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| << | < | > | >> |Pagina 13«Mio marito è un uomo buono, un uomo gentile, un bravo papà. Tutti gli amici dei miei figli hanno sempre detto che avrebbero voluto poter avere un padre come Richard».
Barbara Kuklinski
«Richard sa essere al tempo stesso affascinante e spaventoso come il più terribile degli incubi. Rappresenta il peggio di noi, ciò malgrado stare ad ascoltarlo è tremendamente coinvolgente».
Sheila Nevis, produttrice della HBO
«Ha ucciso più di 200 persone, intendo uccise direttamente di sua mano. Si tratta di un mostro: un uomo che viveva per uccidere».
Dominick Polifrone, agente sotto copertura dell'AFT
«Non ho mai ucciso una donna o un bambino; non rientrava nella mia indole».
Richard Kuklinski
«Ha ucciso con armi da fuoco, veleno, spranghe, coltelli, per strangolamento, a botte, con punte di ghiaccio, cacciaviti, bombe a mano e persino col fuoco. Non si è mai visto un altro come lui. Direi di più: non si è mai neppure sentito parlare di un altro come lui».
Bob Carroll, sostituto procuratore generale
«Ancora oggi, a tanti anni di distanza, mi viene un groppo allo stomaco e mi tremano le mani quando penso a lui. Eppure non posso fare a meno di amare mio padre; lo amo tantissimo! Non aveva niente che non andasse... Credo che papà abbia sposato la donna sbagliata».
Merrick, primogenita di Richard
«Tutte le volte che mi diceva che mi amava, e lo faceva spesso, mi dicevo: "Anch'io... anch'io"».
Barbara Kuklinski
«Papà ci terrorizzava. Non sapevamo quando e se sarebbe esploso. Cercavamo di tenerlo lontano dal nostro fratellino più piccolo, perché lui istintivamente avrebbe cercato di proteggere noi e la mamma, e papà avrebbe potuto ucciderlo. Ne sono certa. Ricordo una volta in cui una donna in un'auto con a bordo dei bambini gli aveva fatto uno sgarbo guidando: al primo semaforo era sceso e le aveva sradicato la portiera dalla parte della guida».
Chris Kuklinski, secondogenita di Richard
«Pensavano che non capissi o che non mi accorgessi di come si comportava papà; ma vedevo i mobili spaccati e sapevo benissimo che era stato lui. Come potevo non scorgere gli occhi pesti della mamma, quando la picchiava? Sotto il materasso, per precauzione, tenevo un'accetta e sotto il letto un machete per la paura che avevo».
Dwayne Kuklinski, il figlio maschio di Richard
«Abile e astuto, proprio come un predatore della giungla che nessuno vede e quando ti accorgi di lui è ormai troppo tardi. Sapevano di lui, io sapevo di lui, lo abbiamo tenuto nel mirino per anni, ma non riuscivamo mai a pizzicarlo».
Agente Pat Kane della polizia di Stato del New Jersey
«Mia madre era un cancro: distruggeva lentamente tutto ciò che entrava in contatto con lei. Ha messo al mondo due killer: il sottoscritto e mio fratello Joseph».
Richard Kuklinski
«In pratica esistevano due Richard ed io, di giorno in giorno, non sapevo con chi avevo a che fare. Poteva essere il più generoso degli uomini, come il più spietato essere umano della Terra».
Barbara Kuklinski
«Lo avevamo battezzato "Uomo di Ghiaccio" perché a volte congelava le sue vittime; le conservava per qualche tempo all'interno di un freezer per poi farcele trovare, al solo fine di impedirci di scoprire quando l'omicidio si era consumato veramente».
Paul Smith, investigatore dell'Organized Crime and Racketeering Bureau dello
Stato del New Jersey
«A causa di mio padre sono diventata disponibile molto in fretta. La sola cosa che potevo controllare era il mio corpo. Facevo quel che mi pareva, anche quello che lui non voleva facessi. Ho perso la verginità a 12 anni, facendomi prendere da un uomo dentro un'auto. Uno sconosciuto che mi aveva caricato alla fermata del pullman».
Chris Kuklinski, secondogenita di Richard
«Dentro non provavo mai niente, per nessuno di loro. Arrivavano e io li uccidevo, basta. Le sole persone verso le quali ho provato un qualche sentimento sono quelle della mia famiglia. Per gli altri, zero assoluto. A volte mi domando come mai sono fatto così, come mai dentro non avverto nulla... mi piacerebbe che qualcuno sapesse dirmelo, sono davvero curioso».
