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| << | < | > | >> |Indice3 I In principio era l'ombra Parte prima NEL CUORE DELL'OMBRA 15 II Ombre antiche e moderne 25 III Mercanti d'ombra 37 IV L'ombra nella mente 51 V L'ombra del dubbio Parte seconda OMBRE NEL CIELO 67 VI Effetti speciali 85 VII Eclissi, coni d'ombra e piramidi 105 VIII Il furto della meridiana 119 IX All'ombra del minareto 127 X Il tempo fugge dal buco nell'ombra Parte terza IL SECOLO DELL'OMBRA 139 XI Guerre d'ombra 157 XII Venere imita l'ombra di Diana 165 XIII Forse Saturno ha divorato i propri figli 175 XIV La velocità dell'ombra Parte quarta VISIONI D'OMBRA 187 XV La linea d'ombra e i raggi ombrosi 209 XVI La trame dell'ombra 223 XVII Lezioni di tenebra 235 XVIII Le memorie dell'oltretomba FINALE 243 La scoperta dell'ombra NOTIZIE SULL'OMBRA 251 I nomi dell'ombra 253 Principali scoperte e misure scientifiche che riguardano le ombre o di cui le ombre sono state lo strumento 257 Letture 271 Ringraziamenti 275 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 11Su questo libroO non è invece Platone a essere ingiusto nei confronti delle ombre? Il fatto che le usiamo in modo del tutto involontario e automatico per percepire le cose nello spazio non è che un aspetto del loro legame con la conoscenza. Sin da tempi antichissimi si è fatto scientemente uso delle ombre, e questo nonostante le si temesse e non si fosse mai saputo bene che cosa sono. La storia della scienza è intessuta della trama dell'ombra. È interessante saggiare la consistenza della trama. Per farlo dobbiamo giocare su due versanti. Da un lato bisogna capire bene perché le ombre costituiscono un'insidia per la mente. Se dovessimo descrivere la loro natura, ci troveremmo in un vicolo cieco. Se sono assenze, cose che non esistono, allora non esistono e basta. Ma in tal caso come facciamo a parlarne? Forse sono qualcosa di più di una mancanza, o sono solo un'illusione? Le ombre sono sicuramente misteriose. D'altro lato le ombre, a dispetto della loro precarietà, e a dispetto del fatto che sono così misteriose, sono un ausilio prezioso alla conoscenza. Come riconciliare queste due prospettive? Questo libro è un tentativo di mostrare che l'ombra non è affatto una cattiva compagna, sebbene a prima vista non ispiri molta fiducia. | << | < | > | >> |Pagina 15Conosco tanta di quella gente che ha più paura dell'ombra che di ciò che getta l'ombra. Abraham B. Yehoshua, Il signor Mani Out, out, brief candle! Life's but a walking shadow. William Shakespeare, MacbethL'ombra e la luce si intrecciano nella storia della tecnologia. L'elettrificazione ha fatto scomparire le vaste zone d'ombra che rendevano insicure le città. È l'eredità lasciataci dal diciannovesimo secolo, che più di ogni altro ha visto un radicale miglioramento delle condizioni di illuminazione. Nello spazio di sessant'anni, dal 1820 al 1880, vengono inventati svariati tipi di lampade di facile alimentazione e relativamente economiche. Fino alla fine del secolo precedente si erano usati soprattutto grasso di balena, oìio di oiiva e cera. All'inizio dell'Ottocento si diffondono lampade che usano gas naturale e gas di carbone. L'illuminazione stradale delle principali città europee e americane utilizza il gas fin dai primi del secolo. Nel 1859 lo scavo del primo pozzo di petrolio rende disponibile un'ulteriore fonte di combustibile. Parallelamente si comincia a capire che l'elettricità può essere una sorgente di luce. [...] Quindi le sorgenti di luce nuove sono più luminose, ma hanno anche un'altra proprietà. Sono stabili. Non dipendono più da una fiamma esposta alle correnti d'aria e non tremano. E questo ha una straordinaria conseguenza per la nostra storia. Come per incanto anche le ombre cessano di tremare per strada e sui muri di casa. Il diciannovesimo secolo non ha solo sconfitto le ombre, ne ha anche create di nuove. Sono le ombre congelate. che vengono prodotte da un frammento di materia portato a incandescenza. Sono ombre nuove perché fino ad allora non esistevano in natura né mai erano state prodotte delle ombre statiche. Fino a poche generazioni fa le ombre sono sempre state in movimento. Nessuna ombra stava mai veramente ferma. La luce della candela, il fuoco proiettano ombre tremule o agitate sulle pareti delle stanze. All'aria aperta basta tracciare un segno per terra e distrarsi qualche minuto per notare che si muovono anche le ombre apparentemente statiche proiettate dai corpi nella luce del sole. Gli orologi solari funzionano grazie al movimento dell'ombra. I pittori hanno da sempre grandi difficoltà quando dipingono un paesaggio o un edificio illuminato dal sole. Tempo un'ora, e la distribuzione delle ombre nel paesaggio è cambiata fino a renderlo irriconoscibile. Anche per questo nei corsi di pittura si studia la teoria delle ombre, che sottrae gli oggetti al mutare costante del chiaroscuro naturale. I pionieri della fotografia si sono trovati di fronte a un problema analogo. | << | < | > | >> |Pagina 24| << | < | > | >> |Pagina 33La ricchezza dell'ombraLe ombre sono seducenti perché sono così strane e il linguaggio metaforico ha pescato abbondantemente nel tesoro di immagini che nascono dall'ombra. Le ombre sono immateriali, sono prive di consistenza, ed è per questo che essere l' ombra di se stessi significa non conservare più che una parvenza di quello che si era. Si elegge un governo ombra, si può non aver l' ombra di un quattrino, ed è inutile correre dietro alle ombre. In tedesco si dice che non si può saltare sulla propria ombra, ovvero che non si può fare l'impossibile. L'Ade era abitato dalle ombre dei