Copertina
Autore Riccardo Carnovalini
CoautoreRoberta Ferraris
Titolo il Glorioso Rimpatrio
Sottotitolo20 giorni a piedi tra Francia e Piemonte ripercorrendo le tappe del ritorno dei valdesi dall'esilio
EdizioneTerre di mezzo, Milano, 2007, Percorsi , pag. 172, ill., cop.fle., dim. 13,5x20,4x1,2 cm , Isbn 978-88-89385-99-9
LettoreGiorgia Pezzali, 2007
Classe montagna , religione , storia moderna
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Indice


Alcuni buoni motivi per mettersi in cammino          5
Una storia da scoprire                              11
La chiesa valdese oggi                              29
Le valli valdesi                                    34

In cammino                                          42

 1a tappa   Da Nernier a Saxel-Mont Béné            50
 2a tappa   Da Saxel-Mont Béné a Saint Jeoire       58
 3a tappa   Da Saint Jeoire a Cluses                64
 4a tappa   Da Cluses a Sallanches                  70
 5a tappa   Da Sallanches a Megève                  76
 6a tappa   Da Megève a Col de Very                 80
 7a tappa   Da Col de Very a La Balme               84
 8a tappa   Da La Balme a Les Chapieux              88
 9a tappa   Da Les Chapieux a Séez                  92
10a tappa   Da Séez a Chenal                        96
11a tappa   Da Chenal a Val d'Isère                102
12a tappa   Da Val d'Isère a Bonneval-sur-Arc      108
13a tappa   Da Bonneval-sur-Arc a Lanslevillard    114
14a tappa   Da Lanslevillard
            a Refuge du petit mont Cenis           120
15a tappa   Dal Refuge du petit mont Cenis
            al Rifugio Vaccarone                   126
16a tappa   Dal Rifugio Vaccarone a Salbertrand    132
17a tappa   Da Salbertrand a Pragelato-Grangie     140
18a tappa   Da Pragelato-Grangie a Balziglia       146
19a tappa   Da Balziglia a Ghigo di Prali          152
20a tappa   Da Ghigo di Prali a Bobbio Pellice     158

Bibliografia                                       169


 

 

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Alcuni buoni motivi per mettersi in cammino


Ci sono molte ragioni per incamminarsi su un percorso di montagna. Contemplare i paesaggi naturali che ancora si conservano sulle nostre Alpi è il primo che viene in mente. Sostare ai piedi dei ghiacciai e delle vette, incontrare animali rari nel loro ambiente di vita, abbeverarsi alle sorgenti incontaminate, sfuggire dal cemento e dall'asfalto anche per poco tempo: ecco un modo intelligente di mettersi in viaggio.

Il benessere che deriva dall'attività fisica del camminare - adatta a tutti, giovani e meno giovani - è sicuramente un'altra motivazione forte: aria pura a pieni polmoni, sudore che porta via veleni, muscoli intorpiditi dalla vita cittadina che tornano a lavorare sodo. Insomma, raggiungere per qualche giorno o settimana la pienezza della vita fisica è per noi umani del XXI secolo un fine alto, un'esperienza da non perdere, anche se non si è atleti, se non si viaggia col cronometro, se non si aspira alla "conquista" di vette particolarmente ardite. Un piacere tutto intellettuale è poi la scoperta dei segni della presenza dell'uomo. Borgate di pietra, antichi muri a secco, storici selciati: un patrimonio minore e spesso dimenticato, testimonianza del secolare lavoro del montanaro. Il momento più emozionante è l'incontro col pastore: giovane macedone o rumeno, stipendiato per vivere una vita di solitudine e disagi che i valligiani oggi possono permettersi di delegare ad altri.

E poi: isolarsi dalla folla per una immersione totale nel silenzio e perlustrare la propria interiorità; aggiungere una nuova meta alla personale collezione di itinerari fatti; riuscire a fare comunque un periodo di vacanza contenendo i costi. Tutti validi motivi per mettersi in cammino, all'alba di un giorno d'estate del terzo millennio. E sicuramente ce ne sono altri, altrettanto nobili e condivisibili.