Richard Kuklinski
«Credo che Richard sia assolutamente unico. Non c'è stato nessuno come lui in tempi recenti. Quello che mi intriga in lui è che non mente mai, e questo è un aspetto molto positivo. Quando qualcuno mi chiede se quando sono con lui ho paura, rispondo di no e gli chiedo perché dovrei averla. Resta di sale, una reazione anche comprensibile per chi ha assaggiato quel suo sguardo agghiacciante».
Gaby Monet, produttore della HBO
«Quello che i federali hanno fatto è pazzesco. Sapevano che Sammy Gravano aveva dato incarico a Richard di far fuori un poliziotto e non sono intervenuti, hanno lasciato libero Gravano!».
Sergente Robert Anzalotti, ufficio del procuratore di Bergen County
«Li ammazzavo per tenermi in esercizio». Richard Kuklinski | << | < | > | >> |Pagina 88Barbara Pedrici era una giovane, formosa ragazza italo-americana di 18 anni, i capelli neri, gli occhi azzurri, il naso aquilino. Scalza misurava 1 metro e 60 in altezza, e aveva un portamento fiero che disegnava attorno a lei un'aria di distacco e superiorità. Il padre si era trasferito nel New Jersey partendo da Venezia, mentre la famiglia della madre aveva origini napoletane. Barbara aveva appena conseguito la licenza liceale ed ancora non si era ben chiarita le idee su ciò che avrebbe fatto nell'immediato futuro. Le sarebbe piaciuto frequentare l'Accademia per intraprendere la carriera artistica, ma la madre glielo sconsigliava dicendole che sarebbe stato «uno spreco di tempo», spronandola invece a trovarsi un buon lavoro, un marito, metter su famiglia e fare dei figli. Era arrivata a prometterle una macchina in regalo se solo non si fosse iscritta all'Accademia d'arte. Barbara non l'aveva voluta. Il rapporto madre-figlia non funzionava benissimo. Barbara era figlia unica e i genitori si erano separati quando lei aveva solo 2 anni. L'avevano cresciuta nonna Carmela — la nonna materna — e la zia Sadie, sorella della mamma. Le due donne l'avevano viziata concedendole tutto ciò che voleva: bastava chiedere. E così la bambina era cresciuta con la convinzione che nella vita le sarebbe sempre stato dato tutto ciò che chiedeva. Non le veniva negato nulla. La sola cosa che doveva fare era chiedere e continuare a farlo finché non la spuntava. La madre, Genoveffa, era una donna algida ed austera, un pezzo di ghiaccio, come l'ha recentemente definita lei stessa. Non sorrideva quasi mai, né era solita mostrare dell'affetto. Lavorava duramente come cucitrice in uno stabilimento a North Bergen e sembrava non avesse mai il tempo per una parola di conforto per la sua bambina. Pareva, in realtà, che non avesse mai avuto il desiderio di avere dei figli, come se quell'unica figlia fosse stata un incidente di percorso. In compenso Barbara era molto affezionata alla nonna ed alla zia Sadie, la quale, poveretta, aveva gravi problemi di cuore, una condizione di salute che le impediva di lavorare. Per questo si era dedicata anima e corpo a lei, continuamente preoccupandosi che potesse avere tutto ciò che desiderava. Sia Carmela che Sadie erano premurosamente affettuose verso la bambina, compensando così il distacco gelido della madre. Barbara era socievole e aperta, con un sarcastico senso dello humor. Amava la musica, lo shopping e le piaceva andare al cinema con le amiche. Conduceva una vita riservata e non era mai andata fuori dal New Jersey (salvo per andare a trovare il padre in Florida); non conosceva assolutamente nulla del mondo, della realtà da cui proveniva invece Richard Kuklinski. Dando retta alle sollecitazioni della mamma, nell'autunno subito dopo il conseguimento del diploma, insieme all'amica del cuore Lucile, aveva fatto domanda di assunzione presso la Swiftline Trucking Company. Mentre stava aspettando l'amica nel corridoio, il titolare dell'azienda, certo Sol Goldfarb, l'aveva adocchiata e subito le era andato incontro. «Salve, non sai quanto assomigli a mia figlia», le aveva detto. «Davvero, sono contenta», aveva gentilmente risposto Barbara e chiacchierando era venuta a sapere che la figlia del padrone era sordomuta. «Sono