defunti, da esangui duplicati di quelli che un tempo furono esseri nel pieno delle loro forze. Le ombre sono parassiti degli oggetti che le proiettano e di cui, a volte, riproducono la forma. Sembrano da sempre consegnate al mondo delle apparenze. L'ombra è un'immagine, una rappresentazione dell'oggetto che fa ombra. Ma ne è una rappresentazione incompleta, una silhouette in cui solo il contorno viene rappresentato; l'interno dell'ombra è indistinto e non dice nulla dell'oggetto che proietta l'ombra se non che è un oggetto opaco, non trasparente. Chi perde la vista dice di vedere ombre. L'ombra è una traccia. (Skia, il termine del greco antico per l'ombra, significa anche traccia.) Ci si esprime senz'ombra di dubbio. In quanto immagine, l'ombra può inoltre fare le veci dell'oggetto che la proietta e ne diventa un duplicato. Alcune ombre assurgono al rango di veri e propri personaggi letterari (non soltanto l'ombra di Peter Schlemihl e di Peter Pan; nella Carriera del libertino di Stravinskij il demonio si chiama Nick Shadow). In inglese «I have a shadow» significa «qualcuno mi sta pedinando»: qui l'ombra corporea diventa qualcosa da cui non ci si può staccare. (Nell'arabo medievale al contrario il nome dell'ombra è «l'inseguitore».) Un'ombra può nascondere un oggetto ed è pertanto legata non solo all'aspetto fisico dell'assenza di luce, ma anche all'aspetto percettivo, alla visibilità. I criminali tramano nell'ombra; certe persone vengono fatte uscire dall'ombra o vi vengono relegate; un testo può avere delle ombre, dei passi poco chiari e a volte si devono dissolvere le ombre che minacciano un'amicizia. È perché sono scure o addirittura oscure che le ombre possono nascondere. Il tedesco "Schatten" e l'inglese "shadow" derivano dal greco "skot-", che indica l'oscurità. Nel linguaggio dei segni americano l'ombra è la macchia nera. L'oscurità può proteggere e dominare. Si è all'ombra di qualcuno quando si trova riparo nella sua sfera di influenza; si è l'ombra di qualcuno quando non si esce dalla sua sfera di influenza: ma chi protegge può anche fare ombra a chi gli sta vicino, impedirgli di essere visto. | << | < | > | >> |Pagina 37| << | < | > | >> |Pagina 44[...] Ma come possiamo sapere che cosa pensano delle ombre i bambini che ancora non sanno parlare? E non solo delle ombre: come facciamo a sapere che cosa pensano in genere i bambini?
La risposta è: bisogna
annoiarli.
Alla tua destra, compare una grande macchia che si ingrandisce e si rimpicciolisce seguendo un ritmo difficile da prevedere. La accompagna un suono modulato, come un disco su un grammofono che si sta spegnendo e gira sempre più lentamente. Sei paralizzato dal terrore, anche perché navighi in un liquido indistinto e senza colore in cui non c'è né alto né basso e la macchia minacciosa potrebbe agguantarti senza che tu possa evitarla. Ogni tanto ti attraversa una nuvola di profumo; in quel breve momento tu sei la nuvola, non c'è differenza tra te e lei, come non c'è differenza tra te e il suono che ascolti, forse neanche tra te e la macchia. Peraltro adesso la macchia sembra meno inquietante, si avvicina su uno sfondo musicale, un canto; si apre un sipario, e compare del tutto inaspettato il morbido oggetto dei tuoi desideri. Non è l'inizio di un romanzo di fantascienza, ma una descrizione di come il bambino vede la realtà poco prima della poppata. Bella storia; peccato che sia tutto falso. Descrizioni di questo tipo sono leggende metropolitane scientifiche sconfessate da tempo dalla ricerca sperimentale. La leggenda è dura a morire perché si ritiene che tanto non si potrà mai sapere veramente che cosa passa per la testa dei marmocchi. E anche questo è falso. A partire dagli anni Sessanta la psicologia dello sviluppo infantile ha fatto uso di un metodo (detto metodo dell'abituazione) che permette di studiare l'universo mentale dei bambini prelinguistici (già nelle prime settimane di vita, ma limitiamoci ai bimbi di qualche mese). L'idea di fondo è semplice. Bisogna tanto per cominciare annoiare i piccoli presentando loro ripetutamente la stessa situazione, per esempio, tre segnali sonori, di nuovo tre segnali sonori, ancora... per un bel po' di volte. All'inizio il bambino è interessato (succhia molto di più), poi lo è sempre meno, e alla fine tende a distrarsi, insomma si annoia. Quando il tasso di suzione cala e si è sicuri che il piccolo si è annoiato per bene si passa alla situazione da testare e si presentano due suoni. L'attenzione risale. Come spiegare questo interesse del neonato? L'unica cosa che cambiava nella situazione era il numero dei suoni, dunque si può ipotizzare che i neonati sappiano fare la differenza tra due e tre. Ovvero che abbiano una qualche idea della quantità e del numero. Il risultato è interessante: a quattro mesi i bambini sono sensibili a differenze di quantità - anche se solo fino a tre (il cambiamento da tre a quattro stimoli viene accolto con una certa indifferenza). Gli esperimenti sono lunghi e complicati; gli sperimentatori devono superare enormi ostacoli: trovare i bambini non è facile, li si deve selezionare. I genitori devono prestarsi a tenere il bambino in braccio se fa le bizze e devono anche chiudere gli occhi quando viene presentata la scena dell'esperimento per evitare di influenzare le risposte del bambino (trasmettendogli dei segnali con il corpo). Ma ne vale la pena. Lavorando su legioni di bambini annoiati si è scoperto che sanno un mucchio di cose che nessuno può aver loro insegnato: per esempio, possono addizionare e sottrarre piccole quantità; sanno che gli oggetti continuano a esistere anche quando