In viaggio per la libertà

Nessuna di queste motivazioni, però, sarebbe stata, non solo condivisa, bensì compresa, da quei mille ardimentosi che il 17 agosto 1689 si incamminarono dalla sponda orientale del lago di Ginevra con la speranza di tornare alle valli piemontesi dove erano nati e da cui erano stati esiliati nel 1687. Più che il ritorno alle case, alle terre e ai pascoli nelle loro montagne, stava loro a cuore il ritorno alla libertà: libertà di professare la religione dei loro padri, antica di cinquecento anni, erede dei movimenti ereticali del XII secolo. La religione valdese. Ostinatamente professata da generazioni di montanari, incuranti di bolle papali, editti ducali, persecuzioni, stermini.

Non fu un viaggio facile: il manipolo di armati si trovò a fronteggiare gli eserciti del re di Francia, Luigi XIV, il Re Sole, e del duca di Savoia Vittorio Amedeo II. Il cammino fu ostacolato da pioggia battente e neve in piena estate. Vi furono combattimenti e perdite umane. Tuttavia i valdesi riuscirono a tornare nelle loro terre e quello fu il loro Glorioso Rimpatrio, avvenuto un anno dopo la Glorious revolution che nell'Inghilterra puritana portò al trono Guglielmo d'Orange, e con lui la monarchia costituzionale e parlamentare, la libertà di parola, le elezioni, la libertà di culto (con la significativa esclusione dei cattolici).


Camminare nella storia

Un itinerario escursionistico dal lago di Ginevra alla val Pellice si carica dunque del valore aggiunto della storia (e storia con la esse maiuscola). Nel lungo processo che porta l'Europa del XVII secolo alla modernità, alla democrazia, alla libertà di pensiero e di espressione, i valdesi hanno scritto un capitolo, sono stati protagonisti attivi, hanno rischiato in prima persona la pelle. La loro impresa si inseriva nel contesto più vasto della guerra della Lega di Augusta, una guerra mondiale, combattuta su più fronti, in Europa e nelle colonie. Si fronteggiavano l'assolutismo del Re Sole e il costituzionalismo liberale del parlamento di Londra e dei mercanti inglesi e olandesi, il cattolicesimo dei papi e la Riforma protestante, la rivoluzione scientifica e filosofica di Newton e Locke e il dogmatismo della Controriforma.

I montanari valdesi erano consapevoli del loro ruolo, seppure marginale, nella grande storia europea? Forse no o forse non si batterono necessariamente per quei valori che noi consideriamo le basi della nostra civiltà. Certamente erano altamente motivati: dopo tutto ne andava della loro stessa sopravvivenza. Tuttavia erano anche fermamente convinti di combattere l'Anticristo, che la pubblicistica dell'epoca individuava nel Re Sole; i loro successi erano dunque l'avverarsi delle profezie dell'Apocalisse; l'avvenuto ritorno in patria era il segno del miracoloso operare di Dio sulla terra. La notizia del Glorioso Rimpatrio si diffuse rapidamente in tutto il mondo protestante. Nelle colonie della Nuova Inghilterra, a Boston, il predicatore Cotton Mather lesse l'episodio come una premonizione della definitiva sconfitta dell'Anticristo. Proprio perché la chiesa dei valdesi era la più antica, anteriore di quattrocento anni alla Riforma di Lutero, la madre di tutte le chiese protestanti, Dio aveva voluto cominciare la battaglia finale simbolicamente con la sua salvezza.


Uno sguardo diverso

Ripercorrere il Glorioso Rimpatrio ha quindi varie implicazioni: noi viaggiatori del XXI secolo non potremo non contemplare le scintillanti vette innevate, e in particolare quel Monte Bianco che domina l'orizzonte di buona parte dell'itinerario. I soldati valdesi e ugonotti, in cammino verso il Piemonte, male equipaggiati e spesso affamati, attribuivano a quell'evidente monumento naturale tutt'altro significato. Nel 1689, infatti, non aveva ancora il suo nome attuale, ma il massiccio era generalmente noto come montagnes Maudites, le montagne maledette.

Non si sapeva (e non interessava a nessuno) che fosse la montagna più alta delle Alpi e, anzi, con i suoi ghiacciai, assai più estesi di come li vediamo oggi, incuteva reverenziale timore anche a chi in montagna viveva. La piccola glaciazione iniziata a metà del XVI secolo, aveva infatti causato una progressiva avanzata dei ghiacciai, che rendevano impercorribili storici passi e inghiottivano alpeggi. I paesi cattolici del Vallese e della Savoia richiedevano visite pastorali dei vescovi per esorcizzare quella catastrofe, sicuramente una punizione divina per i peccati dell'uomo. L'esistenza stessa delle Alpi, inutile ammasso di rocce e ghiacci, era vista come conseguenza del disordine portato nel creato dal peccato originale.

