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| << | < | > | >> |Indice5 Sull'utilità delle brutte parole 32 Avvertenza 35 San Francesco I Fioretti 43 Jonathan Swift Saggio sulle bolle inglesi del Sig. Thomas Hope La banca del bestemmiatore o garanzia parlamentare per l'istituzione di una nuova banca in Irlanda, dove si prende in esame l'utilizzo delle imprecazioni a scopo terapeutico 61 Jonathan Swift Lo spogliatoio della signora 69 Lev Trotskij La battaglia per l'evoluzione della lingua 79 Victor Hugo I Miserabili 87 Jerry Rubin Fallo! Scenari della Rivoluzione 97 Laurence Sterne La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo 113 Samuel Taylor Coleridge Incendio, carestia e carneficina. Prefazione apologetica |
| << | < | > | >> |Pagina 5"Colui che per la prima volta ha lanciato all'avversario una parola ingiuriosa invece che una freccia è stato il fondatore della civiltà". John Hughlings Jackson In un'epoca di conflitti accesi e di complessità crescente come l'attuale, sono poche le cose sulle quali le persone sono normalmente d'accordo. In politica, economia, letteratura, morale e religione, è difficile incontrare condivisioni di larghe dimensioni. Le opinioni esplodono in mille schegge di pensiero che raramente si ricompongono, dando spesso vita a contrasti che nessun compromesso riesce ad appianare definitivamente. Ci sono, però, nel senso comune — quella forma di sapere che tutti credono di possedere, scambiandola per buon senso, e che ha la fastidiosa tendenza a volersi libera da indagini del pensiero — dei frammenti di conoscenza che tacitamente tutti considerano ovvi e che non destano la minima riflessione: forse, non ne sono nemmeno degni. Un esempio di conoscenza implicitamente data per scontata da tutti è costituito dal turpiloquio e dalla bestemmia. La maggior parte degli individui è concorde nel ritenere che le "male parole" sono un vizio spregevole e infimo di cui tutti farebbero bene a sbarazzarsi, pena la regressione a una condizione primitiva di civiltà. La maggioranza morale delle persone sostiene che le parolacce e le imprecazioni sono detestabili ed è disposta a parlare di espressioni oscene solo per chiederne l'abrogazione dal vocabolario. Le buone maniere, inevitabilmente, le condannano. Nei discorsi quotidiani, massmediali e 'colti', il turpiloquio è considerato, di volta in volta, espressione immorale, disgrazia estetica, inciampo linguistico, scandalo volgare o inopportuna caduta di stile. In ogni caso, posti di fronte a precisa domanda, tutti risponderebbero senza eccessivi patemi che del turpiloquio si può fare tranquillamente a meno e che un'improvvisa azione di chirurgia linguistica che rimuovesse, in un sol colpo, questo "cancro dell'anima" non potrebbe che essere ben accetta. E però... Chi si prendesse la briga di esaminare questo fenomeno linguistico da un punto di vita storico rimarrebbe immediatamente colpito dalla quantità incredibile di sanzioni, condanne, normazioni che su di esso sono ricadute. Tanto per fare qualche esempio, a Roma gli spergiuri erano gettati dalla Rupe Tarpea; gli egiziani punivano le bestemmie con la decapitazione, i greci con il taglio delle orecchie; i turchi impedivano ai bestemmiatori di accedere al governo. Secondo le antiche leggi ebraiche, il bestemmiatore doveva essere condannato a morte tramite lapidazione. Nel Medioevo, a chi fosse stato sorpreso a pronunciare parole indicibili spettavano punizioni corporali, quali la berlina, la gogna, la corbellatura, la fustigazione, il marchio in fronte e la lingua forata. Né si deve pensare che siano cose del passato. Ricordiamo, per brevità, che, in Italia, il