molto spiacente», aveva commentato Barbara; intanto l'uomo l'aveva invitata nel suo ufficio. Goldfarb era un bell'uomo, alto ed affascinante, gli occhi scuri, sempre ben vestito. Era un gran lavoratore e gli affari premiavano la sua volontà perché si era fatto un mucchio di soldi. Era rimasto così attratto dalla formidabile somiglianza fisica di Barbara con sua figlia che, lì per lì, le aveva offerto un contratto di assunzione che lei aveva subito accettato. Anche se non aveva alcuna esperienza del lavoro d'ufficio e segreteria, Barbara era una ragazza sveglia che apprendeva velocemente, un buon quoziente intellettivo le permetteva di assimilare con facilità e di espletare i compiti da svolgere con bravura. Anche a scuola otteneva voti alti senza essere costretta ad impegnarsi troppo. Questo era stato il suo primo, autentico impiego. Le piaceva guadagnarsi lo stipendio, poter contare sui propri soldini, essere entrata nel mondo del lavoro, avere le responsabilità di un adulto, ma anche godere della conseguente indipendenza. Nel corridoio degli uffici della compagnia era installato un distributore d'acqua. Era stato qui che aveva incontrato Richard Leonard Kuklinski per la prima volta. Si erano reciprocamente salutati e scambiati un sorriso ed erano tornati al lavoro. Poi si erano incontrati di nuovo sulla banchina di carico e scarico delle merci, scambiandosi qualche battuta sul tempo. Il signor Goldfarb li aveva notati e la cosa non gli era piaciuta. Subito dopo aveva convocato Barbara e, quasi davvero fosse stato suo padre, l'aveva messa in guardia dal dare confidenza a quel ragazzo. Le aveva detto: «Senti, Barbara. Tu sei una bella ragazza, sei ingenua, innocente. Cerca di non aver nulla a che fare con quel tipo. È un poco di buono, oltretutto è sposato con figli». «Oh, non si preoccupi signor Goldfarb, ci siamo soltanto scambiati qualche battuta sul tempo e niente più». «Okay, meglio così; ricordati di stargli alla larga». «Certamente... naturalmente, okay», aveva risposto abbassando leggermente lo sguardo. Non aveva fatto alcun pensiero su Richard, né aveva intenzione di mettersi con lui e la cosa sarebbe morta lì, anche senza l'intervento preoccupato del signor Goldfarb. Il quale, non contento, aveva fermato Richard e gli aveva detto: «Kuklinski, vedi di smetterla, intesi?» «Scusi, signor Goldfarb, ma a che cosa si riferisce?» «Lo sai bene, mi riferisco a Barbara, stalle lontano». Quell'invito perentorio aveva preso Richard in contropiede, perché non aveva proprio pensato di fare la corte a quella ragazza. Non era il suo tipo. Non aveva mai conosciuto una ragazza come lei, una brava ragazza, cresciuta in una sana famiglia. Tuttavia, come sempre arrogante, aveva risposto per le rime: «Fino a prova contraria, siamo in un paese libero e democratico e la gente può ancora scambiare una parola con chi vuole». «Sicuramente, sappi comunque che se ti vedo ancora rivolgerle la parola, tu hai chiuso», gli aveva risposto Goldfarb. Quelle parole avevano avuto l'effetto di uno schiaffo in faccia. «Allora sa che le dico io? Vada a farsi fottere e questa merda di lavoro se la ficchi nel culo», aveva sibilato Richard a denti stretti, la bocca piegata a sinistra nella solita smorfia che aveva quando era incazzato. «Vattene, vattene via da questo posto», era scattato Goldfarb, alzandosi in piedi. Se solo avesse saputo che stava parlando con un pazzo psicopatico assassino, certamente non avrebbe usato quei modi e quel tono aggressivo. Richard ammazzava per molto, molto meno. «Mi deve ancora del salario», era stata la sua risposta. «Presentati qui più tardi e avrai quanto ti spetta, ma adesso sparisci». Dopo aver indugiato ancora qualche istante fissandolo con odio, Richard aveva promesso: «Ci vediamo domani», quindi se n'era andato. Il piano che gli frullava in mente era di far fuori il signor Goldfarb quella stessa notte. L'avrebbe pedinato e ucciso sull'uscio di casa. Con chi credeva di avere a che fare, quello stronzo? Nessuno si era mai rivolto a Richard Kuklinski in quel modo. Senza saperlo