scompaiono dietro uno schermo, che non sono compenetrabili e che si spostano su traiettorie continue senza fare salti; non accettano l'azione a distanza, credono che due superfici si muovano in modo coordinato solo se sono in contatto l'una con l'altra e ritengono che il movimento venga trasmesso nelle collisioni tra corpi; sono sorpresi se c'è una discrepanza tra gli stimoli tattili e gli stimoli visivi e quindi hanno la capacità di confrontare le informazioni provenienti da sensi diversi. E via dicendo. Le cose che i piccoli sanno sono interessanti perché sfatano un certo tipo di immagine abbastanza radicata sulla natura dell'apprendimento infantile. Non è vero che il bambino vive rinchiuso in un'angusta prigione soggettiva, in un mondo magmatico di colori sfuocati e di suoni inquietanti, illuminato a sprazzi da dolorose sensazioni di fame o da odori violenti, e punteggiato da incontri periodici e gustosi con la mitica poppata, l'unico evento che vale la pena di imparare a riconoscere. È tutto falso. Il bambino vede abbastanza presto il mondo più o meno come lo vediamo noi, i colori non sono soggettivi ma reali, le cose si comportano in modo prevedibile e interagiscono con altre cose in uno schema di cause ed effetti che obbedisce a leggi precise. Il mondo della primissima infanzia è significativamente più ricco di un semplice mosaico di sensazioni, dato che include la nozione causale di contatto e la nozione metafisica di permanenza degli oggetti non percepiti. Si potrebbe pensare, insomma, che i neonati abbiano una teoria del mondo, o forse una batteria di miniteorie, una per ogni tipo di oggetto. Ci sono certo delle differenze tra la loro teoria del mondo e la nostra, ma queste differenze sono, per l'appunto, differenze tra teorie e non tra una percezione indistinta (la loro) e una strutturata (la nostra). Tra queste miniteorie c'è anche una teoria dell'ombra? | << | < | > | >> |Pagina 51Maria, Maria, perché non hai conservato quell'ombra? Mr. Darling in Peter PanCi sembra di vivere in un mondo abbastanza semplice e invece gli astrofisici e i fisici quantistici ci hanno abituato a entità ed eventi bizzarri dal comportamento assai poco intuitivo: buchi neri, singolarità spaziotemporali, quark. Parrebbe che la scienza ci obblighi ad abbandonare le solide certezze del mondo dell'esperienza quotidiana, fatto di sassi, tavoli, sedie, e ci dica che viviamo in uno zoo di creature strane. Ma per trovarsi spaesati non c'è bisogno di scomodare il big bang o le particelle subatomiche. Il mondo dell'esperienza normale è peggio di uno zoo, è una giungla in cui si nascondono creature metafisicamente sospette. Pensate a un buco di groviera, alla bellezza di un fiore, al numero due, alla Quinta Sinfonia di Beethoven, al sorriso della Gioconda, ai pugni di Primo Carnera. Che cosa sono un buco o un sorriso? Sapremmo definirli? Che cos'è un pugno? È un oggetto diverso dalla mano? Aggiungiamo le ombre alla lista delle cose sospette. Le ombre, che ci stanno sotto gli occhi continuamente, fanno le cose strane che hanno colpito l'immaginazione popolare, ma fanno anche cose stranissime che danno da pensare. | << | < | > | >> |Pagina 58Otto: Il Grande Rompicapo dell'ombra, ovvero troppe cause rovinano l'effettoTutti questi problemi confluiscono nel Grande Rompicapo dell'ombra, descritto dai filosofi Samuel Todes e Charles Daniels. Se volessimo cercare di capire che cos'è un'ombra dando la parola al senso comune, dovremmo cominciare come Sherlock Holmes a raccogliere alcuni fatti elementari intorno alle ombre per vedere se si riesce a estrarne una piccola teoria. Scopriamo ben presto che se c'è un'ombra in giro, ci dev'essere da qualche parte anche un corpo che fa ombra. Ovvero, le ombre dipendono sempre da un ostacolo che blocca la luce. (Cosa che ben sanno i registi dei film dell'orrore, che fanno entrare in scena il personaggio chiave preceduto dalla sua ombra. Vedendo l'ombra, sappiamo che da qualche parte c'è purtroppo anche il suo proprietario.) C'è dell'altro. Sappiamo anche che un oggetto non fa ombra attraverso un altro oggetto. Il tavolo fa un'ombra sul terrazzo. Se metto una statuetta sul tavolo, la statuetta fa un'ombra sulla superficie del tavolo. Ma quest'ombra non «passa attraverso» il tavolo per arrivare al terrazzo. (Provare per vedere.) Sappiamo ancora qualcosa? Naturalmente, sappiamo che per fare ombra un corpo deve venire illuminato, diciamo su un lato. Se non riceve luce il tavolo non fa ombra. Una teoria veramente minima dell'ombra deve contenere quindi almeno questi tre principi: uno, ogni ombra è l'ombra di un qualche corpo; due, un corpo non proietta la sua ombra attraverso un altro corpo; tre, per fare ombra, un corpo deve ricevere luce. Ora, anche una teoria così semplice può non funzionare. C'è una situazione molto elementare in cui la teoria non sa che pesci pigliare. La situazione è !a seguente. Si consideri ancora il tavolo che proietta un'ombra sul terrazzo. Si prenda adesso la statuetta e la si metta sotto il tavolo, all'ombra, e in modo che la sua ombra non esca dall'ombra del tavolo. Si tolga per un attimo il tavolo e si tracci - sempre come Sherlock Holmes - sul terrazzo, con un gessetto, il profilo dell'ombra della statuetta; si rimetta a questo punto il tavolo al suo posto, lasciando la statuetta dov'è. Ci ritroviamo con la statuetta sotto il tavolo e all'interno della grande ombra del tavolo una zona delimitata dalla nostra linea. Questa linea racchiude una zona d'ombra - che chiameremo la Zona Sospetta. Poniamoci adesso la domanda: di che cosa è ombra la Zona Sospetta? Non del tavolo, in quanto per il