reato di bestemmia è stato depenalizzato e quello di turpiloquio abrogato solo nel 1999. Come spiegare la tenacia ossessiva di ogni epoca nel mettere a freno il linguaggio turpe, nell'ordinarlo all'interno di confini prevedibili? A fronte della compatta condanna che il senso comune esprime, ancora oggi, nei confronti del turpiloquio, come interpretare la necessità storica di impedirne la dicibilità? Non sarà che, dietro queste riprovazioni apparentemente universali, si nascondono bisogni inconfessabili? Che, smettendo le maschere dell'indignazione, ci si trovi di fronte al fatto che assolve importanti funzioni sociali? I testi qui raccolti sembrano parlare a conferma di questo sospetto. Essi provengono da autori, tradizioni, tempi e Paesi diversi, ma hanno in comune una sensibilità eccentrica nei confronti del turpiloquio, che non è scanzonato, goliardico ammiccamento, ma convinzione sincera, anche se espressa in maniera ironica o seria, teoricamente consapevole o accidentale. [...] Il secondo e il terzo testo dell'antologia provengono entrambi dalla penna di Jonathan Swift (1667-1749), autore dei Viaggi di Gulliver, ma anche di decine di pamphlet politici, letterari e di costume, parecchi dei quali pressoché sconosciuti al lettore italiano. Il primo scritto, composto nel 1720, finora inedito in italiano, si intitola The Swearer's Bank or Parliamentary Security for Establishing a New Bank in Ireland, Wherein the Medical Use of Oaths is Considered (preceduto da un brevissimo Essay upon English Bubbles, anch'esso inedito e qui riportato). In esso Swift immagina di istituire una banca utilizzando i danari ricavati dall'imposizione meticolosa di un tributo sulla bestemmia. Dal momento che le bestemmie sono così diffuse in tutto il regno d'Irlanda — argomenta Swift — queste assicurerebbero introiti continui e sicuri tali da consentire agli azionisti della banca di riposare sicuri la notte e non cadere vittime di speculazioni. Essendo le bestemmie, infatti, un vizio ed essendo i vizi inestirpabili per definizione dalla condizione umana, niente potrebbe essere più sicuro che far leva sulla naturale tendenza a imprecare delle persone per garantire il corretto funzionamento della banca. A tal proposito, Swift abbozza una interessante e pioneristica sociologia delle imprecazioni che, sorprendentemente, identifica negli aristocratici gli individui più propensi a imprecare (e quindi la fonte principale di introiti), mentre i contadini assicurerebbero un flusso monetario inferiore, a meno che questi non abbiano investito in una bolla scoppiata, nel qual caso le loro inclinazioni imprecatorie aumenterebbero senz'altro. Certo, rilevare il numero esatto delle bestemmie pronunciate ogni giorno è difficile. Ma, a tal proposito, sarebbe possibile inviare degli informatori stipendiati un po' in tutto il Paese, istruendoli a comunicare tempestivamente le bestemmie udite, proprio come oggi un funzionario dell'Agenzia delle entrate segnalerebbe al suo ente chi evade le tasse. Il termine 'informatori' potrebbe fare arricciare il naso, ma visto che le loro comunicazioni sarebbero a fin di bene, non si porrebbe un caso morale. Resta il fatto che esigere un tributo sulle imprecazioni e farne il fondamento istituzionale di una banca porrebbe gli azionisti nella dubbia posizione etica di augurarsi una vivace empietà da parte del prossimo. Anche in questo frangente, però, nessuna paura: casistica alla mano, non si tratterebbe tecnicamente di immoralità, perché c'è sempre il libero arbitrio, e ogni essere umano è in grado di decidere se bestemmiare oppure no. Infine, è da notare che Swift contempla anche un uso