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| << | < | > | >> |Indice9 Pulcinella al secolo ventesimo tra favola e destino: Gian Paolo Dulbecco, Fausto Lubelli Emanuele Luzzati, Alessandro Mautone CLAUDIO CASERTA 35 Pulcinella realtà di un mito dalle origini ebraiche e dionisiache al teatro di tradizione dalla scena di Emanuele Luzzati alla rilettura di Fausto Lubelli intervista a ROBERTO DE SIMONE 57 Il mio amico Pulcinella EMANUELE LUZZATI 58 Quel gran fantasma bianco STELIO MARIA MARTINI Il catalogo 63 Emanuele Luzzati 105 Gian Paolo Dulbecco 121 Alessandro Mautone 139 Fausto Lubelli 169 Sulla maschera di Pulcinella |
| << | < | > | >> |Pagina 11«A coppo cupo poco pepe cape, e poco pepe cape a coppo cupo»: così esordisce Pulcinella, solo, con spada e lanterna, nella quarta scena del primo atto della prima variante manoscritta del Don Giovanni Tenorio ovvero il Convitato di pietra, di anonimo (Napoli 1808), opera proveniente da una assai risalente tradizione orale di ambito teatrale, poi in forma scritta sin dalla prima metà del Seicento.Un Convitato di pietra scritto da Onofrio di Solofra fu stampato in Napoli nel 1652, presso Francesco Savio, oggi perduto e del quale si ha notizia da Benedetto Croce. Indubbiamente il mondo dei comici napoletani traspare nel testo di Andrea Perrucci del 1690, tornando nelle varie edizioni operate da diversi autori. Ed è soltanto uno dei momenti più alti della letteratura colta in lingua napoletana che vede Pulliciniello/Pollecinella arguto rivoluzionario del quotidiano, irriverente filosofo dall'ancestrale anarchia, servitore autarchico di regole incomprensibili, rimescolatore di linguaggi sonori e dei sentimenti intrappolati. Paradigma della sua terra, Pulcinella nella vicenda napoletana assume un ruolo demiurgico che, per molti versi, fa pensare al medesimo alveo de La gatta Cenerentola, per il quale Roberto De Simone, nel 1976, così annotava: «...E queste parole erano quelle imparate dalla gente che ancora sa parlare perché chiama festa un giorno in cui si dice la verità e tutti la capiscono e chiama gioco la fatica di avere paura per non avere paura...». Alla maschera, ai suoi invisibili ed incancellabili autori, da Tiepolo a Callot, da Eduardo a Roberto De Simone, ad Emanuele Luzzati, va il pensiero melencolicamente prigioniero del dato presente, irriverente sempre all'esistere, surreale quanto basta per sopravvivere, che artisti di più recente generazione, come Dulbecco, Lubelli, Mautone, dedicano al personaggio in struggenti quanto ironiche antologie umane. Gian Paolo Dulbecco lombardo, Fausto Lubelli campano, Emanuele Luzzati genovese, Alessandro Mautone napoletano: diverse creatività animano differenti modi d'essere della maschera più neutra, per aspetto iconografico, e più caratterizzata, per quanto riguarda gli aspetti psicologici, Pulcinella. Artisti diversissimi, appartenenti a generazioni e culture distanti tra loro, accomunati dall'aver individuato in questo antico personaggio un pregnante paradigma narrativo. Del resto, l'antica maschera partenopea, sin dai tempi della Commedia dell'Arte, ha incarnato un'espressività universale tanto da venir, senza apparenti conflitti, assimilata in ambiti artistici e letterari molto eterogenei, conferendo alle tematiche, grazie ad essa svolte, una non comune vivacità espositiva non disgiunta da preziosi psicologismi. Non a caso, Giandomenico Tiepolo, nella settecentesca Venezia, al tempo in cui non mancavano narrazioni figurative locali, decora Ca' Rezzonico con scene pulcinellesche e lascia i Divertimenti per li regazzi - Carte n. 104, eseguiti nella sua Zianigo tra il 1791 ed il 1799 (dopo sei opere precedenti in tema), così riprendendo un interesse già del padre Giambattista risalente agli anni quaranta del secolo, al tempo delle committenze del conte Algarotti. Come annota Isabella Valente, nella ricerca Pulcinella da uno a centomila: la maschera e la coscienza critica del reale in Giandomenico Tiepolo, «...I panciuti e bassi Pulcinella di Giambattista con la maschera caratterizzata da un naso troppo lungo e largo, occhi molto marcati e la gobba pronunciata, sono senza sostanza, come i suoi putti e i suoi satiri. Disegnati dalla linea seria e incisiva dell'autore di dèi ed eroi, per la sua impostazione e finitezza il Pulcinella di Giambattista è una finzione ed anche troppo "aristocratica"». (Nel gruppo di Pulcinella della collezione Broglio di Parigi, ritenuto degli anni '60), «Domenico è ancora vicino a quelli del padre, ma già vi si nota l'elemento realistico-popolare che in Giambattista era completamente assente».
Del pari, l'interesse per la polivalente espressività di Pulcinella
nell'indagine di Emanuele Luzzati non può non aver trovato stimolo
nelle esperienze di Pablo Picasso (le scene ed
i costumi per il Pulcinella di Igor Strawinsky
da Giambattista Pergolesi, con le coreografie
di Léonide Massine) già del 1923, che l'artista
genovese avrà modo di conoscere durante l'esilio razziale svizzero. Tuttavia,
mentre Picasso non opera un distacco dalla matrice classica
della maschera, Luzzati la rivisita interamente,
animandola, non solo graficamente e tecnicamente, ma nel più intimo sentimento,
quello che libera l'esistenza nell'anarchica volontà di
un'assoluta indipendenza di spirito e d'azione,
scevra da compromessi e, men che mai, sottomissioni alle situazioni e poteri
costituiti.
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