Goldfarb aveva firmato la propria condanna a morte con le sue stesse mani. Alle quattro in punto Richard era tornato all'azienda per riscuotere il denaro. Mentre stava aspettando, Barbara era uscita dal suo ufficio per andare a prendere una Coca al distributore di bibite. Richard l'aveva fermata per raccontarle che era stato minacciato: se solo l'avessero visto soffermarsi a parlare ancora con lei avrebbe perso il lavoro. «Che cosa?», si era stupita la ragazza, non intuendone il perché e addirittura non riuscendo neppure a capire una cosa simile. «Mi licenziano perché ho parlato con te», aveva ribadito Richard. Barbara c'era rimasta malissimo. Per colpa sua quel povero ragazzo se la stava vedendo brutta. «Mi dispiace», aveva detto. «Adesso vado dal padrone a chiedergli spiegazioni. Tu devi riavere il tuo lavoro, è uno scandalo». «Calma, calma... grazie lo stesso. Non mi importa, tanto non ho alcuna intenzione di restare a lavorare in questo posto». «Grazie al cielo, sto così male». «Non preoccuparti, non mi interessa davvero». «Mi ha detto che assomiglio a sua figlia e sono certa che si sia arrabbiato proprio per questo» «Che vada all'inferno, il porco», aveva esclamato Richard. «Che ne diresti, più tardi, di prendere un caffè insieme?», aveva proposto Barbara, pensando in qualche modo di potersi sdebitare: dopo tutto quel ragazzo aveva dovuto rinunciare al lavoro per colpa sua e lei se ne sentiva colpevole. «Come no, certo, ne sono felice». «Torna alle cinque, ci vediamo qui di fronte, okay?» «Perfetto», aveva sussurrato, felice che Barbara glielo avesse chiesto. Aveva ritirato l'assegno delle sue pendenze ed era andato via. Se solo Barbara avesse saputo chi era veramente Richard — un lupo feroce e assatanato che si muoveva in un gregge di pecore —, certamente non lo avrebbe incoraggiato e non avrebbe accettato di avere a che fare con lui. Come promesso, finito di lavorare si era data una spazzolata ai capelli, ritoccato il trucco ed era uscita. Davanti all'ingresso della Swiftline Trucking Company c'era Richard, che la stava aspettando. «Stavo per compiere il peggiore errore della mia vita. Se invece di andare all'appuntamento fossi corsa via per le colline... ed invece mi sono presentata candida come un agnellino destinato al sacrificio». Richard era alto e decisamente attraente, timido e rispettoso, tuttavia non era il tipo che faceva per Barbara e, per di più, troppo vecchio per lei. Quel giorno, dunque, avevano preso un caffè insieme, poi avevano fatto una bella passeggiata. Le aveva aperto la porta della macchina e si era comportato da vero gentiluomo, fin troppo gentile, un ragazzo veramente ben educato. Per quanto favorevolmente impressionata, Barbara pensava, sbagliando, che avrebbe potuto tenere la situazione sotto controllo e non si era preoccupata più di tanto. Le piacevano gli uomini decisi e al tempo stesso teneri e dolci. Dopo il caffè, Richard aveva voluto a tutti i costi accompagnarla a casa. Qui le aveva chiesto se le faceva piacere andare al cinema con lui e che avrebbe chiesto lui stesso il permesso a sua madre e alla nonna. Alla porta si era presentata la zia Sadie, che viveva accanto assieme al marito Harry. «Ma certo, andate pure», aveva concesso, dopo aver scrutato quel giovane così a modo apparso come all'improvviso alla guida di una macchina scattante. Peccato che si trattasse di un'auto che arrivava, dritta dritta, dall'inferno e che al volante ci fosse il diavolo in persona. | << | < | > | >> |Pagina 165Nel mondo criminale la voce che Richard aveva incominciato a lavorare come killer su commissione si era diffusa velocemente. Si sapeva che era disponibile e soprattutto affidabile. Il fatto di non essere italiano alla fine gli tornava utile, perché gli consentiva di poter prestare indifferentemente il suo lavoro a tutte e sette le grandi famiglie mafiose della East Coast: i Ponti e i De Cavalcante nel New Jersey; i Gambino, Lucchese, Colombo, Genovese e Bonanno a New York. Il tutto senza creare problemi e senza essere costretto a doversi giustificare con questo