Copertina
Autore Massimo Carlotto
CoautoreMarco Videtta
Titolo Le Vendicatrici - Ksenia
EdizioneEinaudi, Torino, 2013, Stile Libero Big , pag. 320, cop.fle., dim. 13,8x21,6x2 cm , Isbn 978-88-06-21269-8
LettoreElisabetta Cavalli, 2013
Classe narrativa italiana
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Pagina 3

Uno


Si sfilò la scarpa, chiuse gli occhi e fece scorrere la punta del piede sul parquet per saggiarne l'elasticità. Un gesto aggraziato che aveva ripetuto mille volte in allenamento e prima delle gare.

Suo nonno le aveva insegnato che quello era l'unico modo per capire se il legno era di qualità. Soddisfatta, si liberò anche dell'altra scarpa. Fletté le gambe, appoggiò le mani a terra e rotolò su sé stessa per ritrovarsi in piedi, schiena arcuata e braccia tese all'indietro. Un'uscita perfetta, da punteggio massimo. La «ribaltata» le riusciva ancora bene.

Si tolse il soprabito che Lello le aveva comprato in un bel negozio di un aeroporto dove avevano fatto scalo, lo distese con cura sopra una sedia e riprese a visitare l'appartamento. I pensieri si affastellavano confusi e veloci. Nessuna casa in cui aveva abitato era paragonabile a quell'appartamento cosí grande, ricco ed elegante. Stentava a credere che proprio lei avrebbe goduto di quel privilegio. Da quando aveva deciso di accettare la proposta aveva sperato che la sistemazione fosse accogliente, ma ora si rendeva conto che il destino era stato particolarmente benevolo concedendole di entrare a far parte di una famiglia antica e autorevole. I mobili, i tappeti, le librerie traboccanti di volumi, i quadri alle pareti, le fotografie racchiuse in cornici d'argento e disposte con studiata casualità sul coperchio del pianoforte a coda: ogni minimo dettaglio suggeriva la confortevole concretezza della borghesia, di cui lei aveva solo una vaga percezione letteraria.

Non osò oltrepassare la soglia della camera dove avrebbe dormito. Con lui. Un'occhiata fuggevole al grande letto dalle linee robuste e antiquate. Per un attimo rifletté sul fatto che doveva essere molto attaccato alle tradizioni e al passato. Non vi era nulla di moderno. Un vezzo, probabilmente. Si augurò che non fosse poi cosí rigido e che avesse considerazione dei suoi vent'anni e della lunga lista di oggetti che considerava irrinunciabili per sancire il passaggio a quella nuova fase della sua esistenza, che lei aveva iniziato a chiamare «felicità», una parola che ricorreva spesso nel romanzo che Lello le aveva regalato per continuare a familiarizzare con la lingua, dopo le lezioni offerte dall'agenzia matrimoniale. Si intitolava Un uomo da sposare. Era la storia di un uomo che con il suo amore aveva trasformato una donna in una regina e l'aveva resa felice. Come stava per accadere a lei.

Rimase stupita quando apri ante di armadi e cassetti di mobili strapieni di biancheria e indumenti mai indossati, ancora conservati nella loro confezione. Molti erano da vecchia e lei non era certa di volerli indossare. Sperò con tutto il cuore che non si trattasse di un modo indiretto di imporle i propri gusti.

Anche la cucina riservò non poche sorprese. Non solo era piú grande degli appartamenti dove aveva vissuto, ma vi era cibo ovunque. Nei due enormi frigoriferi, nelle dispense. Fresco, surgelato, inscatolato, insaccato. E pentole, vasellame e attrezzi di cui non aveva mai nemmeno sospettato l'esistenza. A differenza del resto delle stanze, li regnava un certo disordine. Non sapendo cosa pensare decise di illudersi che si trattasse di un altro vezzo. Aveva letto di famiglie altolocate abituate a banchetti eleganti, con molti invitati.

Sentí odore di fumo. Si girò. Lello Pittalis era appoggiato allo stipite della porta. Le rivolse un sorriso gentile e aspirò un'altra boccata.

- Allora, hai fatto bene ad ascoltarmi o no? - disse.

Lei annui. - Non ho visto foto di Antonino. In verità non ce n'è una sola scattata di recente. Come se in questa casa tutto si fosse fermato a un certo punto, non so se capisci.