secondo principio il tavolo non può proiettare la sua ombra attraverso la statuetta. Non della statuetta, in quanto per il terzo principio la statuetta non è illuminata, standosene come sta all'ombra del tavolo. Ma attenzione: dato che non c'è nient'altro che possa fare ombra oltre alla statuetta e al tavolo, ne segue che il primo principio gira a vuoto. La Zona Sospetta è un'ombra, ma non è l'ombra di alcun oggetto. Qualcosa non va per il verso giusto nella teoria dell'ombra che pure sembrava così semplice! Il problema non è così filosofico come sembra: può avere interessanti strascichi legali. Ripensate ai regolamenti antiombra di Tokyo. Una casetta se ne sta al sole fino al giorno in cui uno speculatore comincia a costruire due grattacieli, Grande e Piccolo. Lo speculatore fa in modo che il tetto di Grande, di Piccolo e della casetta siano allineati rispetto al sole. In questo modo aggira il regolamento: Grande non fa ombra alla casetta, perché non può far ombra attraverso Piccolo; Piccolo non fa ombra alla casetta, perché non riceve luce. Il proprietario della casetta non riceve nessuna compensazione. Per sfuggire alle leggi antiombra conviene costruire due grattacieli anziché uno. | << | < | > | >> |Pagina 62Le ombre-oggetto e la Sorpresa FinaleMorale della favola: Il senso comune oscilla fra il trattare le ombre come oggetti e il considerarle come fenomeni incorporei non ben definiti. Ebbene, le ombre della scienza sono in una situazione simile. I grandi coni d'ombra di cui parla l'astronomia quando descrive le eclissi sono ombre-oggetto: hanno una forma e una dimensione, sono corpi geometrici a tutti gli effetti come i coni di pietra. Soprattutto sono oggetti geometrici relativamente semplici da immaginare e da studiare. Un astronomo puntiglioso potrebbe avere da ridire sul fatto che le ombre non sono oggetti materiali (e addirittura sono assenze). Spinto dal bisogno di mettere ordine nei concetti che usa, potrebbe riscrivere la dinamica di un'eclisse parlando solo della luce (che ha uno statuto materiale meno incerto e che comunque non è un'assenza). C'è però un problema: a questo punto le ombre dovrebbero figurare come buchi nella luce, il che naturabnente allontana il problema solo di un passo, perché i buchi sono altrettanto immateriali (e altrettanto assenze) delle ombre. (Le ombre sono come i buchi in molti rispetti; per esempio, in quanto non hanno struttura interna. Sono un puro interno, senza trama. Se un oggetto con un buco circolare ruota sull'asse del buco, ruota anche il buco? Se un oggetto che fa un'ombra perfettamente circolare ruota sul suo asse, ruota anche la sua ombra?) L'astronomo veramente puntiglioso e ombrofobo potrebbe allora mettersi a parlare dell'eclisse in modo apparentemente più sobrio, senza più tirare in ballo i buchì o, le strane assenze, e limitarsi a descrivere la geometria del flusso dei fotoni. Ma la forma dello spazio occupato dalla luce è molto complicata da descrivere. Le ombre rappresentano una comoda scorciatoia concettuale. Un'analogia con il caso dei buchi dovrebbe mostrare perché. Se volete che qualcuno ritagli in un foglio di carta un buco a forma di stella, la cosa più semplice è proprio chiedergli di ritagliare un buco a forma di stella. La stella è la forma del buco, non del foglio o di una parte del foglio. Se volete puntigliosamente evitare di parlare di buchi perché credete che non esistano, potete dare comunque una lunga descrizione della forma interna del foglio e dire per esempio: «Devi sagomare delle rientranze appuntite raccordate in cuspidi». Dubito che riuscirete a far ritagliare al vostro amico proprio un buco a forma di stella, ma anche se vi riuscite il costo mentale della descrizione che avete dovuto dare è veramente troppo elevato. Qualcosa di simile accade con le ombre. La comunicazione scientifica richiede descrizioni precise, che come tutte le descrizioni hanno dei costi per il cervello di chi le usa. Mi sembra naturale che fin dal principio dell'astronomia si siano trattate le ombre come oggetti provvisti di una geometria propria, di un'esistenza autonoma, e non si sia nemmeno iniziato a parlare della complicatissima forma della luce che le circonda. Costa molto meno fare così. La conclusione un po' strana che si può ricavare da questa discussione è in perfetta sintonia con le sorprese cui ci hanno abituato le ombre. Una disciplina scientifica come l'astronomia che accoglie le ombre non è materialista - le ombre sono immateriali. È dunque un errore associare la scienza al materialismo. | << | < | > | >> |Pagina 105Segno solo le ore serene (iscrizione su una vecchia meridiana)Quasi vergognandosi Plinio il Vecchio (24-79 a.C.) chiude la sua brevissima storia della misura del tempo a Roma e cambia bruscamente discorso: «Per molto tempo la luce del giorno non venne suddivisa adeguatamente per il popolo romano. Passiamo ora al resto degli animali, cominciando dagli animali terrestri». Animali infelici - deplora Plinio - gli antichi Romani non sanno misurare le ore regolandosi sul sole perché non si interessano alla teoria del tempo astronomico. Questa teoria lega terra e cielo in un unico grande schema che permette di tenere conto dei movimento apparente degli astri. Il modo in cui appaiono questi movimenti dipende dalla posizione dell'osservatore sulla terra. La terra è sferica e a una diversa posizione dell'osservatore corrisponde una diversa altezza degli astri sull'orizzonte (per esempio al polo nord la stella polare è allo zenit, ovvero sulla verticale dell'osservatore; all'equatore giace sull'orizzonte). Se la misura del tempo si affida agli astri non può prescindere da una conoscenza della geografia. Non lo hanno capito i Romani, buoni a saccheggiare le città ma incapaci di utilizzare il bottino di guerra, sembra volerci dire Plinio, che ci racconta al proposito una storia edificante: «Marco Varrone nota che il primo orologio solare pubblico venne portato [a Roma] dalla Sicilia e venne eretto su una colonna dei Rostri durante la prima guerra punica, dopo che Catania in Sicilia era stata conquistata dal console Manlio Valerio Messala... nell'anno 491 di Roma [264 a.C.]