terapeutico delle bestemmie, capaci di restituire la salute a chi soffre di squilibri umorali e quindi prescrivibili nel contesto di normali cicli di cure mediche come qualsiasi altro farmaco. Tanta lungimiranza è ammirabile. Innanzitutto, capovolgendo il senso comune, Swift individua nei gentiluomini i maggiori bestemmiatori anche se non dice perché, lasciandoci immaginare un'associazione diretta tra condizione sociale alta e propensione ai vizi e alla perversione. Scrive addirittura che chi acquisisce improvvise ricchezze deve imparare a imprecare perché ciò è tipico di ogni gentiluomo. Tale assunto sfida lo stereotipo del nobile che si esprime sempre in termini impeccabili e dell'incolto che si abbandona alla parolaccia non sapendo come surrogare il suo vocabolario carente. A giudicare dalle espressioni esibite oggi in televisione dai tanti figuri che sventolano titoli professorali e liste infinite di pubblicazioni, forse Swift non ha tutti i torti. E, comunque, tutte le indagini recenti su chi dice parolacce rivelano che il fenomeno imprecatorio è socialmente trasversale. Ahimè, nemmeno la cultura ci salva dall'empietà. Al di là delle preveggenze sociologiche, ciò che del trattatello swiftiano colpisce il lettore di oggi è lo stile narrativo, tutto incentrato sulla descrizione minuziosissima delle caratteristiche della nuova banca e sulle ragioni per sostenerla. È come se la panoplia di dettagli tecnici enunciati in uno stile che ricorda le dotte e serissime dissertazioni di filosofia, rendesse ciechi alle mostruosità illogiche del progetto; che è poi una delle tattiche persuasive utilizzate maggiormente da demagoghi e spin doctors. Lo stesso incedere paradossale, come si ricorderà, caratterizza la più celebre "Modesta proposta per evitare che i bambini degli irlandesi poveri siano di peso ai loro genitori e al paese e per renderli utili alla comunità" (1729). Anche qui Swift suggerisce, in tutta compunzione e con abbondanza di dettagli, un metodo infallibile affinché i connazionali poveri possano superare le loro difficoltà attraverso un gesto tanto semplice quanto meritorio, considerate le più alte ragioni nazionali: alienare i figli di un anno ai ricchi inglesi che se ne ciberanno in pranzetti raffinati e succulenti. Nutrito l'elenco di vantaggi che potrebbero trarsi da questa banale soluzione: riduzione della popolazione e, quindi, di bocche da sfamare; introiti sicuri per i poveri, che si risolleverebbero dalla loro condizione; riduzione del numero di potenziali mendicanti e ladri; riduzione del numero di potenziali storpi e infelici; riduzione degli aborti procurati e dell'infanticidio; incremento di matrimoni felici (perché i genitori presterebbero amorevoli cure al proprio bambino fino a un anno affinché la merce risulti di prima qualità); incremento della domanda di bambini da mangiare e quindi dei commerci; aumento della ricchezza nazionale e della circolazione del danaro liquido; aumento della motivazione a creare ricette squisite. In altre parole, un atto eminentemente criminale e nefando provocherebbe reazioni tali da superare in positività le ciniche negatività del suggerito cannibalismo. Come non averci pensato prima? [...] Con il quinto e il sesto scritto qui antologizzati, il turpiloquio appare in una luce diversa. E potrebbe sembrare strano che a interpretare questa nuova dimensione siano due autori così diversi come Jerry Rubin (1938-1994) e Victor Hugo (1802-1885). E, in effetti, che cosa possono avere in comune un leader della contestazione giovanile degli anni Sessanta e uno dei massimi scrittori francesi del XIX secolo? I due brani, per quanto enormemente distanti