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| << | < | > | >> |Indice1. FOUCAULT: SAPERE, POTERE 13 2. AGAMBEN: DISPOSITIVO ONTOLOGICO 23 3. DELEUZE: L'INCRINATURA 35 4. FOUCAULT/DELEUZE: TECNOLOGIE DEL SÉ, LINEE DI FUGA 41 5. DISPOSITIVO ESTETICO? 51 6. LYOTARD: DISPOSITIVI PULSIONALI 57 7. LACAN: IL GADGET O IL DISPOSITIVO DI GODIMENTO 63 RIFERIMENTI 75 |
| << | < | > | >> |Pagina 13Per cercare di capire come la nozione di dispositivo sia usata nel pensiero filosofico contemporaneo faccio riferimento inannzitutto a tre fonti, una "primaria", le altre due, di non minore importanza, che derivano da questa: si tratta di alcuni luoghi dell'opera di Michel Foucault e di due elaborazioni rispettivamente di Gilles Deleuze (1989 e passim) e Giorgio Agamben (2006, 2014 e passim). Il significato di una parola è il suo uso, affermava Wittgenstein, e pare questo il caso. Agamben (2006, pp.5-6) osserva ad esempio che Platone "non ha mai definito il più importante dei suoi termini: idea", mentre altri come Spinoza e Leibniz "preferiscono definire more geometrico la loro terminologia". A essi aggiungerei Aristotele che dedica l'intero libro V della Metafisica alle definizioni o "significati" dei suoi termini, e in tempi moderni Kant. Quanto a Foucault, secondo Agamben sembra appartenere alla prima schiera. Usa il termine, lo inventa, per così dire, nell'uso, anche se in un'intervista del 1977 "si avvicina a qualcosa come una definizione" (Agamben, ivi, p. 6) Questo modo di procedere è importante perché apre, come vedremo, ad altri usi e ci suggerisce anche una domanda: vedere, cercare, come si possa usare o reinventare questa nozione in atri ambiti di pensiero: antropologia, psicoanalisi, estetica, economia. Dovremo però convocare altri nomi propri, come cercherò di mostrare.
Dunque una fonte primaria. o almeno un uso inaugurale in tempi recenti – e
due elaborazioni successive che allargano il campo semantico e concettuale
restando entro il campo aperto da Foucault, e estendono la portata innovativa
dell'uso del termine.
Torneremo su Deleuze e Agamben. Ora, per cominciare, di Foucault scelgo due passi, il primo forse un po' trascurato. Nel finale di Le parole e la cose (1966, tr. it. pp. 413-414). Foucault sta concludendo la sua riflessione e l'ultimo paragrafo comincia così: "Una cosa comunque è certa: l'uomo non è il problema più vecchio o più costante postosi al sapere umano. Prendendo una cronologia relativamente breve e una circoscrizione geografica ristretta — la cultura europea dal XVI secolo in poi — possiamo essere certi che l'uomo vi costituisce un'invenzione recente". E nella pagina successiva ribadisce:
"L'uomo è un'invenzione di cui l'archeologia del nostro pensiero mostra
agevolmente la data recente.
E forse la fine prossima"
(corsivi miei).
L'uomo-come-soggetto fa problema, per il sapere, in tempi recenti. L'uomo è un'invenzione che deriva – ecco il termine chiave – da un cambiamento prodotto "nelle disposizioni fondamentali del sapere" (ivi). Foucault prosegue con la maestosa conclusione: Se tali disposizioni dovessero sparire come sono apparse (...) come al volgersi del XVIII secolo accadde per il suolo del pensiero classico, possiamo senz'altro scommettere che l'uomo sarebbe cancellato, come sull'orlo del mare un volto di sabbia (ivi, p. 414, corsivo mio). Chiusa maestosa, dicevo, nello stile dei grandi scrittori francesi – da Montaigne a Lévi-Strauss: pensiamo per esempio al finale di Tristi Tropici (tr. it. p. 454): Il mondo è cominciato senza l'uomo e finirà senza di lui. Le istituzioni, gli usi e i costumi che per tutta la vita ho catalogato e cercato di comprendere sono una fioritura passeggera d'una creazione in rapporto alla quale essi non hanno alcun senso, se non forse quello di permettere all'umanità di sostenervi il suo ruolo. Un'enfasi ripresa del resto quasi alla lettera anni dopo, nella chiusa de L'uomo nudo, perfettamente contemporaneo a Le parole e le cose (1967-1970, tr. it. p. 656) con cui probabilmente risuona: "egli" (l'uomo) "non era presente sulla terra un tempo e (...) non lo sarà sempre"... Certo l'uomo di Lévi-Strauss non coincide perfettamente con l'uomo oggetto delle scienze dell'uomo di Foucault, eppure i due percorsi sono accomunati proprio da una dimensione critica. In entrambi i casi, l'uomo è l'entità che fa problema - un problema transdisciplinare - in quest'epoca e in questo pensiero.