- Perfettamente, - rispose l'uomo. Si lisciò con una mano i capelli lunghi e ben pettinati, cosa che faceva quando voleva catturare l'attenzione prima di dire qualcosa di importante.

- Antonino è una persona seria, per niente vanitosa. Questo non significa che non abbia una personalità forte, anzi. Scoprirai che è un uomo importante.

- Ma quando arriva?

- Sarà qui a momenti.

Eccitata e inquieta, usci dalla cucina accennando qualche passo di danza.

- Beati i tuoi vent'anni, - ridacchiò l'uomo ad alta voce.

La ragazza si avvicinò a una grande finestra, attirata dal rumore della pioggia che batteva sul vetro. Dal cielo alla strada, lo sguardo vagò alla ricerca di risposte. Indugiò tra le alte finestre dei palazzi, sulle imposte marroni, gli eleganti decori di travertino e infine sulle insegne al neon dei negozi. Un bar, un'edicola, una farmacia, una profumeria. Allungò il collo per osservare i passanti che si affrettavano sotto la pioggia battente e fu in quel momento che udí la porta aprirsi con un rumore imperioso. Tenne a bada l'impulso di voltarsi e rimase a fissare la strada senza riuscire a mettere a fuoco un solo dettaglio. Contò fino a cinque, deglutí e si girò.

Non era lui. Sospirò di sollievo. Non si sentiva ancora pronta. Un sessantenne tozzo e bolso, con una calvizie incipiente, la osservava curioso tenendo la testa leggermente piegata. Mentre si sfilava il giaccone bagnato, i suoi occhi scuri come sassi di torrente e infossati in borse di grasso indugiarono sul suo corpo. Le ricordò uno di quei mercanti di cavalli che da piccola aveva visto a Novosibirsk. La ragazza spalancò la bocca per la sorpresa quando vide Lello precipitarsi ad abbracciarlo.

- Antonino bello! - disse con trasporto.

- E questa? - tagliò corto il nuovo venuto, sciogliendosi dall'abbraccio.

Pittalis distese il braccio con la solennità di un vecchio attore.

- Ti presento Ksenia Semënova, la tua sposa siberiana. Non è dolcissima?

«Sposa» era una parola che Ksenia conosceva perfettamente. Sperò di aver capito male.

- Lello, chi è questo signore?

Di nuovo Pittalis si toccò i capelli. - È Antonino. L'uomo che sposerai.

A Ksenia non sfuggi la soddisfatta perfidia con cui Lello aveva chiarito la situazione. Quel porco che la spogliava con gli occhi non era il quarantenne dai tratti delicati che le aveva mostrato in fotografia. Era stata ingannata.

La ragazza cercò di restare calma. - Sei una carogna. Restituiscimi il passaporto e in qualche modo mi arrangerò. D'accordo?

Il sorriso luminoso che l'aveva fregata si spense a comando. Le labbra divennero una fessura da cui usci un sibilo minaccioso: - No. Tu adesso farai la conoscenza di Antonino e domani mattina passerò a ridiscutere la faccenda. Non ti permetterò di buttare via la tua vita per uno stupido capriccio.

Ksenia spalancò le braccia esterrefatta. - Ma cosa stai dicendo? Quest'uomo potrebbe essere mio nonno. Mi fa schifo!

- Ricordati il buco da cui ti ho tirata fuori, - sibilò Pittalis indispettito. - Sorridi e mostrati riconoscente, piccola ingrata.

Ksenia cercò invano le parole giuste per uscire da quella situazione mentre Lello si infilava l'impermeabile, parlottando fitto con il padrone di casa.

- Non andare via, - implorò disperata.

- Vedrai che starai benissimo, - ribatté Lello.

Ksenia e Antonino si fissarono in silenzio attendendo il rumore della porta che li avrebbe lasciati soli.

- Tu lo devi capire Antonino Barone, - disse con trasporto il promesso sposo.

- Voglio andare in albergo. Puoi prestarmi dei soldi? - farfugliò Ksenia.

Due mani grandi come badili ma molli e umide come spugne si impadronirono delle sue tette. - A' cosetta, famo a capisse.

Ksenia strillò e si ritrovò distesa su un tappeto antico, schiacciata dal peso dell'uomo. Gridò riuscendo solo a farlo ridere. Lui le leccò le labbra e gli occhi. Le infilò la lingua in un orecchio. Lei si oppose, poi rimase immobile, in una resa passiva. Tastandole il corpo con la cupida goffaggine di un adolescente, l'uomo iniziò un lungo sproloquio in romanesco stretto, di cui la siberiana afferrò un'unica frase che le penetrò nel cervello: - Lo devi capire Antonino Barone, lo devi capire.