tra loro, permettono di rispondere agevolmente a questa domanda. Certo con Hugo, parliamo della battaglia di Waterloo; con Rubin della contestazione al potere americano. Non sappiamo se il generale Pierre Cambronne — eroe di Hugo — abbia pronunciato la parola di cui lo scrittore francese gli fa credito; sappiamo che Jerry Rubin scrisse davvero il brano che qui presentiamo. Fatto sta che in entrambi la parolaccia è intesa come strategia di contropotere, pratica disperata di difesa dei subordinati, messa in discussione della legittimazione di chi gestisce il potere e dei modi con cui lo gestisce. Le brutte parole sono adoperate come strumenti di protesta, tesi ad annullare l'avversario, a contestarne le pretese, a ridimensionarne le forme di dominio. Come dice lo storico Peter Burke, «ogni espressione deferente contribuisce (in piccola parte) a mantenere in vita una comunità di tipo gerarchico, proprio come ogni espressione irriguardosa contribuisce invece a indebolirla». Gli uomini sono sempre stati protetti dal libero flusso del turpiloquio attraverso meccanismi censori e sanzionatori. Il turpiloquio evoca anarchicamente ciò che è rimosso socialmente, che è protetto da tabù, misterioso, proibito, incompreso, sacro. E pretende cinicamente di svelarlo per quello che è: pura convenzione, se non arbitrio, che fa da cornice a precisi rapporti di potere. La sua aspirazione è di rovesciare questi rapporti di forza, modificarli in un senso o in un altro. Il linguaggio legittimo pretende di essere ascoltato, obbedito, interiorizzato, mai discusso; il turpiloquio si oppone a tale pretesa, non riconoscendole alcun credito e fornendo a chiunque, perfino al più meschino degli ignoranti, un'arma verbale potente e indomabile. Ai tempi di Hugo, la parola di Cambronne fece scandalo e lo stesso generale francese, che sopravvisse alla battaglia, dovette dedicare molte energie a dissuadere i suoi contemporanei dalla convinzione che avesse mai pronunciato la più nota parola escrementizia. Hugo, però, è abile nel rivelarne la sublime funzione protestataria, e non esita ad adoperare l'aggettivo 'immenso' per descrivere la disperata risposta scagliata contro i vittoriosi inglesi dal prostrato e sconosciuto soldato francese. In virtù di quella parola, secondo Hugo, Cambronne si trasformò da vinto in vincitore e diede voce in una sola volta alle angosce di tutti gli sconfitti. Il gesto verbale di Cambronne riscatta i diseredati e gli oppressi di tutto il mondo e di tutte le epoche in maniera semplice, ma efficace. Esso è l'epitome di ogni insofferenza nei confronti della società, dei potenti, dei rapporti tra le classi. O, banalmente, nei confronti di una battaglia che si sta per perdere.
Diverso il contesto in cui si colloca il brano di Jerry Rubin,
ricavato dal suo famoso pamphlet
Do it!
(1970). Negli Stati Uniti e nell'Europa del periodo sessantottino, sulla scia
dei movimenti di protesta politici e femministi, termini come
'porci' e 'bastardi' acquistarono un eccezionale vigore, entrando a far parte
ufficialmente del lessico contestatario e ribelle e
sdoganandosi da un'aura genericamente volgare. Parole come
fuck,
di cui Rubin tesse l'elogio, un tempo considerate talmente offensive da
provocare campagne di panico morale con
conseguenti geremiadi sulla fine dei tempi e la degradazione
dei costumi, diventarono appannaggio dei gruppi di contestazione, tramutandosi
in slogan rivoluzionari da scagliare
contro il nemico e ostentare con orgoglio. Per la facilità d'uso,
esse circolarono diffusamente, anticipando o alimentando
movimenti popolari di protesta e risultando sempre in prima
linea tra le armi verbali.