. Le linee di questo orologio non concordavano con le ore, e tuttavia si continuò a seguirle per novantanove anni! Finché Quinto Marco Filippo, censore con Paolo, vi giustappose un orologio solare concepito in modo più attento, e questo regalo fu gratissimo tra le opere del censore». Che cos'hanno fatto di sbagliato i ladri di meridiane? Dato che la terra è curva e gli astri hanno altezze diverse sull'orizzonte, gli orologi solari sono tarati per una latitudine determinata; se li si trasporta più a nord o più a sud le linee sul loro quadrante non corrispondono più alle ore del giorno. Rubare una meridiana è stupido a meno che non la si tenga sempre alla stessa latitudine. Roma invece è a nord di Catania. | << | < | > | >> |Pagina 127| << | < | > | >> |Pagina 139La leggenda della meridianaQuando, un millennio e mezzo prima, Cesare - su consiglio di vari saggi, tra cui Sosigene di Alessandria - aveva introdotto il Calendario Giuliano ci si era accordati su un valore per l'anno di 365 giorni e 1/4; ma l'anno tropico (il tempo tra due passaggi successivi del sole all'equinozio di primavera) è più corto di circa undici minuti. Sommandosi di anno in anno, all'epoca del Concilio di Nicea (325 d.C.) l'errore giunge a quasi tre giorni. La correzione effettuata durante il Concilio non tiene conto del problema che causa l'errore, e per dodici secoli il calendario continua ad andare alla deriva. (Nel Trecento il solstizio d'inverno veniva memorizzato grazie a un detto: Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia, ancor oggi ripetuto in Italia. In effetti in virtù dell'errore il solstizio cadeva il 13 dicembre.) Il 24 febbraio 1582, poco dopo la costruzione della Torre dei Venti, la bolla papale Inter Gravissimas correggerà il computo del tempo cancellando dieci giorni e introducendo il calendario Gregoriano che usiamo ancor oggi. La tradizione vuole che la meridiana della Torre avesse convinto Cregorio XIII della necessità di rimettere ordine nel calendario, ma si trattà di una leggenda. [...] La fortuna della riforma Gregoriana (a parte la fastidiosa soppressione dei dieci giorni di calendario per recuperare il ritardo rispetto al corso del sole) è legata al fatto che emanava da un'autorità quale il Papato, riconosciuta internazionalmente, ma anche alla sua semplicità. La riforma prevede infatti un anno la cui lunghezza (dopo la correzione dei bisestili) produce un terzo di giorno di anticipo ogni centotrentatré anni, e per un caso fortunato questo significa un giorno ogni quattrocento anni (con uno scarto residuo di un giorno ogni 3327 anni che possiamo lasciare come problema al prossimo Concilio). La riforma del calendario è un bell'esempio di come si propagano le opinioni: per pressioni autoritarie, ma anche per intrinseche capacità di attrarre consenso. Le seconde hanno comunque alla fine prevalso là dove le prime non avevano effetto o addirittura erano controproducenti. La Gran Bretagna, antipapista, ha adottato il calendario Gregoriano nel 1752 - sopprimendo undici giorni perché nel frattempo, continuando a usare il calendario Giuliano, si era accumulato un ulteriore ritardo. La Russia ha dovuto attendere il 1917, e quella che chiamiamo Rivoluzione d'ottobre in realtà è cominciata in novembre. | << | < | > | >> |Pagina 139È un grido lanciato nel cielo: le due lettere di scarto dell'anagramma con cui Galileo Galilei comunica a Giuliano de' Medici, in una missiva datata dicembre 1610, la più grande scoperta astronomica dai tempi della grecità. Le parole restanti di per sé non significano molto: Haec immatura a me iam frustra leguntur (Invano studio adesso queste cose premature). Bisogna risolvere l'anagramma. La frase nascosta descrive una storia di ombre che sconvolge l'immagine del mondo ereditata dall'astronomia degli antichi: la terra al centro dell'universo con il sole e i pianeti che le ruotano intorno. In effetti, con il Seicento, compaiono sulla scena astronomica ombre immense e spettacolari che scatenano molte guerre tra scienziati - e ne decidono l'esito roteando per il sistema solare come sciabole. L'ombra ha l'ultima parola sulla vera forma della luna, sulla natura e la collocazione di Venere, sulla dimensione di Mercurio, sulla conformazione degli anelli di Saturno e sulla cadenza dei satelliti di Giove. Ma procediamo con ordine. La luna di Galileo Le prime salve di queste guerre hanno come protagonista Galileo che sempre nel 1610, pochi mesi prima della lettera con l'anagramma, pubblica in un breve avviso astronomico, il Nuncius Sidereus, questo disegno della luna: [...] Per comprenderne la novità, si confronti l'illustrazione di Galileo con il misero disegno che della luna ha fatto Leonardo, le cui capacità di osservazione e di resa pittorica sono naturalmente al di sopra di ogni sospetto. Il foglio 310 recto del Codice Atlantico presenta un esempio di quanto Leonardo ha da offrirci delle sue indagini sulla luna. Il gioco dei chiari e degli scuri non ci parla di una luce che disegna le cime delle montagne e di un'ombra che riempie il fondo delle valli. Leonardo non vede niente più