Ksenia chiuse gli occhi, rassegnata al peggio. Ma dopo pochi istanti Antonino la lasciò libera, alzandosi di scatto come se il telefono stesse squillando. La ragazza rimase distesa cercando di pulire con la manica della camicia le scie di saliva sulla faccia e sui seni.

Qualcosa aveva intuito di quell'uomo: sotto il suo peso non aveva avvertito la minaccia di un'erezione. E nessun telefono stava suonando. Antonino era fuggito. La ragazza sospirò. Forse si sarebbe salvata. Dopo un paio di minuti Barone si ripresentò, ben pettinato e profumato.

- Annamo, va', - le disse, accennando al suo soprabito. La trascinò senza complimenti in strada. La pioggia era diventata un diluvio, l'acqua strabordava dalle buche nell'asfalto. Barone fece cenno a un taxi già in attesa.

«Ora mi manda via e sono salva», pensò Ksenia. Invece sali anche lui e bofonchiò un indirizzo. Il traffico era lento ma l'auto avanzava inesorabile. Antonino guardava dritto davanti a sé. Il rumore dei tergicristalli cadenzava il trascorrere dei minuti. La ragazza, il volto rigato dalle lacrime, scambiava occhiate col conducente attraverso lo specchietto retrovisore. Era giovane e sembrava avere soggezione di Barone. Si capiva che lo conosceva e che inspiegabilmente lo rispettava. Per i primi metri Ksenia si era abbandonata alla fantasia che il giovane la liberasse buttando fuori dalla vettura quello schifoso ammasso di lardo e la portasse via, lontano da quell'incubo. Invece il tassista smise di cercarla con lo sguardo e si limitò a destreggiarsi nel traffico, ignorandola per il resto del tragitto. Proprio come aveva fatto Lello Pittalis.

La corsa fini davanti a un elegante palazzo scurito dalla pioggia. Non era cosí che Ksenia aveva immaginato Roma. Credeva ci fosse sempre il sole, una luce accecante e tramonti violenti.

- Scendi! - ordinò Barone.

Un ultimo scambio di occhiate col tassista, che non si fece pagare. Ksenia scosse la testa e apri la portiera, combattuta fra l'istinto di mettersi a correre e quello di arrendersi in attesa di un momento piú propizio. Richiuse e guardò la vettura che si allontanava. Sentiva la pioggia accanirsi sulla testa e sul viso.

- E sbrighete! - urlò Barone facendole segno di raggiungerlo all'asciutto di un portone. Le sarebbe bastato far scattare i muscoli delle gambe torniti da ore e ore di allenamento, cominciare a correre e non fermarsi piú. Ma poi? Priva di passaporto, senza un centesimo in tasca, non sarebbe andata lontano. Doveva stringere i denti e convincere Lello Pittalis a rimandarla in Siberia. D'altro canto non era nemmeno questo che voleva. Tornare a casa avrebbe significato smettere di sperare. Improvvisamente si senti stanca. Avrebbe voluto distendersi sul marciapiede e addormentarsi sotto la pioggia.

La presa ferrea di Antonino la scosse da quell'attimo di indolente abbandono. Venne trascinata all'interno di un palazzo elegante, da veri signori, che le ricordò chissà perché la metropolitana di Mosca dove era stata con la squadra di ginnastica. L'ascensore aveva persino una panchina foderata di velluto rosso. Durante il tragitto, una piccola pozza d'acqua le si formò intorno ai piedi.

Si accorse che Antonino aveva cambiato atteggiamento. Ora appariva meno sicuro di sé. Spostava il peso del corpo da un piede all'altro, e a mano a mano che si avvicinavano alla meta un rossore diffuso si spargeva a chiazze sulle guance cascanti. Le mani giocavano irrequiete con una lunga chiave d'acciaio. Quando Barone si sbottonò il giaccone gocciolante, lo sguardo di Ksenia si posò sulla patta dei pantaloni gonfiata da un'evidente erezione. La ragazza si senti percorsa da un brivido. Cosa lo stava eccitando? Perché la fissava con quegli occhi porcini che sembravano rovistarla dentro?

La voce di lui la punse come uno spillo: - Tu lo devi capire Antonino Barone. Lo devi capire.

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