Herbert Marcuse
In quel clima, Rubin assegna alla parola fuck una energia che la emancipa dal morto linguaggio dei suoi tempi: solo il turpiloquio, di cui evidentemente fuck è l'incarnazione suprema, può farsi veicolo di nuovi significati, nuovi modi di vedere il mondo, proprio nel momento in cui il mondo è avvilito dalle turpitudini del linguaggio e del potere. Schierandosi a favore delle parole oscene, Rubin ne riconosce la valenza politica e disincantata. Sono armi linguistiche, le sole forse a disposizione del rivoluzionario per smontare gli incanti delle autorità, dei loro falsi valori, delle loro false guerre, dei loro falsi modelli. Non a caso lo scritto di Rubin si chiude con un profluvio torrenziale di fuck. Forse, è pura iperbole. Forse, nuova consapevolezza. Fatto sta che la lezione di Rubin è ancora oggi viva. Nella nostra epoca, la protesta ha cambiato segno rispetto agli anni Sessanta e Settanta: si è spostata sulla contestazione alla globalizzazione, alle multinazionali, alle forme più neoliberiste e precarie di lavoro. Gli slogan continuano, però, ad attingere al repertorio turpiloquiale, a volte in chiave emulativa rispetto ai precedenti degli anni Sessanta, altre volte in chiave originale e creativa. Così accanto a "Blockbastard" (per "Blockbuster"), "MacShit" o "McMerda" (per "MacDonalds") e "Slave labour" o "Shit work" — termini usati per condannare le multinazionali e le attuali forme del mercato del lavoro —, si ritrovano le più tradizionali "Capitalism fuck off"; "Comprate meno cazzate prendete più cazzi"; "È un mondo di merda"; "Fotti lo sbirro"; "Fuck G8"; "Fuck Bush"; "G8 stronzi in gabbia"; "No agli 8 grandi figli di puttana"; "Potere di merda = G8"; "Siete tutti masterizzatori di cazzate". Il turpiloquio non è cambiato molto. Ma neppure le forme di oppressione che avvolgono il nostro mondo. [...] Ciò che emerge dagli scritti qui presentati è un quadro più ricco e intellettualmente stimolante del turpiloquio. Lungi dall'essere una semplice sciagura da rimuovere a colpi di buona educazione e censure di vario tipo, compresi ceffoni e umiliazioni, le "brutte parole" assolvono una serie importante di funzioni sociali, molte delle quali positive, cioè socialmente approvate dalla società. Anche solo limitandoci agli esempi letterari riportati, è indiscutibile che tenere lontano il male, sotto forma demoniaca o altra, favorire la comunicazione tra gli individui, comprendere il funzionamento della società, reperire fondi per aumentare la prosperità pubblica, disporre di strumenti di reazione nei confronti del potere arbitrario, risanare la salute emotiva e veder svelati i misteri dell'esistenza o delle culture diverse dalla nostra siano fatti sulla cui bontà tutti converrebbero. Ed è per questo che Robert Graves credeva che dalla rimozione della bestemmia dalla lingua non sarebbe venuto niente di buono. Non a caso, in Lars Porsena, il poeta inglese individuava malinconicamente una serie di fattori che avrebbero presto condotto alla scomparsa delle imprecazioni. Tra questi, l'omogeneizzazione industriale, la riforma dell'istruzione, l'aumento del prezzo degli alcolici, il collasso delle credenze religiose, mal sostituite da credenze laiche (nazismo, comunismo ecc.) con il loro bagaglio di angeli e santi e le idee su inferno e paradiso, il freudismo, la diffusione delle credenze paranormali e superstiziose, le nuove malattie come il botulismo e l'encefalite letargica, il femminismo e addirittura il golf! Inutile dire che le profezie di Graves sono state clamorosamente smentite dalla realtà. Il turpiloquio è oggi più che mai vivo e vegeto. Ma forse lo stesso Graves non ne sarebbe rimasto tanto addolorato. Da buon poeta, sapeva che la lingua non evolve se ne mettiamo al bando delle parti e che ogni forma di censura comporta un arresto lungo la strada della conoscenza. E che perfino da ciò che consideriamo disordine o cattiveria può derivare ordine e bontà. | << | < | > | >> |Pagina 79CAPITOLO XIV - L'ULTIMO QUADRATO Diversi quadrati della guardia, immobili come rocce nell'acqua corrente nel turbinio della disfatta, resistettero fino a notte. La notte sopraggiunse, e anche la morte; essi