L'uomo e la donna del XVII secolo, cattolici o protestanti, vivevano in una prospettiva temporale molto diversa dalla nostra: la loro esistenza era tutta proiettata alla trascendenza, all'aldilà, alla vita eterna, alla salvezza del paradiso o alla dannazione dell'inferno. Il benessere fisico, lo sport, la cura del corpo e la salute erano concetti sconosciuti, incomprensibili, e sicuramente censurabili. Tanto noi siamo ossessionati dallo stato di salute nostro e dei nostri cari, tanto uomini e donne del Seicento si preoccupavano della salvezza dell'anima, da guadagnarsi con opere buone, preghiere e indulgenze se si era cattolici, da ricevere dalle mani di Dio come grazia liberamente elargita se si era protestanti. Incamminarsi a piedi su una montagna per pura contemplazione estetica e pienezza dei sensi nell'attimo fuggente del presente sarebbe stato visto come opera del diavolo da entrambi gli schieramenti.


Un sentiero di guerra

D'altro canto, a noi, donne e uomini del XXI secolo - che ripudiamo la guerra e rifuggiamo dall'uso delle armi, a maggior ragione se impugnate in nome di un Dio - la spedizione armata dei valdesi, guidata dal pastore e condottiero Henri Arnaud, pone qualche problema di coscienza. Come conciliare la Bibbia con l'archibugio, tanto più se puntato contro un credente nello stesso Dio unico? La spedizione non era la sola opzione per gli esiliati, anzi era la più incerta, la più azzardata. Certo era la sola che poteva garantire la sopravvivenza dei valdesi nelle loro valli.

E poi, il manipolo di armati si dotò - fatto abbastanza inconsueto per l'epoca - di un regolamento: le "Istruzioni" di Giosuè Giavanello, un contadino che si era distinto nella resistenza alle sanguinose repressioni delle "Pasque piemontesi" del 1655. Vietava i saccheggi e prescriveva di pagare sempre le vettovaglie; suggeriva di catturare ostaggi, magari qualche frate o il prete del paese, per trattarne la retituzione in cambio del libero transito. Tecniche di guerriglia moderna e codice d'onore, molta astuzia e poco sangue sparso: le "Istruzioni" furono preziose per attraversare un territorio nemico, popolato da contadini terrorizzati dalla prospettiva del transito dei pericolosi eretici, dipinti dalla propaganda cattolica come spaventosi diavoli sanguinari.

Fu così che l'impresa riuscì. I valdesi tornarono nelle loro valli. Dovettero arroccarsi e difendersi, subirono perdite severissime. Infine, come vedremo, i venti della storia spirarono in loro favore, poterono tornare alle case e ai campi aviti e professare la religione dei padri. I loro discendenti oggi sono ancora lì a testimonianza di una fede incrollabile nelle proprie idee.


Quali i segni lasciati sul territorio dai fatti del 1689? Cosa vedrà l'escursionista, oltre agli splendidi paesaggi naturali della Savoia, del Delfinato e della val Pellice? Poco o niente. Nessuna traccia delle battaglie di trecento anni fa. Nessuna cappella votiva a memoria di fatti salienti: i valdesi non venerano immagini. A esclusione del cippo commemorativo posto nel XIX secolo a Sihaud, la lettura del territorio alla luce della storia del Glorioso Rimpatrio dei valdesi è un esercizio tutto intellettuale, basato però sulle ricche testimonianze scritte che gli stessi protagonisti ci hanno lasciato, e in particolare sulla Storia del Glorioso Rimpatrio dei valdesi nelle loro valli che Henri Arnaud diede alle stampe nel 1710.