di quanto non avessero visto innumerevoli osservatori prima di lui: uno strano, triste, indecifrabile volto. Quando offre le sue immagini della luna, Galileo è pienamente cosciente della novità e dell'importanza di quanto sta facendo: «Grandi cose per verità in questo breve trattato propongo all'osservazione e alla contemplazione di quanti studiano la natura. Grandi, dico, e per l'eccellenza della materia stessa, e per la novità non mai udita nei secoli, e infine per lo strumento mediante il quale queste cose stesse si sono palesate al nostro senso». La novità maggiore è naturalmente lo strumento di osservazione nuovo, il cannocchiale. [...] Quando Galileo punta il cannocchiale verso la luna, la vede invece «come se distasse appena due raggi terrestri». È come se, guardando il disegno che apre il capitolo, teneste la pagina a quindici centimetri dal vostro naso. Galileo nota dunque subito che la superficie lunare non è contaminata solo dalle grandi macchie viste in ogni tempo e in ogni paese ma anche da molte impurità più piccole che sono visibili vicino al bordo tra luce e tenebra e che nascono, cambiano d'aspetto e scompaiono col crescere e il decrescere della luna. Queste macchie, invisibili a occhio nudo, gli fanno l'effetto di un gioco di ombre e di luci e a questo punto Galileo si trova davanti a un problema di ottica inversa: a partire dalla forma dell'ombra, ricostruisci la forma dell'oggetto. Galileo non è solo astronomo. È anche maestro nel disegno e sa tutto delle ombre e di come la forma degli oggetti ci venga rivelata dal loro mutare. E sulla luna ragiona così. L'ombra che aderisce a un solido perfettamente sferico deve seguire una linea uniforme, e invece la linea d'ombra della luna è «ineguale, aspra e assai sinuosa. Infatti molte luminosità come escrescenza si estendono oltre i confini della luce e delle tenebre, e per contro alcune particelle oscure si introducono nella parte illuminata». | << | < | > | >> |Pagina 148Macchie antiche e moderne: il volto della lunaQuando il principe degli astronomi Johannes Kepler (1571-1630) risponde a caldo alla pubblicazione del Nuncius, in una lettera aperta datata 19 aprile 1610, non ha ancora avuto modo di verificare le scoperte di Calileo, probabilmente perché non ha a disposizione un cannocchiale sufficientemente potente. Keplero si felicita con Galileo per le sue scoperte, ma mantiene una linea prudente dando il suo avallo solo alle tesi che gli sembrano verosimili o che corrispondono a fatti accertabili indipendentemente dall'uso del telescopio. Per esempio, considera le osservazioni di Galileo sulle imperfezioni lunari non come una scoperta originale ma come la conferma di quanto avevano già detto altri - tra cui Democrito, Plutarco, lo stesso, Keplero e soprattutto Maestlin, il suo maestro a Tübingen, il quale nel 1605 avrebbe asserito in un libello «che la luna e la terra sono simili per densità, ombra, opacità, illuminazione da parte del sole che fa il giro di entrambi i globi, così che la luna mostra le fasi ai terrestri come la terra le mostra agli abitanti della luna, tanto che entrambi i corpi si illuminano reciprocamente». In pratica Galileo non avrebbe scoperto nulla di nuovo. | << | < | > | >> |Pagina 151Che cosa ha veramente visto Galileo: il giallo del cratere boemoSappiamo che Galileo non è il primo a usare il telescopio per scrutare il cielo. Il matematico inglese Thomas Harriott (1560-1621) osserva la luna il 5 agosto 1609 e ne fa un disegno. Che però risulta indecifrabile. La linea d'ombra del disegno di Harriott è fisicamente impossibile. Tutte le linee d'ombra della luna in diverse fasi devono intersecare il profilo del satellite in due punti diametralmente opposti. Quella di Harriott si spinge troppo da un lato, come nei disegni dei bambini. Lo schizzo di Harriott è persino peggiore di quello di Leonardo - che almeno ci lasciava capire che rappresentava la luna. In realtà, i disegni di Galileo non solo sono più accurati, ma riflettono anche il fatto che Galileo aveva capito quello che era riuscito a vedere. La profondità di Galileo consiste proprio nell'aver visto che i chiari e gli scuri sono un gioco d'ombre e di luci. Che le ombre siano l'elemento cruciale viene confermato da una testimonianza indiretta. Un collaboratore di Harriott, William Lower, dopo aver avuto sentore delle scoperte di Galileo, scrive: «Avevo già osservato su tutta la superficie della luna una strana configurazione maculata, ma mai mi era venuto in mente che una qualsiasi parte di questa potessero essere ombre». | << | < | > | >> |Pagina 187Dio ama soltanto gli eletti... non tutti possono venir salvati: lo mostrano l'armonia universale delle cose, la pittura che vive grazie alle ombre, la consonanza grazie alle dissonanze. Leibniz, La confessione del filosofoSe doveste farvi fare un ritratto di profilo vi fidereste di più di chi lo fa a mano libera o di chi traccia il contorno della vostra ombra? La filosofia e l'astronomia sono figlie dell'ombra. Plinio vorrebbe aggiungere alla lista la pittura. Certo - ci dice il suo racconto - le origini della pittura sono incerte, gli Egizi rivendicano una priorità di seimila anni ma è un vano parlare. I Greci narrano una storia migliore: fanno risalire l'arte pittorica al momento in cui venne tracciato su un muro il profilo dell'ombra di una persona. Lo stesso mito presiede all'origine della scultura. Compaiono tre attori - Butade, vasaio di Sicione che lavora a Corinto, sua figlia, e il di lei amante. Prima della partenza dell'amante per un paese straniero la ragazza traccia il profilo della sua ombra sulla parete. L'indomani il