, Ermes, inviato dagli dei, comunica a Calipso che Odisseo deve fare ritorno in patria. La ninfa, indignata, si rivolge con queste parole contro gli dei che sembrano accanirsi a impedire l'unione di dee e mortali:

Perfidi siete, o dèi, gelosi quant'altri mai, voi che invidiate alle dee di coricarsi con un mortale apertamente, se una si trova un caro compagno. (Od. v, 118-120)

Sono ricordati l'amore infelice di Aurora e Orione:

Così, quando Aurora dalle dita di rosa si prese Orione, glielo invidiaste voi numi che avete facile vita finché in Ortigia Artemide veneranda dall'aureo trono lo uccise raggiungendolo con le sue frecce miti. (Od.v, 121-124) e quello tra Demetra e Iasione:

E così, quando Demetra dai riccioli belli si unì in amore e nel letto, cedendo al suo cuore, con Iasione sopra un novale terziato, non a lungo ne fu ignaro Zeus, che lo uccise colpendolo col fulmine abbagliante. (Od. v, 125-128)

Calipso, dunque, ricorda due esempi di infelici unioni tra dee e uomini: quello di Orione e Aurora e quello di Demetra e Iasione affidandosi, nel primo caso, a una versione del mito riconducibile a tre nuclei tematici, a tre tipi: l'amore tra Aurora e Orione; l'ira degli dei; l'uccisione per mano di Artemide con le frecce. Del rapimento dell'eroe da parte di Aurora parla anche Apollodoro il quale, nella Biblioteca (i, 4,4), ricorda che Afrodite, per vendicare l'amore di Aurora e Ares, faceva in modo che la dea si innamorasse continuamente. Per questo Eos si innamora di Orione e lo rapisce portandolo con sé a Delo. A questo episodio sono legate alcune credenze popolari. Secondo la tradizione, Aurora, al ricordo di quell'unione, tutte le mattine arrossisce. Al rapimento è collegata anche un'antica usanza, raccontata da Eraclito, secondo cui era costume che il corteo funebre per le persone morte di malattia sfilasse al mattino, all'alba, e, se il defunto era un uomo bello e nobile, si diceva che fosse stato rapito da Aurora innamorata.

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2.1.1. Da Perseus a Circinus, da Orione a Napoleone

Per secoli le immagini, così come i nomi delle costellazioni, sono stati coinvolti in continue metamorfosi, smembramenti e ricomposizioni; i labili confini interstellari hanno assecondato la fantasia di cartografi celesti e astronomi, modellandosi in profili fantasiosi e suggestivi. Solo agli inizi del secolo scorso questo sfuggente gioco plastico è stato bloccato, fissato in confini certi. Nel 1922 l'IAU adotta ufficialmente la divisione del cielo in ottantotto costellazioni, ossia ottantotto aree identificate con i nomi classici delle costellazioni. Il sistema è tale per cui qualunque oggetto scoperto debba rientrare in almeno uno degli ottantotto settori, tracciati in forma definitiva dall'astronomo belga Eugène Delporte, autore della mappatura celeste ufficiale (1930). L'opera, pur suscitando polemiche e critiche per l'adesione non sempre puntuale ai confini tramandati dalla tradizione, razionalizza una sorta di anarchia del cielo, offrendo alla comunità scientifica uno strumento di riferimento univoco.

Secondo la periodizzazione fornita in Figures du ciel 1998, l'evoluzione della rappresentazione cartografica del cielo si sviluppa secondo un percorso di crescente specializzazione che, da una fase iniziale caratterizzata dalla prevalenza del gusto estetico sulla precisione scientifica (dalle prime opere di carattere astronomico sino all' Uranometria di Bayer del 1603), passando attraverso un periodo intermedio di equilibrio tra cura dell'immagine e rigore (da Bayer sino all'atlante di Bode), approda, in un primo momento, nel xix secolo (negli anni compresi tra l'opera di Bode e quella di Delporte, ossia tra il 1801 e il 1930 circa), a una distinzione netta tra due livelli, due piani di fruizione dell'opera (per professionisti, strumento a disposizione degli addetti ai lavori, quindi opera scientifica, o per semplici appassionati e, quindi opera di divulgazione), per poi presentarsi oggi sotto forma di cataloghi, disponibili in rete. Con i repertori telematici, corredati da fotografie satellitari estremamente dettagliate, si arriva, quindi, a una complessiva perdita, nell'osservazione del cielo, delle antiche raffigurazioni e dell'idea stessa di atlante celeste così come inteso sino almeno all'Ottocento. La fantasia creativa dell'uomo componeva in costellazioni astri che, per l'apparente reciproca vicinanza e per la particolare visibilità, sembravano essere parte di un unico insieme, costituire una figura.