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Pagina 40

Torre Pellice oggi

La "Ginevra italiana", come la definì Edmondo De Amicis nel 1882, nella sua raccolta di reportage Alle porte d'Italia, non si risolve tutta nella presenza valdese. Il suo volto odierno si è formato anche su altri eventi, altre storie. Nel XVIII secolo sorsero i primi opifici: filande di seta, stamperie, fabbriche di grafite. Nel secolo successivo lo sviluppo industriale fece di Torre Pellice e del Pinerolese un distretto produttivo importante. A tutto questo i valdesi, da sempre contadini, rimasero estranei. Fondamentalmente individualisti, nutrivano una certa diffidenza per la vita in fabbrica, per la promiscuità che questa comportava.

Oggi, a Torre Pellice come altrove, le antiche fabbriche, fonte di ricchezza e crescita demografica, ma anche teatro di aspre lotte sindacali, sono archeologia industriale, e convertite, nei casi migliori, a ospitare attività culturali: nell'ex fabbrica tessile Mazzonis, una delle principali di Torre, ha sede oggi lo Studio per l'arte contemporanea di Tucci Russo, importante galleria d'arte di respiro internazionale.

Infine, per concludere con una nota lieve, bisogna ricordare Torre Pellice come sede di una delle più antiche e prestigiose squadre di hockey su ghiaccio, sport nordico per eccellenza, ma che nella "Ginevra italiana" non desta stupore. Il nuovo palazzo del ghiaccio, realizzato per le olimpiadi invernali 2006, fa parte dell'immagine odierna di Torre alla pari con la Casa valdese. E non è una novità. Negli anni '60 gli operai della Fiat prendevano il treno da Torino per andare a Torre a pattinare sul ghiaccio e a far la corte alle ragazze. È probabile che questi turisti della domenica, negli anni del miracolo economico, nulla sapessero delle sanguinose repressioni subite dai valdesi, dell'esilio, e degli otto secoli di lotta per la libertà di coscienza.

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Anche gli uccelli tornano al nido...


Sulle sponde del lago Lemano, nella notte tra il 17 e il 18 agosto, da tutta la Svizzera e dal Württemberg giungono alla spicciolata gruppi di valdesi che si nascondono nel bosco di Nyon. Sono circa 950, ma molti sono stati fermati e arrestati per strada. Altri non arriveranno in tempo all'appuntamento. Hanno a disposizione solo quattro imbarcazioni, ma la curiosità degli abitanti del luogo gioca a loro favore. Si è sparsa la voce che ci siano uomini armati sulle rive del lago: a tutti i curiosi che accorrono vengono requisite le barche, che alla fine sono 14 o 15, una piccola flotta che consente il rapido passaggio della milizia sulla sponda savoiarda. Ha così inizio l'avventura del Glorioso Rimpatrio. I valdesi non sono certo delle colombe: sono armati di tutto punto, organizzati in venti compagnie, formate prevalentemente di compaesani, spesso imparentati tra loro. Di queste, sei compagnie sono formate da ugonotti della Linguadoca e del Delfinato. Ci sono ufficiali e sergenti gallonati; marciano come gli eserciti regolari del tempo, preceduti da un'avanguardia e seguiti dalla retroguardia. Un esercito in tutto e per tutto.

E marciano veloci... La prima tappa del nostro percorso copre solo una piccola parte del loro cammino nel primo giorno, durante il quale coprono invece circa 50 chilometri, non incontrando per fortuna particolare resistenza: il gruppo di 200 contadini che doveva sbarrare loro il passo al col di Saxel, si disperde rapidamente e alcuni uomini con uno dei loro comandanti vengono presi in ostaggio.


Henry Arnaud, nella sua Histoire de la Glorieuse rentrée, illustra le motivazioni dell'impresa. La spedizione armata dei valdesi non ha come fine quello di prendere le terre altrui, né di ribellarsi al loro principe naturale, il duca di Savoia, ma solo "di rientrare in possesso dei 'retaggi' che i nostri antenati ci hanno lasciato da tempo immemorabile, senza fare torto a nessuno, se non nel caso che avvenga mentre ci difendiamo", come apprendiamo dalla lettera di uno dei partecipanti all'impresa, Giovanni Frache, citata da Arnaud.

Tornare nei retaggi aviti: "È una cosa naturale, anche gli uccelli tornano al nido nella stagione adatta".