attesero quella duplice ombra, e, invincibili, lasciarono che li circondasse. Ogni reggimento, isolato da tutti gli altri, e privo di ogni legame con l'esercito, ora devastato in ogni sua parte, moriva per conto suo. Avevano preso posizione per quest'azione finale, gli uni sulle alture di Rossomme, gli altri nella piana di Mont-Saint-Jean. Lì, abbandonati, distrutti, terribili, questi tenebrosi quadrati agonizzavano formidabili. Ulma, Wagram, Jena, Friedland, morivano in loro. Al crepuscolo, verso le nove di sera, in fondo all'altopiano di Mont-Saint-Jean, ne restava uno. In questo vallone funesto, ai piedi di quel declivio scalato dai corazzieri, ora inondato dalle masse inglesi, sotto i tiri convergenti dell'artiglieria nemica vittoriosa, sotto una tremenda grandinata di proiettili, questo quadrato continuava a combattere. Era comandato da un oscuro ufficiale di nome Cambronne. A ogni scarica, il quadrato si riduceva e rispondeva. Rispondeva alla mitraglia con la fucileria, accorciando continuamente i suoi quattro muri. Da lontano i fuggiaschi, fermandosi a tratti senza fiato, ascoltavano nelle tenebre quel tuono cupo che si andava smorzando. Quando questa legione fu ridotta a un manipolo, quando della loro bandiera non rimase che un cencio, quando i loro fucili, ormai esaurite le munizioni, non furono altro che bastoni, quando il mucchio di cadaveri superò in numero il gruppo dei sopravvissuti, si insinuò tra i vincitori, che circondavano quegli uomini che morivano in modo così sublime, una sorta di sacro terrore, e l'artiglieria inglese, riprendendo fiato, si azzittì. Vi fu una sorta di pausa. Questi combattenti avevano intorno come una moltitudine di spettri, sagome di uomini a cavallo, il nero profilo dei cannoni, il cielo bianco visibile tra le ruote e gli affusti; il teschio colossale, che gli eroi sempre vedono attraverso il fumo, nelle profondità della battaglia, avanzava su di loro e li scrutava. Tra le ombre del crepuscolo, essi udivano i cannoni che venivano ricaricati; le micce accese come occhi di tigri nella notte, formarono un cerchio intorno al loro capo; tutte le micce delle batterie inglesi si accostarono ai cannoni, e allora, commosso, tenendo l'attimo supremo sospeso su quegli uomini, un generale inglese, Colville secondo alcuni, Maitland secondo altri, gridò loro: «Arrendetevi, prodi francesi!». Cambronne rispose: «Merda». | << | < | > | >> |Pagina 97Una civiltà morente distrugge tutto ciò che tocca. Il linguaggio è una delle prime cose che muore. Nessuno più comunica veramente con le parole. Le parole hanno perso la loro forza emotiva, l'intimità, la capacità di indignare e creare amore.
Il linguaggio ostacola la comunicazione.
LE AUTOMOBILI AMANO SHELL Come posso dire: «Ti amo» dopo aver sentito:
«LE AUTOMOBILI AMANO SHELL».
Capite cosa
intendo dire?
La sopraffazione dei negri viene chiamata "legge e ordine". Il furto viene
chiamato "capitalismo".
UNA "RIVOLUZIONE" NELLA CARTA IGIENICA! UNA "RIVOLUZIONE" NELLA LOTTA CONTRO L'ALITO CATTIVO! UN "RIVOLUZIONARIO" FILM DI HOLLYWOOD!
Ma i capitalisti non hanno rispetto per niente?
C'è, però, una parola che L'Amerika non ha distrutto. Una parola che ha conservato la sua forza emotiva e la sua purezza.
L'Amerika non riesce a distruggerla perché non osa adoperarla.
È illegale!
È l'ultima parola rimasta nella lingua inglese:
FUCK!!!
In una luminosa giornata d'inverno a Berkeley, John Thomson scribacchiò "FUCK WAR" su un pezzo di cartone, si mise a sedere e fu arrestato nel giro di due minuti.
Altri due si sedettero accanto a cartelli che dicevano
"FUCK WAR". Anche loro vennero arrestati.
Era nato il Movimento per la Parola Oscena.
A scuola tutti si masturbano a parole. Il Movimento per la Libertà di Parola ha posto fine alla nostra verginità: abbiamo sfidato la società e i poliziotti sono venuti a prenderci al campus. Ma, appena se ne sono andati, tutti hanno ripreso a masturbarsi. Quando si è fatto sesso, masturbarsi è una palla. La frustrazione sessuale accumulata al campus ha spinto John a dar vita al Movimento per la Parola Oscena. «Nessuno si sarebbe eccitato se avessi avuto un cartello con su scritto 'Ammazzate i vietnamiti'», disse John.