o con quello. Per siglare un accordo non doveva chiedere il permesso a nessuno. Era un libero professionista, un free lance del crimine. In breve aveva incominciato a ricevere proposte dai vari capitani affiliati alle diverse cosche mafiose.Richard assolveva agli impegni con una cura meticolosa, con pazienza e astuzia, mai in fretta. Non annunciava a nessuno come avrebbe agito, quando o dove; il lavoro era suo e lo gestiva da solo come gli pareva più opportuno. Non entrava mai in contatto con il clan mafioso, colpiva e tornava a casa, dalla sua famiglia. Barbara non aveva la minima idea di che cosa facesse quando usciva di casa, né aveva alcuna intenzione di fare domande, per non suscitare l'ira di quel marito lunatico e violento. In altre parole, aveva imparato a convivere con lui, ad accettarlo per com'era, tollerando in modo stoico i suoi sbalzi d'umore, il suo carattere impossibile, persino le sue violenze. In realtà, a ben valutare, non aveva altra scelta. A patto che non andassero di mezzo i figli, era pronta ad accollarsi su di sé tutte le brutalità di Richard. Era più che evidente come il marito avesse preso in antipatia il piccolo maschietto, Dwayne. Con lui non era mai tanto affettuoso come lo era con Merrick e Chris e questo preoccupava moltissimo Barbara. Si rendeva perfettamente conto che in un raptus di rabbia avrebbe potuto picchiarlo e, magari, ucciderlo... spezzandogli il collo, come dire, inavvertitamente, senza volerlo. Per Richard intanto fare il killer a contratto stava diventando una specie di gioco fra la vita e la morte, il gatto col topo, una letale partita a scacchi che doveva sempre, assolutamente vincere. Sapeva che se solo l'avessero sospettato e preso avrebbe perso tutto, in primis la famiglia, la sola cosa al mondo per la quale poteva preoccuparsi. Tuttavia aveva continuato imperterrito a prendere nuovi incarichi, portandoli sempre a buon fine. Sapeva avvicinare chiunque e farlo fuori con naturalezza. Fantasticava che se avesse agito così – con attenzione, metodo e silenzio – ancora per qualche tempo avrebbe potuto mettere da parte dei bei soldi, ritirarsi e comprare la casetta dei suoi sogni in riva al mare, dove vivere serenamente con tutta la sua famiglia, alla quale non doveva mai fare mancare nulla. Naturalmente, le cose non sarebbero poi andate così. Grazie al nuovo amico, partner e socio nel crimine, Roy DeMeo, Richard aveva a disposizione ogni genere di arma: pistole, fucili automatici Magnum calibro 22; armi che lui stesso faceva mozzare e modificare, creando degli strumenti ideali e perfetti per ammazzare esseri umani a distanza ravvicinata. Roy disponeva di una quantità impressionante di armi, regolarmente sottratte ai carichi in transito al Kennedy Airport, guarda caso molto vicino al bar Gemini, il quartier generale delle sue operazioni. Nella "macelleria" si poteva trovare di tutto. C'erano volte in cui Roy si godeva tutte quelle armi, le tastava, le accarezzava come stesse toccando voluttuosamente il seno di una bella donna, come se fossero dei caldi e affettuosi orsetti di peluche e non dei terribili, spietati arnesi di morte. Una pistola nelle mani di DeMeo non poteva che portare ad una sola conclusione: la morte. Un giorno in cui Richard era andato al Gemini per consegnare un bel pacco di dollari a DeMeo, frutto delle vendite dei film porno, lo aveva trovato tutto un sorriso e felicissimo di incontrarlo. Presente, come al solito, il gruppo dei suoi killer: Anthony e Joey, Chris e Freddie DiNome e Dracula, il cugino di Roy. Stavano tutti seduti a tavola alle prese con piatti di bistecche e pomodori, ben innaffiati da un generoso vino casereccio. Disposti accanto, alcune sacche e una pesante borsa. Pur non gradendo la compagnia di quelle persone, Richard si era lo stesso aggregato alla comitiva, scherzando e ridendo, pure lui godendo dell'ottima cucina. Roy mangiava a quattro palmenti, parlando a voce alta, la bocca piena (per intendersi, un perfetto cafone). Alla fine del pranzo, l'umore di DeMeo era mutato all'istante – in questo era