L'occhio percepisce la luce come se fosse proiettata su uno schermo nero annullando così la distanza tra le stelle, che si mostrano come incastonate sulla volta celeste, quasi a comporre geometrie organiche e coerenti. In realtà, le costellazioni sono insiemi puramente convenzionali di astri che possono trovarsi a distanze enormi gli uni dagli altri, insiemi i cui confini (e i cui nomi) oggi riconosciuti rappresentano l'esito di un lungo processo evolutivo continuamente teso tra conservazione e mutamento, tra la continuità rispetto alla tradizione e l'adeguamento alle prerogative della lingua della scienza.

I nomi delle costellazioni risalgono non solo al latino e al greco della tradizione classica, ma anche al latino della scienza del Seicento. Esse assumono sia i nomi e le forme di figure mitiche del mondo classico sia, nel secolo dei Lumi, quelli di strumenti scientifici, macchine, forme geometriche e animali esotici. Il mito detta i nomi di gran parte delle costellazioni dell'emisfero boreale, il secolo dei Lumi celebra il trionfo della scienza nelle costellazioni dell'emisfero australe. Sotteso a questa variegata tipologia è un processo di identificazione e definizione della costellazione che rimanda all'analogia tra la distribuzione delle stelle e il profilo della figura immaginata (sia essa un personaggio del mito o uno strumento della scienza). Con la classificazione di Delporte è scardinato tale rapporto analogico alla base della nomenclatura celeste; la partizione in settori, in tessere geometriche, rappresenta un punto di svolta fondamentale per l'immaginario celeste la cui già rapida trasformazione è stata accelerata dai progressi della fotografia satellitare. L'elenco di seguito proposto dei nomi delle costellazioni presenta un firmamento di origine squisitamente greco-latina, al cui interno si possono, semplificando, distinguere i due principali criteri di denominazione, mitologico e tecnico: [...]

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Pagina 115

3.
ORIONE NEL MONDO POPOLARE. TRA FALCE E RASTRELLO, SANTI E PELLEGRINI



Se la tradizione letteraria ci consegna di Orione un'immagine definita sotto il segno della bellezza, della forza e dell'empietà, se i tramiti letterari e iconografici definiscono con puntualità, in un composito quadro di varianti, i tratti caratteristici e specifici della figura, al punto da renderla personaggio, "tipo", con percorso autonomo ed evoluzione propria all'interno della tradizione letteraria, e se, ancora, a tale tradizione colta si salda la nomenclatura scientifica, che assume i nomi di antica memoria letteraria quali designazioni ufficiali, quando spostiamo il focus dell'attenzione sulla visione animata e armonica del cielo e della terra che è sottesa al mito, e che ne costituisce come l'humus di formazione, allora forse si apre una mappatura, un'intelaiatura concettuale di più ampia portata. La visione della realtà, la percezione dell'unione vitale tra ritmi celesti e scansioni terrene, è comune all'origine del mito e alla tradizione orale e popolare. Tracce dell'aspirazione a ricomporre come in un coro armonico le voci e le forme del cielo e della terra sono individuabili infatti tanto nella tradizione mitologica quanto nella nominazione popolare. È guardando a tale originario e perenne anelito alla pertinenza a un tutto armonico e regolato, che si può individuare forse una radice originaria comune sottesa alla nominazione del cielo. Alla tradizione scritta, letteraria, colta, dell'Orione del mito, si affianca infatti quella popolare, per lo più orale, di nomi, detti, proverbi; alla continuità del medio letterario che rielabora e definisce la figura antropomorfica connotandone i tratti salienti e caratteristici, si affianca la puntiformità delle designazioni popolari, costellazioni di nomi domestici che annodano i tempi del ciclo a quelli del lavoro e delle fatiche quotidiane.