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25/26 AGOSTO (4/5 SETTEMBRE) 1689, DOMENICA E LUNEDÌ

La riconquista delle valli


Scesi nella val Pragelato, i valdesi vengono accolti con freddezza e diffidenza dalla popolazione, assai riluttante a vendere loro dei viveri. Questo stupisce i valdesi, ma è facilmente comprensibile: la val Pragelato, territorio francese, era valdese prima della revoca dell'editto di Nantes. Ora il culto riformato è vietato, e non c'è, per i sudditi del Re Sole, alternativa alla fede cattolica. Temono rappresaglie se aiutano i correligionari valdesi. Intanto, benché sia domenica, non si celebrano messe, perché tutti i preti, avuta notizia dell'arrivo degli "eretici", sono fuggiti.

I valdesi sostano per la notte alle baite di Joussaud, ai piedi del colle del Pis. Da lì si scende nella valle di Massello, il primo dei loro "retaggi". Ma il colle è anche il confine tra Francia e ducato di Savoia, e potrebbe essere presidiato. Ancora una volta la macchina bellica sabauda fallisce. I pochi soldati appostati sul colle fuggono abbandonando anche il loro bagaglio, altri armati vengono catturati all'alpe del Pis e, esortati a pregare Dio, sono immediatamente giustiziati. La stessa sorte toccherà il giorno successivo, alla Balziglia, a 46 uomini della milizia di Cavour.

Se i valdesi in soli dodici giorni sono riusciti a tornare nelle loro valli senza eccessivo spargimento di sangue, la riconquista delle valli richiederà altri nove mesi di guerriglia spietata: non faranno mai prigionieri, per l'impossibilità di custodirli e per scarsità di viveri. Non si avrà pietà per i contadini savoiardi che hanno acquistato a poco prezzo le loro terre. Molti di loro riescono però a fuggire prima dell'arrivo della milizia valdese. Saranno risparmiati invece i correligionari che si erano convertiti al cattolicesimo.

Intanto la marcia rallenta: i valdesi si impadroniscono di 600 pecore e si accampano alle baite di Ortiaré, dove passano la notte a scaldarsi davanti al fuoco. Il giorno successivo sono alla Balziglia, il villaggio che, molti mesi dopo, sarà teatro della loro ultima resistenza.

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Da Balziglia a Ghigo di Prali

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LUNGHEZZA  TEMPO  DIFFICOLTÀ  ALTITUDINE MIN  ALTITUDINE MAX
  18 Km   6,30ore    +++           1085 m          1707 m
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Fatica: tappa complicata e impegnativa, con continui cambiamenti di pendenza e non dotata di buona segnaletica. Piacevole andare di borgata in borgata, anche se lo spopolamento cui si assiste è pesante.

Segnaletica: GTA non puntuale e con vuoti preoccupanti. Tra Ciaberso e Campo la Salza è assente nei bivi decisivi: se si vogliono evitare problemi si percorre la strada asfaltata che passa dalla frazione Centrale. Anche nella salita alla costa Galmont, e nella successiva discesa verso Cugno, mancano i segnavia in diversi bivi.

Punti di ristoro e pernottamento: a Didiero agriturismo la Miando, con ristorante, camere e posto tappa GTA, tel. 0121-80.10.18. A Rodoretto bar, ristorante e posto tappa GTA con 15 posti letto e uso cucina, tel. 0121-80.61.26. A Ghigo posto tappa GTA (10 posti letto, 1 doccia, senza uso cucina) presso l'hotel delle Alpi, tre stelle, in via Roma 10, tel. 0121-80.75.37. Pernottamento in posto tappa e cena al ristorante dell'hotel 37 €. Circa mezzo chilometro a sud di Ghigo, lungo la ventesima tappa, c'è l'albergo Miramonti, che però fa solo servizio bed&breakfast.


Da Balziglia si scende per la strada asfaltata giungendo in circa 1 km a Gros Passet. Qui si può fare una digressione per visitare la scuola Beckwith, in funzione fino agli anni '20, una delle tante che ha permesso l'istruzione in un villaggio remoto. La si trova aperta e con l'arredo originario, quasi alla sommità della borgata che è situata su una balza a dominio della valle e fuori dalla portata delle valanghe. Guardando verso Balziglia si vede l'impervio costone, tra il Castello, la cresta dei Quattro Denti e il Bric Autin, su cui resistettero i valdesi nell'inverno 1689-1690.