padre ricava dal profilo un bassorilievo. La pittura e la scultura nascono quando l'ombra viene fissata su un muro dalla mano che disegna. Forse all'epoca di Plinio - il primo secolo a.C. - il mito cerca di spiegare le immagini antiche della pittura egizia e greca, le silhouette nere che popolano gli affreschi e le ceramiche, e alle quali in Grecia si faceva riferimento parlando di pittura di ombre, di skiagraphia. Le immagini antiche camminano di profilo, e come le ombre risultano monocrome, sono prive di dettaglio interno. Ma al di là della spiegazione storica del mito c'è una ragione per cui è così invitante l'idea che la pittura sia nata dalla traccia che racchiude l'ombra. I miti si tramandano soprattutto per la forza delle loro immagini, non tanto perché sono l'eco di un evento storico. Nel racconto di Plinio ciò che cattura l'immaginazione è il fatto che il pittore viene relegato in secondo piano; l'ombra fa quasi tutto. La proiezione dell'ombra è un processo naturale che segue leggi geometriche ed è per questo che ci si potrà fidare del risultato. Esiste insomma un percorso che va dal modello alla sua immagine senza passare per la mente fallace e la mano incerta del pittore. | << | < | > | >> |Pagina 201L'indice del libro perdutoI pittori tuttavia devono studiare le ombre se vogliono rappresentarle in modo convincente. Le difficoltà nel rappresentare le ombre attraversano i secoli; nei trattati di pittura del Rinascimento si trovano le tracce di un corpo a corpo con l'ombra. Tra i lottatori, Leonardo è in prima fila. Sembra che disponga di tutti gli elementi per poter tracciare le ombre nel quadro, ma che non riesca a ricomporli in una teoria ordinata. Ecco la storia. Leonardo eredita uno schema per cui l'ombra propria e il chiaroscuro (e in misura minore l'ombra portata) vengono canonizzati nella regola del tre: usa tre gradazioni se vuoi ottenere tutti gli effetti di luce - chiaro per la parte illuminata, intermedio per la transizione, scuro per la parte in ombra. La regola, molto semplice, soddisfa l'occhio senza dar troppo da pensare al pittore; col minimo dei mezzi grafici si ottiene un massimo di effetti visivi. Intorno al 1490 Leonardo decide di andare a fondo nel problema e di capire come funziona veramente l'ombra. Il risultato è una teoria in cui l'ombra si oppone alla luce, ma le due entità si richiamano a vicenda e rinviano l'una all'altra. La parte più strana della teoria di Leonardo è questa: l'ombra propria è attiva ed emette dei raggi d'ombra, dei raggi ombrosi. Lasciamogli la parola: «L'ombra è privazione di luce. Dato che le ombre mi sembrano indispensabili nella prospettiva e che senza di esse si capiscono male i corpi opachi e cupi, e anche quello che sta all'interno dell'ombra, e i suoi confini... per tutto questo propongo ed enuncio nella prima proposizione dell'ombra come ogni corpo umano sia circondato e vestito in superficie di ombre e di lumi e sopra questo costruisco il primo libro. Inoltre le ombre sono di diverse qualità e gradi di oscurità perché vengono abbandonate da diverse quantità di raggi luminosi. Chiamo queste le ombre originali, perché sono le prime ombre che rivestono i corpi cui stanno appiccicate, e sopra ciò edificherò il secondo libro. Da queste ombre originali risultano dei raggi ombrosi che si allargano nell'aria e sono di tante varietà quante sono le varietà delle ombre originali da cui derivano; per questo chiamo tali ombre ombre derivative, perché nascono da altre ombre, e su ciò farò il terzo libro. Queste ombre derivative hanno poi effetti diversi a seconda dei luoghi che vanno a percuotere, e qui farò il quarto libro. E dato che la percussione dell'ombra derivativa è sempre circondata da percussioni di raggi luminosi, e riflettendosi e ritornando verso la sua causa trova l'ombra originale, vi si mescola e si tramuta in essa cambiandone la natura, edificherò su ciò il quinto libro. Inoltre farò il sesto libro in cui si indagheranno le svariate modificazioni dei raggi riflessi risultanti... ». Del Libro delle ombre di Leonardo ci rimane solo il canovaccio, redatto verso il 1490, che ho trascritto in un italiano un po' meno colorito dell'originale. Non è chiaro se Leonardo sia mai giunto a una qualche stesura dei capitoli; ci restano alcune tracce di suoi studi teorici sull'ombra che però non sono tali da far pensare a un'opera organica. Il piano di lavoro offre una storia naturale dell'ombra dal momento in cui la luce intercetta il corpo fino alla proiezione su uno schermo e oltre. Possiamo seguire la storia di Leonardo con uno schema che sotto un aspetto innocuo nasconde un'idea bizzarra. | << | < | > | >> |Pagina 223Come può essere diritta l'ombra quando Lo stilo è storto? Abü Al FarajVerso il 1675 il filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) è sulle tracce di un testo dal titolo bello e misterioso, le Lezioni di tenebra, pubblicato intorno al 1641, di cui si sa soltanto che contiene un contributo alla geometria e alla prospettiva di Girard Desargues (1591-1661), un matematico e ingegnere francese. Il titolo è un gioco di parole che rinvia a un rito allora in voga durante le celebrazioni della settimana santa. Si parlava di lezioni di tenebra perché, sera dopo sera, una lettura e una meditazione terminavano nell'ombra all'estinguersi di una candela. Il vero soggetto del libro è però la relazione tra la prospettiva e la scienza della proiezione delle ombre. Si può finalmente parlare di scienza. La sintesi della teoria delle ombre e della prospettiva vede la luce qualche anno prima, nel 1636, quando Desargues dà alle stampe il Trattato della sezione