persino capace di superare lo stesso Richard – e, con fare quasi minaccioso, aveva tirato fuori una mitraglietta Uzi, munita di un lungo silenziatore, spaventoso a vedersi, un'arma capace di scaricare qualcosa come una quindicina di pallottole del tipo parabellum al secondo. «Un'arma davvero speciale», aveva commentato puntandola, dritta dritta, verso Richard, e agendo sul grilletto, bloccato dalla sicura, a fingere una sparatoria: click, click. D'istinto, tutti coloro che erano seduti attorno al tavolo erano sobbalzati, in evidente tensione, smettendo all'istante di ridere e scherzare. In quel battito di ciglia, Richard si era reso conto come il suo petto avrebbe potuto essere squarciato da una gragnola di colpi. Aveva guardato Roy con aria interrogativa. «Perché, ti rivolgi a me, Roy? Si può sapere che ti prende?», lo aveva sollecitato. «Così... mi è giunta voce che saresti in collera con me». «Storie, non c'è niente di vero. Non ho proprio niente da rimproverarti. E poi, lo sai, te l'avrei detto in faccia. Se mi dici chi è quel figlio di puttana che mette in giro queste voci te ne sono grato, così mi faccio raccontare direttamente da lui queste coglionate. È tutto falso», aveva reagito Richard, incominciando a scaldarsi. Continuando a puntare la mitraglietta contro di lui, Roy aveva assunto un'aria dura e di sfida, mentre lo squadrava con quei suoi occhi scuri da squalo feroce. Anche Richard dava mostra di apparire sicuro, pur se dentro era divorato dall'incertezza. Sapeva che Roy era uno psicopatico pronto ad uccidere per niente; un piccolo gesto e, scattata la sicura, l'avrebbe ammazzato. Ed in effetti, a ben osservare, in quel momento il dito del boss stava proprio agendo sulla sicura. Tutto di colpo nella stanza – la "macelleria" – era sceso un silenzio di piombo, pesantissimo. A Richard era immediatamente venuta alla memoria l'immagine di quello sconosciuto che aveva trovato sgozzato nel bagno. «Sei davvero un grande», aveva alla fine gridato Roy, deponendo l'arma. «Lasciamelo dire: hai due palle formidabili, amico», si era messo a sghignazzare con quella sua risata da iena; di scatto tutti erano tornati al tavolo. Un momento, passato con la stessa rapidità con la quale era arrivato. DeMeo aveva quindi riposto la mitraglietta come se nulla fosse accaduto. Poi lui e Richard erano usciti. DeMeo gli aveva manifestato il suo dispiacere. Richard lo aveva rassicurato in merito alla sua fedele amicizia. Si erano abbracciati e Richard era tornato, con una certa fretta, a casa, nel New Jersey. Mentre rientrava, malediceva quel bastardo di DeMeo, che per ben due volte già lo aveva minacciato con un'arma, per due volte lo aveva umiliato, messo in difficoltà davanti a tutti. Per tutto il tempo del ritorno a Dumont aveva fantasticato di ucciderlo, per consumare una giusta vendetta. Arrivato a casa, Barbara aveva intuito al volo che il marito era di pessimo umore e aveva raccomandato ai figli di lasciare stare in pace papà, assicurandosi, prima di ogni cosa, che il piccolo Dwayne fosse chiuso a chiave nella sua stanzetta. Cercava in tutti i modi di non innescare la sua gelosia, anche se dentro di lei presagiva che prima o poi Richard avrebbe fatto del male al bambino. Temeva che, per qualche causa esterna, per qualche malumore, il marito potesse scoppiare da un momento all'altro in una delle sue tipiche scenate, arrivando a fare del male a Dwayne, vittima innocente. «Prova anche solo a sfiorarlo col dito e sei un uomo morto», aveva detto a Richard più e più volte.
Se solo avesse saputo a chi stava rivolgendo quelle minacce, non solo le
avrebbe evitate ma, fatti su i bagagli e presi i ragazzi, sarebbe scappata via di
corsa. Non solo era all'oscuro di tutto, ma neppure sapeva dove potersi
eventualmente rifugiare: lui l'avrebbe ritrovata ben presto, non se la sarebbe
lasciata scappare. Barbara temeva così tanto per l'incolumità di Dwayne che
aveva cominciato a lasciarlo ogni fine settimana dalla nonna, per tenerlo
lontano dalle violenze del padre.
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