Copertina
Autore Lewis Carroll
Titolo Alice underground
SottotitoloCon il manoscritto illustrato dell'autore
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2002, Fiabesca 69 , pag. 168, cop.fle., dim. 120x167x12 mm , Isbn 978-88-7226-721-9
OriginaleAlice's Adventures under Ground [1865]
CuratoreAdele Cammarata
TraduttoreAdele Cammarata
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe classici inglesi , ragazzi
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

  5 Sogno di unpomeriggio di prima estate

 17 Alice's Adventures under Ground


109 Le avventure di Alice nel sottosuolo


161 Note

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 5

Sogno di un pomeriggio di prima estate



               There ought to be a book written
                    about me, that there ought!
         Alice's Adventures Under Ground, p. 38

Quello che tenete fra le mani non è un libro qualsiasi.

È un dono, anzi, due: "Un dono di Natale a una cara bambina in memoria di un giorno d'estate": e il dono che Lewis Carroll (nella vita di ogni giorno il reverendo Charles Lutwidge Dodgson) possedeva: l'arte di raccontare storie.

In queste pagine vergate a mano dal celebre scrittore, illustrate da un disegnatore dilettante (Carroll stesso), si vede chiaramente la fase intermedia di quella magia che trasformò il racconto di un giorno d'estate sul fiume nel capolavoro indiscusso della letteratura fantastica (per bambini e adulti) di tutti i tempi, Alice's Adventures in Wonderland.

Quel dorato pomeriggio di un giorno d'estate era il 4 luglio 1862. Lewis Carroll/Charles L. Dodgson era in gita sul fiume Isis, un affluente del Tamigi, da Folly Bridge, vicino a Oxford, a Godstow, con un amico (il reverendo Robin Duckworth) e le figlie del decano Liddell, Lorina, Edith e Alice, accompagnate dalla loro governante. Quella memorabile gita sul fiume è sognata dalla sorella di Alice, Lorina, alla fine del testo che state per leggere.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 109

Le avventure di Alice nel sottosuolo



Capitolo I



Alice cominciava a essere molto stanca di starsene seduta accanto alla sorella sulla riva, senza niente da fare: una o due volte aveva sbirciato nel libro che stava leggendo sua sorella, ma non c'erano figure né dialoghi, e a che serve un libro, pensava Alice, senza figure né dialoghi? Stava dunque meditando tra sé (per quanto le fosse possibile, perché il caldo della giornata le metteva sonno e la faceva sentire stupida) se il piacere di intrecciare delle margherite valesse il disturbo di alzarsi e raccoglierle, quando un coniglio bianco con gli occhi rosa le passò vicino di corsa.

Non c'era niente di eccezionale in questo, e Alice non pensò nemmeno che fosse così tanto fuori dal comune sentire il coniglio che diceva fra sé: "Povero me, povero me! Farò troppo tardi!" (dopo, quando ci ripensò, le venne in mente che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma in quel momento le sembrava del tutto naturale); però quando il coniglio tirò fuori un orologio dal taschino del panciotto, lo guardò e poi corse via di fretta, Alice balzò in piedi, perché le venne in mente che non aveva mai visto prima un coniglio con un taschino o con un orologio da taschino e, piena di curiosità, lo seguì di corsa attraverso il campo, e fece appena in tempo a vederlo saltare giù in una grande tana sotto la siepe. In un attimo, Alice andò giù appresso a lui, non pensando neanche una volta a come avrebbe fatto a venirne fuori.

La tana del coniglio continuava dritta come una galleria per un bel tratto, e poi andava giù all'improvviso, così all'improvviso che Alice non ebbe nemmeno un momento per pensare di fermarsi, prima di trovarsi a precipitare in quello che sembrava un pozzo profondo. O il pozzo era molto profondo, o lei cadeva molto lentamente, perché ebbe un sacco di tempo, durante la caduta, per guardarsi intorno, e chiedersi cosa sarebbe successo dopo. Innanzitutto provò a guardar giù e capire dove sarebbe arrivata, ma era troppo buio per vedere qualche cosa: allora, guardò le pareti del pozzo, e notò che erano piene di armadietti e scaffali: qui e là c'erano cartine e quadri appesi a dei pioli. Prese un vasetto da una delle mensole mentre passava: c'era un'etichetta con su scritto "Marmellata d'Arance", ma con suo grande disappunto era vuota: non le sembrava bello lasciar cadere il vasetto, per paura di uccidere qualcuno di sotto, così riuscì a sistemarlo in uno degli armadietti di passaggio mentre cadeva.

"Beh!" pensava Alice tra sé, "dopo una caduta come questa, rotolare per le scale sarà niente al confronto! A casa tutti penseranno che sono coraggiosissima! Di certo non dirò più nulla nemmeno se cascassi dal tetto!" (e questo probabilmente era proprio vero).

Giù, giù, giù. Avrebbe mai avuto fine questa caduta? "Mi domando: quante miglia ho percorso fino ad ora?" disse ad alta voce, "starò per arrivare da qualche parte vicino al centro della terra. Vediamo: sarebbero quattro mila miglia, penso..." (perché devi sapere che Alice aveva imparato parecchie cose del genere durante le lezioni di scuola, e sebbene questa non fosse proprio l'occasione più opportuna per mettere in mostra il suo sapere, dato che non c'era nessuno ad ascoltarla, tuttavia ripeterle era pur sempre un buon esercizio) "sì, è la distanza giusta, ma in quale linea di Longitudine o Latitudine mi troverò?" (Alice non aveva la minima idea di cosa fosse la Longitudine, e tanto meno la Latitudine, ma pensava che fossero dei gran bei paroloni da dire).