prospettica. In questo trattato compare un teorema elegante che porta oggi il suo nome. Per chiudere il cerchio dell'ombra, Desargues è anche autore di un trattato sugli orologi solari. | << | < | > | >> |Pagina 253Tutte le osservazioni celesti si fanno per mezzo della luce e dell'ombra. Keplero, Paralipomena* (data incerta) La notte è l'ombra della terra. * (data incerta) La luna ha un corredo ciclico di fasi. * (data incerta) La luna è una sfera - come mostra lo sviluppo geometrico delle sue fasi. * (data incerta) Le eclissi di luna sono causate dall'ombra della terra; le eclissi di sole sono causate dall'interporsi della luna. Nell'eclisse di sole si nota la corona solare. * (data incerta) La terra non è piatta, come mostrano le differenze nella lunghezza delle ombre in uno stesso giorno a mezzogiorno e a latitudini diverse. * (data incerta) L'accorciarsi e l'allungarsi dell'ombra da un solstizio all'altro mostra che il percorso del sole nel cielo è inclinato rispetto a quello delle stelle; questo spiega le stagioni. * (data incerta, prima attribuzione tradizionale a Parmenide, attivo intorno al 500 a.C.) La luna non cresce e decresce veramente, ma viene illuminata dal sole. La luna sembra "guardare" il sole. * (data incerta, prima attribuzione tradizionale ad Anassagora, n. 500 a.C. ca.) La luna è illuminata dal sole. * Aristotele (384-322 a.C.). L'ombra della terra sulla luna durante le eclissi prova che la terra è sferica ed è più grande della luna. * Aristarco di Samo (terzo secolo a.C.). La distanza tra la terra e il sole è molto maggiore della distanza tra la terra e la luna. Invenzione di due metodi basati sull'ombra - il metodo della dicotomia e quello del diagramma delle eclissi - per misurare la dimensione e la distanza terra-luna e terra-sole. Si tratta di metodi geometrici rigorosi che però dipendono da rilevamenti troppo approssimati; verranno comunque utilizzati con alterne fortune per duemila anni. * Aristarco. L'accorciarsi e l'allungarsi dell'ombra può venir spiegato anche dall'ipotesi che l'asse di rotazione della terra è inclinato rispetto a quello della sua rivoluzione intorno al sole. Le stagioni sono un fenomeno d'ombra legato alla sfericità della terra e all'inclinazione del suo asse. * Eratostene (ca. 273-192 a.C.). Il confronto tra le ombre in due punti sullo stesso meridiano permette di determinare che la circonferenza terrestre misura 250.000 stadi. * Ipparco (seconda metà del secondo secolo a.C.). La luna dista mediamente dalla terra 67 e 1/3 raggi terrestri. * Ipparco. Il sole dista mediamente dalla terra almeno 490 raggi terrestri. * Teone di Alessandria (fine del quarto secolo d.C.). La geometria delle ombre dovrebbe dimostrare che la luce viaggia in linea retta. * Galileo, 1610. Le ombre create dal sole nascente sulla luna mostrano una superficie accidentata. La luna non è quindi un oggetto di un tipo (molto) diverso dalla terra. * Galileo, 1610. Le montagne della luna sono alte quasi ottomila metri. * Galileo, 1610. Venere non brilla di luce propria. * Galileo, 1610. Venere ha un ciclo di fasi incompatibile con quanto previsto dalla teoria tolemaica. Venere deve ruotare intorno al sole che diventa quindi insieme alla terra e a Giove (di cui Galileo scopre i satelliti) uno dei tre centri di rotazione nell'universo. * Galileo, 1612. Le eclissi dei satelliti di Giove costituiscono un grande orologio cosmico utile per determinare le longitudini terrestri. * Gassendi, 1631. La silhouette di Mercurio, osservata durante il passaggio del pianeta davanti al sole, dimostra che Mercurio è grande un sesto di quanto non si pensasse in precedenza. * Horrocks, 1639. Osservazione del transito di Venere, con risultati analoghi a quelli ottenuti da Gassendi per Mercurio. * Campani, 1664 (e altri astronomi nella stessa decade). Le ombre mostrano che la forma bizzarra di Saturno è dovuta agli anelli che lo circondano, come aveva ipotizzato Huygens nel 1656. * Grimaldi, 1665. Le ombre mostrano che la luce si propaga in modo non solo diretto, per riflessione e per rifrazione, ma anche per diffrazione. * Romer, 1676. I ritardi delle eclissi dei satelliti di Giove, osservati in diversi momenti dell'anno, dimostrano che la luce viaggia a velocità finita e permettono di calcolare tale velocità. * Halley, 1715. Prima osservazione precisa del tracciato di un'eclisse, resa possibile dalla pubblicazione di una previsione effettuata dallo stesso Halley. * 1761. Il transito di Venere (il primo dopo quello del 1639) permette la prima misura accurata della parallasse solare. * Eddington, 1919. L'eclisse solare del 29 maggio permette di osservare che una stella nella costellazione del Toro, in cui passa il sole, appare leggermente spostata. La deviazione della luce da parte della massa solare concorda con le previsioni della teoria della relatività di Einsteìn. In precedenza, svariate altre osservazioni e scoperte sono state rese possibili dalle eclissi di sole: per esempio, l'analisi spettrografica (18 agosto 1868) fa scoprire a Lockyer l'elio, isolato sulla terra solo nel 1895. * Dunham, 1980. Una discrepanza fra il tracciato effettivo e quello teorico dell'eclisse del 22 aprile 1715 (registrata da Halley) permette di ipotizzare che il raggio solare si è ridotto di circa un terzo di secondo d'arco in tre secoli. * Stephenson e Morrison, 1984. La discrepanza fra i tracciati effettivi e quelli teorici di circa settecento eclissi storiche permette di ipotizzare che la rotazione della terra ha rallentato di circa un ventesimo di secondo in duemilacinquecento anni. |
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