Così disse "FUCK WAR" e quattro lettere possenti causarono il brusco arresto
della Grande Università.
Dappertutto i vecchi persero la testa. «Che cazzo significa questo Movimento per la Libertà di Parola?». Il fottuto Clark Kerr, il fottuto presidente della fottuta università, rassegnò le sue fottute dimissioni. Disse che era in gioco il fottuto futuro di tutta la fottuta università. Vaffanculo, è uno stronzo fottuto. Disse che se FUCK non fosse stato fottutamente allontanato dalle menti e dalle bocche dei fottuti studenti, le cose si sarebbero fottutamente incasinate.
Ma la maggior parte dei radicali si incavolarono e non
vollero difendere FUCK. Gli attivisti del Movimento per
la Libertà di Parola ostracizzarono i sostenitori di FUCK:
dissero che FUCK non era una cosa "seria"! Cominciarono improvvisamente a
considerare la parola pulita come un feticcio.
Le cose si misero sul serio fottutamente male. Come niente,
Clark Kerr fece marcia indietro e inculò i fottuti studenti.
Furono espulsi dall'università e sbattuti in galera. La cosa
non importava un cazzo alla maggior parte dei politicanti.
Il Movimento per la Libertà di Parola fu stuprato nello stesso letto in cui fu stuprato il Movimento per la Parola Oscena. Il movimento si divise in malo modo. Fu il primo annuncio della scissione tra i radicali e gli hippies/yippies. Come si può separare la politica dal sesso? È sempre la stessa cosa: Corpo Politico. REALTÀ POLITICO-SESSUALE: quando è nudo, il corpo umano è immorale per il cristianesimo e illegale per la legge amerikana. La nudità è definita "atti osceni". "Fuck" è una brutta parola perché per farlo devi essere nudo. E poi è divertente. Appena cominciamo a trastullarci con le nostre "parti intime", i genitori ci dicono: «Non si fa». La madre commette un reato contro il figlio quando gli dice: «Non si fa». Ci insegnano che la nostra merda puzza. Ci insegnano che dobbiamo aver vergogna di come siamo venuti al mondo: scopando. Ci insegnano che se ci piace scopare, dobbiamo sentirci in colpa. Ci insegnano: i piaceri del corpo sono immorali!
Quello che ci insegnano davvero è l'odio nei confronti
di noi stessi!
Il puritanesimo genera il Vietnam. L'incertezza sessuale genera quell'esperienza supermascolina che si chiama imperialismo. La politica estera amerikana, soprattutto in Vietnam, sarebbe incomprensibile se non fosse vista dal punto di vista sessuale. L'Amerika ha un pene frustrato, che tenta di infilarsi nella stretta fichetta del Vietnam per dimostrare a se stesso di essere Il Maschio. La rivoluzione dichiara guerra al Peccato Originale, alla dittatura dei genitori sui figli, alla moralità cristiana, al capitalismo e alle esperienze supermascoline. La strategia politica degli yippie è di allearsi con Billy Graham e continuare a considerare "fuck" una brutta parola! Al tempo stesso, noi yippies lottiamo per il diritto di dire "fuck" ogni volta che lo vogliamo. È una contraddizione, ma è in contraddizioni come questa che si vede il genio rivoluzionario.
La nostra tattica prevede di mandare negri e capelloni fetenti a invadere le
case dei bianchi di classe media, a scopare sul pavimento del salotto, a fare
casino sui lampadari, a schizzare sperma sulle immagini di Gesù, a fare a pezzi
la mobilia e sfasciare per sempre questa Amerika di scuole
domenicali, napalm e sangue.
Faremo tutto quello che è proibito. Scandalizzeremo l'Amerika fino a far schiattare la borghesia per un colpo apoplettico. Trasformeremo i college amerikani in colonie di nudisti. Troveremo nuovi modi di vivere insieme e allevare i nostri figli.
DIO È UN YIPPIE!
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