A questo punto ricominciò: "Mi chiedo se non stia proprio attraversando la terra! Come sarà divertente sbucare tra quella gente che cammina a testa in giù! Ma dovrei chiedere loro qual è il nome del paese, eh sì. Scusi, signora, questa è la Nuova Zelanda o l'Australia?"... e mentre parlava provò a fare un inchino, (immagina di fare un inchino mentre cadi nel vuoto! Pensi di poterci riuscire?) "e penseranno che io sia una ragazzina ignorante! No, niente domande: forse lo vedrò scritto da qualche parte".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 138

"Però era un cuccioletto così carino!" disse Alice, distesa contro un ranuncolo per riposarsi, mentre si sventolava con il cappello, "mi sarebbe piaciuto insegnargli qualche giochetto, se... se solo fossi stata della misura giusta per farlo! Oh! Quasi mi ero dimenticata che devo diventare grande di nuovo! Vediamo: come ci si può riuscire? Suppongo di dover mangiare o bere qualcosa, ma il grande problema è: che cosa?".

Il grande problema era certamente: che cosa? Alice guardò i fiori e i fili d'erba intorno a lei, ma non vedeva niente che assomigliasse alla cosa giusta da mangiare in queste circostanze. C'era un grande fungo lì vicino, all'incirca della sua stessa altezza, e quando ebbe guardato di sotto, e da entrambi i lati, e dietro al fungo, le venne in mente di guardare che cosa c'era sopra.

Si alzò sulle punte dei piedi, e sbirciò sopra il bordo del fungo, e immediatamente i suoi occhi incontrarono quelli di un grosso bruco blu, che se ne stava seduto con le braccia conserte, fumando tranquillamente un lungo narghilè, senza curarsi né di lei né di altro.

Per qualche tempo si guardarono in silenzio: infine, il bruco si tolse il narghilè dalla bocca, e le si rivolse languido.

"Chi sei tu?" disse il bruco.

Non era molto incoraggiante come inizio di conversazione: Alice replicò piuttosto timidamente, "Io... io non lo so, signore, ora come ora... almeno so chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma penso di essere cambiata parecchie volte da allora".

"Che cosa intendi dire con questo?" disse il bruco, "spiegati!".

"Non posso spiegarmi, temo, signore" disse Alice, "perché, vedete, io non sono me".

"Non vedo affatto," disse il bruco.

"Mi dispiace, ma non posso essere più chiara," disse Alice molto educatamente, "perché non lo capisco io stessa, ed essere di così tante misure diverse in un giorno solo fa confondere parecchio".

"Niente affatto," disse il bruco.

"Beh, forse voi ancora non la pensate così," disse Alice, "ma quando vi dovrete trasformare in una crisalide, sapete, e poi in una farfalla, penso che vi sembrerà un po' strano, non trovate?".

"Proprio per niente", disse il bruco.

"Io so solo che" disse Alice "sembrerebbe strano a me".

"A te!" disse il bruco con disprezzo, "chi sei tu?".

Questo li riportava all'inizio della conversazione: Alice si sentì un po' irritata per le laconiche risposte del bruco, e si raddrizzò e disse in tono molto grave: "Penso che dobbiate dirmi chi siete voi, prima".

"Perché?" disse il bruco.

Ecco un altro bel quesito: e siccome Alice non aveva pronta alcuna ragione, e il bruco sembrava essere di pessimo umore, lei si girò e se ne andò.

"Torna indietro!" il bruco la richiamò, "ho qualcosa di importante da dirti!".

Sembrava promettente: Alice si voltò e tornò indietro.

"Mantieni la calma," disse il bruco.

"Tutto qui?" disse Alice, ingoiando la rabbia più che poteva.

"No," disse il bruco.

Alice pensò che poteva anche aspettare, visto che non aveva nient'altro da fare, e forse dopo tutto il bruco poteva dirle qualcosa che valeva la pena di ascoltare. Per qualche minuto tirò boccate dal narghilè senza parlare, ma alla fine distese le braccia, scostò nuovamente il narghilè dalla bocca, e disse: "E così pensi di essere cambiata, vero?".

"Sissignore," disse Alice, "non riesco a ricordare le cose che sapevo... ho provato a dire 'Guarda come l'apina laboriosa' ed è venuta fuori tutta diversa!".

"Prova a ripetere 'Vecchio siete, Papà Guglielmo'" disse il bruco.

Alice intrecciò le mani, e cominciò:

                    1.
"Vecchio siete, Papà Guglielmo," disse il baldo
                                    giovanotto,
    "E la chioma bianca avete,
Ma di stare a testa sotto sembra che non vi
                                   stanchiate -
    Vi par saggio, all'età vostra, fare sempre
                                sto giochetto?"

                    2.
Disse il babbo al giovanotto: "Quando avevo la
                                       tua età,
    Temevo danni al mio cervello:
Ma siccome so per certo che non ho neppure
                                        quello,
    Senza tema né paura posso far quel che mi
                                           va'.

[...]

| << |  <  |