La ricerca dell'accordo, dell'unisono tra cielo e terra, è certo più palese nelle denominazioni popolari della costellazione, dove il richiamo ai mestieri e alle scadenze stagionali dell'agricoltura, ma anche della pastorizia o della pesca, è trasparente; tuttavia non meno significativo, anche se di più difficoltoso accertamento, è il rimando circolare tra dati del mito e dati dell'esperienza quotidiana, tra, ad esempio, l'assegnazione al personaggio di una polarità negativa e la distruzione dell'ordine, il delicato momento di passaggio cui è associata la sua presenza. Si pensi in proposito ai timori e ai pericoli per la navigazione durante il periodo in cui Orione è visibile, richiamati tanto in Esiodo (Le opere e i giorni, 618-623) quanto nei detti popolari dei marinai. E sono forse i già ricordati versi di Esiodo, quelli in cui il poeta ammonisce a trebbiare le sacre spighe di Demetra non appena appare il forte Orione (Le opere e i giorni, 597-598) o a cogliere i grappoli quando giunge al centro della volta celeste o, ancora, a seminare, quando infine è tramontato (614-617), quelli che possono essere assunti come illuminante e rara testimonianza di sovrapposizione e fusione tra i due "filoni aurei" della nominazione delle stelle, quello letterario-mitologico e quello popolare. La costellazione è da Esiodo indicata, infatti, con il nome classico del mito ed è evocata attraverso il richiamo a caratteristiche topiche del personaggio (la forza), ma è citata non in quanto eroe del racconto, ma in quanto indice delle ore, orologio cosmico il cui spostamento nello spazio celeste scandisce il tempo del lavoro.

Certo è possibile agisca nell'elaborazione del mito, oltre a una motivazione di ordine esterno, pratico, calendariale di cui si è detto (cfr. § 1.2.), un processo di «autoillusione linguistica» tale per cui il nome, «l'inganno verbale» genera la credenza, produce il racconto. È possibile infatti che il significante, il carattere metaforico originario della parola, suscitino, generino il mito. Alla ricerca volta a rintracciare nella parola il segno della credenza che la motiva, che "la precede", si può infatti accostare un processo inverso di creazione della parola, che si riflette nella cosa, nella leggenda. Il racconto della nascita di Orione dalle tre divinità ospitate da Irieo, da cui il nome Urione, poi, per pudore, cambiato in Orione, potrebbe essere letto come esito della parola, leggenda nata dal nome, dall'associazione tra parole di significante simile che avviano una serie di rimandi metaforici.

Non solo dunque l'ordine cercato e imposto al mondo dall'uomo attraverso la parola, ma anche l'ordine che la parola suggerisce all'uomo. Evitando di porre le due prospettive di analisi su un asse temporale che le riduca a due fasi susseguentisi, indipendenti e autonome, ma, anzi, intrecciandole tra loro, si può individuare un movimento circolare che unisce i tre termini della motivazione: dato esterno - nome - racconto. Il nome è posto infatti all'interno di un sistema di relazioni complesso, in cui ogni elemento può generare o essere motivato da almeno uno degli altri due. Il racconto, abbiamo detto, può motivare il nome, così come il nome, in alcuni casi, può indurre la nascita della leggenda. Il dato esterno, a sua volta, può motivare tanto il nome quanto il racconto mitico. E, infine, all'interno di una visione magica e animata dell'Universo, e, più nel dettaglio, nella visione delle relazioni tra cielo e terra sottesa all'astrologia, tanto il nome (si pensi ai nomi zodiacali, ai sillogismi pseudomatematici medievali) quanto la leggenda, influenzano, determinano il dato esterno; il nome ha potere sulla cosa. Il sistema di relazioni gettato dall'uomo sul mondo, l'attività di riduzione da caos a cosmos, evolve e si amplia, dunque, combinandosi con il potere della parola, con le possibilità generative del nome, il cui significante veicola relazioni e opposizioni formali che diventano cosa, leggenda, mito. In ogni caso, la parola «si impone come concentrazione di ciò che è dato come credenza, come racconto leggendario».

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