L'uomo – riprendiamo Foucault – è l'effetto di "disposizioni". Prima
conclusione essenziale: l'uomo non è il
principio
trascendentale, ma un
prodotto
storico. Non sta all'inizio, ma alla fine di un processo. Il soggetto moderno è
l'entità cui si riferiscono come un universale le
"scienze umane". A loro volta, essa nascono da quella
"disposizione" storica che produce l'entità-uomo. La
disposizione
sembra essere una configurazione specifica
(apriori storico, è l'espressione poi utilizzata da F.) che
genera questa entità, e il cui carattere, storico appunto,
è stato dimenticato dalle scienze umane stesse. C'è una
successione identificabile di "disposizioni" del sapere
che producono o rendono visibili delle entità. L'"uomo"
è una di queste.
Disposizione è la prima versione di dispositivo? Forse è meglio dire: la parola dispositivo non c'è ma c'è il pensiero che la renderà possibile: disposizione, configurazione o quadro o "suolo" (dei saperi) scrive Foucault. Tutto il ragionamento si capisce alla luce della domanda che Foucault, dopo aver letto Nietzsche ("Nietzsche, la genealogia, la storia", 1971) formulerà così: non bisogna chiedersi (domanda metafisica) "che cos'è l'essenza di X" ma (domanda genealogica): come è potuto accadere che, in certo punto della storia. l'oggetto epistemico chiamato soggetto sia apparso all'orizzonte del sapere. Quali sono le disposizioni (gli apriori storici, le formazioni: termini che si ritrovano in Foucault più avanti) che lo hanno prodotto o reso possibile. Sappiamo che la prima fase della ricerca di Foucault, che ha come tema il sapere, si conclude con quella specie di Discorso sul metodo ex post che si chiama Archeologia del sapere (1969). Ipotesi: nel passo de Le parole e le cose abbiamo forse il germe concettuale o almeno uno dei germi dell'uso successivo della parola dispositivo – che nella fattispecie si riferirà al rapporto tra sapere e potere (alla svolta degli anni Settanta). | << | < | > | >> |Pagina 44Cerchiamo ora di trarre qualche conclusione da questa linea di pensiero. Ciò che ci interessa sono le ramificazioni, le risonanze che la nozione rende possibili, le sue possibilità di transitare da una disciplina all'altra. Abbiamo brevemente esaminato una sorta di storia degli usi in cui gli "interpreti" non sono preoccupati dal piano della fedeltà - che cosa ha veramente detto o scritto Foucault - ma da un piano ben più intenso: che cosa una parola, un concetto, una nozione nata in un punto preciso di una ricerca, può produrre altrove.
Ma prima proverò a comporre una sorta di sinossi o di
tavola delle risonanze e dei transiti fra i tre autori, a comparare
schematicamente le tre versioni cercando di individuarne i punti di somiglianza
e le differenze. Confrontiamo prima di tutto sommariamente le rispettive
varianti del lessico che abbiamo trovato:
Ora possiamo confrontare le tre versioni cercando, date queste rispettive descrizioni, il RUOLO o lo SCOPO del dispositivo, i LIVELLI DI AZIONE (macro/micro) e infine la POSIZIONE O LE FIGURE DEL SOGGETTO che ne emergono: [...]
Riassumendo ancora una volta, emergono alcuni aspetti
comuni fondamentali:
A – il valore di posizione storico/trascendentale (apriori storico). Si tratta di una precedenza che costituisce una nuova condizione di possibilità. La mia ipotesi è che l'espressione "apriori storico" copra la stessa area semantica e si riferisca a un ordine di grandezza comparabile a quello cui si riferisce la parola "disposizioni" usata nel finale di Le parole e le cose B – una composizione reticolare – espressa in Foucault da parole come "formazione" e "rete", in Deleuze dalla parola "matassa" e che si ritrova nell'uso della parola "macchina" in Agamben - che comporta elementi eterogenei che funzionano entro un campo comune o lo strutturano C – la capacità di produrre soggettivazione/assoggettamento, che configura un differente ruolo della soggettività rispetto alla tradizione: il soggetto risulta dalla rete o dalla macchina dei dispositivi e non la precede
D – una ricerca "politica" delle linee di soggettivazione
in grado di disattivare il dispositivo: è quello che Agamben
definisce "profanazione", che nell'ultimo Foucault sono le
"tecnologie del sé" e che in Deleuze si articola come ricerca
delle linee di fuga nel passaggio dall'archivio all'attualità o
dalla critica alla clinica.
Resta un quinto aspetto: un'oscillazione caratteristica
tra il livello della grande formazione storica e il livello
più operativo dell'apparecchio.
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