Tornati sulla strada della valle si scendono due tornanti, si attraversa il ponte sul rio Rabbioso e si prende a sinistra la diramazione per Roccias. Dalle sue case si prosegue su una mulattiera che giunge in discesa a una strada asfaltata: salendola si arriva rapidamente ad Aiasse. Attraversata questa borgata, la mulattiera si dirige a Roberso e lo raggiunge dopo aver passato il rio Culmian. Ci si alza per arrivare a Porrence; da qui si scende sulla strada asfaltata fino a un tornante, dove si prosegue diritto sulla sterrata che porta a Ciaberso. Si passa accanto a un'altra scuola Beckwith, destinata all'esposizione sui mulini per cereali di montagna, che è collegata al sentiero escursionistico del Cai Val Germanasca la ruota e l'acqua. Si segue la strada asfaltata fino alla curva che aggira la chiesa cattolica (appena più in basso c'è il tempio valdese e i due rispettivi cimiteri); sotto al sagrato riprende la mulattiera GTA. Bisogna fare attenzione ad abbandonare dopo qualche minuto i segnavia giallo-rossi e a seguire quelli sbiaditi bianco-rossi della GTA che scendono a destra: il bivio è in corrispondenza di una freccia di legno la ruota e l'acqua. Si arriva al mulino di Chan la Salso e si segue il torrente Germanasca di Massello per attraversarlo, poco dopo, sul ponte stradale in prossimità della confluenza con il torrente Germanasca di Salza.

Nel caso in cui il sentiero lungo la Germanasca fosse sporco si può valutare l'eventuale guado, sempre che la portata d'acqua del torrente lo consenta, facendo comunque attenzione. Fino a pochi anni fa, davanti al mulino c'era un ardito ponticello. Sull'altra riva del torrente, leggermente più a valle del mulino, si trova il sentiero che porta alla vicina strada per Massello e Didiero. Si risale questa strada per circa 100 metri (circa 300 se si è passato il torrente sul ponte stradale), fino a trovare la GTA che sale a Campo la Salza (potrebbe essere coperta di erbacce).

Qui i valdesi pernottarono per la seconda volta nella valle di Massello. Alla scuola valdese del villaggio si svolta a sinistra sulla strada asfaltata che giunge subito a Saret.

Dalla fontana di Saret si prosegue diritto su una mulattiera che porta al vicino torrente Germanasca di Salza, che si costeggia, risalendolo su un esile sentiero nel bosco. Si raggiunge e si percorre la strada asfaltata del vallone di Salza, lasciando a sinistra il percorso per la miniera di talco Gianna e arrivando al vicino Didiero [2,15 ore].

Singolari murales dedicati a famosi testi di cantanti o gruppi italiani caratterizzano il capoluogo del comune sparso di Salza di Pinerolo. Attraversato il ponte sul torrente Germanasca si gira a sinistra sulla larga sterrata che giunge in 4 km al colletto delle Fontane. Dalla diramazione a destra per la borgata Meinier parte la prima scorciatoia della strada. Il percorso della GTA incrocia più volte la strada principale, ma non è ben segnato e visibile nel tratto inferiore. Più in alto si segue meglio e porta a ritrovare la sterrata in prossimità del colletto delle Fontane [1,15 ore, fontana].

Dall'area turistica attrezzata sul colle s'imbocca il sentiero che s'inoltra, in corrispondenza di un traliccio elettrico, in una bella abetaia e sale al colle di Serrevecchio, mantenendosi sul versante ovest della dorsale. All'incrocio sul colle si continua diritto, scendendo in vista della val Germanasca. Si distingue la borgata Gardiola di fronte alla miniera di talco di Paola, a fondovalle, e alle altre miniere più alte di Crosetto. La mulattiera si abbassa nel versante solatio della valle (qui cresce la lavanda più alta della valle) e quindi attraversa le borgate di Serrevecchio e Bounous. Da quest'ultima si segue la strada sterrata; facendo attenzione, a una curva, si trova la mulattiera per il sottostante paese di Rodoretto. Altrimenti, si continua sulla sterrata e si giunge al centro di Rodoretto con un giro leggermente più largo. In paese convivono la chiesa cattolica del 1720 e il tempio valdese, senza campanile, costruito nel 1845 con l'aiuto finanziario di Beckwith. Nell'ex scuola si trova un Museo etnografico [1 ora].

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